N. 270 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 1997

                                N. 270
  Ordinanza  emessa  il  12  dicembre 1997 dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Roma  nel  procedimento  penale  a
 carico di Pelliccia Mauro ed altri
 Processo  penale  -  Indagini  preliminari - Richiesta di proroga dei
    termini - Previsione, alla stregua del  diritto  vivente,  che  la
    richiesta  del pubblico ministero contenga la mera indicazione del
    reato e non anche le comunicazioni sulle iscrizioni  nel  registro
    delle  notizie  di  reato  di  cui  all'art. 335 cod. proc. pen. -
    Disparita' di trattamento tra indagati, con riferimento al diverso
    regime (necessita' di indicazioni temporali e spaziali del  fatto)
    previsto  per  l'informazione di garanzia - Lesione del diritto di
    difesa.
 (C.P.P. 1988, art. 406, comma 1).
 (Cost., artt. 3, e 24, secondo comma).
(GU n.17 del 29-4-1998 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha emesso la seguente ordinanza.
   Vista  la  richiesta  di  proroga  dei   termini   delle   indagini
 preliminari  avanzata  da  p.m.  dott.  D'Ippolito,  nell'ambito  del
 procedimento n.  1013/97R nei confronti di Mulazzi Lino, nato a  Roma
 il  23  settembre  1960,  indagato "per i reati di cui agli artt. 81,
 476, 482 e 491 c.p.", e nei confronti di  Pelliccia  Mauro,  nato  ad
 Orvieto  l'11 novembre 1960 e Satarossa Agostino Fabio, indagati "per
 i reati di cui agli artt. 368, 476, 482 e 491 c.p.".
   Vista la memoria depositata, ai sensi e nei termini di cui all'art.
 406 comma 3 c.p.p., dal difensore di  Satarossa  nella  quale  si  fa
 rilevare che;
     1)  l'indagato  non  e'  a  conoscenza  dei  fatti non avendo mai
 ricevuto alcuna comunicazione, prima d'ora;
     2) avendo chiesto notizie presso la cancelleria di questo G.i.p.,
 l'addetto alla segreteria non ha ritenuto  di  poter  fornire  alcuna
 delucidazione in merito;
     3) allo stato il Satarossa non puo' che ribadire di non conoscere
 i  coindagati  Mulazzi  e  Pelliccia  e  di  non  essere  in grado di
 comprendere neppure  quale  sia  l'ipotesi  di  reato  non  potendosi
 considerare  adeguata la elencazione degli articoli del codice penale
 imputati al Satarossa;
     4)  conseguentemente,  il difensore si trova "nell'impossibilita'
 materiale di presentare memorie".
                             O s s e r v a
   La doglianza  formulata  dal  difensore  nel  presente  caso,  pone
 l'accento  su  di  un  particolare  aspetto della disciplina relativa
 all'istituto della proroga delle indagini che, ad  avviso  di  questo
 scrivente,   presenta   profili  di  dubbia  conformita'  al  dettato
 costituzionale.
   In estrema sintesi, infatti,  l'attuale  normativa  prevede,  (art.
 406 comma 1 e 3 c.p.p):
     a)  che  il  p.m. possa richiedere al giudice per giusta causa la
 proroga del termine previsto dall'art. 405;
     b) che la richiesta contenga l'indicazione della notizia di reato
 e, l'esposizione dei motivi che la  giustificano;
     c) che la richiesta sia  notificata  al  difensore  con  l'avviso
 della facolta' di presentare memorie entro  cinque giorni.
   Il  rispetto  del  principio  del  contraddittorio,  che il sistema
 appena delineato sembra garantire,  e',  pero',  solo  apparente  una
 volta  che  si  consideri  che,  per  giurisprudenza consolidata (con
 riferimento alla interpretazione di tale locuzione) si ritiene che il
 requisito della "indicazione della notizia di reato" di cui al  comma
 1  dellart.   406 e' assolto con l'indicazione delle ipotesi di reato
 per  le  quali  vengono  svolte  le   indagini,   senza   che   siano
 indispensabili  altre  indicazioni temporali e spaziali del fatto (le
 quali ultime sono, invece, da ritenersi previste  per  l'informazione
 di garanzia). La ragione di tale differente regime andrebbe ricercata
 nel  fatto  che,  mentre  l'informazione  di  garanzia  mira  a porre
 l'indagato in condizione di approntare difese di merito,  la  notizia
 di  reato  nella  richiesta  di  proroga  serve  solo  come  punto di
 riferimento  del  vero  oggetto  del  contraddittorio  che   riguarda
 essenzialmente  i  motivi  addotti  dal  p.m. per giustificare la sua
 richiesta (in tal senso Cass. 6 agosto 1992, Ferlin).
