N. 436 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 febbraio 1998

                                N. 436
  Ordinanza emessa il 6 febbraio 1998 dalla Corte di appello di Torino
 nel procedimento penale a carico di Vergnano Rita
 Reato  in  genere - Ritrattazione - Estensione dell'esimente al reato
    di favoreggiamento personale commesso mediante false  o  reticenti
    dichiarazioni  alla  polizia  giudiziaria  -  Mancata previsione -
    Disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto per l'analogo
    reato di cui all'art. 371-bis c.p. (false informazioni al pubblico
    ministero) - Riferimento alla sentenza della Corte  costituzionale
    n. 416/1996.
 (C.P., art. 376, comma 1, e 378).
 (Cost., art. 3, primo comma).
(GU n.25 del 24-6-1998 )
                          LA CORTE DI APPELLO
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento a carico di:
 Vergnano Rita.
                    Fatto e svolgimento del processo
 L'attuale  imputata  appellante  Vergnano  Rita  e'  stata  tratta  a
 giudizio   e  giudicata  dal  pretore  di  Torino  per  il  reato  di
 favoreggiamento  personale   (art.   378   c.p.)   come   epigrafato.
 All'esito,  con sentenza, qui impugnata, in data 17 dicembre 1993, il
 pretore la dichiarava responsabile del reato ascritto, e concesse  le
 attenuanti  generiche  la  condannava  a giorni trenta di reclusione,
 sostituita con la pena di L. 750.000 di multa.  Nell'atto di appello,
 la difesa dell'imputata lamenta la erronea  qualificazione  giuridica
 del  fatto  e  la  mancata dichiarazione di n.d.p. ai sensi dell'art.
 529, c.p.c. per intervenuta causa di non punibilita'.
  Secondo la difesa, la condotta posta in essere dall'imputata  e'  da
 ricondurre  all'ipotesi  delittuosa  di  cui  all'art.  371-bis  c.p.
 "norma in concreto piu' favorevole all'imputata,  rispetto  a  quella
 dell'art.  378  c.p. e di conseguenza applicabile al caso di specie".
 Secondo la difesa, attesa  l'intervenuta  sua  "ritrattazione",  "non
 oltre  la  chiusura del dibattimento" delle false dichiarazioni dalla
 stessa precedentemente rese, si chiede n.d.p. per  intervenuta  causa
 di  non  punibilita'.    L'assunto  difensivo  svolge la storia della
 specifica evoluzione normativa degli ultimi anni; i fatti  contestati
 risalgono  al  12 aprile 1991, allorche' la imputata rese avanti a un
 ufficiale di p.g. delegato dal p.m.  false  dichiarazioni  in  ordine
 alla  circostanza di essere stata presente all'incidente stradale che
 vide coinvolto tale Favaretto per il reato di cui all'art.  590  c.p.
 (lesioni  colpose);  successivamente,  in  data  28  aprile  1992, la
 Vergnano venne interrogata avanti il p.m.  quale persona sottoposta a
 indagine e in tale sede ritratto' quanto precedentemente  dichiarato,
 asserendo  di  non  avere  in  effetti assistito al sinistro e di non
 essere a conoscenza della dinamica dello stesso.  Alla imputata venne
 contestata la commissione del reato di  favoreggiamento  personale  e
 per  esso condannata.   Nelle more del procedimento era stato emanato
 il d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in legge 7 agosto 1992, n.
 356, con cui si  introdusse  la  nuova  figura  di  reato  di  "false
 informazioni  al  p.m."  (art.  371-bis c.p.). Con l'art. 2 del d.-l.
