N. 251 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 gennaio 1998
N. 251 Ordinanza emessa il 27 gennaio 1998 dal tribunale di Sondrio nel procedimento penale a carico di Belletti Pietro ed altro Reato in genere - Reati contro la pubblica amministrazione - Abuso di ufficio - Disciplina previgente - Asserita indeterminatezza della fattispecie incriminatrice - Violazione del principio di legalita'. (C.P., art. 323). (Cost., art. 25).(GU n.16 del 22-4-1998 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo penale contro Belletti Pietro e Martinalli Stefano, rinviati a giudizio con decreto del g.i.p. in data 4 aprile 1996 per rispondere del reato di cui agli artt. 110 e 323 c.p. per avere, in concorso tra loro, Belletti Pietro quale tecnico e Martinalli Stefano quale sindaco del comune di Cosio Valtellino, abusato del loro ufficio per procurare a Zecca Giovanni, che aveva eseguito una recinzione senza autorizzazione comunale, un ingiusto vantaggio patrimoniale, il Belletti ritardando il sopralluogo disposto per accertare l'illecito edilizio ed il Martinalli rilasciando l'autorizzazione in data 27 aprile 1994 non in sanatoria nonostante che l'opera quasi ultimata fosse stata segnalata con esposto in data 11 aprile 1994; il collegio, in relazione alle questioni preliminari sollevate dalla difesa degli imputati, O s s e r v a A norma dell'art. 129, comma 1, c.p.p. "in ogni stato e grado del processo, il Giudice, il quale riconosce che ... il fatto non e' previsto dalla legge come reato ... lo dichiara di ufficio con sentenza". Prima di procedere nell'ulteriore corso del processo, pertanto, occorre verificare se, in seguito alla modifica normativa de qua, ricorrono i presupposti per pronunciare sentenza di n.d.p perche' il fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato. Siffatta verifica, ovviamente, deve precedere l'esame della eventuale questione di legittimita' costituzionale prospettata alle parti in sede di questioni preliminari giacche' - in caso di riscontro positivo - la questione stessa difetterebbe del requisito della rilevanza. Ed invero, non avendo lo jus superveniens di cui alla legge 16 luglio 1997, n. 234 operato una abolitio criminis del reato di cui all'art. 323 c.p., bensi' la sostituzione dell'originaria fattispecie incriminatrice con altra, di diversa formulazione ed ampiezza ("salvo che il fatto costituisca un piu' grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a se' o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto e' punito ..."), non puo' tout court ritenersi che il reato contestato agli imputati (di cui all'art. 323 c.p. nel testo antevigente) costituisca fatto non (piu') previsto dalla legge come reato, ma deve verificarsi se il medesimo possa essere sussunto anche nella nuova fattispecie incriminatrice. Nella specie, dunque, opera il disposto di cui all'art. 2, cpv., c.p., in forza del quale "nessuno puo' essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato": ne consegue che la verifica che le condotte ascritte agli imputati non possano essere inquadrate nella fattispecie incriminatrice come attualmente vigente - neppure in astratto, e fatta salva la piu' penetrante verifica in sede di decisione all'esito dell'istruttoria dibattimentale, in caso di esito negativo di siffatta verifica delibativa operata ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 129 cit. - implicherebbe l'immediata pronuncia di sentenza di n.d.p. perche' il fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato. Soltanto nell'ipotesi di verifica della sussumibilita' - in astratto - delle condotte ascritte agli imputati anche nella nuova fattispecie incriminatrice (e peraltro anche dell'insussistenza dei presupposti per pronunciare sentenza di n.d.p. - ex art. 129, commi 1 e 2, c.p.p. - per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, stante la diminuzione dei termini di prescrizione conseguita alla modifica normativa de qua), acquisterebbe eventualmente rilevanza nel presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale de qua. Ed invero in siffatta ipotesi, giusta il disposto di cui all'art. 2, comma 1, c.p. ("nessuno puo' essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato") e di cui all'art. 2, comma 3, c.p. ("se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono piu' favorevoli al reo ..."), la norma di cui all'art. 323 c.p. antevigente troverebbe necessaria applicazione, dovendo in tale ipotesi il collegio rispettivamente verificare se la condotta ascritta agli imputati rientri anche nella antevigente fattispecie incriminatrice e, in caso positivo, quale