N. 28 SENTENZA 23 - 26 febbraio 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Elezioni  -  Consiglieri  comunali e provinciali - Impossibilita' di
 trasferimento durante l'esercizio del mandato consiliare di coloro  i
 quali  rivestano  la  qualifica  di  lavoratore  dipendente  se non a
 richiesta  o  per  consenso  -  Mancata  previsione  del  divieto  di
 trasferimento  anche  dopo  la  scadenza del mandato qualora esso sia
 disposto in conseguenza  del  suo  espletamento  -  Riferimento  alla
 giurisprudenza  della  Corte  in materia (vedi sentenze nn. 158/1985,
 388/1991  e  6/1960)  -  Ragionevolezza  della  discrezionalita'  del
 legislatore  tendente  a  rafforzare  la  effettiva  possibilita'  di
 espletare il mandato elettivo in deroga alle ragioni dell'impresa con
 ulteriore  onere  a  carico  del  datore  di  lavoro  privato  -  Non
 fondatezza.
 
 (Legge 27 dicembre 1985, n. 816, art. 27).
 
 (Cost.,  artt. 3, primo comma, 41, secondo comma, e 51, primo e terzo
 comma).
 
(GU n.9 del 4-3-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,    dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 27 della legge
 27 dicembre 1985, n. 816 (Aspettative, permessi  e  indennita'  degli
 amministratori  locali),  promosso  con ordinanza emessa il 24 agosto
 1996 dal pretore di Aosta nel procedimento civile vertente tra Pietro
 Dupont e Heineken Italia S.p.A., iscritta al  n.  1199  del  registro
 ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  1  ottobre  1997  il  giudice
 relatore Piero Alberto Capotosti.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Un impiegato della Heineken Italia S.p.a., in servizio presso
 lo stabilimento di Pollein, eletto consigliere comunale  e  designato
 assessore  di  tale  comune, era collocato, a domanda, in aspettativa
 non retribuita ai sensi dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1985,  n.
 816,  dal giugno 1989 al maggio 1995, data di cessazione del mandato.
 La societa', con atto del 28 luglio 1995, disponeva il  trasferimento
 del  predetto  presso  lo  stabilimento  di Messina, a far data dal 1
 settembre 1995.
   L'impiegato impugnava il trasferimento innanzi al pretore di Aosta,
 in funzione di giudice del lavoro,  deducendone  l'illegittimita',  e
 chiedeva d'essere reintegrato nell'originaria sede di lavoro.
   2.  -  Il  pretore  di  Aosta, con ordinanza del 24 agosto 1996, ha
 sollevato questione di costituzionalita' dell'art. 27 della legge  27
 dicembre  1985,  n.  816  (Aspettative,  permessi  e indennita' degli
 amministratori locali), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 41,
 secondo comma, e 51, primo e terzo comma, della Costituzione.
   Siffatta norma prevede che i consiglieri comunali e provinciali che
 "sono  lavoratori  dipendenti   non   possono   essere   soggetti   a
 trasferimenti  durante  l'esercizio  del mandato consiliare, se non a
 richiesta o per consenso" e non e', quindi, direttamente  applicabile
 alla  fattispecie  oggetto  del  giudizio.  Il  ricorrente  e' stato,
 infatti, trasferito dopo la scadenza del mandato, ma, ad  avviso  del
 giudice  rimettente,  proprio  a causa della situazione determinatasi
 "in  conseguenza  (o  anche  in  conseguenza)"  dell'espletamento del
 mandato. La natura eccezionale della norma non consente  peraltro  di
 far ricorso all'interpretazione analogica, ne' essa e' applicabile al
 caso in esame mediante l'interpretazione estensiva.
   La disposizione denunziata, secondo il giudice a quo, stabilendo il
 divieto  di  trasferimento del lavoratore dipendente limitatamente al
 tempo durante il quale e' esercitato il mandato,  violerebbe,  pero',
 l'art.  51,  primo  comma,  della  Costituzione, dato che tale ultima
 norma tutelerebbe anche "l'interesse alla  conservazione  tout  court
 dell'originario  luogo  di  lavoro" in quanto preordinata a rimuovere
 tutti i possibili fattori di dissuasione dei  cittadini  dall'accesso
 alla carica elettiva.
   La  facolta'  del datore di lavoro di disporre il trasferimento del
 lavoratore dopo la  scadenza  del  mandato,  ma  "a  causa"  del  suo
 espletamento,   secondo   il  rimettente,  recherebbe  vulnus  ad  un
 fondamentale diritto politico ed al "diritto al lavoro in  condizioni
 (che  non  appare  equo siano) pregiudicate o pregiudicabili" dal suo
 esercizio e, quindi, contrasterebbe con gli artt. 51, terzo  comma  e
 41,   secondo   comma,   della   Costituzione.   Quest'ultima  norma,
 prescrivendo che l'iniziativa economica non possa svolgersi  in  modo
 da  "recare danno alla sicurezza, alla liberta', alla dignita' umana"
 concorrerebbe, infatti, a tutelare il diritto di  elettorato  passivo
 da ogni possibile pregiudizio.