   Cio' comporta che, per un verso, i p.m. ritengano di aver  assolto,
 all'onere  loro  imposto  dalla legge, limitandosi a fornire una mera
 elencazione di articoli e,  per  altro  verso,  che  l'indagato,  che
 riceve  una  informazione  cosi'  concepita,  possa trovarsi in serie
 difficolta' per comprendere quale sia l'ipotesi  accusatoria  attorno
 alla  quale  l'organo  competente sta lavorando nei suoi confronti e,
 conseguentemente, non abbia (come proprio il caso specifico in  esame
 sembra  mostrare  in  maniera  lampante)  realistiche possibilita' di
 interloquire con cognizione di causa sulla "giustezza" della  "causa"
 per la quale il p.m. chiede la proroga del termine.
   Di fatto, percio', la facolta' difensiva, riservata alla difesa nel
 comma 3 dell'articolo in esame si risolve in un mero feticcio
   E  cio'  e'  tanto  piu' vero laddove si consideri che, ex art. 335
 c.p.p., non esiste un obbligo di comunicazione della notizia di reato
 e che, se e' vero che le comunicazioni sulle iscrizioni, alla persona
 alla quale il reato e' attribuito ed ai rispettivi difensori, possono
 essere rilasciate "ove  ne  facciano  richiesta"  non  e'  seriamente
 ipotizzabile,  vista  la stringatezza dei termini, che entro i cinque
 giorni previsti ex art. 406,  comma  3,  un  indagato  -  che  ignori
 completamente   tale   sua   condizione  -  abbia  la  capacita',  di
 individuare con  sollecitudine  l'ufficio  di  procura  competente  a
 fornire  le  necessarie informazioni sul procedimento che lo riguarda
 e,  possa,  poi, esercitare, a ragion veduta, la prevista facolta' di
 presentare memorie. E, se tutto cio' e' gia' poco realistico mediante
 l'ausilio di un difensore, e' agevole immaginare quanto meno  lo  sia
 nell'eventualita'  in cui il soggetto debba ancora cercare e nominare
 un difensore
   Le obiettive difficolta' difensive nelle quali va ad imbattersi  il
 soggetto   che  riceva  notizia  della  richiesta  di  proroga  delle
 indagini, nei  termini  qui  in  discussione,  non  sono,  superabili
 neppure  grazie  ad  informazioni fornibili da parte dell'ufficio del
 g.i.p. Tale facolta', infatti, non solo non  e'  prevista  da  alcuna
 norma  ma  non  e'  neppure  desumibile in via di interpretazione. Ed
 infatti, l'esame della disciplina relativa al rilascio di copie (art.
 116 c.p.p.), e della consolidata giurisprudenza sul  punto,  convince
 del  fatto  che,  tanto e' chiaro il principio secondo cui nella fase
 delle indagini preliminari  la  disponibilita'  degli  atti  e  delle
 relative  notizie  e'  da  ritenersi di esclusiva pertinenza del p.m.
 (sez. I, 7 luglio 1994, Ascione) che si sono resi necessari  espressi
 interventi normativi per affermare il diverso principio secondo cui -
 in  determinate  fasi  delle  indagini  preliminari  - le parti hanno
 diritto di accesso agli atti ed al conseguente rilascio di copie (es.
 artt. 309, comma  8,  e  398,  comma  3  e  3-bis  c.p.p.)  senza  la
 preventiva  autorizzazione  del p.m. Giova, peraltro, evidenziare che
 la problematica (che ha dato luogo alle innovazioni normative  dette)
 e'  sorta  in  presenza  di  disposizione che, comunque, prevedeva il
 deposito degli atti. Nella specie, invece,  per  la  procedura  della
 proroga  delle  indagini,  non  esiste neppure alcun deposito di atti
 (dal  quale  argomentare  anche  solo  un  ipotetico   diritto   alla
 conoscenza)  e,  di  conseguenza,  al  g.i.p. deve ritenersi preclusa
 qualsiasi facolta' di rilascio di informazioni circa la natura  e  le
 ragioni del procedimento per il quale e' stata richiesta la proroga.
