N. 5 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 13 gennaio 1998
N. 5 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 13 gennaio 1998 (della regione Lombardia) Caccia - Deroghe alla direttiva CEE n. 409/79, concernente la conservazione degli uccelli selvatici - Modalita' per l'esercizio stabiliti dal d.P.C.M. del 27 settembre 1997 - Necessita' che tali deroghe siano adottate dalle regioni d'intesa con i Ministri dell'ambiente e per le politiche agricole - Adozione di detto decreto, da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri e in assenza di previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e regioni - Inosservanza della procedura stabilita per l'emanazione degli atti di indirizzo e coordinamento - Lesione delle competenze legislative e delle funzioni amministrative spettanti alla regione in materia di caccia, anche alla luce della legge n. 59 del 1997 (legge Bassanini) e del relativo decreto legislativo di attuazione n. 143 del 1997 - Richiamo, in particolare, alla sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 1996 - Istanza di sospensione. (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 settembre 1997). (Costituzione artt. 97, 117 e 118; legge 11 febbraio 1992, n. 157, artt. 1, 2, 9, 18, commi 3 e 4; d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143, artt. 1 e 2; legge regione Lombardia 30 agosto 1997, n. 34; legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 8).(GU n.8 del 25-2-1998 )
Ricorso per conflitto di attribuzione della regione Lombardia, in persona del Presidente pro-tempore della Giunta, on. Roberto Formigoni, ai sensi della delibera di Giunta n. 32454 del 14 novembre 1997, rappresentato e difeso dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto, e presso il suo studio elettivamente domiciliato, in Roma, via Torquato Taramelli, 22, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore, per l'annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 settembre 1997, recante "Modalita' di esercizio delle deroghe di cui all'art 9 della direttiva 409/1979/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici", pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 254 del 30 ottobre 1997. F a t t o La direttiva CEE 409/1979, all'art. 9, prevede la possibilita' che gli Stati membri, per la tutela di interessi specificatamente individuati al comma 1, lettere a), b) e c), possano derogare ai divieti di caccia, stabiliti nei precedenti artt. 5, 6, 7, e 8, indicando le specie oggetto delle deroghe stesse; i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura autorizzati; le condizioni di rischio, i tempi e i luoghi; l'autorita' abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite siano state realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, con quali limiti e da quali persone. La legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio", dopo aver stabilito, all'art. 1, comma 3, che "le regioni a statuto ordinario provvedono ad emanare norme relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformita' alla presente legge, alle convenzioni internazionali e alle direttive comunitarie", al comma 4, recepisce espressamente una serie di direttive CEE, tra le quali la direttiva n. 79/409 del Consiglio del 2 aprile 1979, con i relativi allegati. L'art. 9 della legge n. 157/1992, inoltre, attribuisce alle regioni le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico venatoria ed i compiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previsti dalla legge stessa e dagli statuti regionali. In data 4 giugno 1997, in attuazione della legge marzo 1997, n. 59, e' stato emanato il decreto legislativo n. 143, recante "Conferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell'Amministrazione centrale", con il quale il Governo ha disposto la soppressione del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali e ha attribuito alle regioni tutte le funzioni e i compiti svolti" dal suddetto Ministero "in materia di agricoltura, foreste, pesca, agriturismo, caccia, sviluppo rurale, alimentazione" (art. 1, commi 1 e 2). Il decreto legislativo n. 143/1997 ha, inoltre, istituito il Ministero per le politiche agricole disponendo, all'art. 