N. 60 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 29 dicembre 1997

                                 N. 60
  Ricorso per conflitto di attribuzioni depositato in  cancelleria  il
 29 dicembre 1997 (della regione Emilia-Romagna)
 Ambiente  (Tutela  dell')  -  Regolamento  recante  attuazione  della
    direttiva CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e
    seminaturali,  nonche'  della  flora  e  della  fauna  selvatiche,
    emanato  con d.P.R.  8 settembre 1997, n. 357 - Impugnazione della
    disciplina adottata in detto regolamento nel suo interno  testo  e
    segnatamente  delle  norme degli artt. 3, commi 1, 2 e 3; 5, commi
    2, 3, 4 (ivi compreso il richiamato allegato G) e 6; 6;  7,  comma
    2;  8,  comma  5;  10, commi 1, 2 e 3; 11; 12; 15 e 16, con cui si
    attribuiscono  rilevanti  competenze  al  Ministero  dell'ambiente
    riguardo:  a)  alla  designazione  di  vari  tipi  di  habitat, da
    individuarsi dalle regioni e dalle province autonome, quali  "Zone
    speciali di conservazione"; b) alla emanazione di direttive per la
    gestione  delle aree di collegamento ecologico funzionale; c) alla
    valutazione di impatto  ambientale  (anche  per  le  zone  di  cui
    all'art.  1,  comma  5, della legge-quadro sulla caccia n. 157 del
    1992) di piani territoriali, urbanistici e di settore proposti; d)
    alla definizione di linee guida per il monitoraggio dello stato di
    conservazione delle specie e degli habitat naturali  di  interesse
    comunitario;  e)  alla  promozione  di ricerche e alla indicazione
    delle misure necessarie perche' le catture o uccisioni accidentali
    non abbiano un significativo  impatto  negativo  sulle  specie  in
    questione;  f)  alla  adozione  di  adeguate  misure  affinche' il
    prelievo, nell'ambiente naturale, degli esemplari di  fauna  e  di
    flora  selvatiche  di cui all'allegato E, ed il loro sfruttamento,
    siano compatibili con il mantenimento di dette specie in uno stato
    di conservazione soddisfacente; g) ai poteri di deroga ai  divieti
    generali  in  materia  di caccia; h) alla reintroduzione di specie
    animali  e  vegetali  di  cui  all'allegato  D   della   direttiva
    comunitaria   e   alla  introduzione  di  specie  non  locali;  i)
    all'esercizio da parte  del  Corpo  forestale  dello  Stato  delle
    azioni  di sorveglianza connesse all'applicazione del regolamento;
    l) a un potere regolamentare permanente di recepimento  di  future
    modifiche  agli  allegati della direttiva comunitaria - Denunciato
    contrasto  di  tali   disposizioni,   ad   eccezione   di   quelle
    suscettibili  di  essere  interpretate  nel  senso  che  i compiti
    ministeriali da esse  conferiti  consistano  esclusivamente  nella
    formalizzazione   e  trasmissione  di  determinazione  sostanziali
    assunte in sede locale, con i principi desumibili,  in  base  agli
    artt.    117, comma primo, e 118, comma primo, della Costituzione,
    dagli artt.  4 e 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86 e 8 della legge
    15 marzo 1997, n. 59, in forza dei quali, pur non essendo  vietato
    che   all'attuazione  di  direttive  comunitarie  lo  Stato  possa
    provvedere, anche nelle materie di competenza regionale (quale  e'
    indubbiamente, nel caso, la tutela dell'ambiente) non soltanto con
    legge   ma   anche   con   regolamenti,   questi  possono  trovare
    applicazione   solo   in   via   suppletiva   ed   essere   quindi
    intergralmente  sostituiti  dalla normativa locale, ma mai operare
    sul piano dei vincoli  tra  legge  statale  e  legge  regionale  -
    Lamentata  violazione, altresi', per quelle delle contestate norme
    in cui si prevede che  il  Ministero  dell'ambiente  acquisisca  i
    pareri  del  Ministero  per  le politiche agricole e dell'Istituto
    nazionale per la fauna selvatica ma non quelli delle regioni,  con
    il  principio  di leale collaborazione tra Stato e regioni posto a
    sua   volta   dall'art.   5   della   Costituzione   -    Rilevata
    impossibilita',  infine,  per  per alcune altre delle disposizioni
    del  regolamento  in  questione,  di  ricollegarle,  e  quindi  di
    considerarle  attuative,  della richiamata direttiva comunitaria -
    Riferimenti alle sentenze nn. 126 e 272 del 1996.
 (D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, intero testo e in particolare artt.
    3, commi 1, 2 e 3; 5, commi 2, 3, 4 e 6; 6; 7, comma 2;  8,  comma
    5; 10, commi 1, 2 e 3; 11; 12; 15 e 16).
 (Cost.,  artt. 5, 117, primo comma, e 118, primo comma; legge 9 marzo
    1989, n. 86, artt. 4 e 9; legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 8).
(GU n.3 del 21-1-1998 )
   Ricorso per conflitto di attribuzioni della regione Emilia-Romagna,
 in persona del Presidente della giunta regionale pro-tempore  Antonio
 La  Forgia,  autorizzato  con deliberazione della giunta regionale n.