   Di  certo,  tali problemi non sussisteranno nella ipotesi in cui il
 p.m. non essendovi obbligato, abbia ritenuto di inviare  all'indagato
 una  informazione  di garanzia che, contenendo riferimenti normativi,
 temporali e spaziali, avra' posto l'interessato in grado di conoscere
 di cosa tratti il procedimento che lo riguarda e per il quale riceva,
 poi, avviso di una avvenuta richiesta di proroga.
   Tutto  cio',  pero',  accentua  i  profili  di  irragionevolezza  e
 disparita' di trattamento insiti nell'attuale disciplina prevista per
 la richiesta di proroga delle indagini.
   Non  vi  e'  chi  non  veda, infatti, come tale sistema finisca per
 confliggere con il principio di uguaglianza posto  che  ogni  persona
 indagata  ha  diritto  agli  stessi  spazi difensivi laddove, invece,
 l'indagato nei cui confronti proceda un p.m. che ritenga  di  inviare
 l'informazione di garanzia e' certamente piu' avvantaggiato di quello
 che  venga  a  sapere  della pendenza di un procedimento a suo carico
 solo nel momento in cui il g.i.p. gli faccia pervenire  l'avviso  che
 il p.m. ha chiesto la proroga del termine delle indagini.
   Inutile  sottolineare, infine, che, per tutto quanto considerato in
 precedenza, e' evidente che lo spazio per il contraddittorio previsto
 dall'art. 403, comma  3,  e'  un  mero  simulacro  molto  spesso  non
 esplicabile in concreto.
   Tale  argomentare  induce  questo giudice a sollevare di ufficio la
 questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  406,  comma  1,
 c.p.p.  con  riferimento  agli  articoli 3 e 24, secondo comma, della
 Costituzione nella parte in cui prevede che  la  richiesta  del  p.m.
 contiene  solo  "l'indicazione  della notizia di reato" (tenuto conto
 della restrittiva interpretazione comunemente data a  tale  accezione
 da  intendersi  alla  stregua  di  "diritto  vivente") e non anche le
 comunicazioni sulle iscrizioni di cui all'art. 335 c.p.p.
   Logica vorrebbe, infatti, che, ferma restando la facoltativita'  di
 invio della informazione di garanzia, nei primi sei mesi di indagine,
 una  volta  che  decida  di chiedere la proroga, il p.m. sia tenuto a
 dare comunicazione delle iscrizioni effettuate ex art. 335 c.p.p.  in
 maniera compiuta affinche' il soggetto sottoposto alle indagini possa
 soppesare effettivamente (sapendo di quale  accusa  -  sia  pure  per
 grandi  linee  -  si tratta) e non solo astrattamente (in base ad una
 generica elencazione di  articoli  di  legge  sfornita  di  qualsiasi
 riferimento  temporale  o  spaziale)  quella  giustezza della causa -
 della richiesta di proroga delle indagini - che certamente  non  puo'
 ritenersi  circoscritta  solo  alla verifica del rispetto dei termini
 (anche perche', diversamente, non avrebbe ragione d'essere l'obbligo,
 imposto al p.m. di  "esposizione  dei  motivi"  che  giustificano  la
 richiesta).
   La  soluzione  auspicata,  tra  l'altro,  non  sarebbe  neppure  in
 contrasto con il principio  di  riservatezza  posto  che,  lungi  dal
 tendere  ad  una discovery anticipata (con accesso ad atti o rilascio
 di  copie),  ancorandosi  alla  disciplina  della   informazione   di
 garanzia,  si risolverebbe in un equo contemperamento tra le esigenze
 di riservatezza delle indagini e quelle di effettivita'  del  diritto
 di difesa.
   In punto di rilevanza, si osserva che la questione qui proposta non
 risulta  ancora  portata  alla  attenzione  della  Consulta  e la sua
 presente proposizione appare rilevante perche' la pronuncia  invocata
 si  pone come pregiudiziale alla decisione sulla richiesta di proroga
 avanzata dal p.m. stante la obiettiva e constatabile - quanto al caso
 concreto - impossibilita'  per  l'indagato  di  svolgere  le  proprie
 ragioni  cosi'  come (solo apparentemente) consentitogli dalla norma.
