N. 439 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 dicembre 1997

                                N. 439
  Ordinanza  emessa  il  5  dicembre 1997 dal tribunale amministrativo
 regionale del Lazio sezione staccata di Latina sul  ricorso  proposto
 da Tenore Vito contro il Ministero di grazia e giustizia ed altro
 Impiego  pubblico  -  Magistrati  - Trattamento economico- Divieto di
    allineamento stipendiale - Efficacia  retroattiva  attribuita  con
    norma  qualificata  di  interpretazione  autentica - Disparita' di
    trattamento di  situazioni  identiche  in  base  a  mero  elemento
    temporale e alla sollecitudine della p.a. nella liquidazione degli
    incrementi  stipendiali conseguenti dell'allineamento - Violazione
    dei principi della  retribuzione  proporzionata  ed  adeguata,  di
    imparzialita'  e  buon  andamento  della  p.a.  - Riferimento alla
    sentenza della Corte costituzionale n. 6/1994, di  non  fondatezza
    di analoga questione, ritenuta superabile dal giudice rimettente.
 (D.-L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7).
 (Cost., art. 3, 36 e 97).
(GU n.25 del 24-6-1998 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sul ricorso n. 1657 del 1995
 proposto dal dott.  Vito  Tenore  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Raffaele  Montefusco  e  con  lo  stesso elettivamente domiciliato in
 Latina, corso della Repubblica n. 265 presso il dott. B. Raponi;
   Contro i Ministeri di grazia e giustizia e del tesoro,  in  persona
 dei   rispettivi   Ministri   pro-tempore,   costituiti  in  giudizio
 rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato e con  la
 stessa ex lege domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
   Per  l'accertamento  del  diritto  del  ricorrente  al  trattamento
 economico allineato a quello corrisposto al  dott.  Raffaele  Sabato,
 magistrato  ordinario con minore anzianita' di ruolo, con conseguente
 condanna  dell'amministrazione  al  pagamento  di  quanto  risultera'
 dovuto con interessi, e rivalutazione monetaria;
   E in via subordinata per la condanna delle medesime amministrazioni
 al  pagamento  del  risarcimento dei danni conseguenti al ritardo nel
 provvedere  al  pagamento   di   quanto   dovuto   per   allineamento
 retributivo;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 intimata;
   Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno  delle  rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore  alla  pubblica udienza del 5 dicembre 1997 il consigliere
 Antonio Onorato;
   Uditi l'avv. Corrado de Simone, delegato dall'avv. Montefusco,  per
 il  ricorrente  e  l'avv.  St.  A.  Barbieri  per  le amministrazioni
 resistenti;
   Ritenuto e considerato quanto segue;
                               F a t t o
   Il dott. Vito Tenore ha assunto servizio quale magistrato ordinario
 in data 14 settembre 1991 e, pertanto,  prima  della  nomina  con  la
 medesima  qualifica  del  dott.  Raffaele  Sabato, il quale e' stato,
 infatti, nominato col successivo d.m. 1 ottobre 1991.
   Senonche', al dott.  Sabato  e'  stato  attribuito  un  trattamento
 economico  complessivo  superiore a quello gia' riconosciuto al dott.
 Tenore senza che, tuttavia, il Ministero di grazia e giustizia  abbia
 provveduto  d'ufficio  ad  applicare in favore di quest'ultimo gli l,
 legge 8 agosto 1991, n. 254, e 4, terzo  comma,  d.-l.  27  settembre
 1982, n. 681, (convertito nella legge 28 novembre 1982 n. 869).
   Il  dott.  Tenore  ha,  pertanto,  proposto il ricorso in esame col
 quale ha, appunto, chiesto l'accertamento del suo diritto ad ottenere
 l'allineamento stipendiale previsto dalle  norme  sopra  citate,  con
 conseguente  condanna  delle amministrazioni intimate al pagamento in
 suo favore di quanto a tal titolo dovuto.
   In via subordinata, il dott.  Tenore  ha  chiesto  che  la  sezione
 condanni  le  medesime  amministrazioni  al  risarcimento  del  danno
 causatogli  col   loro   illegittimo   ritardo,   con   interessi   e
 rivalutazione monetaria.
