N. 61 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 29 dicembre 1997

                                 N. 61
  Ricorso  per  conflitto di attribuzioni depositato in cancelleria il
 29 dicembre 1997 (della regione Veneto)
 Caccia - Attuazione della direttiva CEE  409/79  del  2  aprile  1979
    (recepita con l'art. 1 della legge-quadro sulla caccia 11 febbraio
    1992,   n.   157),  concernente  la  conservazione  degli  uccelli
    selvatici - D.P.C.M. 27 settembre 1997, concernente a sua volta le
    modalita' di esercizio delle deroghe alle limitazioni e ai divieti
    stabiliti dagli artt. 5, 6,  7  ed  8  della  direttiva,  previste
    dall'art.  9  della  stessa  -  Impugnazione di tale provvedimento
    nella parte in cui, pur prevedendo che le deroghe  possano  venire
    adottate  dalle  regioni, richiede come necessaria al riguardo una
    intesa  delle  regioni  con  i  Ministeri  dell'ambiente  e  delle
    politiche   agricole  -  Asserita  impossibilita'  che  una  cosi'
    accentuata menomazione alla competenza spettante alle regioni,  in
    base  a  quelle  ad  esse  attribuita  dagli artt. 117 e 118 della
    Costituzione in materia di caccia, in forza degli artt. 6 e 99 del
    d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e, in particolare,  dall'art.    9,
    commi 2 e 3, della legge 9 marzo 1989, n. 86 - secondo il quale le
    regioni,  anche  a statuto ordinario, possono dare attuazione alle
    direttive  comunitarie  che  abbiano  ad  oggetto  una  competenza
    regionale, trovando come unico limite le disposizioni di principio
    dettate  dalla legge statale e da questa dichiarate inderogabili -
    sia legittimamente stabilita da un provvedimento  di  mera  natura
    regolamentare  - come quello denunciato - non certo qualificabile,
    in  mancanza  dei  presupposti necessari, come atto governativo di
    indirizzo e coordinamento - Asserita impossibilita', altresi', che
    il  decreto  in  questione  trovi  fondamento  e   giustificazione
    nell'art.  18,  comma  3,  della su citata legge n.  157 del 1992,
    circa  i  poteri  dello  Stato  riguardo  alla  determinazione   e
    variazione  degli  elenchi delle specie cacciabili - il quale, non
    ricollegabile, com'e', in nessun modo, alla direttiva comunitaria,
    non puo' essere considerato come norma individuativa del  soggetto
    competente  a  disporre le deroghe da essa contemplate - ne' in un
    prevalente interesse nazionale,  da  ritenersi  ormai  sicuramente
    sovrastato  e  assorbito,  anche  per il carattere prevalentemente
    migratorio della avifauna selvatica, dalla predominante rilevanza,
    in materia, di un interesse comunitario sovranazionale, oltre  che
    dalla  necessita'  di  tener  conto,  riguardo alle deroghe, della
    diversita' e mutevolezza delle  situazioni  locali  -  Riferimenti
    alle  sentenze  nn.  126  e  272 del 1996, 1002 del 1988 e 577 del
    1990.
 Caccia - Ordinanze Commissione di controllo sugli atti della  regione
    Veneto,  nn.  3242  e  3243,  del 20 ottobre 1997, di annullamento
    delle delibere della Giunta  regionale  nn.  3401  e  3402  del  7
    ottobre  1997,  con  le  quali,  in  applicazione, per la stagione
    venatoria  1997-98,  della  deroga  prevista  dall'art.  9   della
    direttiva  CEE n. 409 del 1979, si era consentita, per la stagione
    venatoria  1997-98,  la  caccia  di  alcune  specie  di   volatili
    (fringuello,  peppola,  ecc.) non ricomprese nell'elenco di quelle
    per le quali la normativa comunitaria ammette in via  generale  il
    prelievo   venatorio   -   Lamentata  incidenza  sulla  competenza
    spettante  alla  regione  in  materia,   in   base   ai   precetti
    costituzionali  e  alle  disposizioni  di  legge  sopra richiamati
    riguardo  all'altra  suesposta  questione,   e   dagli   impugnati
    provvedimenti  del  CO.RE.CO.  illegittimamente ritenuta nel tutto
    carente, in contraddizione anche con il decreto del Presidente del
    Consiglio - oggetto dell'altra suddetta questione - con  il  quale
    una  competenza  delle regioni in ordine alle suddette deroghe, e'
    stata, anche se solo in parte, riconosciuta.
 (D.P.C.M. 27 settembre 1997; Ordinanze del  Commissario  del  Governo
    della regione Veneto 20 ottobre 1997, nn. 3242-3243).
 (Cost., artt. 117 e 118; d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, artt. 6 e 99;
    legge 9 marzo 1989, n. 86, art. 9, commi 2 e 3).
(GU n.3 del 21-1-1998 )
    Ricorso  per  conflitto di attribuzioni (art. 39 legge n. 87/1953)
 di regione Veneto, in persona del presidente pro-tempore della Giunta
 regionale giusta delibera della  g.r.  18  novembre  1997,  n.  4005,
 integrata  dalla  delibera della g.r. n. 4230 del 2 dicembre 1997, in
 atti, con i difensori avv.ti Ivone Cacciavillani e Alfredo  Bianchini
 del  foro  di  Venezia  ed  in Roma (anche domiciliatario) avv. Luigi
 Manzi, via Confalonieri n. 5, per speciale  procura  qui  a  margine,
 contro   Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  in  persona  del
 Presidente pro-tempore, avverso:
     a) le ordinanze  del  Commissariato  del  Governo  nella  regione
 Veneto  - Commissione di controllo sugli atti della Regione (ambedue)
 del 20 ottobre 1997 rispettivamente nn. 3242 e 3243, di  annullamento
 delle  delibere  della  g.r.  7  ottobre  1997,  nn.  3401 e 3402, ad
 oggetto:   "direttiva CEE  n.  409/79  art.  9  approvazione  deroghe
 periodo 11 ottobre-31 dicembre 1997, immediatamente eseguibile";
     b)   del  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri
 (d.P.C.M.)  27 settembre 1997, "modalita' di esercizio delle  deroghe
 di  cui all'art.  9 della direttiva 407/1997 della CEE concernente la
 conservazione degli uccelli selvatici";
 alla fine della declaratoria di illegittima invasione della sfera  di
 attribuzioni  regionali da parte di detti atti statali, e per la loro
 rimozione.
