N. 382 SENTENZA 27 novembre - 11 dicembre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Pena - Obiezione di coscienza - Punizione con la reclusione da due a
 quattro  anni  di  colui  che ammesso ai benefici di legge rifiuta la
 prestazione  del  servizio  militare  non  armato   o   il   servizio
 sostitutivo  civile  - Riferimento alla giurisprudenza della Corte in
 materia (vedi sentenza n. 409/1989) -  Violazione  del  principio  di
 uguaglianza - Irragionevolezza - Illegittimita' costituzionale.
 
 (Legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 8, primo comma, come sostituito
 dall'art. 2 della legge 24 dicembre 1974, n. 695).
 
(GU n.51 del 17-12-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,    prof.
 Cesare  MIRABELLI,    prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,   prof. Carlo MEZZANOTTE,   avv.
 Fernanda CONTRI, prof.  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,    prof.  Annibale
 MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8, primo comma,
 della  legge  15  dicembre  1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento
 della obiezione di coscienza),  come  sostituito  dall'art.  2  della
 legge  24  dicembre  1974,  n.  695 (Modifiche agli artt. 2 e 8 della
 legge 15 dicembre 1972, n. 772, recante norme per  il  riconoscimento
 della  obiezione  di  coscienza), promosso con ordinanza emessa il 14
 febbraio 1997 dal giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  la
 pretura  di  Pavia  nel  procedimento penale a carico di Massimiliano
 Fiini, iscritta al n. 211 del registro ordinanze  1997  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  18,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1997.
   Udito nella camera di consiglio del  15  ottobre  1997  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
                            Ritenuto in fatto
   1.   -  Richiesto  dall'imputato,  con  il  consenso  del  pubblico
 ministero,  di  pronunciare  sentenza   di   applicazione   di   pena
 concordata, a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., in ordine al reato
 previsto  dall'art.  8, primo comma, della legge 15 dicembre 1972, n.
 772 (Norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza),  come
 sostituito  dall'art.    2  della  legge  24  dicembre  1974,  n. 695
 (Modifiche agli artt. 2 e 8 della legge 15  dicembre  1972,  n.  772,
 recante  norme  per  il riconoscimento della obiezione di coscienza),
 concernente il rifiuto di prestazione del servizio sostitutivo civile
 da parte di persona gia' ammessa  a  svolgerlo,  il  giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso  la  pretura di Pavia ha sollevato, con
 ordinanza  del  14   febbraio   1997,   questione   di   legittimita'
 costituzionale  della  richiamata disposizione penale, in riferimento
 agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione.
   2. - La norma impugnata, della quale il giudice  a  quo  deve  fare
 applicazione  alla  stregua  della contestazione portata a giudizio e
 delle risultanze del procedimento,  prevede,  per  chi,  "ammesso  ai
 benefici  della  (presente)  legge,  rifiuti il servizio militare non
 armato  o  il  servizio  sostitutivo  civile",  la   sanzione   della
 reclusione  tra  un  minimo di due anni e un massimo di quattro anni.
 Questa  previsione  sanzionatoria  appare  al  rimettente  di  dubbia
 costituzionalita', sotto un duplice profilo.
   Per  un  primo  aspetto,  la  misura  della  pena  edittale sarebbe
 ingiustificatamente  maggiore  rispetto  a  quella  applicabile   nei
 riguardi  dell'obiettore  totale, vale a dire di colui che rifiuti il
 servizio militare, adducendo un motivo previsto dalla  legge,  al  di
 fuori  dei  casi  e  delle  procedure di ammissione a uno dei servizi
 sostitutivi. Per questi, infatti, in applicazione del  secondo  comma
 dell'art.  8  della  legge  n.  772 del 1972, la misura della pena e'
 stabilita nella reclusione da sei mesi a due anni,  a  seguito  della
 sentenza  della  Corte costituzionale n. 409 del 1989, che, in virtu'
 del raffronto tra il reato di rifiuto globale del servizio  e  quello
 di  mancanza  alla  chiamata  (art.  151  cod.  pen.  mil.  pace), ha
 sostituito la pena stabilita dal secondo comma  dell'art.  8  -  pena
 originariamente  determinata  in  misura  uguale  a  quella  prevista
 nell'attuale primo comma - con quella prevista dalla norma del codice
 militare (reclusione da sei mesi  a  due  anni).    Ne  e'  derivato,
 secondo  la  prospettazione  del  giudice  rimettente, uno squilibrio
 dell'assetto punitivo interno all'art. 8, irragionevolmente deteriore
 per chi rifiuti il servizio sostitutivo dopo  esservi  stato  ammesso
 (primo  comma) rispetto a chi rifiuti tout court il servizio (secondo
 comma): pur non essendo le condotte richiamate del tutto omogenee, il
 disvalore sociale a  ciascuna  di  esse  attribuito  dal  legislatore
 sarebbe  stato  originariamente,  e  sarebbe  tuttora,  il  medesimo.
