N. 403 SENTENZA 10 - 17 dicembre 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Ordinamento penitenziario - Divieto di concessione di permessi premio
 nei due anni che fanno seguito a condanna o ad imputazione per  nuovo
 delitto   doloso   commesso   durante   l'espiazione   della  pena  o
 l'esecuzione di una misura restrittiva  della  liberta'  personale  -
 Questione gia' dichiarata non fondata dalla Corte con sentenza n. 296
 del 1997 - Non fondatezza.
 
 (Legge  26 luglio 1975, n. 354, art. 30-ter, comma quinto, introdotto
 dall'art. 9 della legge 10 ottobre 1996, n. 663).
 
 (Cost., art. 24).
 
 Ordinamento penitenziario -  Minori  -  Divieto  di  concessione  di
 permessi  premio  nei  due  anni  che  fanno  seguito a condanna o ad
 imputazione per nuovo delitto doloso  commesso  durante  l'espiazione
 della  pena  o  l'esecuzione di una misura restrittiva della liberta'
 personale  -  Contraddizione  con  il  principio  di   finalita'   di
 risocializzazione che deve caratterizzare l'esecuzione della pena nei
 confronti  del minore - Riferimento alle sentenze della Corte nn. 125
 del 1992 e 109 del 19997 - Illegittimita' costituzionale parziale.
 
 (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 30-ter, comma quinto,  introdotto
 dall'art. 9 della legge 10 ottobre 1996, n. 663).
 
(GU n.52 del 24-12-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  prof.  Annibale
 MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  30-ter,  comma
 sesto,  della  legge  26  luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento
 penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
 della  liberta'),  in  relazione  all'art.  79  della  stessa  legge,
 promosso con ordinanza emessa il 20 gennaio 1997 dal tribunale per  i
 minorenni di Cagliari, iscritta al n. 121 del registro ordinanze 1997
 e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima
 serie speciale dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 15 ottobre 1997 il giudice
 relatore Valerio Onida.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Nel corso di un giudizio  per  l'impugnazione,  promossa  dal
 pubblico  ministero,  del provvedimento di concessione di un permesso
 premio ad un detenuto minorenne all'epoca del reato, il tribunale per
 i minorenni di Cagliari ha sollevato d'ufficio, con ordinanza  emessa
 il  20  gennaio  1997,  pervenuta  a  questa  Corte  il 3 marzo 1997,
 iscritta  al  n.  121  del  r.o.  del 1997, questione di legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 31, secondo
 comma, e 24 della Costituzione,  dell'art.  30-ter  comma  6  (recte:
 comma  5), della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento
 penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
 della  liberta'),  articolo  introdotto  dall'art.  9  della legge 10
 ottobre 1986, n. 663:  si tratta della norma,  in  tema  di  permessi
 premio,   secondo   cui  "nei  confronti  dei  soggetti  che  durante
 l'espiazione della pena o delle misure  restrittive  hanno  riportato
 condanna   o  sono  imputati  per  delitto  doloso  commesso  durante
 l'espiazione della pena o   l'esecuzione di  una  misura  restrittiva
 della  liberta'  personale,  la  concessione (del permesso premio) e'
 ammessa  soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto".
   Il giudice a quo premette in fatto che nella specie l'impugnazione,
 da parte del pubblico ministero, del provvedimento che aveva concesso
 il permesso premio, nonostante che il detenuto,  minorenne  all'epoca
 del  reato per cui fu condannato, risultasse indagato per il reato di
 oltraggio, era fondata sulla circostanza che l'interessato era  stato
 rinviato  a  giudizio  per  detto  reato di oltraggio, e dunque aveva
 assunto qualita' di imputato ai sensi   dell'art. 60  del  codice  di
 procedura  penale; e osserva che la questione e' rilevante, in quanto
 la dichiarazione di incostituzionalita' della disposizione  impugnata
 rimuoverebbe  la  causa  ostativa  della  concessione  del  beneficio
 richiesto.
   In punto di non  manifesta  infondatezza,  il  remittente  richiama
 anzitutto la giurisprudenza di questa Corte (in particolare, sentenza
 n.  125  del 1992) che ha sottolineato l'essenziale finalizzazione al
 recupero che deve caratterizzare tutte le fasi del trattamento penale
 del minore, ivi compresa quella  di  esecuzione  della  pena,  ed  ha
 rilevato  come  la  pura  e semplice estensione ai detenuti minorenni
 della disciplina generale dell'ordinamento penitenziario (disposta in
 via provvisoria dall'art. 79 dell'ordinamento medesimo) contrasti con
 le esigenze - discendenti dalla considerazione unitaria  degli  artt.