   Con deliberazione di Giunta regionale del 7 ottobre 1997, n.  3401,
 la   regione  Veneto  procedeva  all'applicazione,  per  la  stagione
 venatoria 1997/98, della deroga prevista dall'art. 9 della  direttiva
 CEE  n.  409 del 1979, consentendo la caccia (per un definito periodo
 di tempo) alle specie fringuello e  peppola,  specie  non  ricomprese
 nell'elenco  di  quelle per le quali la normativa comunitaria ammette
 in via generale il prelievo venatorio.
   Con altra deliberazione di Giunta regionale di pari data, n.  3402,
 la  regione  Veneto  applicava  la  medesima  deroga,  sempre  per la
 stagione  1997/98,  con  riferimento  alle  specie  passero,  passera
 mattugia,  passera  oltremontana e storno, pure esse non inserite nel
 predetto elenco.
   Entrambe tali deliberazioni venivano  annullate  dalla  Commissione
 statale   di   controllo   nella   seduta   del   20   ottobre  1997,
 rispettivamente  con  i  provvedimenti  nn.  3242  e  3243,   recanti
 identiche  motivazioni in ordine alla carenza di competenza regionale
 nell'adozione delle deroghe previste dalla direttiva 409/1979.
   Sulla specifica materia interveniva il decreto del  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri (d.P.C.M.) del 27 settembre 1997, pubblicato
 nella Gazzetta Ufficiale del 30 ottobre 1997, recante norme in ordine
 alle "Modalita' di esercizio delle deroghe di cui  all'art.  9  della
 direttiva  409/79/CEE,  concernente  la  conservazione  degli uccelli
 selvatici", il quale stabiliva che le deroghe vengono adottate  dalle
 regioni  di  intesa  con  i  Ministri dell'ambiente e delle politiche
 agricole.
   La regione ricorrente ritiene che i provvedimenti statali descritti
 in epigrafe siano invasivi, se pur in misura diversa, della sfera  di
 attribuzioni  che la Costituzione ad essa riserva nella materia della
 caccia, secondo il riparto di competenze delineato dagli artt.  117 e
 118 della Costituzione, e dalla normativa che di  quelli  costituisce
 il   necessario   completamento   (in  particolare,  per  quanto  qui
 interessa, gli artt. 6 e 99 deI d.P.R. 24  luglio  1977,  n.  616,  e
 l'art. 9 della legge n. 86 del 9 marzo 1989).
   Il   presente  ricorso  per  conflitto  di  attribuzioni  sottopone
 pertanto al giudizio di codesta ecc.ma Corte due "domande", tra  loro
 strettamente  connesse - e aventi sostanzialmente identico fondamento
 - ma  funzionalmente  distinte:  l'una  di  carattere  "ordinatorio",
 l'altra,        direttamente       conseguente,       di       natura
 "costitutivoannullatoria".
   Con la prima si chiede che venga accertata  l'invasione,  da  parte
 dei  provvedimenti  statali  in  epigrafe  indicati,  della  sfera di
 attribuzioni costituzionalmente spettante alla regione Veneto, e  che
 venga  altresi'  dichiarata  la  spettanza  alla regione stessa delle
 competenze in ordine all'esercizio  dei  poteri  di  deroga  previsti
 dall'art.  9  della  direttiva CEE n. 409 del 1977; con la seconda si
 chiede invece la rimozione dei succitati provvedimenti,  al  fine  di
 eliminarne gli effetti.
   Poiche'  gli  atti  statali  nei  confronti  dei  quali  si solleva
 conflitto da un lato affermano  la  radicale  carenza  di  competenza
 della regione (le due deliberazioni di annullamento della Commissione
 statale   di   controllo),   e   dall'altro  comunque  comportano  la
 menomazione  dell'autonomia  regionale  in  materia  di  caccia   (il
 d.P.C.M.  27 settembre 1997), si ritiene che la giurisdizione in tema
 di conflitti spettante a codesta ecc.ma Corte  valga  ad  "assorbire"
 per  tali  profili quella del giudice amministrativo nei confronti de
 medesimi atti.
                              M o t i v i
   1. - Prima di affrontare nel merito i complessi problemi sottoposti
 a giudizio di codesta ecc.ma Corte, pare interessante e significativo
 rilevare  che  i  provvedimenti  in  esame,  pur  intervenendo  nella
 medesima  materia  (vale  a  dire la concreta spettanza del potere di
 deroga  ai  generali  limiti   posti   all'esercizio   dell'attivita'
 venatoria)  prefigurano  in  concreto un diverso ruolo dello Stato ed
 una diversa incidenza dei poteri statali nei confronti delle regioni.