 Varrebbe  come  indice  l'identita'  delle  pene  previste   per   le
 rispettive  incriminazioni  nel  testo  dell'art.  8  anteriore  alla
 sentenza.
   Per un secondo  e  collegato  aspetto,  l'attuale  diversificazione
 sanzionatoria  pare  al  giudice  a  quo  contrastare altresi' con il
 finalismo  rieducativo  della  pena  (art.  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione), quale principio che impone il rispetto del criterio di
 proporzione  tra  offesa  e  sanzione,  dovendosi  tenere  conto, nel
 bilanciamento degli interessi che e' presupposto alla  determinazione
 della   sanzione,   del  mutato  assetto  normativo  derivante  dalla
 ricordata pronuncia della Corte costituzionale.
   Del resto, ad avviso del giudice  rimettente,  la  differenziazione
 punitiva  censurata  non  e'  neppure  coerente  con  la  disciplina,
 contenuta nello stesso art. 8, che regola le speciali cause estintive
 del reato o della pena in caso di successiva richiesta - accolta - di
 assegnazione a  un  servizio  sostitutivo  (quarto  e  settimo  comma
 dell'art.  8),  giacche'  questa  disciplina  di  incentivazione  del
 "recupero" dell'obiettore  non  differenzia  in  alcun  modo  le  due
 fattispecie  incriminatrici  cui  e' riferita, quanto a condizioni ed
 effetti;  anche  sotto  tale  profilo,  ne  risulterebbe   confermata
 l'intenzione  legislativa  originaria della piena equiparazione tra i
 due casi.
   La questione sollevata e' rilevante  -  conclude  il  rimettente  -
 perche'   incide  sulla  valutazione  della  congruita'  della  pena,
 concordata dalle parti,  allo  stato,  in  base  ai  limiti  edittali
 vigenti.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il  giudice per le indagini preliminari presso la pretura di
 Pavia dubita della legittimita' costituzionale, in  riferimento  agli
 artt.  3,  primo  comma,  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,
 dell'art.   8, primo comma, della legge  15  dicembre  1972,  n.  772
 (Norme  per  il  riconoscimento  della  obiezione di coscienza), come
 sostituito dall'art.    2  della  legge  24  dicembre  1974,  n.  695
 (Modifiche  agli  artt.  2  e 8 della legge 15 dicembre 1972, n. 772,
 recante norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza), il
 quale punisce con la reclusione da due  a  quattro  anni  colui  che,
 ammesso  ai benefici previsti dalla legge, rifiuta la prestazione del
 servizio militare non armato o il servizio sostitutivo civile.
   Ritiene innanzitutto il giudice rimettente che la misura della pena
 comminata per il reato in questione sia ingiustificatamente diversa e
 maggiore rispetto a quella prevista dal secondo  comma  del  medesimo
 articolo  per  il  fatto  del cosiddetto "obiettore totale", cioe' di
 colui il quale, al di fuori dei casi di ammissione  ai  benefici  del
 servizio  militare  non  armato  o  del  servizio civile, adducendo i
 motivi di coscienza previsti dall'art. 1 della legge n. 772 del 1972,
 rifiuta, in tempo di pace, prima di assumerlo, il  servizio  militare
 di   leva.   La   pena   prevista  per  tale  ipotesi  di  reato  era
 originariamente fissata nella stessa misura di  quella  prevista  nel
 primo  comma.  Ma  con la sentenza n. 409 del 1989 di questa Corte, a
 seguito del raffronto operato tra il reato  di  rifiuto  globale  del
 servizio  (secondo  comma  dell'art.  8)  e  quello  di mancanza alla
 chiamata previsto dall'art. 151 cod. pen. mil. pace,  la  pena  della
 reclusione  da  due  a  quattro  anni stabilita per il primo e' stata
 sostituita con quella meno grave della reclusione da sei mesi  a  due
 anni,  prevista  per  il  secondo.  Analoga  riduzione  non essendosi
 determinata con riguardo alla pena comminata per  il  reato  previsto
 nel   primo  comma,  ne  sarebbe  derivato,  ad  avviso  del  giudice
 rimettente, un ingiustificato squilibrio  tra  le  pene  relative  ai
 reati  rispettivamente  previsti  nei due primi commi dell'art. 8. Da
 qui  la  prospettata  violazione  dell'art.  3,  primo  comma,  della
 Costituzione,  sotto  il profilo dell'irrazionale trattamento diverso
 di fattispecie analoghe.
