N. 183 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 1997
N. 183 Ordinanza emessa il 9 dicembre 1997 dalla Commissione tributaria regionale di Bari sul ricorso proposto da ufficio IVA di Bari contro la Zeta Emme S.r.l. Contenzioso tributario - Sospensione del processo - Mancata previsione in caso di pendenza di altro giudizio, anche penale, pregiudiziale per la decisione della controversia - Eccesso di delega per il mancato adeguamento sul punto delle norme del processo tributario a quelle del processo civile, come previsto dal legislatore delegante. (D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 546, (recte 31 dicembre 1992) art. 39, in relazione alla legge 30 dicembre1991, n. 413, artt. 30, comma 1, lett. g)). (Cost., art. 76).(GU n.13 del 1-4-1998 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sull'appello r.g. appelli n. 3099/1996, depositato il 3 settembre 1996 e proposto dall'ufficio IVA di Bari in data 21 marzo 1996, avverso la decisione n. 79/05/1996 del 20 gennaio-10 febbraio 1996, emessa dalla soppressa Commissione tributaria di primo grado di Bari - Sez. V, in materia di rifiuto opposto all'istanza di rimborso dell'IVA, afferrente il periodo d'imposta 1993; Controparte ricorrente: Zeta Emme S.r.l., con sede in Andria (Bari) alla via Lussemburgo n. 40/42, difesa dall'avv. Luigi Quercia del foro di Bari, residente in Bari alla via Dante n. 150; Visti gli atti e i documenti di causa; Uditi nell'udienza pubblica del 25 novembre 1997 il relatore, nella persona del dott. Giuseppe Bannino, e il sig. Saverio Fiorentino, per l'amministrazione finanziaria appellante, nonche' l'avv. Luigi Quercia, per la societa' ricorrente; Con l'assistenza del segretario sig. Giuseppe Fortini; Considerato in fatto Con appello presentato in data 21 marzo 1996 presso la preesistente Commissione tributaria di secondo grado di Bari il locale ufficio provinciale IVA ha impugnato la decisione n. 79/1996 del 20 gennaio-10 febbraio 1996 della V Sezione della soppressa Commissione tributaria di primo grado di Bari, con la quale era stato accolto ll ricorso proposto dalla Zeta Emme S.r.l., con sede in Andria (Bari) alla via Lussemburgo n. 40 - nella persona del suo rappresentante legale pro-tempore sig. Di Bari Giuseppe, nato ad Andria il 5 agosto 1955 - avverso il provvedimento di diniego, ad effettuare il rimborso dell'IVA relativa all'anno 1993, opposto dall'ufficio appellante, per mezzo della comunicazione notificata il 17 marzo 1995, con raccomandata postale. L'appello dell'amministrazione finanziaria si fonda su un duplice ordine di eccezioni: a) una prima di fondo, la Societa' ricorrente, al di la' dell'acquisto di un unico bene strumentale compiuto nell'anno 1993, consistente in un capannone industriale - e che darebbe luogo alla controversa detrazione della relativa IVA, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ed al contestato rimborso - in realta' non avrebbe mai svolto l'attivita' d'impresa dichiarata, anzi piu' di recente, da notizie di stampa, sarebbero addirittura emersi fondati sospetti sull'effettuazione di operazione inesistenti, connesse alla fittizia commercializzazione all'ingrosso dell'olio di oliva, attraverso la parvenza di una realta' aziendale puramente cartolare; b) ed una seconda piu' gradata, l'immobile acquistato non e' utilizzato dalla suddetta Societa', bensi' da un altro soggetto, donde l'assenza nella specie del requisito dell'inerenza di quest'acquisto, come operazione passiva, all'attivita' specifica svolta dalla ricorrente, in termini effettivi ed attuali e non meramente potenziali o futuri, eppercio' l'indetraibilita' dell'annessa IVA. All'udienza pubblica del 25 novembre 1997 - come da richiesta presentata in segreteria il 5 novembre 1997 dal difensore costituito della Societa' contendente, a mente dell'art. 33 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 546 - il rappresentante dell'ufficio IVA di Bari, ha confermato le ragioni dell'appello e, per suffragarle, ha pure depositato agli atti di causa una richista di rinvio a giudizio, di cui agli articoli 416 e 417 c.p.p., rivolta l'11 luglio 1996 dalla procura della Repubblica di Trani al g.i.p. dello stesso tribunale, nei confronti, tra gli altri, del sig. Di Bari Giuseppe, rappresentante legale della Zeta Emme S.r.l., per i reati previsti dagli articoli 81 - cpv. e 110 c.p., nonche' dall'art. 4, lettere d) ed f) della legge 7 luglio 1982, n. 516, perche' costui, in tale propria qualita' anche dell'altra societa' di comodo Olearia 93 S.r.l., in concorso con altre dodici persone, avrebbe simulato, mediante false fatture, la vendita e l'acquisto, attraverso la Uniolii di un certo Antolini Vincenzo (coimputato), di quel capannone sito in Barletta alla via Trani, 80, oggetto dell'odierno controverso rimborso IVA. Gli addebiti mossi