   Ed invero, mentre le due deliberazioni della Commissione statale di
 controllo negano in radice la sussistenza in capo all'ente  regionale
 di  alcuna attribuzione in materia, asserendo che nell'attuale quadro
 istituzionale delle competenze l'ammissibilita' della deroga  di  cui
 all'art.  9  della  direttiva  n. 409/1979 "va in ogni caso riservata
 alle determinazioni dei competenti organi dello Stato",  il  d.P.C.M.
 del  27  settembre 1997 ammette e riconosce espressamente l'esistenza
 di un potere regionale in subiecta materia, stabilendo anzi (art.  2)
 che spetta primariamente alle  regioni  il  compito  di  adottare  le
 deroghe  di  cui  al  citato  art.  9  della  direttiva  comunitaria,
 subordinatamente al solo adempimento  della  previa  "intesa"  con  i
 Ministri dell'ambiente e per le politiche agricole.
   Gia'  alla  luce  delle disposizioni del decreto del Presidente del
 Consiglio dei Ministri  si  traggono  dunque  elementi  per  inferire
 innanzitutto  (e  sotto  un primo profilo) l'illegittimita' delle due
 deliberazioni della Commissione statale    di  controllo,  in  quanto
 negative   della   competenza  regionale:  con  l'atto  regolamentare
 governativo  -  al  quale  va  attribuita   una   valenza   meramente
 ricognitiva, e non certo costitutiva, del riparto di attribuzioni tra
 enti  dotati  di  autonomia  costituzionalmente  garantita - lo Stato
 stesso ha riconosciuto che e'  funzione  istituzionalmente  regionale
 quella  riguardante  l'indicazione  delle  specie ammesse al prelievo
 venatono in deroga alle elencazioni contenute negli allegati  II/1  e
 II/2    della   direttiva   409/1979,   risultando   cosi'   superata
 l'impostazione assunta dall'organo di controllo  a  fondamento  delle
 proprie determinazioni.
   2.  -  Al  di  la'  di  tale  rilievo  meramente  "comparativo", il
 conflitto  portato  all'esame  di  codesto  ecc.mo  Collegio  investe
 questioni  di  grande  complessita'  nella definizione delle sfere di
 attribuzioni rispettivamente proprie di Stato  e  regione,  anche  in
 considerazione dell'incidenza che nella fattispecie assumono le fonti
 normative di rango comunitario.
   Due sono, in proposito, gli assunti sui quali la regione ricorrente
 fonda   le   proprie  doglianze  nei  confronti  degli  atti  statali
 impugnati; tali assunti, piu' oltre estesamente  illustrati,  possono
 essere cosi' schematicamente sintetizzati:
     a)  le  attribuzioni  relative  all'esercizio della deroga di cui
 all'art. 9 della direttiva 409/1979, in quanto rientranti nei  poteri
 di  attuazioni  di  normativa  comunitaria  che  investe  una materia
 costituzionalmente "regionale" (ai sensi degli artt. 117 e 118  della
 Costituziome),  debbono  ritenersi  di spettanza della regione, sulla
 scorta di precisi fondamenti normativi e sistematici;
     b) vi e' motivo per dubitare  che,  nel  quadro  della  normativa
 comunitaria,  sussista  un  interesse  unitario dello Stato in ordine
 all'esercizio della suddetta deroga; la tutela di un tale  interesse,
 tuttavia,  anche se eventualmente ravvisabile, non autorizza lo Stato
 ad  attuare  qualsivoglia  forma   di   limitazione,   intervento   o
 "interferenza"  nei  confronti  dei  poteri  regionali,  ma  consente
 esclusivamente l'utilizzazione degli  strumenti  di  coordinamento  e
 controllo  a livello centrale espressamente previsti dalla legge, tra
 i quali non rientra quello della "intesa".
    E' ben noto alla ricorrente il diverso  orientamento  recentemente
 espresso  da  codesta  ecc.ma  Corte  -  proprio  in  un giudizio per
 conflitto di attribuzioni in parte  analogo  ai  presente  -  con  la
 sentenza  n.  272 dei 22 luglio 1996, nella quale si e' affermato che
 "nell'assetto   attualmente   dato    dal    legislatore    nazionale
 all'attivita'  venatoria  e  per i fini della stessa, i divieti posti
 dalla  direttiva  (409/1979)  in  tema  di  specie  cacciabili   sono
 suscettibili  di  modifica  solo  nei limiti del potere di variazione
 degli elenchi delle specie medesime, riservato allo  Stato  dall'art.
 18,  terzo  comma,  della legge n. 157 del 1992", con cio' ravvisando
 nei citato art. 18, terzo comma, la norma attributiva allo  Stato  di
 una  competenza  esclusiva per l'adozione dei provvedimenti di deroga
 alle norme protettive delle specie  animali  di  cui  alla  direttiva
 409/1979.
   Parimenti  sono  note  le  precedenti  decisioni (n. 1002 del 12-27
 ottobre 1988; n. 577 del 12-28 dicembre  1990)  nelle  quali,  in  un
 diverso   contesto   normativo,  la  Corte  ha  sostenuto  che  tanto
 l'individuazione delle specie  non  cacciabili  quanto  l'elencazione
 delle specie cacciabili investono un interesse unitario proprio della
 comunita' nazionale, la cui valutazione e la cui salvaguardia restano
 in primo luogo affidati allo Stato.
   E' tuttavia convinzione della regione Veneto che proprio il vigente
 assetto  legislativo  "interno", ricostruito alla luce dei principi e
 delle tendenze espresse  dalla  direttiva  disciplinante  la  materia
 della  caccia,  imponga  di  giungere a conclusioni diverse da quelle
 delineate nelle sopra richiamate sentenze, dovendosi  riconoscere  in
 via esclusiva alla regione, e non allo Stato, il potere di adottare i
 provvedimenti  di  deroga  per  i  quali  e'  sollevato  il  presente
 conflitto di attribuzioni.
   3. - Poiche'  l'art.  9  della  direttiva  409/1979  non  individua
 l'autorita'  (o  le  autorita')  di  ciascuno Stato membro competenti
 all'adozione delle deroghe alle norme protettive dell'avifauna,  pare
 chiaro  che  tale  (o  tali) autorita' vanno individuate alla stregua
 dell'ordinamento   nazionale,   secondo   il   riparto   interno   di
 attribuzioni in materia.