   A tal fine, l'interessato ha lamentato l'omessa applicazione in suo
 favore e la violazione delle norme sopra indicate.
   Le  amministrazioni  intimate  si  sono costituite in giudizio e la
 loro  difesa   con   successiva   memoria   ha   controdedotto   alle
 argomentazioni avversarie, chiedendo che il gravame sia respinto.
   Anche il difensore del ricorrente ha prodotto memoria illustrativa.
   Nel  corso  della  pubblica udienza del 5 dicembre 1997 il ricorso,
 come chiesto dai difensori delle parti, e' stato  trattenuto  per  la
 decisione.
                                Diritto
   1.  -  E'  pacifico  ed incontroverso fra le parti che alle date di
 "assunzione in servizio" del dott. Vito Tenore (d.m. 1 ottobre  1991)
 e  del  dott.  Raffaele  Sabato  (d.m.  1 ottobre 1991) erano vigenti
 l'art.  4 terzo comma, legge 20 novembre 1982, n. 869 ed il principio
 dell'"allineamento  stipendiale"  di  cui  lo  stesso  -   unitamente
 all'art.  1,  legge  6  agosto  1991, n. 265 - costituiva l'esplicita
 espressione normativa.
   Ne  consegue inevitabilmente che alle date indicate il dott. Tenore
 - precedendo nel ruolo il dott. Sabato  e  percependo,  tuttavia,  un
 trattamento  economico  inferiore a quello assegnato a quest'ultimo -
 aveva maturato il "diritto" soggettivo, "perfetto ed  incondizionato"
 in  quanto  nascente  direttamente  dal principio e dalle norme sopra
 citati, a  ricevere  un'integrazione  del  suo  stipendio  pari  alla
 differenza fra quest'ultimo, come in precedenza determinato, e quanto
 invece  concretamente  erogato al collega (Cfr., per tutte, Corte dei
 conti, Sez. controllo Stato, 13 luglio  1984,  n.  1479,  3  febbraio
 1989,  n.    2093 e 19 novembre 1992, n. 67; Cons. Stato, VI Sez., 26
 marzo 1990, n. 410, IV Sez., 1  aprile  1992,  n.  376,  IV  Sez.,  7
 febbraio 1994, n. 111, t.a.r. Lazio III Sez. 6 marzo 1992, n. 220).
   Se  la normativa non fosse successivamente mutata ed in particolare
 non fosse intervenuta la soppressione dell'istituto dell'allineamento
 stipendiale,  quanto   sopra   rilevato   sarebbe   sufficiente   per
 giustificare  l'accoglimento del ricorso in esame perche' - come, del
 resto, ammesso dalla sua stessa difesa - l'amministrazione non ha mai
 provveduto a conformare la situazione di fatto a  quella  di  diritto
 ed,  in particolare, a tempestivamente corrispondere al ricorrente la
 maggiore retribuzione dovutagli secondo il principio e le norme sopra
 descritti, sicuramente vigenti al momento in cui e'  stato  acquisito
 il corrispondente "diritto soggettivo".
   2.  - Senonche', anche dopo il menzionato mutamento delle norme, la
 giurisprudenza prevalente dei tribunali amministrativi regionali,  in
 base  a  varie  e non sempre convergenti considerazioni, e' pervenuta
 alla conclusione che i diritti acquisiti in vigenza delle norme sopra
 indicate sono sopravvissuti nonostante i dd.-ll. 11 luglio  1992,  n.
 333,  e  19  settembre  1992,  n.  384, (poi convertiti nelle leggi 8
 agosto  1992,  n.  359  e  14  novembre  1992,  n.  438)  contenenti,
 rispettivamente,   la   soppressione   dell'allineamento  stipendiale
 automatico  ed  il  divieto  di  adottare  nuovi  "provvedimenti"  di
 ammissione allo stesso, ancorche' con effetti anteriori all'11 luglio
 1992  (Cfr.,  per esempio, t.a.r.   Molise 17 gennaio 1995, n. 11 e 7
 maggio 1997, n. 101, t.a.r. Emilia Romagna 21 novembre 1995, n.  373,
 t.a.r.  Basilicata  21  agosto  1994,  n.  176, t.a.r. Campania, sez.