 2443 del 16 dicembre 1997 (doc. 1), rappresentata e difesa - come  da
 procura  rogata  dal  notaio  dott. Claudio Vipiana di Bologna del 19
 dicembre 1997 (rep. n. 17348) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di
 Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso  lo
 studio  dell'avv.  Manzi, via Confalonieri n. 5, contro il Presidente
 del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione che non  spetta  allo
 Stato  di dettare con il d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, regolamento
 recante  attuazione   della   direttiva   92/43/CEE   relativa   alla
 conservazione  degli  habitat  naturali e seminaturali, nonche' della
 flora e della fauna selvatiche (in Gazzetta Ufficiale n. 248  del  23
 ottobre  1997), una disciplina vincolante ed istitutiva di riserve di
 competenza statale e poteri sovraordinati di autorita' centrali dello
 Stato,  nonche'  per  il  conseguente   annullamento   del   predetto
 regolamento   nella   parte   in  cui  contiene  tale  disciplina,  e
 segnatamente negli artt. 3, commi 1, 2 e 3; 5, commi  2,  3,  4  (ivi
 compreso  il richiamato allegato G) 6; 6, 7, comma 2; 8, comma 5; 10,
 commi 1, 2 e 3; 11; 12; 15, 16, per violazione:
     dell'art. 117, comma 1, della Costituzione;
     dell'art. 118, comma 1, della Costituzione;
     degli artt. 4 e 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86;
     dell'art. 8 della legge n. 59 del 1997;
     della legislazione statale ordinaria nei settori della  caccia  e
 della protezione della natura;
     dei  principi  e  regole costituzionali attinenti al rapporto tra
 Stato  e  regioni  e  in   particolare   del   principio   di   leale
 collaborazione, per i profili e nei modi di seguito illustrati.
                            Fatto e diritto
   1. - Premessa e quadro generale.
    Il  presente  ricorso  e'  rivolto  avverso  un  atto  statale  di
 recepimento  della  direttiva  comunitaria  92/43/CEE  relativa  alla
 conservazione  degli  habitat  naturali e seminaturali, nonche' della
 flora e della fauna selvatiche, ma in nessun modo ed in nessuna parte
 esso e' rivolto a contestare il contenuto di tale direttiva,  ne'  la
 necessita'  che  ad  essa  si  dia  piena e completa attuazione. Cio'
 posto, non si puo' tuttavia evitare di inserire la  vicenda  di  tale
 attuazione nel contesto costituzionale dei rapporti tra lo Stato e le
 regioni.
   Posto  che non e' dubbia - ed e' del resto presupposta dallo stesso
 regolamento impugnato - la titolarita' costituzionale  delle  regioni
 in  materia  di  ambiente, il quadro dei possibili rapporti tra fonti
 statali e fonti locali nell'attuazione delle direttive comunitarie e'
 disciplinato dall'art. 9 della legge n. 86/1989. Il comma  3  dispone
 che  la  legge  statale  attuativa  indichi  "quali  disposizioni  di
 principio non sono derogabili dalla legge  regionale  sopravvenuta  e
 prevalgono  sulle  contrarie  disposizioni eventualmente gia' emanate
 dagli organi regionali", precisando poi (comma 4) che in mancanza  di
 norme  regionali  di  attuazione si applichino tutte le "disposizioni
 dettate per l'adempimento degli obblighi comunitari dalla legge dello
 Stato" ovvero dal regolamento autorizzato in base agli artt.  3  e  4
 della stessa legge.
   Da   tale  sistema  deriva  che  il  regolamento  con  cui  si  dia
 eventualmente   attuazione   alle   direttive    comunitarie    trova
 applicazione  soltanto  in  via  suppletiva,  onde  assicurare in via
 provvisoria l'adempimento degli obblighi comunitari, ma non opera mai
 sul piano dei vincoli tra legge statale e  legge  regionale,  e  puo'
 essere  sostituito  integralmente dalla normativa locale, senza poter
 esercitare su di essa alcun condizionamento sul predetto piano.
   In definitiva, se e' vero che l'attuazione di direttive comunitarie
 in via regolamentare, prevista in termini generali dall'art. 4  della
 legge  n.  86/1989,  non e' a priori esclusa neppure nelle materie di
 potesta' legislativa regionale, e' altrettanto vero che essa in  tali
 materie non puo' svolgere il ruolo tipico della legge nel definire il
 quadro  delle  rispettive  potesta' e vincoli tra Stato e regioni, ma
 puo' svolgere un ruolo puramente sussidiario nel porre una  normativa
 suppletiva, pur se si tratti di un ruolo importante nel corrispondere
 alle  esigenze  della  responsabilita'  comunitaria  della  comunita'
 nazionale.
   Infatti, secondo le accennate disposizioni di norme di attuazione e
 di legge ordinaria, a definire il quadro delle rispettive potesta'  e
 vincoli  tra  Stato  e  regioni  non  puo' essere (nel rispetto delle
 prerogative costituzionali  degli  enti  interessati)  che  la  legge
 statale.  La prescrizione dell'art. 4, comma 3, della legge n. 86 del
 1989,  secondo la quale, "se le direttive consentono scelte in ordine
 alle modalita' della  loro  attuazione,  o  se  si  rende  necessario
 introdurre   sanzioni  penali  o  amministrative  od  individuare  le
 autorita' pubbliche cui affidare le funzioni amministrative  inerenti
 alla   applicazione   della   nuova  disciplina",  tocca  alla  legge
 comunitaria di dettare le "relative disposizioni"  trova  una  ancora
 piu'  pregnante  specificazione  quando  si  tratti  di  stabilire  i
 rapporti e le potesta' reciproche tra Stato  e  regioni,  secondo  la
 apposita disciplina dell'art. 9.
   Il  regolamento  non  puo'  innovare  le  competenze reciprocamente
 stabilite tra Stato  e  regioni,  ma  deve  limitarsi,  recependo  la
 normativa  posta  dalla  direttiva, a statuire le regole sostanziali,
 procedurali ed organizzative in base  alle  quali  tali  preesistenti
 competenze reciproche possano esercitarsi.