   Per   quanto   riguarda   specificamente   l'ordinamento  italiano,
 osservato che - diversamente da quanto ritenuto da  codesta  Corte  -
 l'art.  18,  terzo  comma,  della  legge n. 157 dei 1992, non puo' in
 alcun modo rivestire il ruolo di norma attributiva allo  Stato  della
 competenza   esclusiva  in  ordine  alla  definizione  delle  deroghe
 previste dalla direttiva comunitaria; e cio' non tanto e non solo per
 ragioni   strettamente   testuali   (che   comunque  assumono  valore
 indicativo,  stante   la   mancanza   di   qualsivoglia   riferimento
 all'esclusivita'  della competenza statale), quanto piuttosto perche'
 quell'articolo di legge non presenta gli elementi necessari per poter
 essere considerato una disposizione di  attuazione,  nell'ordinamento
 interno, del citato art. 9 direttiva 409/1979.
   La  Corte  di giustizia delle Comunita' europee, con sentenza della
 quinta sezione, pronunciata il 7 marzo 1996,  ha  affermato  che  non
 puo'  considerarsi  attuativa  dell'art. 9 una normativa nazionale la
 quale, nell'autorizzare la caccia a specie di uccelli non  ricompresi
 negli  appositi  elenchi  della direttiva, non enunci i criteri della
 deroga ne' obblighi in modo chiaro e preciso gli organi competenti  a
 tener conto di siffatti criteri e ad applicarli.
   Orbene, l'art. 18 della legge n. 157 del 1992, nell'attribuire allo
 Stato  un  (non  meglio  definito) potere di "variazione" dell'elenco
 delle specie cacciabili,  non  contiene  alcun  espresso  riferimento
 all'art.  9 della summenzionata direttiva e non enuncia in alcun modo
 i criteri stabiliti dalla  normativa  comunitaria  per  il  legittimo
 esercizio  della  deroga; come del resto neppure obbliga lo Stato (in
 sede di emanazione del  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  con  il quale viene operata la "variazione") al rispetto di
 detti criteri. In linea con quanto statuito dalla Corte di giustizia,
 si deve dunque escludere che quell'articolo della legge  nazionale  -
 privo  dei  necessari  requisiti  -  rappresenti  la  disposizione di
 recepimento e di attuazione interna dell'art. 9 direttiva 409/1979; e
 conseguentemente si deve pure escludere che il medesimo art. 18 possa
 essere  considerato  come  la  norma  individuativa  nell'ordinamento
 interno  del  soggetto  esclusivamente  competente all'adozione delle
 deroghe previste dalla disposizione comunitaria, poiche', come detto,
 a quest'ultima esso non risulta essere in alcun modo ricollegabile.
   4.  -  Rilevato  che  la  procedura  della  deroga  e'  stata  solo
 formalmente recepita (dall'art. 1 della legge n. 157 del 1992) ma non
 espressamente  disciplinata nell'ordinamento interno, pare chiaro che
 l'individuazione del soggetto in  concreto  competente  all'esercizio
 del  potere di deroga va condotta avendo riguardo alle norme generali
 che disciplinano il riparto di attribuzioni tra Stato  e  regione  in
 sede  di attuazione della normativa comunitaria. E proprio l'esame di
 tale quadro ordinamentale porta a ritenere che  la  funzione  sia  di
 spettanza regionale.
   Sul piano sistematico, in tal senso depone innanzitutto (per quanto
 riguarda  l'esercizio delle funzioni legislative) l'art. 9, secondo e
 terzo comma, della legge 9 marzo 1989, n. 86, il quale prevede che le
 regioni anche  a  statuto  ordinario  possono  dare  attuazione  alle
 direttive   comunitarie   che  abbiano  ad  oggetto  una  materia  di
 competenza regionale (quale e' la  caccia,  ai  sensi  dell'art.  117
 della  Costituzione),  trovando  come unico limite le disposizioni di
 principio dettate dalla legge statale e da questa  stessa  dichiarate
 inderogabili.
   Il  principio trova una ulteriore specificazione nell'art. 1, terzo
 comma, della legge n. 157 del 1992, a tenore del quale "le regioni  a
 statuto  ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione
 ed  alla  tutela  di  tutte  le  specie  della  fauna  selvatica,  in
 conformita'  alla  presente  legge, alle convenzioni internazionali e
 alle direttive comunitarie".
   Gia'  da tali considerazioni si puo' desumere che il legisiatore ha
 attribuito  in  via  generale  alla  regione  la  facolta'  di   dare
 attuazione  con  proprie  disposizioni  (nella  specie,  di carattere
 normativo) quanto meno alle direttive comunitarie  intervenute  nelle
 materie  ad  essa spettanti per attribuzione costituzionale, compresa
 dunque la regolamentazione del  procedimento  e  la  definizione  dei
 criteri  da  rispettare  per  il  legittimo  esercizio  dei poteri di
 deroga.
   Ai di la' dei profili sistematici riguardanti  il  riparto  interno
 delle   attribuzioni   legislative,   va  comunque  rilevato  che  il
 procedimento volto alla  concreta  individuazione  delle  ipotesi  di
 deroga,   ai   sensi   della   direttiva   409/1979,   ha   carattere
 amministrativo e non normativo:  con l'effetto che  l'identificazione
 dei  soggetto titolare della relativa competenza deve essere condotta
 alla luce e sulla scorta delle disposizioni che disciplinano  in  via
 generale  l'esercizio  delle  funzioni  amministrative  di attuazione
 della normativa comunitaria.