 3, 27, terzo comma, 30 e 31 della Costituzione - del recupero e della
 risocializzazione  dei  minori  devianti,  esigenze che comportano la
 necessita' di differenziare il trattamento dei minorenni rispetto  ai
 detenuti adulti.
   Rileva  poi  che  il  rigido e indifferenziato divieto di concedere
 permessi premio ad un minore che  abbia  commesso  un  reato  durante
 l'espiazione  della  pena  urta  contro  i  principi richiamati, e in
 particolare  viola  l'art.  3  della  Costituzione,  in   quanto   si
 disciplina   in  maniera  identica  la  condizione  penitenziaria  di
 soggetti tra loro profondamente diversi,  nonche'  l'art.  31,  primo
 comma,  della Costituzione, sulla protezione della gioventu', poiche'
 non si tiene  conto  della  particolare  finalita'  di  reinserimento
 sociale  che  deve  avere  la pena per i minori, nel cui programma di
 trattamento e'  fondamentale  la  concessione  dei  permessi  premio,
 finalizzata alla cura degli interessi affettivi e dei contatti con il
 mondo  del  lavoro  e  della  scuola,  allo  scopo  di  permettere di
 sviluppare la loro personalita' in formazione.
   Nell'ordinanza si  osserva  che  la  privazione  automatica  e  non
 discrezionale  della possibilita' di avere contatti con l'esterno per
 tutta la durata della detenzione - posto  che  le  pene  inflitte  ai
 minorenni  hanno  normalmente  una  durata inferiore ai due anni - si
 traduce  in un ingiustificato arresto dei processi educativi attivati
 ed in una immotivata esclusione della  possibilita'  per  il  giudice
 minorile  di valutare caso per caso se la commissione del nuovo reato
 sia significativa di una vera personalita' deviante, o  piuttosto  un
 fatto  episodico.  Ad  avviso  del  giudice a quo, in sostanza, per i
 minorenni le esigenze educative  e  di  risocializzazione  dovrebbero
 necessariamente   prevalere  su  quelle  meramente  custodialistiche,
 afflittive e di tutela della collettivita'.
   Infine, secondo il remittente, la norma in questione apparirebbe in
 contrasto con la garanzia giurisdizionale di cui  all'art.  24  della
 Costituzione,  in  quanto lascerebbe unicamente al pubblico ministero
 il potere di escludere dai permessi  premio  i  detenuti  rinviati  a
 giudizio  per  un  nuovo  reato,  senza  alcun controllo da parte del
 giudice.
   Il giudice a  quo  chiede  pertanto  che  la  norma  impugnata  sia
 dichiarata  in  toto  incostituzionale, "salvo che la Corte si voglia
 limitare a dichiarare incostituzionale detto comma per  la  parte  in
 cui non prevede la sua inapplicabilita' a coloro che espiano una pena
 per reati commessi da minorenni".
   2.  -  E'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  in   parte
 inammissibile e in parte infondata.
   L'Avvocatura osserva che questa Corte, nel ribadire che il fine del
 recupero  e  del reinserimento deve caratterizzare l'esecuzione della
 pena nei confronti dei minori,  ha  affermato  che  la  scelta  degli
 adattamenti  e  dei  correttivi  alla disciplina ordinaria, richiesti
 dalla specifica condizione minorile, spetta alla discrezionalita' del
 legislatore. Anche volendo ammettere che la parificazione fra  adulti
 e  minori  non  sia  conforme  alle accennate esigenze di trattamento
 differenziato, resterebbe il fatto che la  differenziazione  potrebbe
 essere  realizzata  secondo  diverse modalita', e non necessariamente
 facendo cadere in toto il divieto di concessione dei permessi premio,
 ma per esempio riducendo, per i minori,  il  periodo  di  durata  del
 divieto medesimo.
                         Considerato in diritto
   1.  -    Il  giudice  remittente  solleva in realta' due questioni,
 logicamente  subordinate  l'una  all'altra.  La  prima,  piu'  ampia,
 riguarda il dubbio di illegittimita' costituzionale dell'art. 30-ter,
 comma  5  (erroneamente  indicato  come  comma  6),  della  legge  di
 ordinamento penitenziario, sul divieto  di  concessione  di  permessi
 premio  nei  due  anni  che  fanno  seguito  ad una condanna o ad una
 imputazione per un nuovo delitto doloso commesso durante l'espiazione
 della pena o l'esecuzione di una misura  restrittiva  della  liberta'
 personale: e tale dubbio, riferito all'intera portata normativa della
 disposizione  impugnata, si fonda sulla asserita violazione dell'art.
