N. 62 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 29 dicembre 1997

                                 N. 62
  Ricorso per conflitto di attribuzioni depositato in  cancelleria  il
 29 dicembre 1997 (della provincia autonoma di Trento)
 Ambiente  (Tutela  dell')  -  D.P.R.  8  settembre  1997,  n.  357  -
    Regolamento recante attuazione della direttiva CEE  relativa  alla
    conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonche' della
    flora  e  della  fauna  selvatiche, emanato con d.P.R. 8 settembre
    1997, n. 357 - Impugnazione della  disciplina  adottata  in  detto
    regolamento  nel suo intero testo e segnatamente delle norme degli
    artt. 1, comma 4, 3, commi 1, 2 e 3; 5 (ivi compreso il richiamato
    allegato G); 6; 7, comma 2; 8, comma 5; 10, commi 1 e 3;  11;  12;
    15  e  16  (in quanto applicabili, quali in piu' punti del decreto
    vengono dichiarate, anche nelle regioni a statuto speciale e nelle
    province autonome), con cui si attribuiscono rilevanti  competenze
    al  Ministero dell'ambiente riguardo: a) alla designazione di vari
    tipi di habitat, da individuarsi dalle regioni  e  dalle  province
    autonome,   quali   "Zone  speciali  di  conservazione";  b)  alla
    emanazione di direttive per la gestione delle aree di collegamento
    ecologico funzionale; c) alla valutazione  di  impatto  ambientale
    (anche  per le zone di cui all'art. 1, comma 5, della legge-quadro
    sulla caccia n. 157 del 1992) di piani territoriali, urbanistici e
    di settore proposti; d) alla definizione di  linee  guida  per  il
    monitoraggio  dello  stato  di  conservazione delle specie e degli
    habitat naturali di interesse comunitario; e) alla  promozione  di
    ricerche  e  alla  indicazione  delle misure necessarie perche' le
    catture o  uccisioni  accidentali  non  abbiano  un  significativo
    impatto  negativo  sulle  specie in questione; f) alla adozione di
    adeguate misure affinche'  il  prelievo,  nell'ambiente  naturale,
    degli esemplari di fauna e di flora selvatiche di cui all'allegato
    E,  ed il loro sfruttamento, siano compatibili con il mantenimento
    di dette specie in uno stato di conservazione soddisfacente; g) ai
    poteri di deroga ai divieti generali in materia di caccia; h) alla
    reintroduzione di specie animali e vegetali di cui all'allegato  D
    della  direttiva  comunitaria  e  alla  introduzione di specie non
    locali; i) all'esercizio da parte del Corpo forestale dello  Stato
    delle   azioni   di  sorveglianza  connesse  all'applicazione  del
    regolamento;  l)  a  un   potere   regolamentare   permanente   di
    recepimento  di  future  modifiche  agli  allegati della direttiva
    comunitaria  -  Denunciato  contrasto  di  tali  disposizioni,  ad
    eccezione  di quelle suscettibili di essere interpretate nel senso
    che   i   compiti   ministeriali   da  esse  conferiti  consistano
    esclusivamente   nella   formalizzazione   e    trasmissione    di
    determinazioni  sostanziali assunte in sede locale, con i principi
    desumibili, in base agli artt. 8, nn. 5, 6, 15,  16  e  21,  e  16
    dello  statuto  speciale  - che in materia di tutela dell'ambiente
    attribuiscono alle province autonome  una  competenza  primaria  -
    dagli  artt.  7  delle  Norme di attuazione statutaria emanate con
    d.P.R. 19 novembre 1986, n. 526, 4 e 9 della legge 9  marzo  1989,
    n.  86,  e  dalla  legge 15 marzo 1997, n. 59, in forza dei quali,
    riguardo all'attuazione delle direttive comunitarie nelle  materie
    di  loro  esclusiva  competenza, le province autonome sono tenute,
    nei limiti stabiliti dallo statuto  speciale,  ad  adeguarsi  alle
    leggi  statali,  ma non ai regolamenti, che per l'attuazione delle
    direttive comunitarie possono bensi',  anch'essi,  venire  emanati
    dallo  Stato,  ma  solo, essendo immediatamente sostituibili dalla
    normativa locale, con  un'efficacia  suppletiva  e  provvisoria  -
    Mentre  e'  senz'altro da escludersi, - anche per la omissione, da
    parte dello Stato, della consultazione con  le  province  autonome
    richiesta   dall'art.  3,  comma  3,  delle  Norme  di  attuazione
    statutaria emanate con d.lgs. 16 marzo  1992,  n.  266  -  che  il
    regolamento in questione possa qualificarsi come atto di indirizzo
    e coordinamento - Lamentata violazione, altresi', per quelle delle
    contestate  norme in cui si prevede che il Ministero dell'ambiente
    acquisisca i pareri del Ministero  per  le  politiche  agricole  e
    dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica ma non quelli delle
    regioni,  con  il  principio  di  leale collaborazione tra Stato e
    regioni (posto a sua  volta  dall'art.  5  della  Costituzione)  -
    Rilevata   impossibilita',   infine,   per   alcune   altre  delle
    disposizioni del regolamento  in  questione,  di  ricollegarle,  e
    quindi  di  considerarle  attuative,  della  richiamata  direttiva
    comunitaria - Riferimenti alle sentenze nn. 126 e 272 del 1996.
 (D.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, intero testo e  segnatamente  artt.
    1,  comma  4;  3,  commi  1,  2 e 3; 5 (ivi compreso il richiamato
    allegato G); 6; 7, comma 2; 8, comma 5; 10, commi 1 e 3;  11;  12;
    15 e 16).
 (Statuto  Trentino-Alto  Adige, artt. 8, n. 5, n. 6, n. 15, n. 16, n.
    21, e 16; d.P.R. 19 novembre 1986, n. 526, art. 7; legge  9  marzo
    1989,  n.  86,  artt. 4 e 9; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, art. 3,
    comma 3; Cost., art. 5).