a tutti i tredici coimputati, ivi compresi il Di Bari e l'Antolini, riguardano i reati di associazione a delinquere, frode fiscale ed indebito conseguimento di contributi comunitari per la commercializzazione dell'olio di oliva. Il difensore della Societa' contribuente, dal proprio canto, nel contestare alla controparte la possibilita' di depositare documenti oltre la scadenza del termine fissato dall'art. 32 del succitato d.lgs. n. 546/1992, ha insistito per la piena legittimita' del richiesto rimborso IVA, sulla scorta della recentissima circolare del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze n. 128/E dell'8 maggio 1997, in tema di detraibilita' dell'IVA assolta sugli acquisti di cespiti ammortizzabili. A proposito poi degli asseriti risvolti penali di questa operazione di compravendita, l'avv. Quercia ha precisato che il Di Bari e l'Antolini sono gia' stati destinatari di altra sentenza di assoluzione dal reato di truffa, adottata dal pretore di Bisceglie il 7 novembre 1996 (n. 434 pubblicata il 5 febbraio 1997), di cui deposita copia. Ritenuto in diritto Il Collegio ritiene che la decisione sul merito dell'appello in esame non possa essere adottata, senza aver previamente risolto una questione di legittimita' costituzionale, concernente l'art. 39 del gia' menzionato d.lgs. n. 546/1992; nel quale, ad avviso di questo giudice, si potrebbe configurare un fondato sospetto di violazione dell'art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega. 1. - Com'e' noto, con l'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 si conferiva al Governo la delega ad emanare, entro dodici mesi, uno o piu' decreti legislativi per "la revisione della disciplina e l'organizzazione del contenziose tributario", dettando nel contempo i relativi principi e criteri direttivi. La lettera g) del comma 1 dello stesso art. 30, nel sancire in proposito l'"adeguamento delle norme del processo tributario a quelle del processo civile", in particolare stabiliva, tra l'altro, al punto 3) che la "disciplina della sospensione, dell'interruzione e dell'estinzione del processo, nonche' della decadenza dalle impugnazioni", avrebbe dovuto tendere "al fine di abbreviare la pendenza del processo in relazione all'inerzia delle parti"; mentre alla successiva lettera m) disponeva l'"attribuzione al presidente della Commissione o della sezione della competenza a dichiarare la manifesta inammissibilita' del ricorso, nonche' la sospensione, l'interruzione e l'estinzione del processo con decreto soggetto a reclamo". Ora, dalla disamina del surrichiamato art. 39 del d.lgs. n. 546/1992, intitolato "della sospensione del processo", s'evince che il processo tributario puo' essere sospeso soltanto in caso di presentazione di una querela di falso oppure di decisione, in via pregiudiziale, su una questione attinente allo stato e alla capacita' delle persone, "salvo che si tratti della capacita' di stare in giudizio". S'esclude percio' qualsiasi altra ipotesi di sospensione, anche quella necessaria di cui all'art. 295 c.p.c.; ossia quando la decisione della causa dipende dalla definizione di altra controversia pendente davanti allo stesso giudice adito oppure dinanzi ad altro giudice. In altri termini, nel processo tributario - a differenza di quello civile, al quale avrebbe dovuto adeguarsi, secondo la proposizione principale insita nella suddetta lettera g) dell'art. 30 legge n. 413/1991 - si trascura del tutto l'eventualita' di doverlo sospendere, nel caso risulti pendente un altro giudizio, anche penale, la cui sentenza definitiva, rispetto al primo, rivesta carattere di presupposizione logico-giuridica necessaria, per evitare un bis in idem ovvero un conflitto fra giudicati. Nel previgente sistema disciplinato dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, come modificato dal seguente d.P.R. 28 novembre 1980, n. 787, ab initio aveva operato il peculiare canone della "pregiudiziale tributaria" al processo penale, ereditato dall'antica legge 7 gennaio 1929, n. 4; cui piu' di recente era subentrato, ad opera del primo comma dell'art. 12 della legge 7 agosto 1982, n. 516 (di conversione del d.