   Ruolo centrale in tale contesto  assume  l'art.  6  del  d.P.R.  27
 luglio  1977,  n. 616, che espressamente trasferisce "alle regioni in
 ciascuna  delle  materie  definite  dal  presente  decreto  anche  le
 funzioni  amministrative  relative  all'applicazione  dei regolamenti
 della Comunita' economica europea nonche'  all'attuazione  delle  sue
 direttive   fatte   proprie   dallo   Stato   con  legge  che  indica
 espressamente le norme di principio".
   Ebbene, posto che il decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.
 616  del  1977  richiama e definisce la materia della caccia all'art.
 99 (ricomprendendo in essa tutte le funzioni concernenti "l'esercizio
 della caccia"), e posto che lo Stato  ha  espressamente  recepito  la
 direttiva  409/1979  con  la  legge  n.  157  del 1992, se ne trae la
 necessaria  conclusione  che  le  funzioni  amministrative   connesse
 all'esercizio  della  deroga  di cui alla piu' volte citata direttiva
 possono e debbono - alla  luce  del  vigente  ordinamento  interno  -
 essere  esercitate direttamente dalla regione, la quale per specifica
 disposizione normativa risulta investita delle relative attribuzioni.
   Il sistema, del resto, non e' stato in alcun  modo  modificato  dal
 d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143, il quale si e' limitato a conservare in
 capo  al  "nuovo"  Ministero per le politiche agricole alcuni compiti
 gia' in precedenza spettanti al  soppresso  Ministero  delle  risorse
 agricole,  alimentari e forestali; tra i quali, per quanto detto, non
 rientrava quello relativo all'esercizio del potere di deroga ex  art.
 9 della direttiva 409/1979.
   5.  -  Il  delineato  assetto  delle  attribuzioni e' pacificamente
 ammesso dallo stesso d.P.C.M. 27 settembre 1997, il  quale  riconosce
 proprio  alla  regione  la  competenza  all'adozione delle piu' volte
 citate deroghe agli elenchi delle specie cacciabili.
   Sotto tale specifico profilo, l'atto regolamentare  statale  appare
 conforme  al  riparto  di funzioni voluto dall'ordinamento; e se pure
 esso va ritenuto lesivo della  sfera  di  autonomia  regionale  nella
 parte in cui impone la previa intesa con gli organi statali, cio' non
 toglie  che  il  principio  chiaramente affermato all'art. 2 - valido
 come  direttiva  per  l'attivita'  statale  in  materia  -   e'   che
 l'esercizio  delle  deroghe  rientra  a  pieno titolo tra le funzioni
 regionali.
   In  senso contrario si esprimono i due provvedimenti con i quali la
 Commissione statale di controllo ha  annullato  le  deliberazione  di
 Giunta  regionale  che,  in  applicazione dell'art. 9 della direttiva
 409/1977, ammettevano al prelievo venatorio alcune specie di  uccelli
 non  comprese  negli  allegati  della  direttiva stessa. A fronte del
 chiaro ed univoco quadro sistematico in precedenza  tratteggiato,  ed
 alla  luce  dello  stesso  decreto  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri, non puo' pero' non  riconoscersi  l'erroneita'  della  tesi
 seguita  dalla  Commissione  statale,  posto  che,  come si e' visto,
 nessuna competenza esclusiva e' attribuita allo Stato nell'attuazione
 della normativa comunitaria qui all'esame.
   Allo Stato, in subiecta materia,  e'  certo  consentito  legiferare
 nell'ambito   dei   propri   poteri  normativi  (con  norme  comunque
 "cedevoli",  a  parte  quelle  di  principio,  nei  confronti   della
 legislazione  regionale);  parimenti allo Stato, in sede di controllo
 sugli atti regionali, e' consentito eventualmente sindacare il "modo"
 in cui la regione ha esercitato i propri poteri di deroga, al fine di
 verificare la conformita' dei singoli provvedimenti ai criteri ed  ai
 limiti  posti dalla normativa comunitaria ed eventualmente nazionale.
 Quella che invece non puo' essere messa in discussione e' la sfera di
 attribuzioni spettante  alla  regione,  come  individuata  sul  piano
 istituzionale dai vigente ordinamento.
   Ne'  tali  considerazioni  possono  essere superate con il semplice
 richiamo ad un asserito interesse unitario nazionale  in  materia  di
 individuazione    e   regolamentazione   delle   specie   cacciabili.
 L'eventuale sussistenza di un tale interesse, invero,  puo'  al  piu'
 consentire  allo  Stato  di  utilizzare  gli  specifici  strumenti di
 indirizzo e di controllo ammessi dall'ordinamento nei confronti della
 regione; certamente non puo' invece giustificare il sovvertimento del
 riparto  interno  di  competenze  tra  oggetti  dotati  di  autonomia
 costituzionalmente riconosciuta.
   Cosi',  come  sottolineato  in  precedenza,  neppure il decreto del
 Presidente del Consiglio dei Ministri giunge a negare la  sussistenza
 delle  attribuzioni regionali, preferendo piuttosto, con disposizione
 da considerarsi comunque invasiva, "affiancare" lo Stato alla regione
 nell'esercizio della funzione.
   Se dunque, in linea di principio, la valutazione e la  salvaguardia
 dell'interesse  unitario  della  comunita' nazionale restano in primo
 luogo affidati allo Stato ed all'amministrazione  centrale  (sentenza
 n.  1002  del 1988), laddove un tale interesse sia ravvisabile, resta
 fermo - come piu' oltre meglio sara' precisato -  che  valutazione  e
 salvaguardia  sono  legittimamente esercitabili unicamente attraverso
 le forme ed i mezzi tipici previsti dalla legge, i quali mai  possono
 risolversi    nella    compressione    o,    piu'   gravemente,   nel
 "disconoscimento" dei poteri regionali.