2, comma 1, che il nuovo Ministero "d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, svolge compiti di elaborazione e coordinamento delle linee di politica agricola, agroindustriale e forestale in coerenza con quella comunitaria". Il comma 2 dell'art. 2, inoltre, attribuisce al Ministero per le politiche agricole, per quanto gia' di spettanza del soppresso Ministero delle risorse agricole, oltre a compiti di disciplina generale e di coordinamento nazionale in una serie di materie, le funzioni di cui all'art. 18, comma 3, della legge n. 157/1997, concernente la variazione dell'elenco delle specie cacciabili in conformita' alle direttive comunitarie e alle convenzioni internazionali. In attuzione degli artt. 1 e 9 della legge n. 157/1992, successivamente al decreto legislativo n. 143/1997, la regione Lombardia ha provveduto ad emanare, in data 30 agosto 1997, la legge n. 34, recante "Applicazione del regime di deroga previsto dall'art. 9 della direttiva CEE 79/409 e dalla Convenzione di Berna del 19 settembre 1979, resa esecutiva con legge 5 agosto 1981, n. 503". La legge regionale n. 34/1997, all'art. 1, attribuisce alla Giunta regionale il potere di applicare le deroghe di cui all'art. 9 della direttiva CEE 409/1979, previo parere obbligatorio dell'Istituto nazionale per la fauna selvatica, e, all'art 2, conferisce alla Giunta il potere di individuare le modalita' di attuazione delle suddette deroghe (specie che ne formano oggetto; mezzi, impianti e metodi di cattura autorizzati; soggetti autorizzati; tempi e luoghi di applicazione delle deroghe; numero dei capi prelevabili nell'intero periodo; controlli e forme di vigilanza). In attuazione di quanto disposto dalla legge regionale n. 34/1997 e dalla legge n. 157/1992, in data 29 settembre 1997, con delibera 31345 la Giunta regionale lombarda ha esercitato il potere di deroga con riguardo alle specie Fringuello, Peppola, Passera mattugia, Passera d'Italia e Storno. Successivamente, in data 30 ottobre 1997, e' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale serie generale, n. 254, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 settembre 1997, recante "Modalita' di esercizio delle deroghe di cui all'art. 9 della direttiva 409/1979/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici". Il decreto 27 settembre 1997 detta la disciplina delle deroghe di cui alla lettera c) dell'art. 9 della direttiva CEE 409/1979, ossia quelle finalizzate a "consentire, in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo, la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantita'" (le deroghe di cui alle lettere a) e b) sono gia' state disciplinate dagli artt. 2, comma 3, e 19 della legge n. 157/1992). All'art. 2, il decreto stabilisce che "le regioni, d'intesa con i Ministri dell'ambiente e per le politiche agricole, adottano le deroghe di cui all'art. 1" e indicano le giustificazioni delle deroghe, le modalita' di attuazione delle stesse (specie e quantita' che ne costituiscono oggetto; soluzioni alternative idonee a soddisfare gli interessi tutelati dall'art. 9, lett. c), della direttiva CEE 409/1979; mezzi, impianti, metodi di cattura o abbattimento autorizzati; tempi e luoghi; modalita', organi di controllo, sistema di verifica dei controlli effettuati; termine finale di operativita'; piano d'intervento e guardie venatorie incaricate dell'attuazione). L'art. 3 estende la disciplina delle deroghe, individuata dai precedenti articoli, alla cattura per la cessione ai fini di richiamo di cui all'art. 4, comma 4, della legge n. 157/1992. L'art. 4, al comma 1, individua l'Istituto nazionale per la fauna selvatica quale autorita' abilitata a dichiarare, ai sensi dell'art. 9 della direttiva CEE, che le condizioni stabilite dagli art. 2 e 3 sono state realizzate e, al comma 2, fa salve le competenze previste dall'art. 27 della legge n. 157/1992 in materia di vigilanza. Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, nel dettare la disciplina suesposta, appare fortemente lesivo delle competenze costituzionalmente attribuite alle regioni in tema di caccia, ponendosi in piena contraddizione con le disposizioni degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Violazione degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione in relazione agli artt. 1 e 9 alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, al d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143, ai principi fissati dalla giurisprudenza costituzionale, e all'art. 8 della legge n. 59/1997. 