(GU n.3 del 21-1-1998 )
   Ricorso per conflitto di attribuzioni della provincia  autonoma  di
 Trento,   in   persona   del   presidente  della  giunta  provinciale
 pro-tempore dott.  Carlo  Andreotti,  autorizzato  con  deliberazione
 della  giunta  provinciale  n.  14549  del  12 dicembre 1997 (all. 1)
 rappresentata e difesa - come da procura  speciale  del  16  dicembre
 1997  (rep.  n.    21405) rogata dall'ufficiale rogante dirigente del
 servizio affari generali dott. Tommaso Sussarellu (all.  2)  -  dagli
 avvocati  Giandomenico  Falcon  di  Padova e Luigi Manzi di Roma, con
 domicilio eletto  in  Roma  presso  lo  studio  dell'avv  Manzi,  via
 Confalonieri, 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri; per
 la dichiarazione che non spetta allo Stato di dettare con il d.P.R. 8
 settembre   1997,   n.  357,  regolamento  recante  attuazione  della
 direttiva  92/43/CEE  relativa  alla  conservazione   degli   habitat
 naturali e seminaturali, nonche' della flora e della fauna selvatiche
 (in  Gazzetta  Ufficiale  n. 248 del 23 ottobre 1997), una disciplina
 vincolante   ed  istitutiva  di  poteri  sovraordinati  di  autorita'
 centrali dello Stato, destinata ad operare anche  in  relazione  alla
 provincia autonoma di Trento, nonche' per il conseguente annullamento
 del predetto regolamento nella parte in cui contiene tale disciplina,
 e  segnatamente  negli  artt.  1, comma 4; 3, commi 1, 2, e 3; 5 (ivi
 compreso il richiamato allegato G); 6; 7, comma 2; 8,  comma  5;  10,
 commi l e 3; 11; 12; 15; 16; per violazione:
     dell'art.  8,  nn.  5),  6),  15), 16), 21), nonche' dell'art. 16
 dello statuto e delle relative norme di attuazione,  con  particolare
 riferimento  al  decreto  del  Presidente della Repubblica n. 526 del
 1987 ed al decreto del Presidente della Repubblica n. 266 del 1992;
     della legislazione statale ordinaria e - in particolare  -  degli
 artt.  4  e  9  della  legge 9 marzo 1989, n. 86, e dell'art. 8 della
 legge n. 59 del 1997;
 per i profili e nei modi di seguito illustrati.
                            Fatto e diritto
   1. - Premessa e quadro generale.
   Il  presente  ricorso  e'  rivolto  avverso  un  atto  statale   di
 recepimento  della  direttiva  comunitaria  92/43/CEE  relativa  alla
 conservazione degli habitat naturali e  seminaturali,  nonche'  della
 flora e della fauna selvatiche, ma in nessun modo ed in nessuna parte
 esso  e  rivolto  a contestare il contenuto di tale direttiva, ne' la
 necessita' che ad essa si  dia  piena  e  completa  attuazione.  Cio'
 posto,  non  si  puo' tuttavia evitare di inserire la vicenda di tale
 attuazione nel contesto costituzionale e statutario dei rapporti  tra
 lo Stato e le regioni e province autonome.
   Va  percio' ricordato in primo luogo che la ricorrente provincia ha
 nelle materie di competenza primaria (quali sono tutte le materie  di
 riferimento  della  tutela  dell'ambiente:  urbanistica,  tutela  del
 paesaggio, caccia e pesca, alpicoltura e  parchi  per  la  protezione
 delle  flora  e  della fauna, agricoltura, foreste e Corpo forestale)
 facolta' di diretta attuazione delle direttive comunitarie.  Cio'  e'
 stabilito  dall'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica n.
 526 del 1987, ed e' ribadito dall'art. 9,  comma  1,  legge  9  marzo
 1989, n. 86.
   Sia   consentito   anche   ricordare   -  sul  piano  del  fatto  e
 dell'interesse della ricorrente - che la speciale conformazione e  le
 particolari  caratteristiche  della  provincia  di Trento rendono per
 essa particolarmente importanti e vitali le competenze nelle  materie
 oggetto  del  presente  ricorso,  dal momento che gia' attualmente le
 aree protette rappresentano una componente importante del  territorio
 provinciale, e che l'attuazione della direttiva comunitaria ampliera'
 ancora l'area soggetta a tutela.
   Il  quadro  dei possibili rapporti tra fonti statali e fonti locali
 nell'attuazione delle direttive  comunitarie  e'  disciplinato  dallo
 stesso art. 9 della legge n. 86/1989, distintamente per l'ipotesi che
 la  regione  o  provincia  autonoma  abbia  gia' dato attuazione alla
 direttiva o meno. Nel caso sia stata data prima  autonoma  attuazione
 le   regioni   e  province  autonome,  nelle  materie  di  competenza
 esclusiva, "si adeguano alla  legge  dello  Stato  nei  limiti  della
 Costituzione e dei rispettivi statuti" (comma 3, secondo periodo); in
 mancanza  di attuazione il comma 4 dispone che si applichino tutte le
 "disposizioni dettate per  l'adempimento  degli  obblighi  comunitari
 dalla  legge  dello Stato" ovvero dal regolamento autorizzato in base
 agli artt. 3 e 4 della stessa legge.
   Da   tale  sistema  deriva  che  il  regolamento  con  cui  si  dia
 eventualmente   attuazione   alle   direttive    comunitarie    trova
 applicazione  soltanto  in  via  suppletiva,  onde  assicurare in via
 provvisoria l'adempimento degli obblighi comunitari, ma non opera mai
 sul piano dei vincoli tra legge statale e  legge  regionale,  e  puo'
 essere  sostituito  integralmente dalla normativa locale, senza poter
 esercitare su di essa alcun condizionamento sul predetto piano.
   In definitiva, se e' vero che l'attuazione di direttive comunitarie
 in via regolamentare, prevista in termini generali dall'art. 4  della
 legge  n.  86/1989,  non e' a priori esclusa neppure nelle materie di
 potesta' legislativa regionale, e' altrettanto vero che essa in  tali
 materie non puo' svolgere il ruolo tipico della legge nel definire il
 quadro  delle  rispettive  potesta'  e vincoli tra Stato e regioni (e
 province autonome), ma puo' svolgere un ruolo  puramente  sussidiario
 nel  porre  una  normativa  suppletiva,  pur se si tratti di un ruolo
 importante nel  corrispondere  alle  esigenze  della  responsabilita'
 comunitaria della comunita' nazionale.