 Salerno 12 marzo 1996, n. 175, t.a.r.   Abruzzo 27  maggio  1996,  n.
 151, t.a.r. Abruzzo, sez. Pescara 23 maggio 1997, n. 391).
   Secondo  la  giurisprudenza  sopra  richiamata,  il  primo  dei due
 decreti-legge (art. 2, quarto  comma),  per  quanto  in  questa  sede
 interessa,  non  avrebbe  effetti  "retroattivi"  in  quanto, come si
 apprende dalla sua lettura,  ha  espunto  dall'ordinamento  l'art.  4
 della  legge 20 novembre 1982, n. 869 "a decorre dalla data di entata
 in vigore" del decreto stesso.
   Ne  conseguirebbe  che  dallo  stesso  non  possono  derivare   ne'
 direttamente  ne'  indirettamente effetti preclusivi all'accoglimento
 della domanda di accertamento proposta dal dott. Tenore.
   La situazione,  per  quanto  concerne  il  ricorrente,  secondo  la
 giurisprudenza  sopra  citata, non sarebbe mutata neppure per effetto
 del secondo dei decreti-legge sopra menzionati.
   Quest'ultimo,  poiche'  si  limita  ad   impedire   l'adozione   di
 "provvedimenti di allineamento stipendiale" "ancorche' aventi effetti
 anteriori  all'11  luglio  1992"  (art.  7,  settimo  comma) avrebbe,
 infatti, introdotto un - per molti versi singolare -  "divieto"  alla
 pubblica  amministrazione,  ma,  proprio perche' neppure li menziona,
 non  avrebbe,  di  per  se'  solo,  fatto  venire  meno  i   "diritti
 soggettivi"  gia'  acquisiti sulla base della normativa precedente e,
 tantomeno, la possibilita' per i loro titolari di ottenerne la tutela
 in sede giurisdizionale.
   Ad avviso di alcuni tt.aa.rr., tale soluzione  avrebbe  addirittura
 ricevuto  esplicita  conferma  dalla  Corte costituzionale, la quale,
 pronunciando in relazione alla norma in questione, ha avuto  modo  di
 chiarire  che "la disciplina adottata", "oltre a non risultare lesiva
 dei giudicati gia' formatisi", "non ha sottratto ai ricorrenti alcuno
 strumento di tutela giurisdizionale nei confronti  degli  atti  della
 pubblica amministrazione, ne' ha menomato l'autonomia riconosciuta al
 potere  giurisdizionale  nell'applicazione  del diritto oggettivo, ai
 fini della definizione delle singole controversie" (Cfr., in termini,
 Corte costituzionale 26 gennaio 1994, n. 6).
   Tutto cio' per non dire che, sempre secondo la giurisprudenza sopra
 riferita, la norma in questione -  avente  efficacia  sostanzialmente
 retroattiva  ed  eccezionale  e  da  interpretare,  pertanto, in modo
 strettamente letterale (art. 14 disp. prel. cod. civ.)  -  vieterebbe
 soltanto i "provvedimenti" in materia di allineamento stipendiale.
   Si  limiterebbe, pertanto, ad impedire esclusivamente l'adozione di
 quei  particolari  atti  amministrativi  (negoziali,  unilaterali   e
 tipici)   che   sono   oggettivamente   preordinati   ad   introdurre
 autoritativamente delle  immutazioni  alla  situazione  preesistente,
 quali,  per  esempio,  potrebbero essere, nella specifica materia, le
 eventuali determinazioni rivolte ad estendere ulteriormente  l'ambito
 dei beneficiari dell'allineamento stipendiale.
   La  norma, invece, non prenderebbe esplicitamente in considerazione
 e,  pertanto,  non  vieterebbe  affatto  ne'  gli   "atti   meramente
 ricognitivi"  di  situazioni giuridiche gia' compiutamente conformate
 dalla legislazione e, in sostanza "applicativi" di quest'ultima  ne',
 tantomeno,  le  "sentenze"  di accertamento e condanna che il giudice
 deve,  invece,  adottare  in  conformita'  alla  specifica  normativa
 oggettivamente   riferibile  alla  fattispecie  sottoposta  alla  sua
 cognizione.