   La  regola  ora  illustrata  circa  la  funzione  e  i  limiti  del
 regolamento ha una sua ragione profonda,  che  sta  ovviamente  nella
 necessita'   che  i  rapporti  tra  le  istituzioni  della  comunita'
 nazionale e delle comunita' regionali siano  tracciate  dagli  organi
 assembleari  rappresentativi,  e  non  dal Governo. E' percio' che il
 regolamento non puo' operare alterazioni del rapporto  Stato-regioni,
 e  che  lo  stesso  regolamento attuativo di direttiva comunitaria in
 materia regionale e' ammissibile proprio in quanto non si  propone  e
 non  puo' proporsi lo scopo di alterare o disciplinare tali rapporti,
 ma soltanto quello urgente  e  preminente  di  dare  attuazione  alla
 direttiva  evitando  l'inadempimento  dello  Stato  italiano  nel suo
 complesso.
   Va' sottolineato come l'assetto dei rapporti tra  Stato  e  regioni
 qui  illustrato  sia  anche  perfettamente  coerente  con  la cornice
 elaborata - con riferimento alle stesse problematiche ed alle  stesse
 normative - da codesta ecc.ma Corte costituzionale con la sentenza n.
 126  del 1996. In tale sentenza si enucleano distintamente le ipotesi
 in  cui  le  norme comunitarie "possono legittimamente prevedere, per
 esigenze organizzative proprie dell'Unione europea,  forme  attuative
 di  se' medesime, e quindi normative statali derogatrici" rispetto al
 "quadro della normale distribuzione costituzionale delle  competenze"
 (punto 5 in diritto, lett. c). Tuttavia tali ipotesi devono risultare
 direttamente dalla normativa comunitaria, e sono eccezionali rispetto
 alla  regola  generale  secondo  la  quale  "l'attuazione negli Stati
 membri delle norme comunitarie  deve  tenere  conto  della  struttura
 (accentrata, decentrata, federale) di ciascuno di essi", e secondo la
 quale,  dunque,  "l'Italia  e'  abilitata,  oltre  che tenuta dal suo
 stesso diritto  costituzionale,  a  rispettare  il  suo  fondamentale
 impianto regionale" (lett. a).
   Ma  l'ipotesi  di deroga al riparto costituzionale di competenze ad
 avviso della ricorrente regione  non  ricorre  affatto  nel  caso  di
 specie; e dunque ci troviamo nell'ambito nel quale a ciascun soggetto
 dotato  di  autonomia costituzionale spetta di "agire in attuazione o
 in esecuzione", mantenendosi "entro l'ambito  dei  consueti  rapporti
 con  lo  Stato e dei limiti costituzionalmente previsti" (ivi). Entro
 tali rapporti e limiti "lo Stato e' abilitato all'uso  di  tutti  gli
 strumenti  consentitigli,  a  seconda  della  natura della competenza
 regionale (e provinciale), per fare valere gli interessi  di  cui  e'
 portatore"  (ivi),  tra i quali anche, in particolare, l'interesse ad
 evitare la responsabilita' comunitaria derivante da inattuazione,  in
 particolare  mediante  i  poteri  "di  legislazione di principio e di
 dettaglio suppletiva e cedevole e quelli di indirizzo e coordinamento
 riconosciuti dall'art. 9 della legge 9 marzo 1989, n. 86".
   Ed e' chiaro altresi', in questo contesto,  che  a  ciascuno  degli
 strumenti a disposizione dello Stato corrisponde un effetto proprio e
 distinto,  nell'ambito  dei rapporti costituzionali tra i soggetti di
 autonomia;  in  particolare,  l'attuazione   regolamentare   di   una
 direttiva  non  puo'  disporre  -  come  sopra esposto - che le norme
 strettamente necessarie ad introdurre la  direttiva  nell'ordinamento
 interno,  mettendo  in  condizione  i soggetti titolari di competenze
 nella materia di  utilizzarle  nell'ambito  della  cornice  normativa
 europea.
   A  questo  criterio  non  si  attiene  affatto  il  regolamento qui
 impugnato, il quale da una parte  illegittimamente  assume  il  ruolo
 della  legge  nel definire i rapporti tra Stato e regioni, dall'altra
 ancor piu' illegittimamente configura tali rapporti attribuendo  alle
 autorita'  centrali  dello  Stato  una  serie  di  compiti  e  poteri
 sovraordinati  o  comunque  interferenti  con  le  competenze   della
 ricorrente  regione,  la  cui  intestazione al Ministero non trova in
 nessun modo giustificazione e copertura nella normativa  comunitaria,
 e   che   sono  percio'  illegittimamente  invasivi  delle  autonomie
 costituzionalmente garantite.
   Di  qui  la  necessita'  che   i   poteri   che   determinano   una
 sovraordinazione  dello  Stato  siano  fatti cadere, e che quelli che
 sono in quanto  tali  necessari  per  attuare  la  direttiva  vengano
 riportati  alla loro naturale sede costituzionale e statutaria, cioe'
 al livello locale.
   2. - Illegittimita' dell'art. 3 commi 1 e 2.
   Come detto in premessa, la ricorrente regione non contesta  in  se'
 l'uso  del  regolamento  quale  modo  per dare attuazione a normativa
 comunitaria ed evitare cosi'  la  responsabilita'  comunitaria  dello
 Stato,  ma  cio'  in  quanto il regolamento si limiti a produrre tale
 attuazione nel quadro costituzionale delle competenze, senza alterare
 i poteri rispettivi di Stato e autonomie.