   Infatti, secondo le accennate disposizioni di norme di attuazione e
 di  legge ordinaria, a definire il quadro delle rispettive potesta' e
 vincoli tra Stato e regioni e province autonome non puo' essere  (nel
 rispetto delle prerogative costituzionali degli enti interessati) che
 la  legge  statale. La prescrizione dell'art. 4, comma 3, della legge
 n. 86 del 1989, secondo la quale, "se le direttive consentono  scelte
 in  ordine  alle  modalita'  della  loro  attuazione,o  se  si  rende
 necessario introdurre sanzioni penali o amministrative od individuare
 le  autorita'  pubbliche  cui  affidare  le  funzioni  amministrative
 inerenti  alla applicazione della nuova disciplina", tocca alla legge
 comunitaria di dettare le "relative disposizioni"  trova  una  ancora
 piu'  pregnante  specificazione  quando  si  tratti  di  stabilire  i
 rapporti e le potesta' reciproche tra Stato  e  regioni,  secondo  la
 apposita disciplina dell'art.  9.
   Il  regolamento  non  puo'  innovare  le  competenze reciprocamente
 stabilite tra Stato  e  regioni,  ma  deve  limitarsi,  recependo  la
 normativa  posta  dalla  direttiva, a statuire le regole sostanziali,
 procedurali ed organizzative in base  alle  quali  tali  preesistenti
 competenze reciproche possano esercitarsi.
   La  regola  ora  illustrata  circa  la  funzione  e  i  limiti  del
 regolamento ha una sua ragione profonda,  che  sta  ovviamente  nella
 necessita'   che  i  rapporti  tra  le  istituzioni  della  comunita'
 nazionale e delle comunita' regionali siano  tracciate  dagli  organi
 assembleari  rappresentativi,  e  non  dal Governo. E' percio' che il
 regolamento non puo' operare alterazioni del rapporto  Stato-regioni,
 e  che  lo  stesso  regolamento attuativo di direttiva comunitaria in
 materia regionale e' ammissibile proprio in quanto non si  propone  e
 non  puo' proporsi lo scopo di alterare o disciplinare tali rapporti,
 ma soltanto quello urgente  e  preminente  di  dare  attuazione  alla
 direttiva  evitando  l'inadempimento  dello  Stato  italiano  nel suo
 complesso.
   Va sottolineato come l'assetto dei rapporti tra  Stato  e  province
 autonome  qui  illustrato  sia  anche  perfettamente  coerente con la
 cornice elaborata - con riferimento alle stesse problematiche ed alle
 stesse normative - da codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale  con  la
 sentenza n. 126 del 1996. In tale sentenza si enucleano distintamente
 le  ipotesi  in  cui  le  norme  comunitarie  "possono legittimamente
 prevedere, per esigenze organizzative  proprie  dell'Unione  europea,
 forme   attuative   di  se'  medesime,  e  quindi  normative  statali
 derogatrici"  rispetto  al  "quadro   della   normale   distribuzione
 costituzionale  delle  competente"  (punto  5  in  diritto,  lett c).
 Tuttavia tali ipotesi devono risultare direttamente  dalla  normativa
 comunitaria, e sono eccezionali rispetto alla regola generale secondo
 la  quale  "l'attuazione  negli  Stati membri delle norme comunitarie
 deve tenere conto della struttura (accentrata, decentrata,  federale)
 di  ciascuno  di  essi",  e  secondo  la  quale, dunque, "l'Italia e'
 abilitata, oltre che tenuta dal suo stesso diritto costituzionale,  a
 rispettare il suo fondamentale impianto regionale" (lett. a).
   Ma  l'ipotesi  di deroga al riparto costituzionale di competenze ad
 avviso della ricorrente provincia pacificamente non ricorre nel  caso
 di  specie:  e  dunque  ci  troviamo  nell'ambito nel quale a ciascun
 soggetto dotato di  autonomia  costituzionale  spetta  di  "agire  in
 attuazione   o  in  esecuzione",  mantenendosi  "entro  l'ambito  dei
 consueti rapporti  con  lo  Stato  e  dei  limiti  costituzionalmente
 previsti"  (ivi). Entro tali rapporti e limiti "lo Stato e' abilitato
 all'uso di tutti gli strumenti consentitigli, a seconda della  natura
 della  competenza  regionale  (e  provinciale),  per  fare valere gli
 interessi  di  cui  e'  portatore"  (ivi),  tra  i  quali  anche,  in
 particolare,  l'interesse  ad  evitare la responsabilita' comunitaria
 derivante da inattuazione,  in  particolare  mediante  i  poteri  "di
 legislazione  di  principio  e  di  dettaglio suppletiva e cedevole e
 quelli di indirizzo e coordinamento riconosciuti  dall'art.  9  della
 legge 9 marzo 1989, n. 86".
   Ed  e'  chiaro  altresi',  in questo contesto, che a ciascuno degli
 strumenti a disposizione dello Stato corrisponde un effetto proprio e
 distinto, nell'ambito dei rapporti costituzionali tra i  soggetti  di
 autonomia:   in   particolare,   l'attuazione  regolamentare  di  una
 direttiva non puo' disporre - come  sopra  esposto  -  che  le  norme
 strettamente  necessarie  ad introdurre la direttiva nell'ordinamento
 interno mettendo in condizione  i  soggetti  titolari  di  competenze
 nella  materia  di  utilizzarle  nell'ambito  della cornice normativa
 europea.
   A questo  criterio  non  si  attiene  affatto  il  regolamento  qui
 impugnato,  il  quale  da  una parte illegittimamente assume il ruolo
 della legge nel definire i rapporti tra Stato e  regioni,  dall'altra
 ancor piu' illegittiniamente configura tali rapporti attribuendo alle
 autorita'  centrali  dello  Stato  una  serie  di  compiti  e  poteri
 sovraordinati  o  comunque  interferenti  con  le  competenze   della
 ricorrente  provincia,  la cui intestazione al Ministero non trova in
 nessun modo giustificazione e copertura nella normativa  comunitaria,
 e   che   sono  percio'  illegittimamente  invasivi  delle  autonomie
 costituzionalmente garantite.