   L'art.  27  della  legge  n.  816  del 1985, ad avviso del pretore,
 violerebbe, infine, l'art. 3, primo comma, della  Costituzione,  dato
 che   stabilisce   un  "trattamento  immotivatamente  deteriore"  per
 l'eletto trasferito dopo la scadenza del mandato, ma a causa di esso,
 rispetto a quello garantito all'eletto durante  l'espletamento  della
 funzione pubblica.
   3.  -  E'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  per  il  tramite  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
   L'art.  51,  terzo  comma,  della  Costituzione,  osserva la difesa
 erariale, riconosce il diritto del lavoratore subordinato di disporre
 del tempo necessario  per  espletare  il  mandato  consiliare  ed  il
 diritto  di  conservare  il posto di lavoro, allo scopo di realizzare
 l'eguaglianza dei cittadini nell'accesso alle  cariche  elettive,  ma
 riserva   la  disciplina  delle  loro  modalita'  di  esercizio  alla
 discrezionalita' del legislatore ordinario, che puo',  eventualmente,
 ampliare il contenuto di siffatte garanzie.
   L'estensione  del  divieto  di trasferimento ad un tempo successivo
 all'esercizio del mandato, correttamente esclusa dal pretore  in  via
 di  interpretazione  analogica, sfugge, pero', alla ratio della norma
 impugnata e va ben oltre il fine avuto di mira dalla norma  dell'art.
 51  della  Costituzione.  L'ampliamento della previsione dell'art. 27
 della legge n. 816 del 1985 configurerebbe, infatti, il diritto  alla
 permanenza  illimitata  nella  sede  di  lavoro  occupata  al momento
 dell'elezione e, in  mancanza  di  ogni  plausibile  giustificazione,
 integrerebbe un ingiusto privilegio rispetto sia al datore di lavoro,
 sia  a  tutti gli altri lavoratori, in palese contrasto con gli artt.
 41 e 3 della Costituzione.
   4. - Le parti private non si sono costituite nel  giudizio  innanzi
 alla Corte.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La  questione  di  legittimita' costituzionale sollevata con
 l'ordinanza indicata in epigrafe riguarda la  disposizione  dell'art.
 27  della  legge  27  dicembre  1985,  n.  816,  che  stabilisce:  "i
 consiglieri comunali e provinciali che sono lavoratori dipendenti non
 possono essere  soggetti  a  trasferimenti  durante  l'esercizio  del
 mandato  consiliare,  se  non a richiesta o per consenso". Secondo il
 giudice rimettente, questa disposizione, non  prevedendo  il  divieto
 del  trasferimento  anche  dopo la scadenza del mandato, qualora esso
 sia disposto "in  conseguenza  (o  anche  in  conseguenza)"  del  suo
 espletamento,  viola  una  pluralita' di articoli della Costituzione.
 Innanzi tutto, l'art.  51, primo e terzo comma,  della  Costituzione,
 poiche'  la  norma  impugnata  non  tutela l'interesse del lavoratore
 dipendente alla conservazione dell'originaria sede di  lavoro  e,  in
 tal  modo,  non  elimina  un forte fattore di dissuasione all'accesso
 alla carica elettiva, connesso al timore di  subire  una  conseguenza
 negativa,  quale  il  trasferimento.    In  secondo luogo, l'art. 41,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  in  quanto  il  principio  che
 l'iniziativa  economica  non  puo'  svolgersi in modo da recare danno
 alla sicurezza, alla liberta' ed alla dignita'  umana  postula  anche
 l'esigenza  di  non pregiudicare il diritto di elettorato passivo. Ed
 infine l'art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto la  norma
 censurata    riserva   un   trattamento   immotivatamente   deteriore
 "all'eletto che sia trasferito dopo il mandato (ma a causa  di  esso)
 rispetto a chi lo sia durante l'esercizio dello stesso".
   2. - La questione non e' fondata.
   Secondo  la  consolidata  giurisprudenza  costituzionale,  il terzo
 comma dell'art. 51 della Costituzione va interpretato nel  senso  che
 in  esso  e'  prevista  una  garanzia  strumentale all'attuazione del
 precetto contenuto nel primo comma, consistente nell'affermazione del
 diritto di chi e' chiamato ad esercitare funzioni pubbliche  elettive
 di  disporre  del  tempo  necessario  per  l'adempimento  dei compiti
 inerenti al mandato e del diritto di mantenere il posto di lavoro (ex
 plurimis: sentenza n. 158 del 1985). Tutto cio', del  resto,  e'  una
 coerente derivazione dei principi e dei valori degli artt. 1, 2, 3, 4
 della  Costituzione  (sentenza  n.  388  del  1991),  essenziale  per
 garantire a tutti i cittadini  la  possibilita'  di  concorrere  alle
 cariche elettive.