   L'art.  3  dispone  al  comma  1 che le regioni e province autonome
 individuano "i siti in cui si trovano  i  tipi  di  habitat  elencati
 nell'allegato  A  ed  habitat  delle specie di cui all'allegato B" ai
 fini "della formulazione della proposta del  Ministero  dell'ambiente
 alla  Commissione  europea,  dei  siti di importanza comunitaria, per
 costituire la rete ecologica europea coerente  di  zone  speciali  di
 conservazione  comunitaria  denominata  "Natura  2000"".  Il  comma 2
 precisa  poi  che  il  Ministro  dell'ambiente,  in  attuazione   del
 programma  triennale  per  le  aree  naturali  protette, "designa con
 proprio decreto i siti di cui al comma  1  quali  "Zone  speciali  di
 conservazione",   entro   il  termine  massimo  di  sei  anni,  dalla
 definizione, da  parte  della  Commissione  europea  dell'elenco  dei
 siti".
   Il  senso  di  tali  disposizioni  e'  complessivamente poco chiaro
 nell'individuazione delle responsabilita' rispettive delle  autonomie
 e del Ministero.
   In ogni modo, essendo escluso che la direttiva 92/43/CEE di per se'
 esiga o suggerisca l'imputazione ai Ministero o comunque ad autorita'
 centrali di un ruolo di decisione sostanziale, il regolamento volto a
 recepire  tale  normativa non puo' introdurre poteri ministeriali che
 non trovino gia' oggi fondamento e copertura legislativa, e  che  nei
 termini  indicati  invadono  le  competenze  regionali  con  le quali
 interferiscono.
   In altri  termini,  tali  compiti  ministeriali  potrebbero  essere
 salvati  soltanto  se  dovessero  essere  intesi come meri compiti di
 formalizzazione e trasmissione di determinazioni sostanziali  assunte
 in sede locale.
   3. - Illegittimita' dell'art. 3, comma 3.
   Il  comma  3  dell'art.  3 stabilisce che "al fine di assicurare la
 coerenza  ecologica   della   rete   "Natura   2000",   il   Ministro
 dell'ambiente,  d'intesa  con la Conferenza permanente per i rapporti
 tra lo Stato, le regioni e le provincie (sic) autonome di Trento e di
 Bolzano, definisce nell'ambito delle linee  fondamentali  di  assetto
 del  territorio,  di  cui  all'art. 3 della legge 6 dicembre 1991, n.
 394,  le  direttive  per  la  gestione  delle  aree  di  collegamento
 ecologico  funzionale, che rivestono primaria importanza per la fauna
 e la flora selvatiche".
   Si tratta di un potere ministeriale che non ha il minimo fondamento
 nella direttiva da attuare,  che  interferisce  in  modo  atipico  ed
 anomalo  con le potesta' legislative ed amministrative delle regioni,
 e che come tale non potrebbe essere istituito neppure con legge; meno
 ancora, ovviamente, esso puo' essere previsto da un  regolamento,  in
 assenza di qualunque specifico fondamento legislativo.
   4.   -  Illegittimita'  dell'art.  5  e  dell'allegato  G  in  esso
 richiamato, nonche' dell'art. 6.
   L'art. 5 del regolamento, dopo avere disposto al comma 1 che "nella
 pianificazione e programmazione territoriale  si  deve  tenere  conto
 della   valenza   naturalistico-ambientale  dei  siti  di  importanza
 comunitaria" (cosa che puo' dirsi gia' insita nel  concetto  stesso),
 stabilisce  al  comma  2  che  i  "proponenti  di piani territoriali,
 urbanistici e di settore, ivi compresi i piani agricoli e  faunistici
 venatori" devono presentare "nel caso di piani a rilevanza nazionale"
 una "relazione documentata" di impatto al Ministero dell'ambiente con
 i contenuti stabiliti nell'allegato G.
   Uguale  onere  hanno, secondo il comma 3, i "proponenti di progetti
 riferibili  alle  tipologie  progettuali"  di  cui  al  decreto   del
 Presidente del Consiglio dei Ministri n. 377 del 1988 e quelle di cui
 agli  allegati  A e B del d.P.R. 12 aprile 1996, nel caso in cui agli
 specifici interventi non si applichi la procedura di  valutazione  di
 impatto  ambientale,  qualora  questa  sia  di  per se' di competenza
 statale.
   Sulla base di tali relazioni, secondo il comma 6, il  Ministro  per
 l'ambiente dovrebbe effettuare la "valutazione di incidenza dei piani
 o  progetti sui siti di importanza comunitaria", secondo la procedura
 ivi descritta.
   L'autorita'  competente  all'approvazione  del  piano  o   progetto
 acquisisce  tale  valutazione  di  incidenza  (comma  7) la quale, se
 negativa, impedisce la realizzazione degli interventi  progettati,  a
 meno   che  questa  non  sia  imposta,  in  mancanza  di  alternative
 possibili, per "motivi  imperativi  di  interesse  pubblico,  inclusi
 motivi  di  natura  sociale ed economica":   ed in tale caso dovranno
 essere adottate misure compensative per garantire la  coerenza  della
 rete  (comma 8). Regole analoghe ma piu' restrittive valgono, secondo
 il comma 9, "qualora nei siti ricadono (sic) tipi di habitat naturali
 e specie prioritari".
   La necessita' della valutazione di incidenza e le  sue  conseguenze
 sulle   decisioni   da  assumere  sono  disposte  dall'art.  6  della
 Direttiva, ed esse sono al di fuori della  contestazione  di  cui  al
 presente  ricorso.    Cio'  che  si  contesta  invece,  e  che non e'
 minimamente imposto ne' soltanto suggerito dalla direttiva, e' che  a
 tale  valutazione  di  incidenza possa essere competente il Ministero
 dell'ambiente, in deroga all'ordinario riparto delle competenze.