   Di  qui  la  necessita'  che   i   poteri   che   determinano   una
 sovraordinazione  dello  Stato  siano  fatti cadere, e che quelli che
 sono in quanto  tali  necessari  per  attuare  la  direttiva  vengano
 riportati  alla loro naturale sede costituzionale e statutaria, cioe'
 al livello locale.
   2. - Illegittimita' dell'art. 1, comma 4.
   Il  comma  4  dell'art.  1  dell'impugnato regolamento (relativo al
 Campo di applicazione) dispone che "le regioni a statuto  speciale  e
 le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono all'attuazione
 degli  obiettivi  del  presente  regolamento  nel  rispetto di quanto
 previsto  dai  rispettivi  statuti  e   dalle   relative   norme   di
 attuazione".
   Va detto in primo luogo che, al di la' della apparente ovvieta, non
 e' agevole intendere il signicato della disposizione.
   Si  potrebbe  infatti  considerare  che  gli "obbiettivi" posti dal
 regolamento altro non sono che gli obbiettivi stessi della direttiva,
 e che  percio'  la  disposizione  si  limiterebbe  a  ricordare  alle
 autonomie  speciali  il gia' preesistente obbligo di attuazione della
 normativa comunitaria. Ora, pur non essendo  dubbio  che,  intesa  la
 disposizione  in  questi  termini, essa non avrebbe carattere lesivo,
 sia tuttavia  consentito  osservare  che  intesa  a  questo  modo  la
 disposizione  risulterebbe  del  tutto  inutile e priva di contenuto.
 Inoltre, il vincolo agli obbiettivi della direttiva  non  vale  certo
 soltanto  per  le  autonomie  speciali,  ma  ovviamente  anche per le
 regioni  ordinarie:  sicche'  anche  sotto  questo  profilo  non   si
 intenderebbe il senso della norma.
   Scartata  percio'  tale  interpretazione  "riduttiva",  si dovrebbe
 ritenere che la norma sia rivolta proprio allo scopo di differenziare
 la  posizione  delle  autonomie  speciali  da  quella  delle  regioni
 ordinarie,  sottoponendo  le prime al "solo" vincolo agli obbiettivi,
 le seconde all'intera disciplina.
   Ma anche tale interpretazione non e' soddisfacente. La disposizione
 risulterebbe ad  un  tempo  inidonea  allo  scopo  che  la  normativa
 palesemente  si  prefigge  ed  eccessiva  rispetto a tale scopo. Essa
 risulterebbe  inidonea  allo  scopo   di   dare   intanto   immediata
 operativita'  alla  normativa  comunitaria,  dato  che ne rinvierebbe
 l'applicazione  nelle  regioni  e  province   autonome   al   momento
 dell'adeguamento;  ma  risulterebbe  anche  eccessiva rispetto a tale
 scopo, dato che verrebbe  in  ogni  modo  a  subordinare  l'attivita'
 legislativa ed amministrativa della provincia autonoma di Trento agli
 obbiettivi posti da un atto regolamentare.
   Non  varrebbe  obbiettare che il comma 6 dell'art. 9 della legge n.
 86 del 1989 espressamente prevede che  la  funzione  di  indirizzo  e
 coordinamento  possa  essere  esercitata  anche  "con  il regolamento
 dell'art. 4".  Infatti,  la  stessa  disposizione  che  prevede  tale
 possibilita'  dispone  che  tale funzione possa essere esercitata con
 regolamento "sulla base della legge comunitaria"; ed e' da  intendere
 -  ad  avviso  della ricorrente provincia - che tale base nella legge
 comunitaria non consista semplicemente nell'esistenza in  tale  legge
 della  autorizzazione  alla attuazione regolamentare della direttiva,
 dato che tale esigenza era ovvia e comunque gia' stabilita  dall'art.
 4  cui  era  fatto  rinvio,  ma  debba consistere in quello specifico
 fondamento legislativo che secondo costante e pacifica giurisprudenza
 costituzionale e' comunque necessario  per  l'esercizio  in  via  non
 legislativa della funzione di indirizzo.
   Inoltre,  sia  consentito  osservare  che  se  il  regolamento  qui
 controverso dovesse intendersi come modo di esercizio della  funzione
 di  indirizzo  e coordinamento, ad esso non potrebbero non applicarsi
 le norme specificamente previste per tale funzione dalla legislazione
 successiva.  In  particolare,  per  quanto  riguarda  la   ricorrente
 provincia,  scatterebbe  il  dovere di previa consultazione stabilito
 dall'art. 3, comma 3,  del  decreto  legislativo  n.  266  del  1992:
 sicche'  il  regolamento sarebbe di per se' illegittimo gia' per tale
 sola violazione. Inoltre non puo' non essere ricordato che  l'art.  8
 della  legge  n.  59  del  1997  prevede  che gli atti di indirizzo e
 coordinamento  siano  emanati  dallo  Stato  previa  intesa  con   la
 Conferenza  Stato-regioni,  mentre  dalle  stesse  premesse dell'atto
 risulta che la conferenza e' Stato  semplicemente  "sentita",  e  che
 anzi  essa  ha  dato una valutazione sostanzialmente sfavorevole (non
 essendo stati accolti gli emendamenti cui era subordinato  un  parere
 favorevole).
   3. - Illegittimita' dell'art. 3, commi 1 e 2.
   Qualunque  sia  il  significato  da attribuire all'art. 1, comma 4,
 come sopra illustrato,  esso  e'  in  ogni  modo  contraddetto  dalla
 circostanza  che  nel suo insieme il regolamento qui impugnato appare
 destinato ad applicarsi direttamente anche nelle regioni  speciali  e
 province  autonome.  Cio'  e'  in  particolare  innegabile per quelle
 disposizioni che, come l'art. 3, esplicitamente si riferiscono  anche
 alle autonomie speciali e segnatamente alle province autonome.
   Ora,  si  e' gia' detto in premessa che la ricorrente provincia non
 contesta in se' l'uso del regolamento quale modo per dare  attuazione
 a   normativa   comunitaria   ed  evitare  cosi'  la  responsabilita'
 comunitaria dello Stato, ma cio' in quanto il regolamento si limiti a
 produrre tale attuazione nel quadro costituzionale delle  competenze,
 senza alterare i poteri rispettivi di Stato e autonomie.