1.1. - Le competenze regionali in materia di caccia non possono in alcun modo essere revocate in dubbio. Da un lato, infatti, l'art. 117 della Costituzione inserisce la caccia tra le materie nelle quali spetta alle regioni la potesta' legislativa concorrente, dall'altro la legge 11 febbraio 1992, n. 157, legge quadro in materia, all'art. 1, comma 3, attribuisce alle regioni la competenza ad emanare norme relative alla gestione e alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica in conformita' alla legge stessa, alle convenzioni internazionali e alle direttive comunitarie. Neppure indubitabile e' la titolarita' in capo alle regioni delle funzioni amministrative in materia di caccia: ai sensi dell'art. 118 della Costituzione, infatti, "spettano alle regioni le funzioni amministrative nelle materie elencate nel precedente articolo". La legge n. 157/1992, all'art. 9, attribuisce alle regioni le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico venatoria ed i compiti di orientamento, di controllo e sostitutivi previsti dalla legge stessa e dagli statuti regionali. Il decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143, recante "Conferimento alle regioni delle funzioni amministrative in materia di agricoltura e pesca e riorganizzazione dell'Amministrazione centrale", inoltre, all'art. 1, nel sopprimere il Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, ha trasferito alle regioni tutte le funzioni e i compiti svolti dal soppresso Ministero in materia di caccia e, nell'istituire il Ministero per le politiche agricole, ha attribuito allo stesso compiti di elaborazione e coordinamento delle linee di politica agricola, agroindustriale e forestale in coerenza con quella comunitaria da svolgersi d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. 1.2. - Nell'ordinamento costituzionale vigente lo Stato puo' fissare, principi, dare indirizzi, coordinare le attivita' regionali: cio' puo' farlo adottando atti di indirizzo e coordinamento dell'attivita' amministrativa delle regioni. Cosicche', una volta riconosciuta la competenza regionale per cio' che attiene alla materia della caccia, l'incidenza statale su di essa puo' avvenire solo rispettando i requisiti formali e sostanziali dell'attivita' di indirizzo e coordinamento. Nel caso di specie, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 settembre 1997, che pur presenta dal punto di vista contenutistico le caratteristiche di un atto di indirizzo e coordinamento, dal punto di vista formale viola tutti i requisiti necessari per l'adozione di un tale tipo di atto: ne risultano cosi' violate le competenze amministrative e legislative attribuite alle regioni dagli artt. 117 e 118 della Costituzione. 1.2.1. - In primo luogo, la circostanza che sia stato adottato in assenza di una previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, che, come risulta dalla premessa, e' stato semplicemente "sentito", pone il decreto in evidente contraddizione sia con la legge, sia con i principi piu' volte affermati da questa ecc.ma Corte costituzionale in materia di indirizzo e coordinamento. La dizione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e' chiarissima e lascia facilmente intendere che non vi e' stata approvazione del Consiglio dei Ministri: in premessa si dice, infatti, "Sentito il Consiglio dei Ministri, che ha espresso il proprio avviso sullo specifico contenuto del presente decreto nella riunione del 12 settembre 1997". La formula utilizzata nel decreto non puo' in nessun modo ritenersi equivalente alla (necessaria) approvazione, ne' per quanto riguarda l'avviso in luogo dell'approvazione, ne' per quanto riguarda la conoscenza dell'atto, giacche' si parla di "avviso sullo specifico contenuto" del decreto. Ricapitolando: il Consiglio dei Ministri non ha deliberato l'approvazione, ma ha solo reso un avviso; l'avviso e' stato comunque reso non sul