-l. 10 luglio 1982, n. 429) ed in assonanza con l'art. 28 del preesistente c.p.p., il principio dell'autorita' del giudicato penale (per i reati in materia di imposte dirette e di IVA) nel processo tributario, dopo averne vietato la sospensione, in deroga allo schema tradizionale della pregiudizialita' penale a qualsiasi altro processo civile o amministrativo, delineato dal precedente art. 3; al quale si riferiva, peraltro, come ipotesi tipica di sospensione necessaria del giudizio civile, il testo dell'art. 295 c.p.c. vigente prima della novella recata dalla legge 26 novembre 1990, n. 353. Sennonche' il nuovo codice di procedura penale, approvato con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447, ha introdotto il criterio radicalmente diverso della separatezza e autonomia fra processi, cui ha fatto seguito, con l'art. 35 della su mentovata legge n. 353/1990, la modifica del ridetto art. 295 c.p.c.; che, pur avendo espunto ogni riferimento al suddetto art. 3 c.p.p., ormai abrogato, ha tuttavia lasciato immutata la definizione di "necessaria" della sospensione ivi disciplinata. Vuol dire allora che nel nuovo sistema di relazioni fra processi, come risulta ridisegnato dalle recenti riforme dei due codici di procedura penale e civile, in quest'ultimo l'istituto della sospensione, cosi' com'e' stato rimodellato, in pendenza di un giudizio penale, da un lato, ha perso quel suo originario carattere di automaticita', mantenendo pero', dall'altro, la propria connotazione di necessarieta'; benche' si lasci sempre al giudice quell'opportuno margine di discrezionalita', per valutare se nella diversa fattispecie pendente dinanzi a se' o ad altro organo giudicante sussistano o meno quei vincoli di indispensabile priorita' logico-giuridica, dalla cui definizione dipende la decisione del caso di specie pervenuto al suo esame, onde evitare quel conflitto fra giudicati dianzi rilevato. Il che non significa certo averne mutato il carattere, rendendolo facoltativo. D'altronde, mentre e' pacifico che, ai sensi dell'art. 654 c.p.p., "la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverta intorno ad un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall'accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purche' i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purche' la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa"; opinabile rimane, invece, la sopravvivenza del su menzionato comma primo, art. 12 della legge n. 516/1982 (peraltro, non intaccato dalla legge 15 maggio 1991, n. 154, di conversione del d.-l. 16 marzo 1991, n. 83), a cagione della sua caratterizzazione meramente ricettizia di canoni codicistici non piu' vigenti, come affermato in termini piu' problematici dalla Corte di cassazione nella piu' recente sentenza n. 7403 del 5 luglio 1995, dopo alterne pronunce che propendevano per tale permanenza (cfr. sentenze nn. 9729 del 12 ottobre 1992 e 10813 del 26 ottobre 1991) oppure la negavano sic et simpliciter (cfr. sentenza n. 10792 del 20 ottobre 1994). ll comma secondo seguente e' stato riconosciuto, invece pienamente legittimito dalla sentenza del giudice delle leggi n. 120 del 23 marzo 1992. Donde, ad avviso di questa Commissione, il manifesto non infondato contrasto con l'art. 76 della Costituzione di quest'art. 39 d.lgs. n. 546/1992, che, in violazione del criterio direttivo contenuto nel piu' volte citato art. 30, comma primo, lettera g) della legge n. 413/1991 - secondo cui il processo tributario avrebbe dovuto adeguarsi a quello civile - pur nell'apprezzabile intento di accelerare i tempi della giustizia fiscale, ma soltanto in relazione l'inerzia delle parti, tuttavia non consente al giudice tributario di sospendere il proprio giudizio, ogni qualvolta dalla definizione di un altro parallelo celebrando processo, anche penale, possa dipendere la decisione della contesa che vede opposti il cittadino-contribuente e l'amministrazione finanziaria. Del resto il d.lgs. n. 546/1992, per sembrare coerente con la premessa esiziale della suddetta delega, colloca al proprio inizio (nell'art. 1, comma secondo) la norma di rinvio, in termini apparentemente generali: "i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e, con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile", mentre in effetti, con siffatte limitazioni lessicali, finisce per conferire ad essa una valenza meramente residuale, oltre che di chiusura del suo sistema intrinsecamente compiuto - pure in tema di sospensione, interruzione ed estinzione del processo (Sezione V, capo I, Titolo II, artt. 39-46) - che puo' tollerare altre prescrizioni categoriche, ma non anche l'esercizio di potesta' discrezionali perche' potrebbe risultare con esso interferente eppercio' incompatibile. Sicche' non e' un caso se in quest'ultimo art. 46, dopo aver disciplinato nei precedenti articoli 44 e 45, in analogia agli articoli 306 e 307 c.p.c., l'estinzione del processo rispettivamente "per rinuncia al ricorso" e "per inattivita' delle parti", sia contemplata l'ulteriore ipotesi di estinione del giudizio "per cessazione della materia del contendere", del tutto ignorata dal processo civile. 