   Ne  risulterebbe  confermato  che  la  norma   in   questione   non
 impedirebbe la pronuncia della decisione di "accertamento e condanna"
 sollecitata   in   questa  sede  dal  ricorrente  ed,  anzi,  tuttora
 consentirebbe che la stessa  amministrazione  spontaneamente  adempia
 all'"obbligo",   a   suo   tempo   insorto  e  mai  venuto  meno,  di
 corrispondere materialmente al ricorrente stesso quanto,  sulla  base
 di  un'attivita'  meramente ricognitiva, risulta essergli gia' dovuto
 secondo le previsioni della legge nel suo caso applicabile.
   3. - Il sopra riferito orientamento non  e'  stato,  tuttavia,  per
 nulla condiviso dal giudice di appello.
   La  IV  sez. del Consiglio di Stato con le sentenze 20 maggio 1996,
 n. 636 e 7 ottobre 1996, n. 1034, come ha  puntualmente  riferito  la
 difesa  resistente, infatti, e' giunta all'opposta conclusione che il
 diritto  all'allineamento  "e'   ormai   scomparso   dall'ordinamento
 giuridico",  con  effetto retroattivo e con sostanziale vanificazione
 della possibilita' di esercitarlo per chiunque prima  della  data  di
 entrata in vigore della nuova norma non abbia materialmente percepito
 quanto a tale titolo dovutogli.
   Tale  orientamento  giurisprudenziale  -  peraltro  supportato  col
 richiamo a successive pronunce di inammissibilita' emesse dalla Corte
 costituzionale nn. 105 e 394 del 1994 e 523 del 1995 - trova  la  sua
 unica, ma indubbiamente decisiva, ragione giustificatrice nella ratio
 della   norma   abrogatrice,   cioe'   nell'esigenza,  avvertita  dal
 legislatore e gia' ritenuta ragionevole  dalla  Corte  costituzionale
 (cfr.  la  medesima  sentenza  n.  6 del 1994 cit), di "impedire, col
 massimo grado di efficacia generale, l'ulteriore applicazione  di  un
 istituto  che,  nella  pratica,  aveva  determinato  inconvenienti  e
 distorsioni maggiori di quelli cui si intendeva rimediare".
   Ad  avviso  del  giudice  di  appello,  siffatti  inconvenienti   e
 distorsioni  risulterebbero  "estesi  ed  aggravati"  dall'"ulteriore
 sopravvivenza  dell'istituto  -  per  quanto   limitata   alle   sole
 situazioni maturate prima dell'11 luglio 1992".
   4.  -  Il  Collegio  ritiene  che, nonostante le ampie e suggestive
 argomentazioni della giurisprudenza  di  primo  grado,  debba  essere
 necessariamente  preferita la rigorosa interpretazione del giudice di
 appello la quale ha, se non altro,  l'indubbio  pregio  di  risultare
 assolutamente coerente con l'intento perseguito dal legislatore in un
 momento  storico di particolari difficolta' finanziarie e in presenza
 di indubbi fenomeni distorsivi del sistema retributivo  dei  pubblici
 dipendenti.
   Ne  consegue  che  il  collegio  dovrebbe  senz'altro respingere il
 ricorso in esame  aderendo  pienamente  al  decisum  del  giudice  di
 appello,  presumibilmente destinato ad essere confermato in relazione
 ai giudizi che risultano ancora pendenti presso lo stesso.
   5. - Senonche', il collegio osserva come la reiezione della domanda
 formulata in via principale dell'attuale ricorrente,  possibile  solo
 in  caso  di  totale  adesione  alle  argomentazioni  gia' svolte dal
 Consiglio di Stato, faccia anche riemergere alcune delle questioni di
 legittimita' relative ai dd.-ll. sopra menzionati, che avevano  avuto
 ampia  ed  esaustiva  risposta  nella  piu' volte menzionata sentenza
 della Corte costituzionale n. 6 del 1994.