 A riguardo, deve, infatti, condividersi in  pieno  l'argomentare  del
 difensore  nel  caso di specie il quale, giustamente, fa rilevare che
 la mera elencazione di articoli di legge, sfornita di qualsiasi altro
 riferimento temporale o spaziale, impedisce all'indagato  anche  solo
 di  immaginare  quale  sia  la contestazione che gli si vuole muovere
 (posto che neanche la identita' degli altri coindagati -  sconosciuti
 -  fornisce  idoneo punto di riferimento per risalire al fatto da cui
 trarrebbe origine la notizia di reato). Tale  constatazione  pone  il
 presente  giudicante in una situazione di stallo rimuovibile solo con
 la  pronuncia  della  Consulta  che  qui  si  invoca.  In   caso   di
 accoglimento,  infatti,  sarebbe possibile restituire la richiesta al
 p.m. con invito ad integrare l'indicazione della notizia di reato nei
 termini indicati dalla Corte e, all'esito  di  nuove  notifiche  alle
 persone sottoposte alle indagini, pronunciarsi sulla richiesta avendo
 instaurato  un  contraddittorio certamente caratterizzato da maggiore
 effettivita'.
   Ne' sembra obiettabile che la questione sia  inammissibile  perche'
 si risolve in una sostanziale prospettazione di dubbi interpretativi.
 Nella  specie,  infatti,  non  vi  sono  dubbi  interpretativi ma, al
 contrario, vi e' solo una interpretazione giurisprudenziale  costante
 che  attribuisce  al  precetto legislativo un determinato significato
 che  qui si assume incostituzionale. A tale riguardo, si osserva che,
 per affermazione della stessa Corte (Corte costituzionale  12  maggio
 1977  n.  79  e  23  giugno 1956 n. 3), non si puo' prescindere dalla
 esistenza di un consolidato orientamento interpretativo e che,  anzi,
 nell'esaminare  i profili di legittimita' costituzionale di una norma
 "questa deve essere  assunta  nella  interpretazione  adottata  dalla
 Corte  di cassazione cui spetta assicurare l'uniforme interpretazione
 della legge" (Corte costituzionale 24 marzo  1988  n.  333).  A  tale
 stregua,  risulta,  percio'  anche,  che la Corte ha ritenuto gia' la
 propria competenza quando ha affermato che "e' indispensabile che  il
 giudice  a quo prospetti alla Corte o l'impossibilita' di una lettura
 adeguata ai principi costituzionali oppure che lamenti l'esistenza di
 una costante lettura delle  disposizioni  denunciate  (c.d.  "diritto
 vivente") in senso contrario alla costituzione" (Corte costituzionale
 27 luglio 1989, n. 456).
   Tale sembra, appunto, essere il caso che qui occupa.
   Apparendo,  quindi,  la  questione,  rilevante e non manifestamente
 infondata  non  resta  che  portarla  all'attenzione  della  Consulta
 disponendo,  per  conseguenza, la sospensione del giudizio in corso e
 la trmissione degli  atti  alla  Corte  costituzionale.  La  presente
 ordinanza,  ex art.  23 legge 11 marzo 1953 n. 87, va notificata alle
 parti interessate, al p.m., al Presidente del Consiglio dei  Ministri
 ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Solleva  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 406
 comma 1 c.p.p. con riferimento agli artt. 3 e 24 secondo comma  Cost.
 nella  parte  in  cui prevede che la richiesta del p.m. contiene solo
 "l'indicazione  della  notizia  di   reato"   (tenuto   conto   della
 restrittiva  interpretazione  comunemente  data  a  tale accezione da
 intendersi  alla  stregua  di  "diritto  vivente")  e  non  anche  le
 comunicazioni sulle iscrizioni di cui all'art. 335 c.p.p.;
   Ordina la sospensione del giudizio in corso;
   Ordina   la   trasmissione  della  presente  ordinanza  alla  Corte
 costituzionale;
   Manda alla cancelleria per la notifica alle parti  interessate,  al
 p.m., al Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti delle
 due Camere del Parlamento.
     Roma, addi' 12 dicembre 1997
            Il giudice per le indagini preliminari: Mulliri
 98C0390