N. 889 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 1997
N. 889 Ordinanza emessa il 21 ottobre 1997 dal tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra Siciliani Teresa e INES S.p.a. Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) - Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti dovuti per illegittime occupazioni acquisitive, con l'aumento dell'importo stesso del dieci per cento in considerazione della incostituzionalita' del precedente criterio dichiarata con sentenza n. 369/1996 - Ritenuta persistente inadeguatezza della nuova misura del risarcimento - Incidenza sul principio di uguaglianza e sul diritto di proprieta'. (Legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 5-bis, comma 7-bis (recte: art. 5-bis, comma 7-bis, d.-l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, in legge 8 agosto 1992, n. 359), aggiunto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662). (Cost., artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma).(GU n.2 del 14-1-1998 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta nel ruolo generale affari contenziosi sotto il numero d'ordine 3619 dell'anno 1990 tra Siciliani Teresa elettivamente domiciliata in Bari presso lo studio dell'avv. Cistantino Ventura, dalla quale e' rappresentata e difesa come da mandato a margine dell'atto introduttivo, attrice, contro l'Ines S.p.a., elettivamente domiciliata in Bari presso lo studio dell'avv. Mario Larato, dal quale e' rappresentata e difesa come da mandato in calce alla copia notificata dell'atto di citazione, convenuta. All'udienza collegiale del 7 ottobre 1997, la causa era riservata per la decisione sulle conclusioni prese dalle parti come da verbale d'udienza del 30 marzo 1994 e riportate in narrativa. F a t t o Con atto di citazione notificato il 13 giugno 1990, Siciliani Teresa esponeva di essere proprietaria di un fondo edificabile in agro di Bari, via Caldarola, con destinazione "Espansione C2"; che, senza che vi fosse stata la notificazione di alcun provvedimento formale, il suolo era stato in gran parte trasformato per la realizzazione di uno svincolo della Tangenziale ss. 16; che, oltre alla parte effettivamente occupata ed irreversibilmente trasformata, pari a circa 1000 metri quadrati, anche la residua parte di suolo aveva perso ogni appetibilita' edificatoria; che l'occupazione era stata realizzata dalla INES S.p.a., corrente in Bari, per conto dell'ANAS; tutto cio' premesso, citava la INES innanzi a questo tribunale per sentir dichiarare l'occupazione priva di titolo e condannare la convenuta al risarcimento del danno, in misura pari al valore venale dell'immobile, oltre interessi e rivalutazione. Con comparsa del 19 settembre 1990, si costituiva la INES, la quale contestava la domanda ed eccepiva che aveva occupato temporaneamente il suolo in rappresentanza dell'ANAS ed in forza di decreto del prefetto di Bari n. 445 del 29 aprile 1989; che, con decreto del Ministero dei lavori pubblici del 7 aprile del 1989, era stato approvato il relativo progetto agli effetti della dichiarazione di pubblica utilita' nonche' di indifferibilita' ed urgenza; che, dunque, la Siciliani avrebbe dovuto agire contro l'ANAS e non contro la convenuta; tutto cio' premesso chiedeva dichiararsi il difetto di legittimazione passiva o, in subordine, rigettarsi la domanda, con vittoria di spese. All'udienza di prima comparizione l'attrice rilevava che era stato notificato un ulteriore decreto di occupazione relativo ad altra zona dello stesso fondo, przialmente sovrapposta alla prima. La convenuta non accettava il contraddittorio. Disposta CTU per accertare il valore venale dell'immobile, l'attrice precisava le conclusioni chiedendo che venisse recepita la stima peritale, oltre interessi. Nelle difese conclusive, l'attrice eccepiva, sotto vari profili, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 65, della legge n. 549 del 1995, nel frattempo intervenuta. Il tribunale, ritenendo la questione rilevante e non manifestamente infondata, rimetteva gli atti alla Corte costituzionale. La Corte, con ordinanza n. 413 del 1996, rilevava che la norma era stata gia' dichiarata illegittima con sentenza n. 369 del 1996 e dichiarava manifestamente inammissibile la questione. All'udienza collegiale del 7 ottobre 1997, la causa veniva riservata nuovamente per la decisione. La difesa attrice sollevava nuove eccezioni di illegittimita' riguardo sia alla normativa sopravvenuta sia all'istituto dell'occupazione appropriativa. Chiedeva inoltre che fosse sollevato conflitto di attribuzioni tra il Parlamento e la Magistratura in relazione al fatto che il legislatore era intervenuto a modificare un istituto di creazione non legislativa ma giurisprudenziale. M o t i v i In via preliminare, si deve ribadire che sussiste la legittimazione passiva della INES, quale impresa delegataria, come gia' rilevato nell'ordinanza del 30 aprile 1996. Quanto alle eccezioni di illegittimita' costituzionale sollevate dalla difesa attrice a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 662 del 1996, si deve osservare quanto segue. Le eccezioni appaiono rilevanti. Infatti, la decisione della presente controversia non potrebbe che fondarsi sull'impugnato art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 23 dicembre 1996, non essendo intervenuto alcun giudicato e trattandosi di occupazione risalente al 1990. Quanto