   L'art.  3  dispone  al  comma  1 che le regioni e province autonome
 individuano "i siti in cui si trovano  i  tipi  di  habitat  elencati
 nell'allegato  A  ed  habitat  delle specie di cui all'allegato B" ai
 fini "della formulazione della proposta del  Ministero  dell'ambiente
 alla  Commissione  europea,  dei  siti di importanza comunitaria, per
 costituire la rete ecologica europea coerente  di  zone  speciali  di
 conservazione  comunitaria  denominata  "Natura  2000"".  Il  comma 2
 precisa  poi  che  il  Ministro  dell'ambiente,  in  attuazione   del
 programma  triennale  per  le  aree  naturali  protette, "designa con
 proprio decreto i siti di cui al comma  1  quali  "Zone  speciali  di
 conservazione",   entro   il  termine  massimo  di  sei  anni,  dalla
 definizione, da  parte  della  Commissione  europea  dell'elenco  dei
 siti".
   Il  senso  di  tali  disposizioni  e'  complessivamente poco chiaro
 nell'individuazione delle responsabilita' rispettive delle  autonomie
 e del Ministero.
   In ogni modo, essendo escluso che la direttiva 92/43/CEE di per se'
 esiga o suggerisca l'imputazione al Ministero o comunque ad autorita'
 centrali di un ruolo di decisione sostanziale, il regolamento volto a
 recepire  tale  normativa non puo' introdurre poteri ministeriali che
 non trovino gia' oggi fondamento e copertura legislativa, e  che  nei
 termini  indicati  invadono  le  competenze  provinciali con le quali
 interferiscono.
   In altri  termini,  tali  compiti  ministeriali  potrebbero  essere
 salvati  soltanto  se  dovessero  essere  intesi come meri compiti di
 formalizzazione e trasmissione di determinazioni sostanziali  assunte
 in sede locale.
   4. - Illegittimita' dell'art. 3, comma 3.
   Il  comma  3  dell'art.  3 stabilisce che "al fine di assicurare la
 coerenza  ecologica   della   rete   "Natura   2000",   il   Ministro
 dell'ambiente  d'intesa  con  la Conferenza permanente per i rapporto
 tra lo Stato, le regioni e le provincie (sic) autonome di Trento e di
 Bolzano,  definisce  nell'ambito  delle linee fondamentali di assetto
 del territorio, di cui all'art. 3 della legge  6  dicembre  1991,  n.
 394,  le  direttive  per  la  gestione  delle  aree  di  collegamento
 ecologico funzionale, che rivestono primaria importanza per la  fauna
 e la flora selvatiche".
   Si tratta di un potere ministeriale che non ha il minimo fondamento
 nella  direttiva  da  attuare,  che  interferisce  in modo atipico ed
 anomalo  con  le  potesta'  legislative   ed   amministrative   della
 provincia,  e che come tale non potrebbe essere istituito neppure con
 legge; meno ancora, ovviamente,  esso  puo'  essere  previsto  da  un
 regolamento,   in   assenza   di   qualunque   specifico   fondamento
 legislativo.
   5) Illegittimita dell'art 5, e dell'allegato G in esso  richiamato,
 nonche' dell'art. 6.
   L'art. 5 del regolamento, dopo avere disposto al comma 1 che "nella
 pianificazione  e  programmazione  territoriale  si deve tenere conto
 della  valenza  naturalistico-ambientale  dei  siti   di   importanza
 comunitaria"  (cosa  che  puo' dirsi gia' insita nel concetto stesso,
 stabilisce al comma  2  che  i  "proponenti  di  piani  territoriali,
 urbanistici  e di settore, ivi compresi i piani agricoli e faunistici
 venatori" devono presentare "nel caso di piani a rilevanza nazionale"
 una "relazione documentata" di impatto al Ministero dell'ambiente con
 i contenuti stabiliti nell'allegato G.
   Uguale onere hanno, secondo il comma 3, i "proponenti  di  progetti
 riferibili   alle  tipologie  progettuali"  di  cui  al  decreto  del
 Presidente del Consiglio dei Ministri n. 377 del 1988 e quelle di cui
 agli allegati A e B del d.P.R. 12 aprile 1996, nel caso in  cui  agli
 specifici  interventi  non si applichi la procedura di valutazione di
 impatto ambientale, qualora questa  sia  di  per  se'  di  competenza
 statale.
   Sul  base  di  tali  relazioni, secondo il comma 6, il Ministro per
 l'ambiente dovrebbe effettuare la "valutazione di incidenza dei piani
 o progetti sui siti di importanza comunitaria", secondo la  procedura
 ivi descritta.
   L'autorita'   competente  all'approvazione  del  piano  o  progetto
 acquisisce tale valutazione di  incidenza  (comma  7)  la  quale,  se
 negativa,  impedisce  la realizzazione degli interventi progettati, a
 meno  che  questa  non  sia  imposta,  in  mancanza  di   alternative
 possibili,  per  "motivi  imperativi  di  interesse pubblico, inclusi
 motivi di natura sociale ed economica":   ed in  tale  caso  dovranno
 essere  adottate  misure compensative per garantire la coerenza della
 rete (comma 8). Regole analoghe ma piu' restrittive valgono,  secondo
 il comma 9, "qualora nei siti ricadono (sic) tipi di habitat naturali
 e specie prioritari".
   La  necessita'  della valutazione di incidenza e le sue conseguenze
 sulle  decisioni  da  assumere  sono  disposte  dall'art.   6   della
 direttiva,  ed  esse  sono  al di fuori della contestazione di cui al
 presente ricorso.   Cio'  che  si  contesta  invece,  e  che  non  e'
 minimamente  imposto ne' soltanto suggerito dalla direttiva, e' che a
 tale valutazione di incidenza possa essere  competente  il  Ministero
 dell'ambiente, in deroga all'ordinario riparto delle competenze.
   Come  gia'  illustrato,  il regolamento puo' soltanto dettare norme
 idonee ad evitare la responsabilita' comunitaria dello Stato, ma  non
 puo'  intervenire  a  riservare allo Stato potere alcuno, che non sia
 strettamente necessario per l'attuazione della  direttiva,  incidendo
 sul riparto costituzionale delle funzioni. Meno ancora ad esso spetta
 di  individuare  una  speciale  nozione  -  che  fino ad oggi risulta
 sconosciuta - di "piano di rilevanza nazionale" ne' di affidare  alla
 valutazione statale progetti di opere per le quali non sia prescritta
 dalla   legge   la  valutazione  di  impatto  ambientale  di  livello
 nazionale.
