N. 294 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 1997

                                N. 294
  Ordinanza emessa il 9 dicembre  1997  dalla  Commissione  tributaria
 provinciale  di  Modena sul ricorso proposto da Uptiles S.p.a. contro
 l'Ufficio del registro di Sassuolo
 Contenzioso  tributario  -  Procedimento   innanzi   le   Commissioni
    tributarie - Pronuncia di cessazione della materia del contendere,
    a   seguito  della  proposizione,  da  parte  dell'Amministrazione
    finanziaria,  di  atto  di  "autotutela"  -  Spese  processuali  -
    Imposizione   a   carico  della  parte  che  le  ha  anticipate  -
    Possibilita',  per  il  contribuente, di esprimersi su tale atto e
    per il giudice di pronunciarsi in  merito  alle  spese  -  Mancata
    previsione  - Deteriore trattamento del contribuente rispetto alla
    pubblica amministrazione - Lesione del principio di eguaglianza  -
    Violazione  del  diritto  di  azione  - Incidenza sul diritto alla
    tutela giurisdizionale.
 (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 46).
 (Cost., artt. 3, 24, primo comma, 24, terzo comma, 113, primo  comma,
    e 113, secondo comma).
(GU n.18 del 6-5-1998 )
                 LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 663/96 spedito il 19
 febbraio  1996, avverso avv. di accert. n. 95000084 - registro contro
 registro  di  Sassuolo  dell'Uptiles  S.p.a.,  legale  rappresentante
 Bernardi  Gianpaolo  residente  a  Fiorano  Modenese  (Modena) in via
 Montegrappa,  4/18,  Ubersetto  difeso  da  Rebuttini  dott.   Marco,
 residente a Sassuolo (Modena) in via Mazzini, 12.
                               F a t t o
   L'Ufficio  del  registro di Sassuolo (Modena) notificava in data 21
 dicembre  1995  al  contribuente  in  epigrafe  processo  verbale  di
 accertamento  n.  95000084  in  materia  di "imposta straordinaria su
 particolari beni" in cui, constatata la violazione dell'art. 8, comma
 6 del d.lgs. 19 settembre 1992, n. 384, convertito con  modificazioni
 in  legge  14  novembre  1992,  n. 438 per omessa presentazione della
 dichiarazione ed omesso versamento del tributo  straordinario  di  L.
 2.306.950,  veniva  accertato  un  credito  erariale  di L. 8.874.603
 comprensivo  di  soprattasse  ed  interessi.  L'accertamento   veniva
 successivamente  impugnato  davanti  a  questa Commissione in data 19
 febbraio 1996 e iscritto al r.g.r. n. 633/1996.
   Nella motivata istanza il ricorrente, rappresentato  dal  difensore
 tecnico  dott.  Marco  Rebottini, dottore commercialista in Sassuolo,
 eccepiva l'illegittimita' dell'atto in quanto il  bene  detenuto  era
 "stato  immatricolato  per  la prima volta all'estero con targa MGDP3
 nell'anno 1988" e si  chiedeva,  pertanto,  l'annullamento  dell'atto
 impugnato  "in  quanto mancante dei presupposti per le sua emissione"
 e, inoltre, la condanna dell'Ufficio al rimborso delle spese come  da
 depositata nota.
   L'Ufficio, costituitosi in giudizio, in controdeduzioni ribadiva la
 conferma  dell'atto  di  accertamento  e  la  inaccoglibilita'  delle
 eccezioni di parte.
   Successivamente lo stesso Ufficio accertatore  depositava  atto  di
 autotutela  ai  sensi  del  d.P.R.  27  marzo 1992, n. 287, dell'art.
 2-quater del d.-l. n. 564/1994 convertito in legge n. 656/1994 e  del
 decreto  del  Min. finanze 11 febbraio 1997, n. 37, per annullare per
 infondatezza l'atto contestato.  Tale  istanza  veniva  comunicata  a
 questa Commissione ai sensi dell'art. 4, comma 2, del suddetto d.m..
                             D i r i t t o
   Il  Collegio,  vista  l'istanza  del  resistente  Ufficio,  ritiene
 ricorrano le condizioni di cui all'art. 46 del d.lgs. n. 546/1992 per
 dichiarare cessata la materia del contendere.