   In  secondo  luogo,  il  giudice  rimettente   ritiene   rotta   la
 proporzione  tra  la gravita' dell'offesa e la misura della sanzione.
 La prevista pena da due a quattro  anni  di  reclusione  risulterebbe
 infatti  eccessiva  rispetto al disvalore del fatto, il quale sarebbe
 da  misurare  alla  stregua  delle  considerazioni  contenute   nella
 sentenza   n.   409  del  1989  di  questa  Corte,  riferibili  anche
 all'ipotesi di reato  del  primo  comma  dell'art.  8,  tenuto  conto
 altresi'  della  comune  possibilita',  prevista dal quarto comma del
 medesimo articolo, riconosciuta  all'imputato  o  al  condannato,  di
 formulare  (nell'ipotesi prevista dal secondo comma) o di riformulare
 (in quella prevista dal  primo  comma)  domanda  di  assegnazione  al
 servizio  militare  non  armato  o  a un servizio civile sostitutivo:
 domanda che, se accolta, produce in entrambe le ipotesi  gli  effetti
 estintivi  indicati  nel settimo comma del medesimo articolo.  Da qui
 la censura d'incostituzionalita' per violazione del  principio  della
 finalita'  rieducativa della pena previsto dall'art. 27, terzo comma,
 della Costituzione.
   La proposta questione mira in definitiva a ottenere, attraverso una
 decisione d'incostituzionalita' di questa  Corte,  un  riallineamento
 della  misura  delle  pene  per  i reati previsti nei due primi commi
 dell'art. 8 della legge n. 772 del 1972, al livello  determinato  per
 il reato di "obiezione totale" dalla sopra ricordata sentenza n.  409
 del 1989 di questa Corte.
   2. - La questione e' fondata.
   L'ipotesi  prevista  dal  primo comma dell'art. 8 presuppone che il
 soggetto, avendone fatto domanda sulla base dei motivi  di  coscienza
 indicati  dall'art.  1  della  legge,  abbia ottenuto l'ammissione al
 servizio militare non armato o al  servizio  sostitutivo  civile.  Il
 reato  consiste  nel fatto di colui che successivamente rifiuta - per
 usare la formula della  legge  -  i  "benefici"  ai  quali  e'  stato
 ammesso.    L'ipotesi  prevista dal secondo comma, invece, prevede il
 caso di colui che, adducendo i motivi di coscienza indicati dall'art.
 1, al di fuori dei casi di ammissione al servizio militare non armato
 o al servizio sostitutivo civile, rifiuta,  prima  di  assumerlo,  il
 servizio militare di leva.
   Le  due  ipotesi  di  reato  sono dunque diverse tanto dal punto di
 vista soggettivo quanto da quello oggettivo. Cio',  se  non  consente
 interventi omologanti sulle fattispecie, ognuna delle quali e' dotata
 di  una  sua  autonoma  ragion d'essere (cosi' la sentenza n. 422 del
 1993 di questa Corte), non esclude peraltro che possa essere compiuta
 una valutazione comparativa in ordine alla razionalita' delle diverse
 misure delle pene,  dal  punto  di  vista  dei  caratteri  delle  due
 condotte:      una   valutazione   sull'arbitrarieta'   delle  scelte
 legislative che, nei limiti dell'evidenza,  compete  a  questa  Corte
 senza   che   cio'  comporti  invasione  nella  discrezionalita'  del
 legislatore (sentenze n. 84 del 1997, n. 313 del  1995,  n.  341  del
 1994).