testo, bensi' su di un generico contenuto. Come e' noto, nella giurisprudenza di questa ecc.ma Corte e' possibile rinvenire non solo il costante riconoscimento del fondamento costituzionale della c.d. funzione di indirizzo e coordinamento, ma anche l'individuazione di alcuni requisiti minimi, formali e sostanziali, ritenuti necessari e indispensabili al fine di poter riconoscere la legittimita' costituzionale della disciplina dettata dalla legislazione ordinaria vigente in materia. In particolare, la Corte, nel caso dell'esercizio di detta funzione in via amministrativa, oltre a richiedere, affinche' venga rispettato il principio di legalita' sostanziale, che l'atto di indirizzo e coordinamento trovi specifico fondamento su una norma di legge statale, ha piu' volte affermato la necessita' che, in quanto atto di alta amministrazione, la deliberazione dello stesso spetti in ogni caso al Consiglio dei Ministri. La stessa Corte costituzionale, inoltre, nel ribadire in piu' occasioni il principio in base al quale unico organo attributario della competenza a deliberare gli atti di indirizzo e coordinamento e' da considerarsi il Consiglio dei Ministri (sentenza n. 242/1989), ha sempre conseguentemente statuito come in assenza di tale deliberazione l'atto di indirizzo e coordinamento risulti invasivo delle competenze regionali (sentenza n. 113/1994). Nel caso appena citato, la Corte costituzionale non ha temuto di annullare un pur importantissimo decreto ministeriale - in tema di inquinamento atmosferico nelle grandi citta' - avendo riconosciuto che "il decreto del Ministero dell'ambiente vuole essere, nella sua sostanza, espressione della funzione governativa di indirizzo e coordinamento. Tende a soddisfare esigenze unitarie, condiziona e pone limiti all'esplicazione delle competenze proprie di soggetti dotati di autonomia. Avendo tale caratterizzazione, l'atto deve essere adottato con deliberazione del Consiglio dei Ministri". Anche alla luce della nuova disciplina degli atti di indirizzo e coordinamento, introdotta con la legge 15 marzo 1997, n. 59, non puo' ritenersi esser venuta meno la necessita', per l'adozione di tali atti, della deliberazione del Consiglio dei Ministri. La circostanza che l'art. 8, comma 5, della legge n. 59/1997 abbia disposto l'abrogazione dell'art. 2, comma 3, lett. d), della legge n. 400/1988, che prevedeva la necessita' della deliberazione del Consiglio dei Ministri per l'adozione degli atti di indirizzo e coordinamento dell'attivita' amministrativa delle regioni, non puo' indurre automaticamente a ritenere il venir meno dell'obbligatorieta' di tale deliberazione. Il comma 5 dell'art. 8, infatti, non dispone esclusivamente in ordine all'art. 2, comma 3, lett. d) della legge 23 agosto 1988, n. 400 ma estende l'abrogazione a tutte quelle disposizioni di legge (art. 3, legge n. 382/1975; art. 4, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977; art. 13, comma 1, lett. e), legge n. 400/88; art. 1, comma 1, lett. hh) legge n. 13/1991; art. 17, primo comma, legge n. 281/1970) che, nel loro complesso, disciplinavano il potere statale di indirizzo e coordinamento prima dell'entrata in vigore della legge n. 59/1997. Da cio' si desume come l'intenzione del legislatore sia stata quella di abolire tutte le disposizioni che regolavano il potere statale di indirizzo e coordinamento dell'attivita' amministrativa delle regioni allo scopo di ridisciplinare completamente la materia, non gia' quella di escludere che l'atto di indirizzo e coordinamento debba essere adottato con delibera del Consiglio dei Ministri. D'altra parte la nuova disciplina, contenuta nei commi da uno a quattro dell'art. 8 della legge n. 59/1997, non sembra assolutamente escludere l'intervento del Consiglio dei Ministri nell'adozione di tali atti. La necessita' della previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano o con la singola regione interessata, infatti, che pur rappresenta l'elemento di maggiore novita' della disciplina introdotta dall'art. 8 della legge n. 59/1997, costituisce semplicemente un'ulteriore condizione necessaria ai fini dell'adozione dell'atto di indirizzo e coordinamento, la quale non esclude, ma al contrario, implica la