delle due norme sia piu' favorevole per i rei. In tale ipotesi, e soltanto in tale ipotesi, la questione diventerebbe rilevante, poiche' il suo eventuale accoglimento (con conseguente espunzione ex tunc dall'ordinamento giuridico dell'art. 323 c.p. nel testo antevigente) determinerebbe - a norma del richiamato art. 2, comma 1, c.p. - l'emanazione di sentenza di n.d.p. perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato. L'opzione ermeneutica accolta dal collegio trova conforto nella giurisprudenza di legittimita', che ha affermato - nell'analoga circostanza dell'abrogazione dell'art. 324 c.p. operata con legge 86/90 - che anche dopo l'abrogazione "la condotta che prima della suddetta novella veniva punita come interesse privato in atti d'ufficio, conserva rilevanza, sul piano penale, se ed in quanto comprenda tutti gli estremi per la configurabilita' del delitto di abuso si ufficio, cosi' come descritti nel nuovo testo dell'art. 323 c.p." (cosi' Cass. 6587 del 13 giugno 1991). Come gia' osservato, nella presente sede detta verifica deve necessariamente essere operata in astratto, al fine di accertare se tutti gli elementi costitutivi dell'illecito penale come descritto nel nuovo testo dell'art. 323 c.p. "siano stati ritualmente descritti nell'imputazione o altrimenti contestati all'imputato" (cosi' Cass. 553 del 25 gennaio 1993), o comunque se gia' dalla stessa formulazione del capo d'imputazione si evinca l'insussistenza di almeno un elemento costitutivo del nuovo reato in oggetto. Ritenuto che, nel caso di specie, non sussistono i presupposti per l'emanazione della sentenza di NDP suddetta, poiche' dall'esame del capo di imputazione risulta che nello stesso sono state contestate agli imputati condotte di abuso astrattamente sussumibili nel nuovo testo dell'art. 323 c.p., essendo la condotta descritta come avvenuta nell'esercizio delle funzioni rispettivamente di sindaco e di tecnico comunale, non potendosi escludere nella presente sede che l'abuso come contestato sia consistito anche in violazione di legge (essendo contestato agli imputati il ritardo nel compimento di un atto di ufficio ed il rilascio di autorizzazione non in sanatoria nonostante la quasi ultimazione dell'opera). Essendosi, poi, il reato come contestato consumato nell'aprile 1994, non sussistono neppure i presupposti per dichiarare la sopravvenuta prescrizione del reato. Risulta evidente pertanto - giusta quanto sopra argomentato - la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale in oggetto, osservando ulteriormente che la norma di cui all'art. 323 c.p. antevigente trova necessaria applicazione sin dalla presente fase del giudizio. In relazione alla non manifesta infondatezza della questione, osserva il collegio: che il principio di tassativita' cui, a norma dell'art. 25, comma secondo, Cost., devono conformarsi le norme incriminatrici penali, esprime l'esigenza di evitare la genericita', l'indeterminatezza della fattispecie astratta, in modo tale che sia assicurata l'individuazione, a mezzo degli usuali metodi ermeneutici, della condotta penalmente rilevante; che l'interpretazione corrente della norma de qua ricomprende nella condotta dell'abuso ogni "violazione del parametro di doverosita' come risulta dalle regole normative improntate ai principi di legalita' imparzialita' e buon andamento della p.a." (cosi' Cass. 9730/1992), e "qualsivoglia comportamento del pubblico ufficiale esplicantesi in una illecita deviazione dai fini istituzionali della p.a." (cosi' Cass. 5340/1993), nonche' gli atti viziati da eccesso di potere; che la suddetta interpretazione, che costituisce diritto vivente non consente di escludere dubbi sull'indeterminatezza della fattispecie penale di cui trattasi, stante la aleatorieta' di figure quali "parametro di doverosita'" e "fini istituzionali", e l'assenza di una definizione normativa della figura dell'eccesso di potere, i cui contenuti sono stati individuati soltanto ex post dalla dottrina e dalla giurisprudenza amministrativa ed e' figura il cui contenuto e' in costante evoluzione e cambiamento; che conseguentemente appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale come sopra prospettata.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell' art. 323 c.p. - formulazione antevigente - in relazione all'art. 25, comma secondo, della costituzione; Sospende il presente processo, disponendo la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata, a cura della cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Sondrio, addi' 27 gennaio 1998. Il presidente: Giorgi I giudici: Camnasio - De Sabbata 98C0380