 suddetto su estesa la causa di non punibilita' della ritrattazione al
 nuovo reato.  Configurandosi qui una autentica ipotesi di successione
 tra fattispecie incriminatrici, accertabile in base al  criterio  del
 "rapporto  di  continenza"  tra  la figura di cui all'art. 378 c.p. e
 quella di cui all'art. 371-bis  c.p.,  il  dettato  di  tale  seconda
 norma,  integrato  dal  disposto  dell'art. 36 c.p., deve, secondo la
 difesa,  trovare  applicazione  qui,  "in  quanto  decisamente   piu'
 favorevole  alla prevenuta".  Nel caso di specie, aggiunge la difesa,
 l'ufficiale di p.g. che  ha  interrogato  la  Vergnano  come  persona
 informata  sui fatti, agiva su delega del p.m. e in quanto tale quale
 longa  manus  del  p.m.  Per  altro  verso,  poi,  il   fatto   della
 applicabilita' dell'art. 371-bis c.p. anche alle "false informazioni"
 rese  alla  p.g.  e' anche confermato, secondo la difesa, della ratio
 sottesa all'introduzione della  norma,  la  quale  fu  formulata  con
 l'intento di colmare un vuoto di disciplina che il nuovo c.p.p. aveva
 creato,  qualificandosi  in  via  di  principio "testimone" nel nuovo
 c.p.p.  solo  colui  che  rende  le  sue  dichiarazioni   in   ambito
 dibattimentale  e di conseguenza solo in tal caso e' perseguibile per
 il reato di cui all'art. 372 c.p. Secondo  il  nuovo  c.p.p.,  pero',
 anche  le  dichiarazioni rese al p.m. e alla p.g. in sede di indagini
 preliminari possono in alcuni casi divenire prove  ad  ogni  effetto:
 circostanza  questa che ha indotto il legislatore a introdurre l'art.
 371-bis c.p.
  La difesa dell'imputata ha ripreso ed esteso l'assunto,  da  ultimo,
 con  successiva memoria, depositata in data 11 novembre 1997, con cui
 si solleva la questione di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
 376, comma 1, c.p. in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
 instando  per  l'accoglimento.    L'assunto e' il seguente: l'attuale
 situazione  normativa  e'  basata  su   una   palese   illegittimita'
 costituzionale  dell'art. 376 c.p. suddetto, per contrasto con l'art.
 3 e con l'art. 24 della Costituzione, "nella parte in cui si  prevede
 che  la  ritrattazione  sia limitata all'art.   371-bis c.p. e non si
 prevede l'estensione di tale causa di non  punibilita'  all'art.  378
 c.p.,    allorche'   il   favoreggiamento   sia   commesso   mediante
 dichiarazioni false o reticenti alla polizia  giudiziaria  delegata".
 Si   insta   affinche'   questa  Corte,  ritenuta  "rilevante  e  non
 manifestamente infondata" tale questione, voglia rimettere  gli  atti
 alla Corte costituzionale per la sua decisione.  Dopo una descrizione
 sitentica  del fatto, a supporto della eccezione di costituzionalita'
 suddetta, la difesa dell'imputata svolge un quadro  della  evoluzione
 normativa, prima e dopo il 1989, in punto evoluzione ex art. 372 c.p.
 ed ex art. 378 c.p., anche dal punto di vista della giurisprudenza di
 legittimita'.  Si  richiama  in  particolare  la sentenza della Corte
 costituzionale di rigetto n. 228 del 22 dicembre  1982,  con  cui  la
 Corte   respinse  ogni  possibile  prospettazione  di  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 376  c.p.  all'epoca.    Si  svolge  poi  la
 sintesi  della  evoluzione normativa dopo il d.-l.  8 giugno 1992, n.
 306, convertito con modifiche dalla legge 7 agosto 1992, n. 356,  con
 cui si introdusse l'art. 371-bis c.p. L'assunto, ripreso dall'atto di
 appello  e'  che  "risulta  pressoche'  impossibile,  salvo cadere in
 sterili esercizi di sofistica, distinguere la situazione di colui che
 mente davanti al p.g. che svolga indagini su delega del p.m. e quella
 in cui le false dichiarazioni sono rese direttamente  al  p.m.".  Una
 distinzione   "ormai   solo   piu'  formale  si  frappone  oggi  alla
 realizzazione  di  esigenze  di  giustizia  sostanziale  sottese   ai
 principi     costituzionali    suddetti".    Secondo    la    difesa,
 conclusivamente,   "non   puo'   non   apparire   ingiustificatamente
 limitativo   dei   principi  costituzionali  suddetti,  il  non  aver
 previsto, l'art.  376  c.p.,  la  ritrattazione  nel  caso  di  false
 informazioni   alla   p.g.  delegata,  quando  tale  possibilita'  si
 configura nei confronti del delitto di false informazioni  al  p.m.".
 L'eccezione di legittimita' costituzionale, sollevata dalla difesa di
 Vergnano Rita con l'istanza suddetta, appare a questa Corte, sotto il
 dedotto  profilo  di  cui  all'art.  3, primo comma, Cost., oltreche'
 rilevante  per  la  definizione  del  presente  giudizio,  anche  non
 manifestamente  infodata  (a sensi dell'art. 23, secondo comma, della
 legge 11 marzo 1953, n. 87).  Effettivamente pare a questa Corte  che
 l'attuale non applicabilita' della esimente della ritrattazione (art.