   Posto dunque che e' assolutamente  illegittima  la  sottrazione  di
 parti  di materie alla competenza provinciale, e la loro attribuzione
 alla sede  ministeriale,  va  poi  aggiunto  che  lo  stesso  art.  5
 disciplina  la  procedura  per  la valutazione di incidenza anche nei
 casi in cui il regolamento stesso mantiene la competenza provinciale,
 stabilendo i contenuti della relazione  ed  ogni  regola  procedurale
 necessaria.    Va qui ribadito che anche tali disposizioni - che pure
 mantengono la competenza  locale  -  sono  di  per  se'  invasive  di
 potesta' legislative locali, e possono essere fatte salve soltanto se
 intese  quali  disposizioni meramente suppletive, intese a consentire
 l'immediata operativita' della direttiva e destinate a venire meno in
 seguito alla legislazione locale, senza potere esercitare su di  essa
 alcun vincolo che non discenda gia' dalla direttiva.
   In  particolare  va osservato che esse non possono comunque trovare
 applicazione - neppure in via transitoria - per quelle opere  per  le
 quali sia prescritta dalla legislazione provinciale (e in particolare
 dalla  legge provinciale 29 agosto 1988, n. 28 come modificata con le
 leggi nn. 3 e 33 del 1990 nonche' n. 21 del  1993)  la  piu'  gravosa
 procedura   della   valutazione   di  impatto  ambientale,  la  quale
 applichera' la direttiva comunitaria assumendo in relazione  al  sito
 comunitario anche il significato della valutazione di incidenza.
   L'art. 6 del regolamento dispone l'applicazione dello stesso regime
 ora  descritto  "anche  alle  zone  di cui all'art. 1, comma 5, della
 legge 11 febbraio 1992, n. 157". Per le stesse ragioni sopra  esposte
 dunque  anch'esso e' illegittimo ed invasivo, essendo ogni intervento
 relativo a tali zone di competenza provinciale.
   6. - Illegittimita' dell'art. 7, comma 2.
   L'art. 7, comma 1, dispone che "le regioni e le  province  autonome
 di  Trento  e  di  Bolzano adottano le idonee misure per garantire il
 monitoraggio dello  stato  di  conservazione  delle  specie  e  degli
 habitat naturali di interesse comunitario, con particolare attenzione
 a    quelli    prioritari,   dandone   comunicazione   al   Ministero
 dell'ambiente". Tale disposizione puo' considerarsi corrispondente al
 ruolo del  regolamento  di  dare  attuazione  alla  direttiva,  senza
 alterare  nella  materia  i  ruoli  predefiniti delle regioni e dello
 Stato.
   Lo stesso non si puo' tuttavia dire per il comma 2, a  termini  del
 quale  "il  Ministero  dell'ambiente  definisce  con proprio decreto,
 sentiti per quanto  di  competenza  il  Ministero  per  le  politiche
 agricole  e  l'Istituto  nazionale  per  la fauna selvatica, le linee
 guida per il monitoraggio". Infatti con tale disposizione governativa
 il "Ministero" (non e' chiaro neppure per quale ragione si usi qui  e
 in   seguito  tale  espressione  anziche'  l'indicazione  dell'organo
 "Ministro": l'arbitrarieta' sarebbe solo aggravata se  si  intendesse
 cosi'  affidare l'esercizio della competenza ad atti dirigenziali) si
 arroga  un  potere  di sovraordinazione che corrisponde, di nuovo, ad
 una ingerenza attuata mediante una  anomala  e  atipica  funzione  di
 indirizzo  e  coordinamento,  tuttavia  totalmente  al di fuori delle
 relative regole di esistenza e di esercizio.
   La radicale illegittimita'  della  disposizione  non  impedisce  di
 osservare che essa viola anche il principio di leale cooperazione tra
 Stato  e regioni, in quanto, in un procedimento che pure si preoccupa
 di "acquisire" la voce delle altre amministrazioni  statali  ritenute
 interessate  al  tema,  non  si preoccupa minimamente di acquisire la
 partecipazione degli unici soggetti idonei a dare un contributo reale
 all'elaborazione di eventuali linee guida per il monitoraggio, ovvero
 le autonomie che ne hanno pratica esperienza e che devono  compierlo.
 Piu'  gravemente  ancora, la mancata previsione dell'intesa richiesta
 dall'art. 8 della legge n. 59 del  1997  costituisce  una  chiara  ed
 illegittima  elusione  dei  vincoli posti dalla legge per gli atti di
 indirizzo e coordinamento.
   Con regolamento dunque  il  Governo  si  autoassegna  poteri  sulle
 regioni  e  sulle  province  autonome  di  Trento  e di Bolzano, e si
 autoesonera persino dai vincoli  e  dalle  modalita'  previste  dalla
 legge per l'esercizio di tali poteri|
   E'   palese   che  solo  una  pronuncia  di  codesta  ecc.ma  Corte
 costituzionale radicalmente demolitoria di tali poteri puo' riportare
 i rapporti Stato-regioni nel giusto binario costituzionale.
   7. - Illegittimita' dell'art. 8, comma 5.
   Nei commi da l a 4  l'art.  8  puo'  considerarsi  attuativo  della
 direttiva  comunitaria.  Il  comma  1,  in  particolare, riproduce in
 sostanza  i  divieti  posti  dall'art.  12   della   direttiva,   con
 riferimento   all'allegato  IV  (corrispondente  all'allegato  D  del
 regolamento): anche se, per vero, vi sono nel recepimento  variazioni
 delle  quali non e' chiaro il significato, quali la soppressione alle
 lett.  a),  b)  e  c)  del  comma  1  del  requisito  del   carattere
 "deliberato" dell'azione proibita.
   Si noti che i divieti non sono nella normativa statale assistiti da
 sanzioni,  e  che  non  in tutti i casi si puo' supporre che sanzioni
 previste   in   generale   gia'   esistano    nell'ordinamento,    Ma
 l'impossibilita'  di disporre sanzioni e' altra regola codificata per
 l'attuazione regolamentare delle direttive (art. 4, comma 3, legge n.