   Come gia' illustrato, il regolamento puo'  soltanto  dettare  norme
 idonee  ad evitare la responsabilita' comunitaria dello Stato, ma non
 puo' intervenire a riservare allo Stato potere alcuno,  che  non  sia
 strettamente  necessario  per l'attuazione della direttiva, incidendo
 sul riparto costituzionale delle funzioni. Meno ancora ad esso spetta
 di individuare una speciale  nozione  -  che  fino  ad  oggi  risulta
 sconosciuta - di "piano di rilevanza nazionale", ne' di affidare alla
 valutazione statale progetti di opere per le quali non sia prescritta
 dalla   legge   la  valutazione  di  impatto  ambientale  di  livello
 nazionale.
   Posto dunque che e' assolutamente  illegittima  la  sottrazione  di
 parti  di  materie  alla competenza regionale, e la loro attribuzione
 alla sede  ministeriale,  va  poi  aggiunto  che  lo  stesso  art.  5
 disciplina  la  procedura  per  la valutazione di incidenza anche nei
 casi in cui il regolamento stesso mantiene la  competenza  regionale,
 stabilendo  i  contenuti  della  relazione ed ogni regola procedurale
 necessaria.  Va qui ribadito che anche tali disposizioni -  che  pure
 mantengono  la  competenza  locale  -  sono  di  per  se' invasive di
 potesta' legislative locali, e possono essere fatte salve soltanto se
 intese quali disposizioni meramente suppletive, intese  a  consentire
 l'immediata operativita' della direttiva e destinate a venire meno in
 seguito  alla legislazione locale, senza potere esercitare su di essa
 alcun vincolo che non discenda gia' dalla direttiva.
   In  particolare  va osservato che esse non possono comunque trovare
 applicazione - neppure in via transitoria - per quelle opere  per  le
 quali  sia  prescritta  dalla  legislazione regionale la piu' gravosa
 procedura  della  valutazione  di  impatto   ambientale,   la   quale
 applichera'  la  direttiva comunitaria assumendo in relazione al sito
 comunitario anche il significato della valutazione di incidenza.
   L'art. 6 del regolamento dispone l'applicazione dello stesso regime
 ora descritto "anche alle zone di cui  all'art.  1,  comma  5,  della
 legge  11 febbraio 1992, n. 157". Per le stesse ragioni sopra esposte
 dunque anch'esso e' illegittimo ed invasivo, essendo ogni  intervento
 relativo a tali zone di competenza regionale.
   5. - Illegittimita' dell'art 7, comma 2.
   L'art 7, comma 1, dispone che "le regioni e le province autonome di
 Trento  e  di  Bolzano  adottano  le  idonee  misure per garantire il
 monitoraggio dello  stato  di  conservazione  delle  specie  e  degli
 habitat naturali di interesse comunitario, con particolare attenzione
 a    quelli    prioritari,   dandone   comunicazione   al   Ministero
 dell'ambiente". Tale disposizione puo' considerarsi corrispondente al
 ruolo del  regolamento  di  dare  attuazione  alla  direttiva,  senza
 alterare  nella  materia  i  ruoli  predefiniti delle regioni e dello
 Stato.
   Lo stesso non si puo' tuttavia dire per il comma 2, a  termini  del
 quale  "il  Ministero  dell'ambiente  definisce  con proprio decreto,
 sentiti per quanto  di  competenza  il  Ministero  per  le  politiche
 agricole  e  l'Istituto  nazionale  per  la fauna selvatica, le linee
 guida per il monitoraggio". Infatti con tale disposizione governativa
 il "Ministero" (non e' chiaro neppure per quale ragione si usi qui  e
 in   seguito  tale  espressione  anziche'  l'indicazione  dell'organo
 "Ministro"; l'arbitrarieta' sarebbe solo aggravata se  si  intendesse
 cosi'  affidare l'esercizio della competenza ad atti dirigenziali) si
 arroga un potere di sovraordinazione che corrisponde,  di  nuovo,  ad
 una  ingerenza  attuata  mediante  una  anomala e atipica funzione di
 indirizzo e coordinamento, tuttavia  totalmente  al  di  fuori  delle
 relative regole di esistenza e di esercizio.
   La  radicale  illegittimita'  della  disposizione  non impedisce di
 osservare che essa viola anche il principio di leale cooperazione tra
 Stato e regioni, in quanto, in un procedimento che pure si  preoccupa
 di  "acquisire"  la voce delle altre amministrazioni statali ritenute
 interessate al tema, non si preoccupa  minimamente  di  acquisire  la
 partecipazione degli unici soggetti idonei a dare un contributo reale
 all'elaborazione di eventuali linee guida per il monitoraggio, ovvero
 le  autonomie che ne hanno pratica esperienza e che devono compierlo.
 Piu' gravemente ancora, la mancata previsione  dell'intesa  richiesta
 dall'art.  8  della  legge  n.  59 del 1997 costituisce una chiara ed
 illegittima elusione dei vincoli posti dalla legge per  gli  atti  di
 indirizzo e coordinamento.
   Con  regolamento  dunque  il  Governo  si  autoassegna poteri sulle
 regioni e si  autoesonera  persino  dai  vincoli  e  dalle  modalita'
 previste dalla legge per l'esercizio di tali poteri.
   E'   palese   che  solo  una  pronuncia  di  codesta  ecc.ma  Corte
 costituzionale radicalmente demolitoria di tali poteri puo' riportare
 i rapporti Stato-regioni nel giusto binario costituzionale.
   Destituito  di  ogni  fondamento e l'assunto, contenuto nell'ultimo
 "considerato" delle premesse dell'impugnato regolamento, che i poteri
 in questione possano giustificarsi in base alla circostanza  che  con
 la  sentenza  n.  272  del  1996  codesta ecc.ma Corte costituzionale
 avrebbe riconosciuto  che  "la  tutela  della  flora  e  della  fauna
 rappresenta  un  interesse  fondamentale  dello  Stato",  e  che  "la
 competenza in tale materia spetta al  Ministero  dell'ambiente,  come
 stabilito dall'art.  5 della legge 8 luglio 1986, n. 349".