   1. - Osserva tuttavia, in via preliminare, questo Collegio  che  la
 norma,  stante  la  attuale  formulazione del comma 3 del citato art.
 46, decreto legislativo n. 546/1992, non gli  consente  di  esprimere
 una   pronuncia   risolutrice   non   potendo   ne'  condannare,  ne'
 eventualmente  compensare,  in  relazione  alle  spese  del  giudizio
 estinto,  poiche'  il legislatore ha gia' disposto in merito sancendo
 che le stesse "restano a carico della parte  che  le  ha  anticipate"
 cosi'  contravvenendo  sia alla disposizione di carattere generale di
 cui all'art.  15  del  citato  decreto,  sia  ad  un  principio  gia'
 consolidato  del diritto comune e richiamato dallo stesso legislatore
 (art. 91 c.p.c.).
   Opina questa Commissione che, se  vi  e'  rinuncia  di  parte  alla
 pretesa  tutelata in giudizio per ritenuta infondatezza della stessa,
 debba essere la stessa parte rinunciante a farsi carico  delle  spese
 sostenute  dalla  controparte  in  analogia  alla disposizione di cui
 all'art. 44 del decreto legislativo n. 546/1992.
   Rileva invece il Collegio  che,  con  l'introduzione  del  comma  3
 dell'art.    46,  e' il ricorrente, ancora una volta, che si deve far
 carico  delle  spese  anche  quando  e'  l'ufficio   finanziario   ad
 esprimersi,  esercitando  il  proprio  diritto all'autotutela, per la
 rinuncia alla lite quando detto ufficio si  rende  conto,  solo  dopo
 l'instaurazione del giudizio tributario, dell'errore commesso. Appare
 quindi  manifesto  il  pregiudizio  posto  dalla  legge  a carico del
 ricorrente il quale si deve accollare le spese sostenute per l'inizio
 dell'iter processuale poiche' l'Ufficio finanziario  accertatore  non
 puo',  per espressa disposizione di legge, soccombere al risarcimento
 delle spese ingiustamente sostenute dall'altra parte  pur  avendo  il
 ricorrente  mantenuto  un  comportamento,  come  nel  caso di specie,
 conforme alla legge e non meritevole di accertamento.
   Appare chiaro a questo Collegio che la norma sia stata  dettata  al
 fine  di  mantenere  un trattamento di favore verso l'amministrazione
 finanziaria  che,  vedendosi  probabilmente  soccombente,  cerca   di
 evitare  una  condanna  al  rimborso  delle  spese  di  giudizio  con
 l'abbandono o la rinuncia alla lite. Cio' anche in considerazione del
 fatto che nel d.m. n. 37/1997, all'art. 7  "Criteri  di  economicita'
 per  l'inizio e l'abbandono dell'attivita' contenziosa", le direzioni
 dipartimentali sono investite del compito di impartire direttive  per
 l'abbandono  delle  liti  gia' avviate sulla base del "criterio della
 probabilita' alla soccombenza  e  della  conseguente  condanna  della
 stessa A.F. al rimborso delle spese di giudizio".
   Risulta  evidente,  a  parere  di questo Collegio, il contrasto del
 comma 3 dell'art. 46 del decreto legislativo n. 546/1992  con  l'art.
 3  della  Carta costituzionale poiche' non viene garantita la parita'
 di trattamento davanti alla legge, per essere mantenuti oneri solo  a
 carico  di  una  sola  parte  che, vedendosi fra l'altro riconosciuta
 dalla controparte la legittimita' e fondatezza del proprio operato, e
 senza che sia  richiesta  la  sua  accettazione,  deve  sostenere  in
 proprio le spese per vedere affermata la sua giusta pretesa.
   Il  problema  non  puo' risolversi nemmeno rimandando alle norme di
 rito civile. In  esse  infatti  vengono  previste  solo  la  rinuncia
 consensuale  su  iniziativa  di  parte  con  accollo delle spese alla
 stessa parte rinunciante (art. 306,  c.p.c.)  e  l'inattivita'  delle
 parti con compensazione delle spese (art. 307, c.p.c.).