competenza/deliberazione del Consiglio dei Ministri. D'altra parte la tesi in base alla quale la legge n. 59/1997 avrebbe abolito la necessita' della deliberazione del Consiglio dei Ministri, ai fini dell'adozione di atti di indirizzo e coordinamento, sarebbe in contraddizione con il gia' ricordato orientamento assunto sul tema da questa ecc.ma Corte. Anche recentemente, con sentenza n. 18/1997, questa ecc.ma Corte, pronunciandosi sulla richiesta di referendum abrogativo avente ad oggetto l'esercizio da parte dello Stato della funzione di indirizzo e coordinamento dell'attivita' amministrativa delle regioni, ha affermato addirittura, piu' restrittivamente di quanto disposto dall'art. 3 della legge n. 382 del 1975, che "si configura un vero potere di indirizzo e coordinamento... solo quando se ne preveda - da parte del legislatore - l'esercizio in via non legislativa, e cioe' con atti del Governo", in quanto "in ogni caso, cio' che trova fondamento nella Costituzione e' proprio il riconoscimento in via di principio della possibilita' che la legge attribuisca al Governo il potere di indirizzare e coordinare l'attivita' amministrativa delle Regioni in forza di esigenze unitarie, non frazionabili e non localizzabili territorialmente". 1.2.2. - In secondo luogo, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 settembre 1997, non essendo stato adottato sulla base della previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, viola palesemente la gia' ricordata disposizione dell'art. 8 della legge n. 59/1997, tra l'altro confermata dall'art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 143/1997. Ne' puo' ritenersi che, nel caso di specie, si siano verificati i presupposti per l'applicazione delle particolari procedure previste dai commi 2 e 3 del suddetto art. 8. Tali procedure, infatti, come risulta dalle norme in oggetto, possono essere seguite solo nelle ipotesi, rispettivamente, di mancato raggiungimento dell'intesa nel termine di quarantacinque giorni dalla prima consultazione o nelle situazioni di urgenza. In tal caso, verificandosi la prima ipotesi, il Consiglio dei Ministri adotta l'atto d'indirizzo e coordinamento previo parere della Commissione parlamentare per le riforme regionali; se, invece, si verifica una situazione di urgenza, il Consiglio dei Ministri e' legittimato ad adottare l'atto senza l'osservanza delle procedure di cui ai commi 1 e 2 dell'art. 8. Nelle fattispecie - delle quali comunque occorre dare conto - previste dai commi 2 e 3, dunque, solo situazioni eccezionali legittimano il Consiglio dei Ministri a deliberare senza il rispetto della normale procedura prevista dal primo comma dell'art. 8 della legge n. 59/1997. 2. - Ancora violazione degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione in relazione al decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143, artt. 1 e 2, alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, art. 18, comma 3, e alla legge della regione Lombardia 30 agosto 1997, n. 34. L'art. 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, nello stabilire che le regioni provvedono all'adozione delle deroghe e all'individuazione delle modalita' di attuazione delle stesse d'intesa con i Ministri dell'ambiente e per le politiche agricole, risulta fortemente lesivo dei poteri costituzionalmente e legislativamente attribuiti alle regioni in materia. Tali competenze sono chiaramente desumibili, oltre che dai gia' ricordati artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla struttura del decreto legislativo n. 143/1997 e dalla formulazione dell'art. 18, comma 3, della legge n. 157/1992. Lo schema logico seguito dal decreto legislativo n. 143/1997, che, all'art. 1, attribuisce alle regioni tutte le funzioni svolte dal soppresso Ministero e, all'art. 2, individua, specificatamente i compiti e le funzioni spettanti al nuovo Ministero, rende necessaria una interpretazione restrittiva delle disposizioni attributive di competenze al nuovo Ministero. In altre parole, e' la stessa struttura del decreto legislativo n. 143/1997 ad imporre di ritenere che al nuovo Ministero spettino solo ed esclusivamente le funzioni specificatamente elencate dall'art. 2 e di