 24 della Costituzione, in relazione alla circostanza che  il  divieto
 in  parola  opera a seguito della sola richiesta di rinvio a giudizio
 per il nuovo reato, senza controllo da parte del giudice. La  seconda
 questione,  piu'  ristretta,  riguarda  la  censura mossa alla stessa
 norma, ma nella sola parte in cui si applica ai  detenuti  per  reati
 commessi  durante  la  minore  eta':  e i parametri indicati a questo
 proposito sono gli artt. 3, primo comma, e 31, secondo  comma,  della
 Costituzione, in quanto verrebbe contraddetta la preminente finalita'
 di  risocializzazione che deve caratterizzare l'esecuzione della pena
 nei confronti del minore.
   2. - La prima questione e' infondata.
   Questa Corte ha gia' esaminato una analoga  questione,  in  cui  si
 denunciava  l'automatismo  dell'esclusione  in  esame sotto i profili
 della asserita violazione del principio di eguaglianza, di quello  di
 presunzione  di  non  colpevolezza,  del  principio di rieducativita'
 della pena e di quello di soggezione del giudice soltanto alla legge,
 e l'ha dichiarata non fondata, con la sentenza n. 296 del 1997.
   In particolare, la Corte ha osservato che "la  presunzione  di  non
 colpevolezza  e'  (...) coessenzialmente legata al fatto di reato per
 cui e' stata elevata la nuova imputazione e non puo' essere estesa ad
 aspetti  che  nel  caso   di   specie   concernono   il   trattamento
 penitenziario conseguente al delitto per cui e' in corso l'esecuzione
 della  pena",  non  potendosi  ritenere  vulnerato l'art. 27, secondo
 comma, "tutte le volte in  cui  vi  sia  un  effetto  collegato,  non
 irragionevolmente,   o   all'esercizio   dell'azione  penale  o  alla
 pronuncia di sentenza di condanna non ancora  passata  in  giudicato"
 (n.  5  del Considerato in diritto); che non ogni automatismo, quando
 non determini una esclusione assoluta o definitiva da  un  beneficio,
 compromette   l'osservanza   dell'art.      27,  terzo  comma,  della
 Costituzione, onde  puo'  giustificarsi  una  preclusione  di  questa
 fatta, purche' "ci si trovi di fronte, ovviamente, ad un procedimento
 penale che, per quanto non ancora pervenuto alla pronuncia giudiziale
 definitiva,  implichi la presa di contatto del pubblico ministero con
 il giudice"; e che la funzione rieducativa  della  pena  non  risulta
 compromessa  "quando la preclusione sia inquadrata nel presupposto di
 quella regolare condotta del condannato  che  e'  essenziale  per  la
 concedibilita' di permessi premio" (n. 7 del Considerato in diritto):
 pur   concludendo  poi  con  un  invito  al  legislatore  a  rivedere
 l'automatismo in questione, in relazione alle  tipologie  di  delitti
 "la  cui  commissione  effettivamente  comprometta  il giudizio sulla
 regolarita' della condotta e, conseguentemente, faccia  presumere  la
 pericolosita'   del   condannato",   nonche'   in   relazione   "alla
 indifferenziata durata  del  periodo  di  esclusione  dal  beneficio"
 (ibidem).
   In  quella  occasione  la norma era stata denunciata anche sotto il
 profilo della violazione dell'art. 24 della  Costituzione,  ma  senza
 alcuna  argomentazione  sul punto, cosi' che questa Corte non dovette
 occuparsene  espressamente.  Tuttavia  le   richiamate   motivazioni,
 impiegate  per  negare  la  fondatezza  degli altri profili indicati,
 valgono in sostanza anche ad escludere la  violazione  dell'art.  24.
 Infatti  la  preclusione,  per due anni, alla concessione di permessi
 premio non attiene all'accertamento del nuovo reato commesso  durante
 l'esecuzione della pena o di una misura restrittiva della liberta', e
 dunque   non   compromette   in  alcun  modo  il  diritto  di  difesa
 relativamente a tale nuovo fatto di reato. Essa piuttosto rappresenta
 il frutto di una sorta di presunzione legale di assenza del requisito
 della regolarita' della condotta, richiesto per  la  concessione  dei
 permessi premio, ai sensi dell'art. 30-ter, comma 1, dell'ordinamento
 penitenziario,   presunzione   legata,  non  irragionevolmente,  alla
 circostanza di fatto della avvenuta imputazione di un  nuovo  delitto
 doloso  commesso  durante  l'esecuzione  della  pena  o  della misura
 restrittiva di liberta'; ne' e' vietato, in generale, al  legislatore
 far  discendere  dalla  pendenza  di  un  nuovo  procedimento  penale
 conseguenze,  non  irragionevoli,  in  ordine  alla  concessione   di
 benefici penitenziari.
   3. - E' viceversa fondata la questione concernente il contrasto con
 gli  artt.  3  e  31,  secondo comma, della Costituzione, della norma
 denunciata nella parte in cui si applica ai detenuti di eta' minore.