   Si rende, pertanto, necessario disporre la sospensione del giudizio
 e la rimessione d'ufficio degli atti alla  Corte  costituzionale  per
 ottenere una sua definitiva pronuncia in argomento, senza che neppure
 possa  essere  presa in esame l'ulteriore domanda, formulata pero' in
 via del  tutto  subordinata  dal  medesimo  ricorrente,  di  condanna
 dell'amministrazione  al  risarcimento  del danno che gli e' derivato
 dalla inosservanza dell'obbligo di tempestivamente applicare le norme
 sull'allineamento stipendiale, quando le stesse erano ancora  vigenti
 e  ricorrevano tutti gli altri presupposti per il pagamento di quanto
 in base alle stesse dovuto.
   L'esame  della  domanda  giudiziaria  formulata  in  subordine  e',
 infatti, sottoposto alla condizione che la domanda principale risulti
 sicuramente inaccoglibile.
   Tale condizione potra' verificarsi, tuttavia, solo nell'ipotesi che
 la   Corte   costituzionale  ritenga  infondate  o  inammissibili  le
 questioni che il collegio  ritiene  necessario  sottoporre  alla  sua
 attenzione.
   6.  -  Un  primo  profilo  di  illegittimita'  attiene al possibile
 contrasto dell'art. 7, sesto comma d.-l. 384 del 1992 con  gli  artt.
 3, 24 e 113 della Costituzione
   Come  gia'  ricordato,  la  Corte costituzionale aveva ritenuto non
 fondata l'analoga questione sollevata dalla prima sezione  di  questo
 tribunale  (ordinanza  24 marzo 1993 n. 496), affermando che la norma
 sopravvenuta non ha privato il giudice del potere di pronunciare, sia
 in positivo che in negativo, tenendo conto della legislazione vigente
 al momento in cui si sono verificati i presupposti sui quali si fonda
 la domanda.
   Tanto  perche',  come  gia'  ricordato,  la  norma  citata  "non ha
 sottratto ai ricorrenti alcuno strumento  di  tutela  giurisdizionale
 nei  confronti  degli  atti  della  pubblica  amministrazione, ne' ha
 menomato   l'autonomia   riconosciuta   al   potere   giurisdizionale
 nell'applicazione  del  diritto  oggettivo, ai fini della definizione
 delle singole controversie".
   Tuttavia, la questione, nonostante tale esplicita affermazione,  si
 ripropone  immutata perche' successivamente alla menzionata pronuncia
 della  Corte,  in  sede   di   giudizio   di   merito,   sulla   base
 dell'interpretazione razionale fornita dal Consiglio di Stato e fatta
 propria  dalla sezione, e' stato concluso che la norma sopracitata ha
 abrogato  con  piena  efficacia  retroattiva  tutte  le  disposizioni
 sull'allineamento  stipendiale,  in  quanto  il legislatore ha voluto
 impedire in modo assoluto che fossero "estesi ed aggravati" gli oneri
 economici derivanti dall'"ulteriore sopravvivenza dell'istituto - per
 quanto limitata alle sole situazioni maturate  prima  dell'11  luglio
 1992" (Cfr. Cons. Stato IV Sez. sent.  n. 636/1996 cit.).
   Sembra,  infatti, al collegio che non vi sia sostanziale differenza
 tra l'escludere in via assoluta la possibilita'  per  il  giudice  di
 merito  di accogliere i ricorsi di quanti avevano maturato il diritto
 all'allineamento  prima  della  soppressione  di  tale   istituto   e
 l'affermare  che  costoro, per tale specifico aspetto, sono del tutto
 privi di tutela giurisdizionale.
   Tanto,  a  meno  che  non  si  ritenga  sufficiente   un'osservanza
 meramente  formale  del dettato costituzionale, facendo coincidere la
 garanzia offerta dagli artt. 3,  24  e  113  della  Costituzione  con
 l'illusoria  possibilita'  di  adire  il  giudice  per  ottenere  una
 pronuncia  dall'esito  inevitabilmente   negativo   a   causa   della
 sopravvenuta  norma  abrogatrice  con  effetti  retroattivi  anche in
 relazione ai diritti quesiti.
   7. - Un  secondo  profilo  attiene  al  possibile  contrasto  della
 medesima norma con gli artt. 3 e 36 Cost., oltre che con il principio
 di ragionevolezza.