   6.  -  Il  tema  da  ultimo   accennato,   relativo   all'incidenza
 dell'interesse  unitario  nazionale  nella materia della caccia, pare
 meritevole di qualche ulteriore considerazione. Cio' anche allo scopo
 di sottoporre a nuova riflessione l'orientamento espresso da  codesta
 Corte nel quadro di un diverso contesto normativo (quello della legge
 n. 968 del 27 dicembre 1977, precedente alla legge n. 157 del 1992 ed
 oggi  abrogata);  orientamento  secondo  il quale l'elencazione delle
 specie cacciabili, come eccezione al generale divieto di  caccia  nei
 confronti  di tutte le specie dell'avifauna, concorrerebbe a definire
 l'oggetto  minimo  inderogabile  della  protezione  che  lo  Stato ha
 ritenuto di dover offrire al proprio patrimonio faunistico;  per  cui
 sia  l'individuazione  delle  specie  sottoposte  a  protezione,  sia
 l'elencazione di quelle ammesse al prelievo venatorio, investirebbero
 un interesse unitario  proprio  della  comunita'  nazionale,  la  cui
 salvaguardia   resterebbe   affidata   in   primo   luogo   i  poteri
 dell'amministrazione statale.
   Da un lato lo  speciale  oggetto  (vale  a  dire  la  conservazione
 dell'avifauna)  e  l'ambito  territoriale della disciplina all'esame,
 dall'altro lato il  rango  delle  fonti  ed  il  sistema  complessivo
 introdotto  per la tutela degli uccelli selvatici, inducono a diversa
 opinione, e cioe' a ritenere che l'interesse unitario rilevante nella
 materia della caccia si ponga non a livello nazionale, ma  a  livello
 comunitario, e che la sede del coordinamento e del controllo si trovi
 non  nelle  amministrazioni centrali dei singoli Stati membri, bensi'
 piuttosto negli organi della Comunita' (ora Unione) europea ai  quali
 tali   compiti   sono   specificamente   demandati   dalla  normativa
 comunitaria.
   Sul punto va preliminarmente rilevato che con la direttiva 409/1979
 (e successive modificazioni) la tutela  degli  uccelli  selvatici  e'
 divenuta  in  via generale materia di rilevanza comunitaria, e la sua
 disciplina ha assunto rango super-nazionale,  assumendo  idoneita'  a
 sostituirsi alla difforme disciplina dettata dai singoli Stati membri
 della CEE (ora U.E.).
   Tale  piu'  esteso  ambito  di  disciplina si e' reso necessario in
 considerazione  del  singolare   oggetto   del   regime   protettivo,
 l'avifauna  selvatica,  la quale, risultando composta prevalentemente
 di  specie  migratrici,   costituisce   non   tanto   un   patrimonio
 "individuale"   di   ciascuno   Stato  membro,  quanto  piuttosto  un
 patrimonio comune a tutti gli Stati, la  cui  protezione  investe  un
 problema    ambientale    tipicamente    transnazionale,   implicante
 necessariamente responsabilita' comuni (terzo e ottavo "considerando"
 della direttiva 409/1979).
   In questa prospettiva anche la definizione contenuta nell'art.    1
 della   legge  n.  157  del  1992,  dove  la  fauna  selvatica  viene
 qualificata come  "patrimonio  indisponibile  dello  Stato",  non  va
 intesa  in  senso  letterale:  ed  invero  non  si vede come lo Stato
 italiano abbia il potere di rivendicare e tutelare  questo  singolare
 "patrimonio  indisponibile"  una  volta  che  lo  stesso (melius, gli
 elementi che lo compongono)  sia  migrato  nel  territorio  di  altro
 Stato.  Se  poi  ciascuna  nazione  attribuisse  a  se' la proprieta'
 esclusiva di tutti  gli  uccelli  che  anche  solo  di  passaggio  ne
 sorvolano   il   territorio,  si  realizzerebbe  un  regime  alquanto
 singolare ed inevitabilmente conflittuale.
   E' chiaro,  del  resto,  che  a  poco  servirebbe  una  rigorosa  e
 restrittiva  regolamentazione  della  caccia  da  parte  di un Paese,
 qualora i Paesi vicini, pure  attraversati  dalle  rotte  migratorie,
 consentissero in maniera indiscriminata il prelievo venatorio. Propri
 in considerazione di tale circostanza il "legislatore" comunitario ha
 ritenuto  opportuno  dettare un sistema di tutela unico ed articolato
 per tutti gli Stati appartenenti alla  CEE;  cosicche'  la  normativa
 nazionale  di  materia  viene  a  configurarsi  ed  a caratterizzarsi
 sostanzialmente come una componente di quella "globale",  cioe'  come
 parte del complessivo sistema di tutela comunitario.
   L'ordinamento  interno risulta pertanto vincolato alle disposizioni
 di  rango  sovranazionale,  e  privato  del  potere  di   individuare
 liberamente   l'oggetto  e  l'ambito  della  tutela,  spettando  alla
 Comunita' degli Stati, e non a ciascun singolo Stato,  il  potere  di
 stabilire  il  contenuto minimo inderogabile del regime protettivo, e
 di individuare  le  specie  ammesse  al  prelievo  venatorio,  quelle
 escluse  ed  i limiti alla facolta' di deroga nei confronti di queste
 ultime.
   Dall'esame   del   "sistema"   comunitario   di    protezione,    e
 specificamente  della  direttiva  409/1979,  emerge  inoltre  che  le
 funzioni  di  coordinamento  e  di  controllo  nell'attuazione  della
 normativa  di  materia sono attribuite direttamente agli organi della
 CEE (ora U.E.), e specificamente alla Commissione.