 376  c.p.)  al  reato,  qui  contestato, di favoreggiamento personale
 (art. 378 c.p.), commesso, come nel caso  in  esame,  mediante  false
 informazioni  alla  polizia  giudiziaria,  delegata alle indagini dal
 p.m., una volta che detta esimente e' stata  estesa  (come,  dopo  la
 legge  7 agosto 1992, n. 356, e' stata estesa), oltreche' ai reati di
 cui all'art. 372 e all'art.   373  c.p.,  anche  al  reato  di  false
 informazioni  al p.m. (art. 371-bis c.p.), determini in concreto, una
 disparita', da ritenersi irragionevole, di trattamento giuridico, con
 riferimento alla fattispecie di cui all'art. 371-bis  c.p.,  rispetto
 all'ipotesi,  qui  ricorrente,  di  false  informazioni  alla polizia
 giudiziaria delegata dal p.m.,  ormai  costantemente  qualificata  (e
 nella  specie  qualificata)  come favoreggiamento personale (art. 378
 c.p.).   In tal senso  milita  la  consolidata  giurisprudenza  della
 suprema  Corte  di  cassazione  (cfr. Cass., sez. VI, 8 febbrai 1993,
 Malena; sez. VI, 24 aprile 1993, p.m. in proc. Frustaci).   Una  tale
 disparita'  di trattamento non pare sorretta da razionale fondamento,
 in ragione di una constatabile identita' dei beni giuridici  tutelati
 e   della   collocazione   "cronologica"   nella  fase,  strettamente
 procedimentale  nei  due  casi,  delle  fattispecie  di  cui   sopra;
 persistendo,    per    altro,   la   estensibilita'   e   conseguente
 applicabilita'  di  detta  esimente  della   ritrattazione   soltanto
 rispetto  alle  "falsi  informazioni al p.m.", secondo l'art. 371-bis
 c.p. vigente, in rapporto all'art.  376 c.p. vigente, a seguit  della
 legge  n.  356/1992.    Nel  passaggio  dalla originaria formulazione
 dell'art.  371-bis  c.p.    (con  il  d.-l.  n.  306/1992)  a  quella
 definitiva  della  norma  stessa,  e'  vero  che  e'  stato eliminato
 l'inciso "o dalla polizia giudiziaria", del testo originario;  se  la
 circostanza  potrebbe  essere  ritenuta sufficiente per escludere, in
 base alla constatazione  di  una  chiara  voluntas  legis,  l'attuale
 riconducibilita'  all'art.  371-bis  c.p.   delle false informazioini
 fornite alla p.g., agente di propria iniziativa, non sembra a  questa
 Corte altrettanto sufficiente da sola, per escluderne la rilevanza in
 caso  di  attivita'  di  indagine  delegata  dal  p.m.  alla  polizia
 giudiziaria, esercitando in questo caso  la  polizia  giudiziaria  un
 potere/dovere  derivantele  dallo  stesso  p.m.,  e,  come  tale,  da
 ritenersi meritevole della stessa tutela penale contro il mendacio  e
 apparendo,  rispetto  all'attivita'  delegata, il ruolo della polizia
 giudiziaria, essenzialmente esecutivo, per  la  minore  liberta'  che
 consegue  all'"ordine"  rispetto alla "direttiva" (art. 370, comma 1,
 c.p.p.). Vieppiu' in un sistema processuale penale che, dopo la legge
 n. 356/1992, ha, tra l'altro, visto aggiunto all'art. 351,  comma  1,
 c.p.p.  il  periodo  finale seguente: "si applica la disposizione del
 secondo periodo dell'art.  362 ..."; con tutte le conseguenze, a cio'
 concesse di sostanziale equiparazione di disciplina con la  normativa
 dettata  per  la  "testimonianza",  da  collocarsi  in  un piu' ampio
 contesto  di  ricupero,  in  dibattimento,  della  valenza probatoria
 dell'attivita' di polizia giudiziaria, in particolare se delegata dal
 p.m.