alla non manifesta infondatezza, si osserva quanto segue. L'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359, disponeva che "Fino all'emanazione di un'organica disciplina per tutte le espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte o per conto dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e degli altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali, o comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi dichiarati di pubblica utilita', l'indennita' di espropriazione per le aree edificabili e' determinata a norma dell'art. 13, terzo comma, della legge 15 gennaio 1885, n. 2892, sostituendo in ogni caso ai fitti coacervati dell'ultimo decennio il reddito dominicale rivalutato di cui agli art. 24 e seguenti del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. L'importo cosi determinato e' ridotto del 40 per cento". In sostanza, l'indennita' di espropriazione veniva determinata sulla base della semisomma tra valore venale del bene e reddito dominicale rivalutato con riferimento all'ultimo decennio per i fondi edificabili e del valore agricolo medio per le aree agricole e per quelle non classificabili come edificabili. Successivamente, con l'art. 1, comma 65, legge 28 dicembre 1995, n. 549, l'applicazione degli stessi criteri venne estesa al "risarcimento del danno", ossia all'occupazione appropriativa. L'intervenuta equiparazione ando' incontro a vivaci critiche. Con la sentenza n. 369 del 1999, la Corte costituzionale accolse le varie eccezioni di illegittimita' nel frattempo sollevate. Le censure si incentravano proprio sulla sostanziale equiparazione, sulla base della norma impugnata, dell'entita' del risarcimento del danno da "accessione invertita" a quella dell'indennita' espropriativa. I giudici costituzionali, in primo luogo, affermarono che non aveva copertura costituzionale il principio dell'integrale riparazione dell'illecito e che un'equiparazione tra espropriazione legittima e occupazione appropriativa, sul piano delle indennita' spettanti, era consentita nella misura in cui fosse realizzato un equo contemperamento tra gli opposti interessi in gioco: conservazione dell'opera da parte dell'Amministrazione e reazione dell'ordinamento all'illecito commesso. Premesso ancora che vi era un'effettiva equiparazione normativa, per effetto della disposizione di legge impugnata, tra le due forme di espropriazione, la sentenza rilevava che era innegabile, in primo luogo, la violazione che ne derivava del precetto di eguaglianza, "vista la radicale diversita' strutturale (sentenza n. 188 del 1995) e funzionale delle obbligazioni cosi parificate. Infatti, mentre la misura dell'indennizzo - obbligazione ex lege per atto legittimo - costituisce il punto di equilibrio tra interesse pubblico alla realizzazione dell'opera e interesse del privato alla conservazione del bene, la misura del risarcimento - obbligazione ex delicto - deve realizzare il diverso equilibrio tra l'interesse pubblico al mantenimento dell'opera gia' realizzata e la reazione dell'ordinamento a tutela della legalita' violata per effetto della manipolazione-distruzione illecita del bene privato. E quindi sotto il profilo della ragionevolezza intrinseca (ex art. 3 Costituzione), poiche' nella occupazione appropriativa l'interesse pubblico e' gia' essenzialmente soddisfatto dalla non restituibilita' del bene e dalla conservazione dell'opera pubblica, la parificazione del quantum risarcitorio alla misura dell'indennita' si prospetta come un di piu' che sbilancia eccessivamente il contemperamento tra i contrapposti interessi, pubblico e privato, in eccessivo favore del primo. Con le ulteriori negative incidenze, ben poste in luce dalle varie autorita' rimettenti, che un tale ''privilegio'' a favore dell'amministrazione pubblica puo' comportare, anche sul piano del buon andamento e legalita' dell'attivita' amministrativa e sul principio di responsabilita' dei pubblici dipendenti per i danni arrecati al privato". Sempre secondo la Corte, risultava contestualmente vulnerato anche l'art. 42, comma 2, della Costituzione, per la perdita di garanzia che al diritto di proprieta' deriva da una cosi' affievolita risposta dell'ordinamento all'atto illecito compiuto in sua violazione. Con l'art. 3 della legge 23 dicembre 1996 n. 662, e' stato aggiunto un comma 7-bis all'art. 5-bis sopra ricordato. Con tale disposizione e' stato stabilito che per le occupazioni anteriori al 30 settembre del 1996 si applicano le disposizioni previste per le espropriazioni legittime (criterio della semisomma) con esclusione della riduzione del 40%. L'indennita' sarebbe altresi aumentata del 10%. Ebbene, tutto cio' premesso, ritiene il collegio che le eccezioni sollevate dalla difesa dell'attrice debbono essere considerate non manifestamente infondate se e nella misura in cui la normativa impugnata riproduce gli stessi dubbi di costituzionalita' gia' ritenuti fondati dalla Corte nella sentenza n. 346 del 1996. Occorre dunque verificare, in primo luogo, quali novita' sostanziali ha introdotto la normativa del 1996 e se queste novita' sono tali da far ritenere superati i due essenziali profili di illegittimita' di cui alla precedente pronuncia. In secondo luogo occorre verificare se possono essere individuate censure peculiari alla nuova normativa. Ebbene, l'unica sostanziale novita' introdotta con la disposizione censurata e', a ben