   L'art. 4, terzo comma, della citata direttiva  prevede  che  spetta
 alla  Commissione  prendere  le  iniziative  idonee per il necessario
 coordinamento degli interventi diretti a realizzare  misure  speciali
 di conservazione dell'avifauna. Di ancora maggiore rilevanza, proprio
 con riferimento all'esercizio dei poteri di deroga, e' l'art. 9 della
 direttiva, il quale prevede che gli Stati membri debbono inviare ogni
 anno  alla  Commissione  una  relazione sull'applicazione della norma
 (terzo comma), e stabilisce (quarto comma) che "la Commissione vigila
 costantemente affinche' le conseguenze  di  tali  deroghe  non  siano
 incompatibili   con  la  presente  direttiva.  Essa  prende  adeguate
 iniziative in merito".
   Nel contesto normativo cosi' delineato, non  pare  dunque  corretto
 sostenere  che la tutela dell'avifauna selvatica investa un interesse
 unitario dello Stato, e sia pertanto affidata  in  primo  luogo  agli
 organi  dell'amministrazione  dello  Stato.  In  realta',  come si e'
 visto, l'interesse in questione ha ormai rilevanza comunitaria, e sia
 la definizione dell'oggetto minimo della protezione, sia il controllo
 sulle attivita' di attuazione nei singoli Stati del sistema "globale"
 di  tutela,  spettano   primariamente   agli   organi   dell'apparato
 comunitario.    Gli  Stati membri, attraverso l'attivita' normativa o
 amministrativa  "interna",   propria   o   di   enti   di   rilevanza
 costituzionale  substatali,  secondo  la  ripartizione  istituzionale
 delle attribuzioni, possono eventualmente  estendere  l'ambito  della
 tutela,   introducendo  un  regime  piu'  restrittivo  dell'attivita'
 venatoria, ovvero possono  utilizzare  i  poteri  di  deroga  di  cui
 all'art. 9 della direttiva 409/1979, nei limiti da questa consentiti.
 Resta  pero' il fatto che, in subiecta materia, il nucleo centrale di
 normazione, coordinamento  e  controllo  si  trova  ormai  a  livello
 comunitario,  risultando  superata  l'impostazione  che  vedeva nello
 Stato (inteso come amministrazione centrale) il diretto  "gestore"  e
 tutore  di  un interesse unitario nazionale che ha ormai perduto gran
 parte del proprio contenuto.
   A cio' si aggiunga che il territorio del nostro Paese, per  la  sua
 estensione in latitudine e per la varieta' di climi e di ambienti che
 ne  costituisce  peculiare  caratteristica, e' interessato in maniera
 diversa dai flussi migratori. Le regioni si ritrovano cosi' a gestire
 situazioni tra loro anche molto differenti, poiche' talune specie  di
 uccelli  possono  essere  diffusissime  in determinate aree del Paese
 completamente sconosciute in altre.
   Anche  sotto  tale profilo appare poco ragionevole il ricorso a una
 disciplina statale unitaria ed omologante  dell'attivita'  venatoria,
 ad  esempio  attraverso  la  predisposizione  di  elenchi unici delle
 specie ammesse e di quelle escluse dal prelievo, oppure attraverso un
 contingentamento  a  livello  nazionale  delle  quantita'  di  ucceli
 catturabili,  da  redistribuire  per quote tra le diverse regioni: ed
 infatti, come e'  doveroso  trattare  in  maniera  uguale  situazioni
 uguali,  altrettanto  doveroso  che  siano  regolamentate  in maniera
 diversa situazioni diverse, e dunque che sia  consentito  a  ciascuna
 regione  di  valutare  e  disciplinare  la materia della caccia e dei
 prelievi  in  deroga  in  relazione  alle  specificita'  del  proprio
 territorio.
   7.  -  Ad  ogni  modo, anche a volerne ammettere la persistenza, va
 osservato che l'interesse unitario nazionale non legittima  lo  Stato
 ad   interferire   indiscriminatamente  nella  sfera  di  attribuzion
 istituzionalmente spettante  alla  regione.  Il  rilievo  si  rivolge
 specificamente  al  d.P.C.M.   27 settembre 1997, il quale. ha bensi'
 riconosciuto alla regione la  spettanza  dei  poteri  in  materia  di
 deroghe   alle  specie  ammesse  al  prelievo  venatorio,  ma  ne  ha
 condizionato l'esercizio alla previa "intesa"  con  l'amministrazione
 statale.
   Sul  punto  si richiama la sentenza di codesta Corte, n. 126 del 24
 aprile 1996, la quale, sulla scorta di consolidati orientamenti della
 giurisprudenza costituzionale, ha riconosciuto che, nelle materie  di
 competenza "primaria" regionale, allo Stato spetta una competenza "di
 seconda  istanza",  volta principalmente ad evitare che esso si trovi
 "impotente" di fronte ad eventuali violazioni del diritto comunitario
 commesse da altri soggetti dotati di  autonomia  costituzionale  (nel
 caso,  le  regioni).  Gli  strumenti  utilizzabili  a tal fine, viene
 affermato,  "consistono  non  in  avocazioni  di  competenze,  ma  in
 interventi  repressivi  o  sostitutivi  e  suppletivi - questi ultimi
 anche in via preventiva, ma cedevoli di  fronte  all'attivazione  dei
 poteri  regionali  e  provinciali normalmente competenti - rispetto a
 violazioni o carenze nell'attuazione o  nell'esecuzione  delle  norme
 comunitarie".
   In definitiva, la salvaguardia dell'interesse unitario non consente
 all'amministrazione  statale  di  sostituirsi  alla  regione,  ne' di
 imporre  forme  gestione  congiunta  delle  funzioni  a  quest'ultima
 esclusivamente    spettanti,    potendo   lo   Stato   fare   ricorso
 essenzialmente agli strumenti di  coordinamento  e  controllo  (o  di
 supplenza) previsti dalla legge, specificamente individuati dall'art.