   E'   anche   troppo   ovvio   che   tale   complessiva  e  generica
 rivendicazione di competenza comporterebbe di  per  se'  la  completa
 negazione  delle  competenze  costituzionali  delle regioni, e che il
 tracciamento di quanto e' necessario attribuire  allo  Stato  per  la
 tutela  dei  profili  di interesse nazionale della materia e' compito
 precipuo del legislatore, al quale non puo'  sostituirsi  il  Governo
 con  il  suo potere regolamentare:  fermo restando che anche la legge
 dovrebbe comunque mantenersi nel quadro costituzionale  dei  rapporti
 tra Stato e regioni per quanto riguarda le regole di istituzione e di
 esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento.
   6. - Illegittimita' dell'art. 8, comma 5.
   Nei  commi  da  1  a  4  l'art. 8 puo' considerarsi attuativo della
 direttiva comunitaria. Il  comma  1,  in  particolare,  riproduce  in
 sostanza   i   divieti   posti  dall'art.  12  della  direttiva,  con
 riferimento  all'allegato  IV  (corrispondente  all'allegato  D   del
 regolamento):  anche se, per vero, vi sono nel recepimento variazioni
 delle quali non e' chiaro il significato, quali la soppressione  alle
 lett.   a),  b)  e  c)  del  comma  1  del  requisito  del  carattere
 "deliberato" dell'azione proibita.
   Si noti che i divieti non sono nella normativa statale assistiti da
 sanzioni, e che non in tutti i casi si  puo'  supporre  che  sanzioni
 previste    in    generale   gia'   esistano   nell'ordinamento.   Ma
 l'impossibilita' di disporre sanzioni e' altra regola codificata  per
 l'attuazione regolamentare delle direttive (art. 4, comma 3, legge n.
 86/1989),  ed  a  questo  limite  il  Governo  si e' attenuto. Rimane
 comunque che i primi quattro commi sono annoverabili tra cio' che  e'
 necessario disporre per operare il recepimento della direttiva.
   Non  cosi'  per  il  comma  5,  con  il  quale  di nuovo il Governo
 autoinveste il "Ministero" di un potere di sovraordinazione  rispetto
 alle  regioni  e alle province autonome. Vi si dispone infatti che il
 Ministero "in base alle informazioni raccolte" (|) promuova  ricerche
 o  addirittura  "indichi" le "misure necessarie per assicurare che le
 catture o uccisioni accidentali non abbiano un significativo  impatto
 negativo sulle specie in questione".
   Di  nuovo,  si tratta di un potere ministeriale arbitrario, o di un
 anomalo ed atipico atto di indirizzo.
   7. - Illegittimita' dell'art. 10, commi 1 e 3.
   Considerazioni simili richiede il comma 1 dell'art. 10, secondo  il
 quale  "il  Ministero dell'ambiente, sentiti per quanto di competenza
 il Ministero per le politiche agricole e l'Istituto nazionale per  la
 fauna  selvatica,  qualora risulti necessario ... con proprio decreto
 stabilisce  adeguate  misure  affinche'  il  prelievo,  nell'ambiente
 naturale, degli esemplari delle specie di fauna e flora selvatiche di
 cui  all'allegato  E, nonche' il loro sfruttamento, siano compatibili
 con  il  mantenimento  delle  suddette  specie  in   uno   stato   di
 conservazione soddisfacente".
   Si  resta stupiti dalla disinvoltura (se non si vogliono usare piu'
 forti parole) con cui  nella  sostanza  il  Ministero  attraverso  il
 regolamento  governativo  si  dota  di  poteri la cui intestazione al
 Ministero non e' in alcun modo disposta dalla normativa  comunitaria,
 poteri  che violano il riparto costituzionale delle competenze, e che
 per  di  piu'  nel  caso  specifico  sono  totalmente  generici   nei
 presupposti,  nei  contenuti e nei fini, violando lo stesso principio
 di legalita'.   Il presupposto infatti e'  che  l'intervento  risulti
 "necesario", il contenuto sono misure "adeguate", i fini uno stato di
 conservazione  "soddisfacente"  della fauna selvatica: tutte clausole
 indeterminate che alla fine rimettono qualunque intervento alla  pura
 discrezionalita' del "Ministero".
   L'arbitrarieta'  di  tutto  cio  e' palese, e lo diviene ancor piu'
 quando si esaminino le attribuzioni che tra l'altro il  Ministero  si
 e'  autoassegnato,  descritte dalle lettere da a) ad h). Esse infatti
 rivelano che in tale modo  si  vorrebbero  espropriare  le  autonomie
 regionali   delle   proprie   potesta'   di   disciplina  e  gestione
 amministrativa della  materia,  nel  quadro  della  direttiva  e  dei
 principi  della  legge  statale.  Infatti  le  lettere  da  a)  ad f)
 consentono  al  Ministero  diretti  interventi  di  regolazione   sia
 generale  che  locale,  mentre  le  rimanenti  lettere attengono alle
 funzioni amministrative regionali. Naturalmente, quello  che  qui  si
 contesta  non  sono  i compiti regolativi ed amministrativi in quanto
 tali - compiti la cui definizione rimonta all'art. 14 della direttiva
 - ma la loro illegittima intestazione al Ministero: mentre si  tratta
 dei tipici compiti spettanti alle regioni e province autonome.