   Questa  Corte  ha costantemente affermato, sin dalla sentenza n.  6
 del 1960, che l'espressione dell'art.  51  "conservare  il  posto  di
 lavoro",  interpretata  anche  alla  luce del dibattito all'Assemblea
 Costituente, in cui si manifesto' l'intento di "fissare il  principio
 che,  quando  un  lavoratore  viene ad essere investito di una carica
 pubblica, non deve  essere  per  questo  licenziato  ma  ritenuto  in
 congedo    o    in   aspettativa"   (Assemblea   Costituente,   prima
 sottocommissione, seduta del 15 novembre 1946),  garantisce  soltanto
 "il diritto a mantenere il rapporto di lavoro o di impiego" (sentenza
 n.  111 del 1994) e non tutela affatto come invece afferma il giudice
 rimettente "l'interesse alla conservazione tout court dell'originario
 luogo di lavoro".
   Si  puo'  quindi  ritenere  che  la   norma   esprima   l'interesse
 costituzionale  alla  possibilita'  che  tutti i cittadini concorrano
 alle cariche elettive in posizione di eguaglianza,  anche  impedendo,
 se  occorre,  la risoluzione del rapporto di lavoro o di impiego, con
 giustificato,  ragionevole  sacrificio  dell'interesse  dei   privati
 datori  di  lavoro  (sentenza  n.  124 del 1982). L'art. 51 assicura,
 dunque, un complesso minimo di garanzie di  eguaglianza  di  tutti  i
 cittadini   nell'esercizio   dell'elettorato   passivo,  riconoscendo
 peraltro al legislatore ordinario  la  facolta'  di  disciplinare  in
 concreto  l'esercizio  dei  diritti garantiti; la facolta', cioe', di
 fissare,  a  condizione  che  non  risultino   menomati   i   diritti
 riconosciuti,   le  relative  modalita'  di  godimento,  al  fine  di
 agevolare  la  partecipazione   dei   lavoratori   all'organizzazione
 politica  ed  amministrativa  del  Paese (sentenze n. 454 e n. 52 del
 1997, n. 158 del 1985, n. 193 del 1981).
   3. - Nel  quadro  di  tali  principi  va  pertanto  considerata  la
 prescrizione  sul divieto di trasferimento del lavoratore subordinato
 nel periodo durante il quale esercita la funzione elettiva. Si tratta
 di una scelta del legislatore ordinario che,  nella  discrezionalita'
 riconosciutagli  e  non  irragionevolmente esercitata, ha ritenuto di
 stabilire il predetto divieto allo scopo di rafforzare  la  effettiva
 possibilita' di espletare il mandato elettivo, in deroga alle ragioni
 dell'impresa  e  ponendo  un  ulteriore  onere a carico del datore di
 lavoro   privato.   Questa    garanzia    legislativa,    finalizzata
 all'esercizio   effettivo   dei   diritti   di   elettorato   passivo
 riconosciuti dal disposto dell'art. 51, primo e  terzo  comma,  della
 Costituzione,   non  postula  pero'  la  previsione  del  divieto  di
 trasferimento del lavoratore subordinato, anche dopo la scadenza  del
 mandato  elettivo,  perche' questo divieto, mirando ad evitare che le
 vicende del rapporto di lavoro ostacolino il regolare svolgimento del
 mandato  elettivo,  non   puo'   logicamente   trovare   ragione   di
 applicazione,  una  volta  che  la  relativa  funzione  pubblica  sia
 cessata.
   La ratio, che informa l'art. 27 della legge n. 816 del 1985, spiega
 e giustifica la delimitazione temporale del divieto di  trasferimento
 al  solo  periodo  durante  il  quale e' svolto il mandato e dimostra
 altresi' che le situazioni poste a raffronto dal giudice a  quo  sono
 specificamente  diverse e non comparabili, cosicche' va esclusa anche
 l'eccepita violazione dell'art. 3, primo comma,  della  Costituzione.
 Una  volta  scaduto  il  mandato, viene meno infatti la correlazione,
 costituzionalmente rilevante, tra stabilita' della sede di  lavoro  e
 possibilita' dell'effettivo esercizio della funzione elettiva.  Resta
 comunque  affidato  al  giudice il controllo sul rispetto dei divieti
 legali di discriminazione e degli altri  limiti  che  definiscono  il
 potere  di  trasferimento  del  datore  di lavoro, condizionandolo ai
 requisiti ed alle modalita' procedurali stabiliti dalla  legge  (art.
 2103  codice  civile; art. 15, primo comma, lettera b) della legge 20
 maggio 1970, n. 300) e dalla contrattazione collettiva.
   Infine non sussiste neppure la eccepita  violazione  dell'art.  41,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  poiche'  questa norma non puo'
 evidentemente essere evocata,  per  la  palese  estraneita'  del  suo
 contenuto,  in  riferimento  alla  tutela del diritto di accesso alla
 funzione elettiva.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  27  della  legge  27  dicembre  1985, n. 816 (Aspettative,
 permessi e indennita' degli  amministratori  locali),  sollevata  dal
 pretore di Aosta con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento
 agli  articoli  3, primo comma, 41, secondo comma e 51, primo e terzo
 comma.  della Costituzione.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 1998.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Capotosti
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 26 febbraio 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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