   Tale  applicabilita'  consegue,  come  si  sa,  al  fatto  che   il
 legislatore   non  ha  ancora  provveduto  a  dettare  una  specifica
 disciplina per quanto concerne l'esecuzione delle pene nei  confronti
 dei  minori,  onde  continua  a  valere  l'estensione  ai minorenni -
 considerata dallo stesso legislatore provvisoria -  della  disciplina
 stabilita  dall'ordinamento  penitenziario  generale  (art.  79 della
 legge n. 354 del 1975).
   Questa  Corte  ha   piu'   volte   sottolineato   come   l'assoluta
 parificazione tra adulti e minori in questa materia possa confliggere
 con  le  esigenze di specifica individualizzazione e di flessibilita'
 del trattamento del detenuto minorenne (sentenze nn.  125  del  1992,
 109 del 1997).  Ora, nel caso dell'art. 30-ter, comma 5, proprio tale
 contrasto si verifica.
   Il  rigido  automatismo dell'esclusione, legata alla imputazione di
 qualsiasi delitto doloso commesso durante l'espiazione della  pena  o
 l'esecuzione  della  misura  restrittiva,  e  che impedisce qualsiasi
 valutazione, da parte del  giudice,  della  condotta  del  minore,  e
 qualsiasi prognosi individualizzata circa la idoneita' e la efficacia
 risocializzante, in concreto, della misura; la durata indifferenziata
 dell'esclusione,  tale da comportare in effetti, nella piu' parte dei
 casi - data la durata piu'  breve  generalmente  propria  delle  pene
 inflitte  ai  minori  - l'impossibilita' di concedere permessi premio
 lungo  l'intero  arco  dell'esecuzione  della  pena;  la  conseguente
 impossibilita'  di  utilizzare nei riguardi del condannato minore uno
 strumento (il permesso premio) spesso insostituibile per evitare  che
 la  detenzione  impedisca del tutto di coltivare interessi affettivi,
 culturali o di lavoro (art.   30-ter, comma 1) -  tanto  che,  non  a
 caso,  lo stesso legislatore ha ampliato, nei riguardi dei condannati
 minorenni, sia la durata massima  dei  singoli  permessi,  portata  a
 venti giorni, sia la durata complessiva consentita nell'anno, portata
 a  sessanta  giorni  (art.  30-ter  comma 2) -, e dunque impedisca di
 perseguire  efficacemente  quel  progressivo  reinserimento  armonico
 della   persona  nella  societa',  che  costituisce  l'essenza  della
 finalita'  rieducativa,  assolutamente   preminente   nell'esecuzione
 penale  minorile  (sentenze  n. 168 del 1994, n. 109 del 1997): tutto
 cio' conduce a ritenere irrimediabilmente compromesse, dalla norma in
 questione in quanto  applicata  indifferenziatamente  ai  minori,  le
 specifiche  esigenze  costituzionali che debbono informare il diritto
 penale minorile.
   Il venir meno dell'esclusione automatica, prevista da  tale  norma,
 non esclude, ovviamente, che la condanna o l'imputazione per il nuovo
 delitto  sia  valutata dal giudice sotto il profilo della regolarita'
 della condotta, presupposto di carattere generale per la  concessione
 del   permesso   premio,   ai   sensi   dell'art.  30-ter,  comma  1,
 dell'ordinamento penitenziario.
   4.  -  La  norma   denunciata   deve   dunque   essere   dichiarata
 costituzionalmente  illegittima nella parte in cui e' applicabile nei
 confronti dei minori.  Conseguentemente, ai sensi dell'art. 24, commi
 1 e 2, del d.lgs.   28 luglio 1989,  n.  272,  recante  le  norme  di
 attuazione  del  processo penale a carico di imputati minorenni, essa
 sara' inapplicabile anche nei confronti di  coloro  per  i  quali  il
 citato  art.  24  stabilisce  che  le  pene  e le misure cautelari si
 eseguano "secondo le norme  e  con  le  modalita'  prescritte  per  i
 minorenni".
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 30-ter, comma 5, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme
 sull'ordinamento   penitenziario   e   sull'esecuzione  delle  misure
 privative e limitative della liberta'), introdotto dall'art. 9  della
 legge  10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull'ordinamento
 penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
 della   liberta'),   sollevata,  in  riferimento  all'art.  24  della
 Costituzione,  dal  tribunale  per  i  minorenni  di  Cagliari,   con
 l'ordinanza indicata in epigrafe;
   Dichiara  la  illegittimita' costituzionale dell'art. 30-ter, comma
 5, della legge 26 luglio 1975, n. 354, introdotto dall'art.  9  della
 legge  10  ottobre  1986,  n. 663, nella parte in cui si riferisce ai
 minorenni.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 1997.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 17 dicembre 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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