escludere, conseguentemente, che esse siano suscettibili di una interpretazione estensiva. Tale considerazione vale, in particolare, per quel che qui interessa, in ordine alla disposizione dell'art. 2, comma 1, nella parte in cui stabilisce che il Ministero per le politiche agricole svolge, per quanto gia' di competenza del soppresso Ministero delle risorse agricole, le funzioni di cui all'art. 18, comma 3, della legge n. 157/1992. Se e' vero, infatti, che il decreto legislativo n. 143/1997 lascia sussistere in capo allo Stato i poteri in materia di caccia individuati dall'art. 18, comma 3, della legge n. 157/1992, e' pur vero e necessario, in quanto imposto dalla struttura del decreto legislativo n. 143/1997, che tali poteri sono da considerarsi solo ed esclusivamente quelli contemplati dalla norma cui l'art. 2 del decreto legislativo n. 143/1997, fa espresso rinvio, non essendo possibile una interpretazione estensiva del suddetto art. 2. L'art. 18, comma 3, della legge n. 157/1992 conferisce allo Stato il potere di individuazione delle specie cacciabili, attraverso la recezione dell'elenco, entro 60 giorni dall'approvazione comunitaria o dall'entrata in vigore delle Convenzioni internazionali, e il potere di variazione dello stesso in conformita' alle direttive comunitarie vigenti e alle convenzioni internazionali sottoscritte: nessun riferimento al potere di deroga di cui all'art. 9 della direttiva CEE 409/1979 e' possibile rinvenire nella disposizione in oggetto. Ne' avrebbe senso contrapporre a tali considerazioni la circostanza che questa ecc.ma Corte, con la sentenza n. 272/1996, nel decidere un conflitto di attribuzione sollevato dalla regione Umbria contro lo Stato in ordine alla spettanza del potere di deroga di cui alla direttiva CEE 409/1979, abbia riconosciuto in capo allo Stato tale competenza. Anche in questo caso, infatti, valgono le considerazioni svolte in precedenza in ordine al decreto legislativo n. 143/1997 che, e' necessario sottolineare, e' stato adottato dal Governo successivamente alla pronuncia della sentenza della Corte. Nel sopprimere il Ministero per le risorse agricole e nel mutare, conseguentemente, la distribuzione delle competenze tra Stato e regioni in materia di caccia, decreto legislativo n. 143/1997 ha seguito una logica ben precisa: se avesse voluto riconoscere, anche alla luce della sentenza n. 272/1996, in capo al nuovo Ministero il potere di deroga in questione, avrebbe dovuto contemplarlo espressamente nell'art. 2, seguendo la stessa procedura adottata in ordine alle altre competenze che ha ritenuto di dover attribuire a tale Ministero. D'altra parte, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 272/1996, pur riconoscendo la competenza statale in ordine alle deroghe di cui all'art. 9 della direttiva CEE 409/1979, ha posto una distinzione tra la stessa e i poteri di cui all'art. 18, comma 3, della legge 157/1992. Cio' risulta chiaramente dal testo della sentenza n. 272/1996, nella quale la Corte afferma che "nell'assetto attualmente dato dal legislatore nazionale all'attivita' venatoria e per i fini della stessa, i divieti posti dalla direttiva in materia di specie cacciabili sono suscettibili di modifica solo nei limiti del potere di variazione degli elenchi delle specie medesime, riservato allo Stato ai sensi dell'art. 18, comma 3 della legge n. 157 del 1992". Solo un'esplicita attribuzione da parte dell'art. 2 del decreto legislativo n. 143/1997, dunque, avrebbe potuto fa ritenere la sussistenza del potere statale e giustificare, di conseguenza il tenore della disposizione dell'art. 2 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 settembre 1997, con la quale viene richiesta la previa intesa con i Ministri per l'ambiente e per le politiche agricole in ordine alle deroghe di cui all'art. 9 della direttiva CEE n. 409/1979. Cio' risulta ulteriormente confermato dalla circostanza che la legge regionale n. 34 del 30 agosto1997, con la quale la regione Lombardia ha attribuito alla Giunta regionale sia il potere di applicare le deroghe sia quello di individuarne le modalita' di attuazione, non e' stata rinviata dal Governo. 