 6, terzo comma, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri
 n. 616 del 1977, e dall'art.  9, terzo e quinto comma, della legge n.
 86 del 1989.
   Tra  questi certamente non rientra la "intesa" prevista da d.P.C.M.
 27 settembre 1997. Una tale figura organizzatoria, che si concreta in
 un  accordo  propedeutico  e  necessario  con  lo   Stato   ai   fini
 dell'esercizio  dei  poteri regionali (incidendo nella sostanza delle
 scelte dell'ente titolare della funzione),  potrebbe  essere  imposta
 solo  da  una  fonte  di  rango  legislativo,  in  considerazione del
 penetrante  condizionamento  che  essa  esercita  nei  confronti  del
 soggetto istituzionalmente investito della competenza a provvedere.
   Una  siffatta  previsione  legislativa  non  e' pero' espressamente
 contenuta, ne' altrimenti ricavabile, dal sistema regolante la materi
 de  qua;  e  tale   assenza,   non   colmabile   in   via   meramente
 interpretativa, porta ad escludere che nella fattispecie lo Stato sia
 legittimato  ad  imporre  alla  regione, in maniera unilaterale e con
 atto di natura regolamentare (quale e' il decreto del Presidente  del
 Consiglio dei Ministri), l'obbligo della previa "intesa".
   L'imposizione  dell'intesa,  attraverso  la quale il il decreto del
 Presidente del Consiglio dei Ministri (al di fuori di ogni fondamento
 normativo)   finisce   per   affiancare   lo   Stato   alla   regione
 nell'esercizio dei poteri di deroga di cui all'art. 9 della direttiva
 409/1979,  si  configura  pertanto palesemente come una inammissibile
 incisione e compressione dei poteri regionali in materia, modificando
 in forme  non  consentite  il  sistema  dei  rapporti  intercorrenti,
 nell'attuale ordinamento costituzionale, tra i due Enti.
   8.  -  Per  altro  verso,  e  proprio  in  considerazione  del  suo
 contenuto, pare doversi ritenere  altresi'  che  il  il  decreto  del
 Presidente del Consiglio dei Ministri sia stato emanato in violazione
 delle norme che disciplinano la fonte e le modalita' di esercizio del
 potere normativo del Governo.
   Ed invero - fermi comunque i rilievi svolti al precedente punto 3 -
 l'art.  18,  terzo comma, della legge n. 157 del 1992, richiamato nel
 preambolo del provvedimento, attribuisce al Presidente  de  Consiglio
 dei  Ministri  solamente  la  facolta'  di introdurre variazioni agli
 elenchi delle specie cacciabili, ma non  il  potere  di  dettare  una
 normativa   regolamentare,   neppure   eventualmente   di   carattere
 suppletivo rispetto a quella regionale, in materia di esercizio delle
 deroghe.
   Peraltro, se e' vero che l'art.  4  della  legge  n.  86  del  1989
 consente di attuare le direttive comunitarie mediante regolamento non
 si  puo'  dimenticare  che a tal fine e' indispensabile che cosi' sia
 previsto nella legge comunitaria (come nella stessa norma precisato),
 o eventualmente in altra disposizione di rango legislativo.
   Nel caso di  specie,  pero',  manca  quel  supporto  normativo  che
 costituisce  indispensabile  presupposto  per  l'esercizio del potere
 normativo da parte del Governo; ne', per quanto detto, tale  supporto
 puo'  essere  ravvisato nell'art. 18 della legge n. 157 del 1992, che
 al piu' attribuisce allo Stato l'esercizio di un potere di concreta e
 diretta modifica degli  elenchi  delle  specie  ammesse  al  prelievo
 venatorio,  ma  certamente  non fonda un potere regolamentare statale
 idoneo ad imporsi nei confronti delle regioni.
   Se anche poi  al  il  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  si  volesse  riconoscere valore di mero atto di indirizzo e
 coordinamento,  la  procedura   seguita   per   la   sua   formazione
 risulterebbe  illegittima,  quantomeno  per  essere  stata  omessa la
 preventiva consultazione con la Conferenza permanente per i  rapporti
 tra  lo  Stato, le regioni e le province autonome. Ai sensi dell'art.
 12, quinto comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400,  la  Conferenza
 deve  invero  essere  consultata "sulle linee generali dell'attivita'
 normativa che interessa direttamente le regioni" (lettera a)  e  "sui
 criteri  generali  relativi  all'esercizio  delle funzioni statali di
 indirizzo e coordinamento inerenti  ai  rapporti  tra  lo  Stato,  le
 regioni,  le  province  autonome  e  gli enti infraregionali, nonche'
 sugli indirizzi generali relativi  alla  elaborazione  ed  attuazione
 degli   atti  comunitari  che  riguardano  le  competenze  regionali"
 (lettera b).
   Detta   consultazione   risulta   essere   prevista   come  momento
 procedimentale  necessario  per  l'attivita'  statale  di   indirizzo
 coordinamento,  a  specifica tutela dell'autonomia costituzionalmente
 riconosciuta alle regioni; e la sua omissione nel caso che ne  occupa
 costituisce,  sotto  l'ulteriore  profilo qui all'esame, una indebita
 compromissione della sfera di attribuzioni regionali.
   Alla luce delle suesposte considerazioni, la regione Veneto  chiede
 che  i provvedimenti statali contro i quali e' sollevato conflitto di
 attribuzioni vengano dichiarati invasivi della  sfera  di  competenze
 costituzionalmente   spettante  alla  regione  stessa,  con  il  loro
 conseguente annullamento.
     Venezia-Roma, addi' 18 dicembre 1997
 Avv. Ivone Cacciavillani - avv. Alfredo Bianchini - avv. Luigi Manzi
 98C0002