   Sembra  chiaro  quindi alla Commissione che con il mantenimento del
 declarato terzo comma dell'art. 46 decreto legislativo n. 546/1992 la
 legge operi una irragionevole disparita' di trattamento a  svantaggio
 del  contribuente ed un trattamento di favore verso l'Amministrazione
 in pieno contrasto con la disposizione di cui all'art. 3 della  Carta
 costituzionale.
   2.  -  La  previsione  normativa  dell'assistenza  o rappresentanza
 obbligatoria introdotta nel processo tributario di nuovo rito, per la
 maggiore  complessita'  procedurale  rispetto   a   quella   prevista
 nell'abrogato  d.P.R. n. 636/1972, ha comportato un notevole aggravio
 di spese di cui il contribuente si deve prendere carico  per  avviare
 la  fase procedurale.   Inoltre, contrariamente a quanto avveniva con
 la vecchia disciplina del contenzioso, oggi  lo  stesso  contribuente
 puo'   essere   chiamato  al  risarcimento  del  danno  nel  caso  di
 soccombenza in giudizio. Operazione di semplice  normalizzazione  per
 essere  reso  applicabile  anche  al  rito  tributario  il  principio
 civilistico della "soccombenza": chi perde la causa o  rinuncia  alla
 domanda  nel  corso  del  giudizio  deve  pagare, non solo le proprie
 spese, ma anche quelle della parte avversa.  Restano a  carico  delle
 parti  che  le  hanno  anticipate  le  spese del processo estinto per
 inattivita'.
   L'infelice soluzione adottata invece dal legislatore  con  il  piu'
 volte  richiamato  comma  3  dell'art.  46 del decreto legislativo n.
 546/1992 ha reso inoperosa la collaudata  normativa  civilistica,  in
 parte  gia'  mutuata  nell'art.  44  del predetto decreto, producendo
 anche effetti contrastanti con quelli  che  la  norma  costituzionale
 avrebbe  voluto che si fossero effettivamente prodotti con l'art.  24
 della Carta.
   Si e' detto che con il processo di nuovo rito  il  contribuente  si
 vede  un  aggravio  di spese per dover ricorrere, nella maggior parte
 dei casi, alla "assistenza tecnica". Si impone quindi una valutazione
 prettamente soggettiva per decidere se iniziare la fase procedurale o
 soccombere alle richieste della pubblica amministrazione. In ossequio
 al principio costituzionale del diritto alla difesa,  il  legislatore
 ha  anche  previsto  il  gratuito  patrocinio  per  il ricorrente non
 abbiente.
   Con la disposizione normativa di cui al comma 3, dell'art.  46  del
 decreto legislativo n. 546/1992 appare evidente, invece, che si vuole
 scoraggiare  il ricorso a qualunque forma di giustizia, dagli effetti
 ancora  piu'  gravi  e  maggiormente   contrastanti   col   principio
 costituzionale  de  quo, quando e soprattutto il contribuente si vede
 poi  dare  ragione,  con   l'atto   di   autotutela,   dalla   stessa
 amministrazione finanziaria.
   La   Commissione  giudica  tale  stato  di  cose  privo  di  valido
 fondamento giuridico e quindi  idoneo  a  violare,  senza  limiti  di
 tempo,  il  diritto  alla  difesa  dei  contribuenti in trasgressione
 all'art. 24, primo  comma,  della  Carta  costituzionale  laddove  si
 statuisce che il diritto alla difesa e' inviolabile e che la legge lo
 deve garantire in ogni stato e grado del procedimento.
   Altra  pertinente  osservazione  della  Commissione e' che ai sensi
 dell'art. 44 del decreto legislativo  n.  546/1992,  il  contribuente
 ricorrente che intende rinunciare al ricorso deve, oltre che ottenere
 il  consenso  dell'amministrazione  finanziaria,  farsi  carico delle
 spese di giudizio. La norma sembra essere in  linea  con  i  principi
 ritualistici  generali e trova piena costituzionalita' in quanto e se
 applicabile anche alla controparte amministrazione finanziaria.    Ma
 con  la  successiva  entrata "a regime" dell'istituto dell'autotutela
 riservato all'amministrazione finanziaria, si e' dotata  quest'ultima
 di  uno  specialissimo  potere di ritiro dal processo. Il conseguente
 effetto di scudo contro le spese dato dal preesistente e  piu'  volte
 menzionato  comma  3  dell'art.  46,  non pare, a questa Commissione,
 essere l'effetto voluto dal legislatore ma solo  il  prodotto  di  un
 mancato  coordinamento  normativo  in grado di generare la denunciata
 possibile incostituzionalita'.