3. - Ancora violazione degli artt. 97, 117 e 118 della Costituzione in relazione al decreto legislativo 4 giugno 1997, n. 143/1997, alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, art. 18, comma 4, e alla legge della regione Lombardia 30 agosto 1997, n. 34. In via subordinata, anche a voler seguire la tesi secondo cui spetta alle regioni il potere di adottare le deroghe di cui all'art. 9 della direttiva CEE 409/1979 solo con l'intesa con i due Ministri interessati, non puo' in ogni caso essere revocata in dubbio la potesta' regionale di autonoma individuazione delle modalita' di attuazione delle deroghe stesse. L'art. 18, comma 4, della legge n. 157/1992, infatti, nello stabilire che "le regioni, sentito l'Istituto nazionale per la fauna selvatica, pubblicano, entro e non oltre il 15 giugno, il calendario regionale e il regolamento relativi all'intera annata venatoria, nel rispetto di quanto stabilito ai commi 1, 2 e 3, e con l'indicazione del numero massimo dei capi da abbattere in ciascuna giornata di attivita' venatoria", individua chiaramente in capo alle regioni le competenze relative alla determinazione delle modalita' concrete nelle quali, all'interno del territorio regionale, deve svolgersi l'attivita' venatoria. Il decreto legislativo n. 143/1997, inoltre, all'art. 1, comma 2, attribuisce espressamente alle regioni tutte le funzioni e i compiti svolti dal soppresso Ministero in materia di caccia. Alla luce degli artt. 117 e 118 Cost., dell'art. 18, comma 4 della legge n. 157/1992 e dell'art. 1 del decreto legislativo 143/1997, non puo', dunque, e non deve ritenersi necessaria l'intesa con i Ministri dell'ambiente e per le politiche agricole, prevista dall'art. 2 del d.P.C.M. 27 settembre 1997, affinche' le regioni individuino le giustificazioni della deroga, le specie e le quantita' che ne costituiscono l'oggetto; le soluzioni alternative idonee a soddisfare gli interessi di cui all'art. 9, comma 1, lett. c), direttiva CEE 409/1979; le condizioni idonee a consentire gli impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantita' ed i metodi selettivi di cattura e detenzione; i tempi e i luoghi; le modalita', gli organi di controllo ed il sistema di verifica dei controlli effettuati; il termine finale di operativita' della deroga; il piano di intervento e le guardie venatorie incaricate dell'attuazione. Sospensiva Il d.P.C.M. 27 settembre 1997 deve essere sospeso nelle more del giudizio. La sua adozione, infatti, e' suscettibile di provocare seri danni alla regione la quale, visti i tempi ordinari di decisione della Corte, potrebbe correre il rischio di non riuscire a predisporre le deroghe prima dell'apertura della prossima stagione venatoria. La legge regionale n. 34/1997, infatti, impone alla Giunta, di rispettare, nella predisposizione delle deroghe scadenze ben precise. La Giunta, infatti, e' tenuta, entro il 15 maggio di ogni anno, a richiedere il parere all'Istituto nazionale per la fauna selvatica ed, entro il 15 giugno, ha l'obbligo di adottare le deroghe: la mancata sospensione del provvedimento rischierebbe di impedire alla Regione di predisporre gli adempimenti e gli atti necessari.
P. Q .M. La regione Lombardia, cosi' come rappresentata e difesa, chiede che codesta ecc.ma Corte costituzionale, previa sospensione da rendersi sentito in camera di consiglio il proprio difensore, voglia annullare il provvedimento impugnato citato in epigrafe, dichiarando che: non spetta al Presidente del Consiglio, se non previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, l'adozione di atti di indirizzo e coordinamento dell'attivita' amministrativa delle regioni in materia di caccia; spetta alla regione Lombardia il potere di adottare le deroghe previste dall'art. 9 della diirettiva CEE n. 409/1979, e di individuarne le modalita' di attuazione, potendo, conseguentemente, la regione esercitare il suddetto potere senza necessita' di dover raggiungere l'intesa con i Ministri dell'ambiente e delle politiche agricole; in subordine, spetta alla regione Lombardia il potere di individuare le modalita' concrete di attuazione delle deroghe di cui all'art. 9 della direttiva CEE 409/1979. Roma-Milano, addi' 24 dicembre 1997 Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto 98C0026