   Anche  in  relazione  a  tale  riserva  di  potere statale l'ultimo
 "considerato" delle  premesse  dell'impugnato  regolamento  invoca  i
 presunti riconoscimenti di competenza di cui alla sentenza n. 272 del
 1996   di  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale.  Ma  sulla  totale
 infondatezza di tale giustificazione si e' gia' detto in relazione al
 comma 2 dell'art. 7, e qui non resta dunque che ribadire che non puo'
 il Governo con il suo potere regolamentare individuare aree e materie
 di presunto interesse nazionale, e che cosi' facendo  esso  viola  la
 costituzione   ed   espropria   le   regioni  delle  loro  competenze
 costituzionali.
   Piu'  nascosta,  ma  non   meno   percepibile,   e'   la   parziale
 illegittimita'  del  comma  3  dello stesso art. 10. In parte infatti
 tale disposizione risulta  realmente  attuativa  di  quanto  disposto
 dall'art.  15  della  direttiva  comunitaria  da  attuare.  In questi
 limiti, la disposizione risulta dunque legittima.
   Essa tuttavia diverge dalla disciplina comunitaria da un  lato  la'
 dove  si  riferisce  alle  specie  dell'intero  allegato E, mentre la
 normativa  comuntaria  si  riferisce   alla   sola   lett.   a)   del
 corrispondente  allegato  V, dall'altro la' dove essa pone un divieto
 incondizionato,  mentre  la  normativa  comunitaria  fa  scattare  il
 divieto solo al verificarsi dell'ipotesi contestualmente prevista.
   Ne'   varrebbe   obbiettare   che,   per  principio  consolidato  e
 generalmente ammesso, la normativa nazionale puo' disporre  forme  di
 tutela  piu'  severe  di quelle disposte dalla normativa comunitaria;
 perche' cio' vale per il rapporto tra leggi, nell'ambito  del  limite
 dei  principi, mentre e' del tutto precluso al regolamento statale di
 dettare  limitazioni  alla  legge  regionale  futura,  o   introdurre
 inesistenti  limiti  nella  legislazione  regionale  vigente, se tali
 limitazioni  non  siano  strettamente necessarie al recepimento della
 normativa comunitaria.
   8. - Illegittimita' dell'art. 11.
   L'art.  11  risulta  particolarmente  lesivo   delle   attribuzioni
 regionali  in  materia di caccia, ed e' anch'esso, come le precedenti
 disposizioni, completamente arbitrario.
   Il comma 1  addirittura  riserva  al  "Ministero  dell'ambiente"  -
 sentite le solite connesse amministrazioni statali, e come sempre del
 tutto ignorate le regioni, titolari delle competenze costituzionali -
 i poteri di deroga ai divieti generali: poteri di deroga che non solo
 non  possono  essere intestati al Ministero per le ragioni piu' volte
 esposte  nel  presente  ricorso,   ma   che   inoltre   evidentemente
 presuppongono valutazioni da compiersi in concreto ed in sede locale,
 e  la  cui  spettanza  al livello locale viene considerata pacifica e
 normale anche da parte delle istituzioni comunitarie.
   Proprio in relazione alle deroghe al divieto di  caccia  di  alcune
 specie  -  ad  esempio - la relazione dell'avvocato generale Fennelly
 nella causa C-118/94, conclusa con sentenza del 7 marzo 1996, ricorda
 che "le condizioni  per  la  trasposizione  non  devono  naturalmente
 frapporsi  alle competenze di attuazione delegate da uno Stato membro
 ad autorita'  regionali  o  provinciali"  e  che  e'  "giurisprudenza
 costante che ciascuno Stato e' libero di attribuire come meglio crede
 le  competenze  sul  piano  interno ed attuare una direttiva mediante
 provvedimenti adottati dalle autorita'  regionali  o  locali"  (Racc.
 1996,  I-1236).  Libero  rimane  ovviamente  sul  piano  del  diritto
 comunitario, mentre e' pacifico che sul piano del diritto interno  lo
 Stato  e' tenuto ad attenersi al proprio diritto costituzionale, come
 confermato   anche   dalla   sentenza   di   codesta   ecc.ma   Corte
 costituzionale n. 126 del 1996 citata sopra.
   D'altronde,  la  stessa  direttiva  fa obbligo agli Stati membri di
 comunicare tra l'altro, nella relazione biennale  prevista  dall'art.
 16,  "l'autorita'  abilitata  a  dichiarare  e  a  controllare che le
 condizioni richieste sono  soddisfatte  e  a  decidere  quali  mezzi,
 strutture o metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti e da
 quali  servizi  e  quali  sono  gli addetti all'esecuzione" (comma 3,
 lett. d)): e il regolamento qui impugnato ripete pedissequamente tale
 disposizione, con una ripetizione che  risulta  alquanto  strana  dal
 momento che il Ministero non potrebbe che indicare "se stesso".
   Il  comma 2 dell'art. 11 riprende la disciplina di cui all'art.  15
 della direttiva, ma la aggrava nella misura in cui  la  estende  alle
 specie di cui all'allegato F, mentre la direttiva riferisce i divieti
 alle specie di cui al proprio allegato V, corrispondente all'allegato
 E   del   regolamento.   Vanno   dunque   richiamate   sul  punto  le
 argomentazioni gia' svolte in relazione all'art. 10, comma 3.
   Il comma 3 dell'art. 11  risulta  legittimo  se  esplicitativo  del
 ruolo  comunque  spettante al Ministero di tenere i rapporti generali
 con le istituzioni  comunitarie  e  di  trasmettere  le  informazioni
 richieste,  mentre sarebbe anch'esso illegittimo se inteso come fonte
 di autonomi poteri decisori.
   9. - Illegittimita' dell'art. 12.
   Anche l'art. 12 prevede ai commi 1 e  2  poteri  ministeriali,  che
 risultano  illegittimi  in quanto eccedano quelli gia' previsti dalla
 legislazione  statale  vigente  e  siano   rivolti   a   creare   una
 subordinazione delle regioni a poteri statali.