   La  disposizione  sospettata di incostituzionalita' sicuramente non
 ha  avuto  alcun  effetto  negativo  nei  confronti  dei   magistrati
 (ordinari,  amministrativi, contabili o militari) che, pur trovandosi
 in  una  situazione  del  tutto  identica   a   quella   dell'attuale
 ricorrente, tuttavia, hanno concretamente usufruito dell'allineamento
 stipendiale  perche'  l'amministrazione  ha puntualmente adempiuto al
 suo obbligo di  pagare  loro  quanto  dovuto  in  applicazione  della
 legislazione all'epoca ancora vigente.
   Non sembra, pertanto, che occorrano molte parole per evidenziare la
 disparita'   di   trattamento  ai  danni  dell'attuale  ricorrente  e
 l'irragionevolezza che sembrano caratterizzare siffatta disposizione,
 la quale fa dipendere l'entita' della retribuzione,  non  gia'  dalla
 qualita'  o  dalla  quantita' delle prestazioni lavorative, bensi' da
 una circostanza di fatto  apparentemente  irrilevante,  quale  appare
 essere  la,  maggiore  o  minore,  tempestivita' nell'adempimento dei
 propri doveri degli uffici addetti alla liquidazione ed al  pagamento
 del dovuto.
   8.  -  Ritiene, infine, il collegio che nella rigida retroattivita'
 della disposizione interpretativa di cui si discute possa  ravvisarsi
 anche  un  sintomo  di  eccesso  di potere legislativo, con ulteriore
 violazione del principio di ragionevolezza di cui agli artt. 3  e  97
 della Costituzione
   Non  sembra, infatti, che l'"ulteriore sopravvivenza dell'istituto"
 - "limitata alle sole situazioni maturate prima dell'11 luglio  1992"
 (Cfr. Cons. Stato, IV Sez., sent. n. 636/1996) avrebbe effettivamente
 "esteso  ed aggravato" in modo significativo la situazione alla quale
 il legislatore ha inteso porre rimedio con l'art. 7 d.-l. n. 384  del
 1992 cit.
   La retroattivita' della disposizione ha prodotto in concreto i suoi
 effetti  nei confronti di un numero sicuramente modesto di magistrati
 ed ha determinato un risparmio di spesa ben poco significativo.
   Ha operato, infatti, solo ai danni di quanti hanno avuto la ventura
 di essere stati immessi nelle funzioni nel corso  dell'anno  1991  ed
 hanno avuto l'unico torto di attendere fiduciosamente il pagamento di
 quanto loro dovuto in base alla legislazione all'epoca vigente, senza
 sollecitare  l'adempimento  dell'amministrazione  o addirittura senza
 subito adire il giudice per ottenere (anche attraverso  provvedimenti
 cautelari) quanto loro spettante.
   Tutti  gli  altri  loro  colleghi, ivi inclusi alcuni di quelli che
 sono stati immessi nelle funzioni nel medesimo periodo, pur svolgendo
 funzioni di pari valore, viceversa,  hanno  regolarmente  ottenuto  e
 continuano a percepire quanto loro spettante a titolo di allineamento
 stipendiale.
   9.  -  Concludendo,  la  sezione,  ritenuto  che  le  questioni  di
 legittimita' costituzionali sopra  esposte  non  sono  manifestamente
 infondate  e  constatato che le stesse assumono rilevanza decisiva ai
 fini del presente  giudizio,  dispone  la  sospensione  del  giudizio
 stesso e la remissione degli atti alla Corte costituzionale.
                               P. Q. M.
   Sospende  il  giudizio  e,  ritenuta  non infondate le questioni di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  d.-l.  n.  384/1992  per
 contrasto  con  gli  artt.  3, 36 e 97 della Costituzione, dispone la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Ai sensi dell'art. 23 11 marzo 1953, n. 87, ordina che a cura della
 segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti  in  causa
 ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e  sia  inviata in
 comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso in Latina, nella Camera di consiglio  del  5  dicembre
 1997.
                         Il presidente: Camozzi
                                     Il consigliere estensore: Onorato
 98C0684