vedere, l'aumento del 10% dell'indennita', rispetto a quanto previsto per le espropriazioni legittime. Anzi, poiche' la base di calcolo e' rappresentata sempre dalla semisomma tra valore venale e reddito dominicale rivalutato, il guadagno per il privato, in termini reali, ammonta al solo 5%. Quanto poi all'esclusione della decurtazione del 40% rispetto all'indennita' di esproprio, si deve considerare che l'esclusione di tale falcidia, secondo autorevole opinione, sarebbe stata inevitabile anche con la precedente normativa, attesa la sostanziale incompatibilita' tra occupazione del fondo (e conseguente irreversibile trasformazione del medesimo), e opzione del privato per la volontaria alienazione del bene (c.d. cessione volontaria). Quand'anche si volesse ritenere che, per il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge n. 359/1992, l'istituto della cessione volontaria fosse applicabile anche all'occupazione appropriativa, resterebbe pur sempre il problema di definire il regime dell'indennizzo per il periodo successivo. Comunque, non e' contestabile il fatto che, a tutto voler concedere, la normativa vigente tende ad equiparare, anche sotto il profilo della esclusione della falcidia del 40%, le due discipline, tenuto conto che la cessione volontaria, per i vantaggi che ne derivano, e' da considerarsi opzione normale per il privato che subisce un esproprio legittimo. In definitiva, la lieve differenziazione, introdotta con la norma impugnata rispetto al precedente regime suscita seri dubbi riguardo alla possibilita' di un equo contemperamento tra gli interessi in gioco, contemperamento gia' negato dalla Corte in presenza di un risarcimento assai poco differente. D'altra parte, non si vede quale progresso, sul piano del rispetto dell'art. 42 Cost., possa derivare al privato dalla disposizione censurata. Sussistono inoltre ulteriori e non manifestamente infondati dubbi di legittimita', questa volta specificamente legati alla nuova formulazione della normativa impgnata. Infatti, non sembra trovare adeguata giustificazione la fissazione di un limite temporale al 30 settembre del 1996 per l'applicazione del criterio della semisomma. Infatti, le occupazioni successive a tale data sarebbero soggette al ristoro integrale del danno, mentre quelle precedenti resterebbero soggette alla riduzione di cui all'art. 5-bis citato. Tale disparita' temporale sembra trovare la sua unica ragione nelle variabili disponibilita' di bilancio dello Stato, laddove appare evidente che tale disponibilita' non puo' costituire, specie quando siano in gioco valori costituzionalmente protetti, valida giustificazione per l'applicazione nel tempo di differenti normative. Sussiste dunque, anche sotto questo profilo, un non manifestamente infondato dubbio di illegittimita' per contrasto con l'art. 3 Cost.. La difesa di parte attrice dubita, poi, della legittimita' costituzionale dell'istituto dell'occupazione appropriativa come tale. In questo caso, tuttavia, le censure appaiono manifestamente infondate. Infatti, la Corte costituzionale e' gia' intervenuta sul punto, affermando in primo luogo la legittimita' costituzionale, in riferimento agli art. 3 e 42 Cost., dell'art. 2043 c.c., nella parte in cui implica l'applicazione all'occupazione appropriativa della prescrizione quinquennale del risarcimento dei danni, essendo chiaro per un soggetto di ordinaria diligenza il dies a quo della prescrizione; secondo la Corte, essa decorre, ove la trasformazione irreversibile del suolo sia avvenuta nel corso del periodo di occupazione legittima, dallo scadere di tale periodo, mentre, se la manipolazione a quella data non sia ancora ultimata o neppure intrapresa, nessuna ragione di indugio ha il proprietario di procrastinare l'azione giudiziaria. In secondo luogo, la Corte ha affermato che l'accessione invertita realizza un modo di acquisto della proprieta', previsto nell'ordinamento sul versante pubblicistico, giustificato da un bilanciamento tra interesse pubblico (correlato alla conservazione dell'opera in tesi pubblica) e l'interesse privato (alla riparazione del pregiudizio soggetto dal proprietario), la cui correttezza costituzionale rispetto agli art. 3 e 42 della Costituzione si manifesta come espressione della funzione sociale della proprieta' (Corte costituzionale 23 maggio 1995, n. 188, in Riv. amm. R.I., 1995, 1191, 1381). Quanto, infine, all'ipotesi di conflitto di attribuzioni ventilata dalla difesa attrice, sara' sufficiente osservare che trattasi di fattispecie palesemente estranea all'istituto. In conclusione, ritiene il collegio di sollevare, su eccezione di parte, questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, comma 7-bis, della legge 8 agosto 1992 n. 359, come aggiunto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996 n. 662, per contrasto con gli artt. 3, primo comma e 42, secondo comma, della Costituzione. Gli atti vanno dunque trasmessi alla Corte costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio in corso.
P. Q. M. Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le eccezioni di illegittimita' costituzionale sollevate dall'attrice e meglio precisate in motivazione; per l'effetto, sospende il procedimento in corso ed ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' comunicata ai Presidenti delle camere. Cosi' deciso in Bari, il 21 ottobre 1997 Il presidente: Ragni L'estensore: Rana 97C1490