   Va  infatti considerato che i poteri ministeriali di autorizzazione
 di cui all'art. 20, legge n. 157  del  1992  riguardano  soltanto  le
 ditte  importatrici  e  soltanto le importazioni dall'estero. In ogni
 caso  il  recepimento  della  direttiva  non  puo'   comportare   una
 subordinazione  delle  regioni  ad  un  potere  di autorizzazione del
 Ministero.
   Il comma 3  dello  stesso  articolo  disciplina  l'introduzione  di
 specie non locali subordinandola alla stessa autorizzazione di cui al
 comma  2,  e  comunque  in  termini  restrittivi  rispetto  a  quanto
 stabilito dall'art. 22 della direttiva.
   10. - Illegittimita' dell'art. 15.
   L'art. 15 del regolamento impugnato dispone che "il Corpo forestale
 dello  Stato,  nell'ambito  delle  attribuzioni  ad  esso   assegnate
 dall'art.  8, comma 4, della legge 8 luglio 1986, n. 349, e dall'art.
 21  della  legge  6  dicembre  1991,  n.  394,  esercita le azioni di
 sorveglianza connesse all'applicazione del presente regolamento".
   Tale disposizione risulta illegittima in quanto estenda  i  compiti
 del  Corpo  forestale  dello  Stato  oltre quelli gia' disposti dalla
 legislazione  vigente:  venendo  cosi  ad  incidere   le   competenze
 amministrative della ricorrente regione in relazione alla generalita'
 delle  aree protette, la' dove la sorveglianza non sia gia' riservata
 (come per i parchi nazionali  e  per  le  aree  protette  di  rilievo
 nazionale ed internazionale) al Corpo forestale dello Stato.
   Giova  ricordare  che  la  Conferenza  permanente  per  i  rapporti
 Stato-regioni aveva chiesto  la  soppressione  dell'art.  15,  ed  il
 contestuale  riconoscimento  della  competenza regionale: e che nelle
 premesse  dell'impugnato  regolamento  si  afferma  -  al   penultimo
 "considerato"  -  che tale richiesta non ha potuto essere accolta "in
 quanto, in base all'art. 8, comma 4, della legge 8  luglio  1986,  n.
 349,  ed  all'art.  21 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, spetta al
 Corpo forestale dello Stato la sorveglianza nelle  zone  speciali  di
 conservazione,  salvo  quanto  diversamente disposto per le regioni a
 statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano".
   Sennonche'  la  tesi  cosi'  formulata  incorre   in   una   palese
 contraddizione:    se infatti la legislazione vigente gia' riservasse
 al Corpo forestale dello Stato la sorveglianza nelle zone di  cui  al
 regolamento  impugnato, non vi sarebbe alcun bisogno dell'art. 15. Se
 invece - come in effetti e' - l'art. 15 estende i compiti e poteri di
 sorveglianza oltre quelli gia' previsti dalle leggi vigenti, esso  e'
 lesivo e patentemente illegittimo.
   Sia  consentito  solo aggiuntivamente osservare che la sorveglianza
 statale nelle zone protette puo' avere un senso  soltanto  in  quanto
 eccezione  rispetto alla regola generale, e che quanto piu' la tutela
 si organizza in un sistema  generale  e  complessivo  tanto  piu'  e'
 necessario   riconoscere  la  competenza  locale,  pena  un  completo
 esproprio della gestione del proprio territorio.
   11. - Illegittimita' dell'art. 16.
   L'art. 16  non  e'  qui'  in  contestazione  nella  parte  in  cui,
 recependo   la  direttiva  comunitaria,  la  trasforma  in  normativa
 interna. Non e' percio' qui' contestato  il  comma  1,  relativamente
 agli allegati da A ad F. L'allegato G non ha invece, a quel che pare,
 corrispondenza alcuna con gli allegati della direttiva, e costituisce
 percio' normativa non necessaria alla sua attuazione. Per quanto gia'
 detto,  dunque,  e'  illegittimo  ed  e'  invasivo delle attribuzioni
 regionali disporre i relativi vincoli nella forma del regolamento del
 Governo.
   Il  comma  2  istituisce  un  potere  regolamentare  permanente  di
 recepimento di future modifiche agli allegati della direttiva, che ad
 avviso  della  ricorrente  regione non puo' dirsi compreso nel potere
 regolamentare disposto dalla legge comunitaria del 1994, n.  146.  Si
 tratta  dunque  di  un  potere  regolamentare  previsto  da una fonte
 regolamentare in materia di competenza regionale, e  pertanto  di  un
 potere illegittimo ed invasivo.
   A  maggiore  ragione esso sarebbe illegittimo ed invasivo in quanto
 lo  si  ritenesse  comprensivo  anche  di  un  potere   di   modifica
 indipendente   da   variazioni   nei  corrispondenti  allegati  della
 direttiva comunitaria:  come d'altronde e'  inevitabile  dal  momento
 che  tra gli allegati del regolamento uno non presenta alcun elemento
 di corrispondenza.
                               P. Q. M.
   Tutto cio premesso,  la  ricorrente  regione  Emilia-Romagna,  come
 sopra  rappresentata  e  difesa chiede voglia l'eccellentissima Corte
 costituzionale dichiarare che non spetta allo Stato di dettare con il
 d.P.R. 8  settembre  1997,  n.  357,  una  disciplina  vincolante  ed
 istitutiva di poteri sovraordinati di autorita' centrali dello Stato,
 nonche'  conseguentemente  annullare  il  predetto  regolamento nella
 parte  in  cui  contiene  tale  disciplina,  e   segnatamente   nelle
 disposizioni ed articoli qui impugnati.
     Padova-Roma, addi' 20 dicembre 1997
           Avv. prof. Giandomenico Falcon - avv. Luigi Manzi
 98C0001