N. 102 SENTENZA 26 marzo - 6 aprile 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e assistenza - Iscritti I.N.A.D.E.L. - Indennita' premio
 di  servizio  -  Assoggettamento  a  sequestro   o   pignoramento   -
 Differenziazione di trattamento tra i dipendenti pubblici e statali e
 i  lavoratori  privati  - Incomparabilita' dei sistemi (vedi sentenze
 della Corte nn. 243 e 99 del 1993) - Richiesta di sentenza additiva -
 Discrezionalita'  legislativa  -  Spettanza  al  Parlamento  valutare
 l'opportunita'   di   una   revisione  complessiva  della  materia  -
 Inammissibilita'.
 
 (D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 55, quarto comma).
 
 (Cost., art. 3).
 
(GU n.15 del 15-4-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 55, ultimo
 comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950,  n.  180  (Approvazione  del  testo
 unico  delle  leggi  concernenti  il  sequestro, il pignoramento e la
 cessione degli stipendi,  salari  e  pensioni  dei  dipendenti  dalle
 Pubbliche  Amministrazioni),  promosso  con  ordinanza  emessa  il 16
 dicembre 1996 dal pretore di Torino nel procedimento civile  vertente
 tra  INPDAP  e la Reale Mutua Assicurazioni s.p.a., iscritta al n. 62
 del registro ordinanze 1997 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 10  dicembre  1997  il  giudice
 relatore Francesco Guizzi.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  In  un  procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, il
 pretore di Torino ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione,  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 55,
 quarto comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950,  n.  180  (Approvazione  del
 testo  unico  delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e
 la cessione degli stipendi, salari e pensioni  dei  dipendenti  dalle
 Pubbliche   Amministrazioni),  in  base  al  quale  "non  si  possono
 perseguire le indennita'  premio  di  servizio  conferite  ai  propri
 iscritti  dall'Istituto  nazionale  per  l'assistenza  dei dipendenti
 degli enti locali".
   La rubrica dell'art. 55, con la sua collocazione nel titolo III del
 d.P.R. n. 180, concernente la cessione dello stipendio, dimostra  che
 l'espressione   usata   dal  legislatore  "non  perseguibilita'"  non
 riguarda il sequestro e pignoramento di  cui  al  titolo  I,  ma  gli
 effetti   della   cessione   dello   stipendio  sulla  corresponsione
 dell'indennita' al termine del servizio attivo: di qui, la  rilevanza
 della  questione.    La norma denunciata, osserva il giudice a quo fa
 eccezione alla regola fissata dall'art. 43, terzo  comma  del  citato
 d.P.R. n. 180, secondo cui - quando vi sia cessione dello stipendio -
 l'indennita'  maturata al termine del servizio "e' ritenuta fino alla
 concorrenza dell'intero debito residuo", per cui  gli  effetti  della
 cessione  dello stipendio non si estendono alla "indennita' premio di
 servizio", in origine corrisposta dall'INADEL  e,  ora,  dall'INPDAP.
 Essa  ha perso, invero, la sua caratteristica di premio alla fedelta'
 del dipendente, e va qualificata come trattamento di  fine  rapporto.
 In  via  piu' generale, prosegue l'ordinanza, la legge 8 agosto 1995,
 n. 335, mira a omogeneizzare i  vari  tipi  di  trattamento  di  fine
 servizio,  richiamando per il pubblico impiego l'art. 2120 del codice
 civile.
   Anche nella recente giurisprudenza costituzionale si  e'  affermata
 la comparabilita' di tali trattamenti, superando la netta separazione
 fra  sfera  pubblica  e privata (sentenze nn. 243 e 99 del 1993), si'
 che sarebbe irragionevole la disciplina che l'art. 55, ultimo  comma,
 riserva al dipendente pubblico beneficiario dell'indennita' premio di
 servizio  rispetto  agli  altri per i quali vale il meccanismo di cui
 agli  artt.  43, terzo comma, e 55, primo e secondo comma, del d.P.R.
 n. 180. Ma vi sarebbe, soprattutto, disparita' con i  lavoratori  del
 settore  privato,  per  i quali non esiste alcun limite alla cessione
 del trattamento di fine rapporto (art. 1260 del codice civile).
   Il  pretore  aggiunge  che  per  l'indennita'   di   buona   uscita
 corrisposta  dall'ENPAS  va  applicato  l'art.  45, ultimo comma, del
 d.P.R. citato.
   2. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,   rappresentato   dall'Avvocatura  dello  Stato,  eccependo
 l'inammissibilita' per scarsa chiarezza dell'ordinanza e  sostenendo,
 comunque,  l'infondatezza  della questione. E se non vi e' dubbio che
 l'indennita' in esame debba ormai considerarsi  alla  stregua  di  un
 trattamento  di  fine  rapporto,  va  tuttavia  considerato  che pure
 l'indennita' di buona uscita conferita  dall'ENPAS  non  puo'  essere
 perseguita  (art.  45, ultimo comma). Non vi e' quindi disparita' fra
 dipendenti pubblici; ne' va accolta la censura  che  si  fonda  sulla
 comparazione  con  l'impiego  privato,  perche'  valgono  esigenze di
 garanzia connesse  alla  funzione  svolta  dai  dipendenti  pubblici,
 discrezionalmente  apprezzate  dal  legislatore.  Si tende, certo, al
 graduale avvicinamento delle normative, ma - conclude l'Avvocatura  -
 sussistono ancora ragguardevoli differenze fra il trattamento di fine