2. - Circa l'altro presupposto della rilevanza dell'insorta questione di costituzionalita' nel giudizio a quo, richiesto dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, v'e' da considerare che nel caso di specie il giudice tributario e' chiamato a giudicare, come notato in premessa, su un appello proposto dall'ufficio IVA di Bari, avverso la decisione di primo grado che accoglieva il ricorso della Zeta Emme S.r.l. e riconosceva, quindi, ad essa il diritto ad ottenere il rimborso dell'imposta sul valore aggiunto detraibile, ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. n. 633/1972. Invero quest'operazione di detrazione, riguardando l'IVA pagata sull'acquisto di un bene strumentale - com'e' giustappunto un capannone per una societa' che ha come finalita' precipua il commercio all'ingrosso di olii alimentari - di per se' apparentemente sarebbe neutra; pero', poiche' costituisce la fase terminale di una serie di contratti di compravendita (due) dello stesso immobile industriale, realizzati nell'arco di appena quattro giorni (tra il 16 e il 20 aprile 1993) fra tre societa', potrebbe risultare, in un probabile progetto criminoso ben piu' ampio di quello che appare prima facie finalizzato alla realizzazione di quell'illecita acquisizione di contributi dell'Unione Europea che il p.m. del tribunale di Trani ha ritenuto di ascrivere a tredici coimputati, tra cui i due rappresentanti legali di queste tre societa'. Cio' non appare neppure peregrino, se si considera che il rappresentante legale della prima societa' venditrice, l'Olearia '93, e della terza compratrice, Zeta Emme - aventi, peraltro, entrambe la sede ubicata in Andria allo stesso indirizzo di via Lussemburgo n. 40 - s'identifica nella stessa persona fisica (il Di Bari Giuseppe); e che questi, dopo essere stato assolto, insieme con il rappresentante legale (l'Antolini Vincenzo) della seconda societa' - l'Uniolii, posta in liquidazione volontaria il 7 maggio 1993 subito dopo la predetta compravendita - da una prima imputazione di truffa ai danni di un'altra societa' (l'impresa edile di Damiano Blegiovine e c. s.a.s.), giusta sentenza del pretore di Bisceglie n. 434 del 7 novembre 1996-5 febbraio 1997, e' destinatario, insieme al proprio fratello Di Bari Giovanni, della suddetta nuova richiesta di rinvio a giudizio da parte del procuratore della Repubblica di Trani, per vari reati; che vanno dall'associazione a delinquere, alla truffa ai danni dell'Unione europea e all'evasione fiscale e che sarebbero stati commessi in concorso con altri soggetti, tra i quali, in via principale, il su generalizzato Antolini. Ordunque, se cio' fosse accertato - e al Di Bari Giuseppe si contesta pure, in concorso con quest'ultimo, proprio la particolare imputazione di aver simulato, attraverso false fatturazioni, quella compra-vendita - si sarebbe in presenza di una tipica ipotesi di nullita' del relativo contratto per causa illecita (artt. 1343 e 1418 c.c.), per cui mancherebbero nella specie, a mente dell'art. 4 della suddetta legge n. 516/1982, i presupposti per la detraibilita' della relativa imposta sul valore aggiunto; anche perche' in quell'anno 1993 fu l'unica operazione compiuta dalla Societa' contendente, tant'e' vero che, l'IVA richiesta a rimborso corrisponde esattamente all'importo pagato su quell'unica fattura. D'altro canto giammai il Collegio avrebbe potuto prescindere da dati di fatto cosi' importanti, pregiudiziali alla propria adottanda decisione di merito, sol perche' l'ufficio IVA, ad avviso del patrocinatore della Societa' contribuente, nell'esibire la connessa documentazione, non avrebbe formalmente rispettato il termine previsto dall'art. 32 d.lgs. n. 546/1992, anche perche' l'appello in discussione si fonda giustappunto su quelle verosimili e ragionevoli supposizioni. Dal che sorge la necessita' di sospendere il presente processo in attesa della definizione di quello penale, dal quale, certamente potranno scaturire quegli elementi di fatto e di giudizio di cui allo stato attuale e' impossibile disporre, onde consentire a questo giudice tributario di poter pervenire, secondo legge, alla soluzione del caso sottoposto al suo odierno esame. Visti l'art. 134 della Costituzione e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87;
P. Q. M. La Commissione tributaria regionale di Bari - Sezione IV, ritenuta la rilevanza ai fini della decisione da adottare nella controversia di che trattasi, nonche' la non manifesta infondatezza del sospetto d'illegittimita' costituzionale dell'art. 39 del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 546, in relazione all'art. 76 della Costituzione, per violazione dei principi e criteri direttivi fissati dall'art. 30, comma 1, lettera g) della legge 30 dicembre 1991 n. 413, per l'esercizio della delega ivi contenuta, solleva d'ufficio tale questione e, per l'effetto, sospende il presente giudizio ed ordina alla segreteria l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Si dispone altresi' che, a cura della medesima segreteria, la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Bari, nella Camera di Consiglio del 9 dicembre 1997. Il presidente: Lorusso 98C0286