   Infatti solo ove l'autotutela scaturisse da una  precisa  richiesta
 del  contribuente  ricorrente  si  puo' ragionevolmente ipotizzare la
 compensazione delle spese. In questo caso, infatti, nell'istanza  del
 contribuente-ricorrente,  si  viene a delineare un interesse di parte
 alla chiusura della lite che giustificherebbe ampiamente  il  ricorso
 alla compensazione delle spese.
   Ma  nel caso di specie, invece, l'autotutela non e' stata richiesta
 dal contribuente bensi' gli e'  stata  imposta.  La  Commissione  non
 vede,  quindi,  come  non  possa  coagularsi un chiaro trattamento di
 favore   verso   l'amministrazione   finanziaria   con    conseguente
 parzialita'  scaturente  dalla formulazione letterale del terzo comma
 dell'art.  46 del decreto legislativo n. 546/1992 che qui  si  espone
 al dubbio di costituzionalita'.
   Non   meno  manifesta  pare  poi  la  fondatezza  della  violazione
 dell'art.  24, primo comma, della  Carta  fondamentale  che  sancisce
 l'intangibilita' della tutela giurisdizionale di ogni soggetto. Detta
 tutela  deve essere totale non potendosi accettare zone franche. Essa
 quindi non puo' che estendersi anche al  diritto  al  rimborso  delle
 spese  di  giudizio  quando  la  parte  ricorrente,  senza  che possa
 interloquire, vede sottrarsi  la  possibilita'  di  ristorarsi  delle
 spese  sostenute  per  far  fronte  ad una pretesa fiscale rivelatasi
 infondata. La circostanza che l'infondatezza non venga dichiarata dal
 giudice, ma riconosciuta  dalla  controparte,  non  deve  privare  il
 ricorrente  del  diritto al risarcimento, pena una evidente, ingiusta
 mutilazione del suo buon diritto costituzionalmente protetto.
   Non possono pertanto ammettersi, a parere  di  questa  Commissione,
 nell'ordinamento  giuridico  norme che, regolando la soccombenza alle
 spese di una sola parte in giudizio, di fatto scoraggiano l'accesso a
 qualunque forma di giustizia. In tal senso preclaro  e'  l'intervento
 del  legislatore  costituzionale  nello  stesso  art.  24  laddove si
 sancisce la inviolabilita' del diritto alla difesa assicurando ai non
 abbienti i mezzi per agire e difendersi avanti ad ogni giurisdizione.
   Visti gli artt. 134 della Costituzione e  23,  terzo  comma,  della
 legge  11 marzo 1953, n. 87, della Commissione tributaria provinciale
 di Modena, sez. VII.
                                P. Q. M.
   Giudica rilevante e non manifestamente infondata  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  del terzo comma dell'art. 46 del d.lgs.
 31 dicembre 1992, n. 546 in riferimento agli artt. 3 e  24,  primo  e
 terzo  comma,  e 113, primo e secondo comma, della Costituzione della
 Repubblica, nella parte  in  cui  non  consente  al  contribuente  di
 potersi   esprimersi  sulla  "rinuncia",  se  unilateralmente  decisa
 dall'Ufficio impositore con atto di "autotutela", al prosieguo  della
 causa ne' al giudice di pronunciarsi sulla soccombenza delle spese di
 giudizio;
   Sospende  il  giudizio e si riserva ogni altra pronuncia in rito ed
 in  merito  e  dispone  la  trasmissione  degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Ordina  che,  a  cura  della  segreteria, la presenta ordinanza sia
 notificata alle parti ed al Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri
 nonche'  comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della
 Camera dei Deputati.
   Cosi' deciso in Modena, il 9 dicembre 1997.
                        Il presidente: Tardino
                                              Il relatore: Scicchitano
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