 rapporto  regolato  da  norme  privatistiche  e quello dei dipendenti
 pubblici, tanto da giustificare una disciplina distinta  in  tema  di
 "perseguibilita'" da parte di terzi.
                         Considerato in diritto
   1.  - Il pretore di Torino ha sollevato, in riferimento all'art.  3
 della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.    55,  quarto  comma,  del  d.P.R.  5 gennaio 1950, n. 180
 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti  il  sequestro,
 il  pignoramento  e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei
 dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni), in base al "quale non si
 possono perseguire le indennita'  premio  di  servizio  conferite  ai
 propri   iscritti   dall'Istituto   nazionale  per  l'assistenza  dei
 dipendenti degli enti locali". Vi sarebbe lesione  del  principio  di
 eguaglianza,  perche'  la  norma  denunciata introdurrebbe una deroga
 all'interno della disciplina riservata  ai  dipendenti  pubblici;  ed
 emergerebbe   altresi'   un'ingiustificata   disparita'  rispetto  ai
 lavoratori del settore  privato,  per  i  quali  vale  la  previsione
 dell'art. 1260 del codice civile senza alcun limite alla cessione del
 trattamento di fine rapporto.
   2.  -  Si  deve  convenire con il giudice   a quo che l'espressione
 usata  dal  legislatore  "non  perseguibilita'"   non   riguarda   le
 fattispecie  di  sequestro e pignoramento, di cui al titolo primo del
 d.P.R. n.    180,  ma  concerne  gli  effetti  della  cessione  dello
 stipendio  sulla  corresponsione dell'indennita' quando abbia termine
 il servizio attivo.   La norma denunciata fa  eccezione  alla  regola
 fissata  dall'art. 43, terzo comma, del citato d.P.R. n. 180, in base
 al quale - ove la cessazione dal servizio dia titolo a una indennita'
 - si fa luogo a ritenuta fino  alla  concorrenza  dell'intero  debito
 residuo,  per  cui  la  "non  perseguibilita'" disposta dall'art. 55,
 ultimo comma, esclude l'applicabilita' di siffatta procedura.
   Bisogna pero' soggiungere che analoga - e piu' vistosa -  eccezione
 e'  introdotta  dall'art.  45,  ultimo  comma,  del d.P.R. n. 180 per
 l'"indennita' di buona uscita" corrisposta dall'ENPAS  ai  dipendenti
 statali; anche in questo caso e' prevista la "non perseguibilita'", e
 non  si  palesa  esatta  la ricostruzione suggerita dal giudice a quo
 allorche' insiste sul  carattere  eccezionale  dell'art.  55,  quarto
 comma, nell'ambito della disciplina vigente per gli stessi dipendenti
 pubblici.
   3.  -  Vi  e'  certo una differenza di trattamento fra i dipendenti
 pubblici in esame e gli statali, da una parte,  e  i  lavoratori  del
 settore privato, dall'altra, per i quali vale la previsione dell'art.
 1260  del codice civile, su cui fa leva l'ordinanza per denunciare la
 lesione dell'art. 3 della  Costituzione,  alla  luce  dell'evoluzione
 legislativa  che ha trasformato l'indennita' premio di servizio in un
 vero e proprio trattamento di fine rapporto.
   Il giudice  a  quo  dimentica,  pero',  che  la  norma  sulla  "non
 perseguibilita'" - che pure risulta per tanti aspetti anacronistica -
 si  inserisce in un meccanismo normativo tipico del pubblico impiego,
 quello della cessione dello stipendio, pari a un quinto; e che i  due
 sistemi,  pubblico  e  privato,  non  sono  allo  stato  comparabili,
 nonostante  il  processo  di  graduale  assimilazione  rilevato   dal
 Pretore,  che  trova  eloquente  riconoscimento  nella giurisprudenza
 costituzionale (fra le varie, v. le sentenze nn. 243 e 99 del 1993) e
 nella recente legislazione.  Ed e' appena il caso  di  ricordare  che
 per i dipendenti pubblici assunti dal 1 gennaio 1996 i trattamenti di
 fine  servizio, comunque denominati, sono regolati dall'art. 2120 del
 codice civile (legge 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 5).
   La normativa vigente nel settore privato non puo'  essere  assunta,
 su  questo  punto  particolare, come valido tertium comparationis: la
 pronuncia  della  Corte,  sollecitata  dal  giudice  a  quo  dovrebbe
 inevitabilmente  rimodellare  il sistema delineato dal d.P.R. n. 180,
 intervenendo - senza limitarsi all'indennita' premio  di  servizio  -
 anche  su  quella  di  buona uscita, al fine di evitare sperequazioni
 all'interno dello stesso  comparto  pubblico,  con  evidente  lesione
 della  discrezionalita' del legislatore. Spetta percio' al Parlamento
 valutare  l'opportunita'  di  una  revisione  complessiva   di   tale
 meccanismo.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 55, quarto  comma,  del  d.P.R.  5  gennaio  1950,  n.  180
 (Approvazione  del  testo unico delle leggi concernenti il sequestro,
 il pignoramento e la cessione degli  stipendi, salari e pensioni  dei
 dipendenti    dalle   Pubbliche   Amministrazioni),   sollevata,   in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal pretore di Torino, con
 l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1998.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Guizzi
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 6 aprile 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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