  Pare a questa Corte, tanto premesso, realmente difficile  continuare
 a   negare  un  indubbio  effetto-paradosso  che  oggi  determina  la
 considerazione del mendacio alla polizia giudiziaria, in  particolare
 se  delegata  dal  p.m.,  in termini di favoreggiamento personale, in
 quanto tale sottratto alla efficacia esimente della ritrattazione,  a
 differenza  delle  false  dichiarazioni  rese  al  p.m.,  che  invece
 assicurano, in caso di trattazione, avvenuta prima della chiusura del
 dibattimento,  l'impunita'  al  dichiarante.    Tale  disparita'   di
 trattamento,  anche  alla  luce  delle  pespicue argomentazioni della
 difesa istante, sopra richiamate,  pare  legittimare  il  dubbio  che
 l'art.  376,  comma  1,  c.p. sia incostituzionale con riferimento al
 principio di eguaglianza dei cittadini davanti  alla  legge,  di  cui
 all'art.   3,   primo  comma,  Cost.,  nella  parte  in  cui  prevede
 l'applicabilita' della esimente della ritrattazione solo  al  delitto
 di  cui all'art. 371-bis c.p. e non ne prevede l'applicabilita' anche
 al delitto di favoreggiamento  personale  (art.  378  c.p.)  commesso
 mediante  dichiarazioni  (false o reticenti) alla polizia giudiziaria
 delegata dal p.m.  A fortiori, poi, tale  disparita'  di  trattamento
 sembra  legittimare  il  dubbio di incostituzionalita' dell'art. 376,
 comma 1, c.p., nel senso suddetto, dopo  la  recente  sentenza  della
 Corte   costituzionale   (legge   n.   416/1996)  che  ha  dichiarato
 incostituzionale, per contrasto con  l'art.  3,  Cost.,  l'art.  384,
 comma  2,  c.p.  nella  parte  in  cui non prevede l'esclusione della
 punibilita' per le false (o  reticenti)  informazioni  assunte  dalla
 polizia  giudiziaria,  fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito
 della facolta' di astenersi  dal  renderle  a  norma  dell'art.  199,
 c.p.p.   (evidenziandosi,  in  motivazione,  non  solo  una  identica
 rilevanza  nel  processo  delle  dichiarazioni  rese   alla   polizia
 giudiziaria  e  al  p.m.  ma anche la paritaria gravita' dei fatti di
 reato,  quale  risultante  dagli  apprezzamenti  fatti  dallo  stesso
 legislatore  nella  determinazione della misura di pena, prevista per
 l'illecito commesso di fronte alla polizia giudiziaria e  per  quello
 di  fronte  al  p.m. (identica e' infatti la misura della reclusione,
 fino a quattro anni, secondo l'art. 378 c.p. e l'art.  371-bis  c.p.,
 misura  di pena inferiore a quella prevista dall'art. 372 c.p. per la
 falsa testimonianza (reclusione da due  anni  a  sei  anni).    Tanto
 premesso,  sembra allora irragionevole, vieppiu', non estendere anche
 alle dichiarazioni (false o reticenti) rese alla polizia  giudiziaria
 delegata   dal   p.m.,   l'esimente  della  ritrattazione,  in  vista
 dell'indubbio  interesse,  nel  sistema  del   c.p.p.   vigente,   ad
 incentivare la volonta' di neutralizzare al messimo l'incidenza delle
 false  dichiarazioni,  mediante  l'estensione  della  esimente  della
 ritrattazione, oltreche' all'art. 371-bis c.p. anche alla fattispecie
 di  cui  all'art.  378  c.p.  allorche',   in   particolare   se   il
 favoreggiamento  personale  sia  commesso  mediante false (reticenti)
 dichiarazioni alla polizia giudiziaria  delegata  dal  p.m.    Questa
 Corte, ritenuta pertanto la non manifesta infondatezza e la rilevanza
 della   sollevata  eccezione  di  incostituzionalita',  ai  fini  del
 decidere; Visti gli artt. 1 della  legge  costituzionale  9  febbraio
 1948, n.  1 e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.
                                P. Q. M.
   Su istanza della difesa di Vergnano Rita;
   Sentito il procuratore generale, che si e' associato;
   Sollevata questione di legittimita' costituzionale, nel senso e nei
 limiti  precisati  in  motivazione, dell'art. 376, comma 1, c.p.  per
 rapporto all'art. 378 c.p., in riferimento all'art.  3,  primo  comma
 della Costituzione e per contrasto con quest'ultimo;
   Per  l'effetto  sospende  il  presente  processo penale a carico di
 Vergnano Rita;
   Dispone  la  immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale  e  ordina  che  a  cura della cancelleria la presente
 ordinanza sia notificata al Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri
 nonche' comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
     Torino, addi' 6 febbraio 1998
                        Il presidente: Filoreto
                                       Il consigliere esensore: Grasso
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