 86/1989), ed a questo  limite  il  Governo  si  e'  attenuto.  Rimane
 comunque  che i primi quattro commi sono annoverabili tra cio' che e'
 necessario disporre per operare il recepimento della direttiva.
   Non cosi' per il  comma  5,  con  il  quale  di  nuovo  il  Governo
 autoinveste  il "Ministero" di un potere di sovraordinazione rispetto
 alle regioni e alle province autonome. Vi si dispone infatti  che  il
 Ministero  "in base alle informazioni raccolte" (|) promuova ricerche
 o addirittura "indichi" le "misure necessarie per assicurare  che  le
 catture  o uccisioni accidentali non abbiano un significativo impatto
 negativo sulle specie in questione".
   Di nuovo, si tratta di un potere ministeriale arbitrario, o  di  un
 anomalo ed atipico atto di indirizzo.
   8. - Illegittimita' dell'art. 10, commi 1 e 3.
   Considerazioni  simili richiede il comma 1 dell'art. 10, secondo il
 quale "il Ministero dell'ambiente, sentiti per quanto  di  competenza
 il  Ministero per le politiche agricole e l'Istituto nazionale per la
 fauna selvatica, qualora risulti necessario ... con  proprio  decreto
 stabilisce  adeguate  misure  affinche'  il  prelievo,  nell'ambiente
 naturale, degli esemplari delle specie di fauna e flora selvatiche di
 cui all'allegato E, nonche' il loro sfruttamento,  siano  compatibili
 con   il   mantenimento   delle  suddette  specie  in  uno  stato  di
 conservazione soddisfacente".
   Si resta stupiti dalla disinvoltura (se non si vogliono usare  piu'
 forti  parole)  con  cui  nella  sostanza  il Ministero attraverso il
 regolamento governativo si dota di  poteri  la  cui  intestazione  al
 Ministero  non e' in alcun modo disposta dalla normativa comunitaria,
 poteri che violano il riparto costituzionale delle competenze, e  che
 per   di  piu'  nel  caso  specifico  sono  totalmente  generici  nei
 presupposti, nei contenuti e nei fini, violando lo  stesso  principio
 di  legalita'.    Il  presupposto infatti e' che l'intervento risulti
 "necessario", il contenuto sono misure "adeguate", i fini  uno  stato
 di   conservazione   "soddisfacente"  della  fauna  selvatica:  tutte
 clausole indeterminate che alla fine rimettono  qualunque  intervento
 alla pura discrezionalita' del "Ministero".
   L'arbitrarieta'  di  tutto  cio' e' palese, e lo diviene ancor piu'
 quando si esaminino le attribuzioni che tra l'altro il  Ministero  si
 e'  autoassegnato,  descritte dalle lettere da a) ad h). Esse infatti
 rivelano che in tale modo  si  vorrebbero  espropriare  le  autonomie
 costituzionali  e la provincia di Trento in particolare delle proprie
 potesta'  di  disciplina  della  materia  appartenente  alla  propria
 potesta'  primaria.  Infatti  le  lettere  da  a) ad f) consentono al
 Ministero diretti interventi di regolazione sia generale che  locale,
 mentre  le  rimanenti  lettere attengono alle funzioni amministrative
 della ricorrente provincia. Naturalmente, quello che qui si  contesta
 non  sono  i  compiti  regolativi  ed amministrativi in quanto tali -
 compiti la cui definizione rimonta all'art. 14 della direttiva  -  ma
 la  loro  illegittima intestazione al Ministero; mentre si tratta dei
 tipici compiti spettanti alla ricorrente provincia.
   Piu'  nascosta,  ma  non   meno   percepibile,   e'   la   parziale
 illegittimita' del comma 3 dello stesso articolo 10. In parte infatti
 tale  disposizione  risulta  realmente  attuativa  di quanto disposto
 dall'art. 15  della  direttiva  comunitaria  da  attuare.  In  questi
 limiti, la disposizione risulta dunque legittima.
   Essa  tuttavia  diverge dalla disciplina comunitaria da un lato la'
 dove si riferisce alle  specie  dell'intero  allegato  E,  mentre  la
 normativa   comunitaria   si  riferisce  alla  sola  lettera  a)  del
 corrispondente allegato V, dall'altro la' dove essa pone  un  divieto
 incondizionato,  mentre  la  normativa  comunitaria  fa  scattare  il
 divieto solo al verificarsi dell'ipotesi contestualmente prevista.
   Ne'  varrebbe  obbiettare  che,   per   principio   consolidato   e
 generalmente  ammesso,  la normativa nazionale puo' disporre forme di
 tutela piu' severe di quelle disposte  dalla  normativa  comunitaria:
 perche'  cio' vale da una parte entro il consueto quadro dei rapporti
 con la legge regionale (per cui in relazione alla  potesta'  primaria
 della  ricorrente  provincia  potrebbe  valere  soltanto  a titolo di
 riforma economica e sociale, il  che  non  e'  certo  qui  il  caso),
 dall'altra cio' vale appunto per il rapporto tra leggi, mentre e' del
 tutto  precluso  al  regolamento  statale di dettare limitazioni alla
 legge  regionale  futura,  o  introdurre  inesistenti  limiti   nella
 legislazione   regionale   vigente  se  tali  limitazioni  non  siano
 strettamente necessarie al recepimento della normativa comunitaria.
   9. - Illegittimita' dell'art. 11.
   L'art.   11   risulta  particolarmente  lesivo  delle  attribuzioni
 provinciali in materia di caccia, ed e' anch'esso, come le precedenti
 disposizioni, completamente arbitrario.
   Il comma 1  addirittura  riserva  al  "Ministero  dell'ambiente"  -
 sentite le solite connesse amministrazioni statali, e come sempre del
 tutto ignorati i titolari delle competenze costituzionali| - i poteri
 di  deroga  ai  divieti  generali:  poteri di deroga che non solo non
 possono essere intestati al  Ministero  per  le  ragioni  piu'  volte
 esposte   nel   presente   ricorso,   ma  che  inoltre  evidentemente
 presuppongono valutazioni da compiersi in concreto ed in sede locale,
 e la cui spettanza al livello locale  viene  considerata  pacifica  e
 normale anche da parte delle istituzioni comunitarie.