   Al  fine di tale valutazione e' sufficiente considerare che i primi
 due commi dell'art. 8 della legge n.  772  hanno  a  che  vedere  con
 ipotesi  di  reato  che,  dal  punto  di  vista del significato delle
 condotte che prevedono, possono finire per coincidere. Il primo comma
 dell'art.   8 prevede il caso di  chi,  all'inizio,  avendo  avanzato
 motivi  di  coscienza contro il servizio militare armato, ottiene per
 questo di essere  ammesso  al  servizio  militare  non  armato  o  al
 servizio  sostitutivo civile e poi, in un momento successivo, rifiuta
 di  assoggettarsi  anche  a   queste   diverse   prestazioni.   Nella
 fattispecie  prevista  dal primo comma dell'art. 8 potrebbero percio'
 rientrare casi di obiezione totale che  vengono  a  determinarsi  per
 fasi successive.
   E'  bensi'  vero che la fattispecie prevista da tale primo comma ha
 una portata piu' comprensiva, riguardando  il  rifiuto  del  servizio
 militare  non  armato  e  del servizio sostitutivo civile tanto per i
 motivi di coscienza previsti dall'art. 1, quanto per qualunque  altro
 diverso   motivo.   Ed  e'  dunque  vero  che  l'equiparazione  della
 previsione del primo comma a quella del  secondo,  sotto  l'anzidetto
 profilo del medesimo significato delle condotte, in astratto potrebbe
 essere  fatta  solo  nel  primo  caso,  e  non  nel secondo. Ma e' il
 legislatore e  solo  il  legislatore  che,  volendo,  avrebbe  potuto
 distinguere,  considerando rilevante la natura dei motivi del rifiuto
 opposto alla soggezione al servizio militare non armato o al servizio
 sostitutivo civile.  In mancanza di una tale distinzione legislativa,
 e' giocoforza considerare  unitariamente  la  fattispecie  del  primo
 comma dell'art. 8, sotto il profilo della medesima gravita' dei fatti
 che  in essa ricadono. Cio' che appare decisivo, ai fini del presente
 giudizio  di  costituzionalita', e' allora la stretta connessione fra
 le fattispecie dei due primi commi dell'art. 8 della legge n.  772  e
 l'identita'  di  valutazione  del  legislatore  circa la gravita' dei
 fatti che essi prevedono, identita' di valutazione che  si  esprimeva
 originariamente  nell'identita'  di  pene,  stabilita  l'una  con una
 formula di rinvio all'altra ("Alla stessa pena soggiace ...").
   Il sistema delineato dalle disposizioni in esame, a  seguito  della
 sentenza  n.  409  del  1989  che, in relazione comparativa col reato
 previsto dall'art.  151  cod.  pen.  mil.  pace,  ha  gia'  piu'  che
 dimezzato  la  pena  per  la  fattispecie  prevista nel secondo comma
 dell'art. 8, risulta dunque manifestamente privo  di  razionalita'  e
 quindi  incostituzionale  per  violazione  dell'art.  3, primo comma,
 della Costituzione. Il rimedio  che  e'  consentito  a  questa  Corte
 apprestare  non  puo'  consistere  in  altro  che  in  una  pronuncia
 d'incostituzionalita' del denunciato primo comma del medesimo art.  8
 dalla  quale  consegua  la  rinnovata  equiparazione delle pene nella
 misura attualmente prevista dal secondo comma.
   3. - La predetta dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art.   8,
 primo comma, della legge n. 772 del 1972 per violazione dell'art.  3,
 primo  comma,  della  Costituzione assorbe la censura prospettata per
 violazione dell'art. 27, secondo comma, della Costituzione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 8, primo  comma,
 della  legge  15  dicembre  1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento
 della obiezione di coscienza),  come  sostituito  dall'art.  2  della
 legge  24  dicembre  1974,  n.  695 (Modifiche agli artt. 2 e 8 della
 legge 15 dicembre 1972, n. 772, recante norme per  il  riconoscimento
 della  obiezione  di coscienza), nella parte in cui determina la pena
 edittale ivi comminata nella misura minima di due  anni  anziche'  in
 quella di sei mesi e nella misura massima di quattro anni anziche' in
 quella di due anni.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 27 novembre 1997.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Zagrebelsky
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria l'11 dicembre 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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