   D'altronde,  la  stessa  direttiva  fa obbligo agli Stati membri di
 comunicare tra l'altro, nella relazione biennale  prevista  dall'art.
 16,  "l'autorita'  abilitata  a  dichiarare  e  a  controllare che le
 condizioni richieste sono  soddisfatte  e  a  decidere  quali  mezzi,
 strutture o metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti e da
 quali  servizi  e  quali  sono  gli addetti all'esecuzione" (comma 3,
 lett. d): e il regolamento qui impugnato ripete pedissequamente  tale
 disposizione,  con  una  ripetizione  che risulta alquanto strana dal
 momento che il Ministero non potrebbe che indicare "se stesso".
   Il comma 2 dell'art. 11 riprende la disciplina di cui all'art.   15
 della  direttiva,  ma  la aggrava nella misura in cui la estende alle
 specie di cui all'allegato F, mentre la direttiva riferisce i divieti
 alle specie di cui al proprio allegato V, corrispondente all'allegato
 E  del  regolamento.   Vanno   dunque   richiamate   sul   punto   le
 argomentazioni gia' svolte in relazione all'art 10, comma 3.
   Il  comma  3  dell'art.  11  risulta legittimo se esplicitativo del
 ruolo comunque spettante al Ministero di tenere i  rapporti  generali
 con  le  istituzioni  comunitarie  e  di  trasmettere le informazioni
 richieste, mentre sarebbe anch'esso illegittimo se inteso come  fonte
 di autonomi poteri decisori.
   10. - Illegittimita' dell'art. 12.
   Anche  l'art.  12  prevede  ai commi 1 e 2 poteri ministeriali, che
 risultano illegittimi in quanto eccedano quelli gia'  previsti  dalla
 legislazione   statale   vigente   e   siano  rivolti  a  creare  una
 subordinazione delle regioni e province autonome a poteri statali.
   Va infatti considerato che i poteri ministeriali di  autorizzazione
 di cui all'art. 20 della legge n. 157 del 1992 riguardano soltanto le
 ditte  importatrici  e  soltanto le importazioni dall'estero. In ogni
 caso  il  recepimento  della  direttiva  non  puo'   comportare   una
 subordinazione   della   ricorrente   provincia   ad   un  potere  di
 autorizzazione del Ministero.
   Il comma 3  dello  stesso  articolo  disciplina  l'introduzione  di
 specie non locali subordinandola alla stessa autorizzazione di cui al
 comma  2,  e  comunque  in  termini  restrittivi  rispetto  a  quanto
 stabilito dall'art. 22 della direttiva.
   11. - Illegittimita' dell'art. 15.
   L'art. 15 del regolamento impugnato dispone che "il Corpo forestale
 dello  Stato,  nell'ambito  delle  attribuzioni  ad  esso   assegnate
 dall'art.  8, comma 4, della legge 8 luglio 1986, n. 349, e dall'art.
 21  della  legge  6  dicembre  1991,  n.  394,  esercita le azioni di
 sorveglianza connesse all'applicazione del presente regolamento".
   Per  vero,  non e' chiaro se tale disposizione sia applicabile alla
 ricorrente provincia o  meno.  In  premessa,  infatti,  al  penultimo
 "considerato" si fa espressamente salvo "quanto diversamente disposto
 per  le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e
 di Bolzano".
   Tale "salvezza" non e' tuttavia ripresa nel corpo  dell'articolato,
 ed  in  particolare all'art. 15. Non puo' dunque non farsi qui in via
 cautelativa espressa impugnazione  anche  di  tale  disposizione,  in
 quanto estenda i compiti del Corpo forestale dello Stato oltre quelli
 gia'  disposti  dalla legislazione vigente: venendo cosi' ad incidere
 le  competenze  amministrative  della  ricorrente  provincia  sia  in
 relazione  alla  generalita'  delle aree protette sia in relazione al
 Parco nazionale dello Stelvio ed alla sua peculiare disciplina.
   12. - Illegittimita' dell'art. 16.
   L'art. 16 non e' qui in contestazione nella parte in cui, recependo
 la direttiva comunitaria, la trasforma in normativa interna.  Non  e'
 percio' qui contestato il comma 1 relativamente agli allegati da A ad
 F. L'allegato G non ha invece, a quel che pare, corrispondenza alcuna
 con gli allegati della direttiva, e costituisce percio' normativa non
 necessaria  alla  sua  attuazione.  Per quanto gia' detto, dunque, e'
 illegittimo ed e' invasivo delle attribuzioni provinciali disporre  i
 relativi vincoli nella forma del regolamento del Governo.
   Il  comma  2  istituisce  un  potere  regolamentare  permanente  di
 recepimento di future modifiche agli allegati della direttiva, che ad
 avviso della ricorrente provincia non puo' dirsi compreso nel  potere
 regolamentare  disposto  dalla legge comunitaria del 1994, n, 146. Si
 tratta dunque di  un  potere  regolamentare  previsto  da  una  fonte
 regolamentare  in materia di competenza provinciale, e pertanto di un
 potere illegittimo ed invasivo.
   A maggiore ragione esso sarebbe illegittimo ed invasivo  in  quanto
 lo   si   ritenesse  comprensivo  anche  di  un  potere  di  modifica
 indipendente  da  variazioni  nei   corrispondenti   allegati   della
 direttiva  comunitaria:    come d'altronde e' inevitabile dal momento
 che tra gli allegati del regolamento uno non presenta alcun  elemento
 di corrispondenza.
   Tutto  cio'  premesso,  la  ricorrente provincia autonoma di Trento
 come sopra rappresentata e difesa  chiede  voglia,  l'eccellentissima
 Corte  costituzionale dichiarare che non spetta allo Stato di dettare
 con il d.P.R. 8 settembre 1997, n. 357, una disciplina vincolante  ed
 istitutiva di poteri sovraordinati di autorita' centrali dello Stato,
 destinata  ad  operare  anche in relazione alla provincia autonoma di
 Trento, nonche' conseguentemente annullare  il  predetto  regolamento
 nella  parte  in  cui  contiene tale disciplina, e segnatamente nelle
 disposizioni ed articoli qui impugnati.
     Padova-Roma, addi' 20 dicembre 1997
           Avv. prof. Giandomenico Falcon - avv. Luigi Manzi
 98C0003