N. 439 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 dicembre 1997
N. 439 Ordinanza emessa il 5 dicembre 1997 dal tribunale amministrativo regionale del Lazio sezione staccata di Latina sul ricorso proposto da Tenore Vito contro il Ministero di grazia e giustizia ed altro Impiego pubblico - Magistrati - Trattamento economico- Divieto di allineamento stipendiale - Efficacia retroattiva attribuita con norma qualificata di interpretazione autentica - Disparita' di trattamento di situazioni identiche in base a mero elemento temporale e alla sollecitudine della p.a. nella liquidazione degli incrementi stipendiali conseguenti dell'allineamento - Violazione dei principi della retribuzione proporzionata ed adeguata, di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 6/1994, di non fondatezza di analoga questione, ritenuta superabile dal giudice rimettente. (D.-L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7). (Cost., art. 3, 36 e 97).(GU n.25 del 24-6-1998 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1657 del 1995 proposto dal dott. Vito Tenore rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Montefusco e con lo stesso elettivamente domiciliato in Latina, corso della Repubblica n. 265 presso il dott. B. Raponi; Contro i Ministeri di grazia e giustizia e del tesoro, in persona dei rispettivi Ministri pro-tempore, costituiti in giudizio rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato e con la stessa ex lege domiciliati in Roma, via dei Portoghesi n. 12; Per l'accertamento del diritto del ricorrente al trattamento economico allineato a quello corrisposto al dott. Raffaele Sabato, magistrato ordinario con minore anzianita' di ruolo, con conseguente condanna dell'amministrazione al pagamento di quanto risultera' dovuto con interessi, e rivalutazione monetaria; E in via subordinata per la condanna delle medesime amministrazioni al pagamento del risarcimento dei danni conseguenti al ritardo nel provvedere al pagamento di quanto dovuto per allineamento retributivo; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 5 dicembre 1997 il consigliere Antonio Onorato; Uditi l'avv. Corrado de Simone, delegato dall'avv. Montefusco, per il ricorrente e l'avv. St. A. Barbieri per le amministrazioni resistenti; Ritenuto e considerato quanto segue; F a t t o Il dott. Vito Tenore ha assunto servizio quale magistrato ordinario in data 14 settembre 1991 e, pertanto, prima della nomina con la medesima qualifica del dott. Raffaele Sabato, il quale e' stato, infatti, nominato col successivo d.m. 1 ottobre 1991. Senonche', al dott. Sabato e' stato attribuito un trattamento economico complessivo superiore a quello gia' riconosciuto al dott. Tenore senza che, tuttavia, il Ministero di grazia e giustizia abbia provveduto d'ufficio ad applicare in favore di quest'ultimo gli l, legge 8 agosto 1991, n. 254, e 4, terzo comma, d.-l. 27 settembre 1982, n. 681, (convertito nella legge 28 novembre 1982 n. 869). Il dott. Tenore ha, pertanto, proposto il ricorso in esame col quale ha, appunto, chiesto l'accertamento del suo diritto ad ottenere l'allineamento stipendiale previsto dalle norme sopra citate, con conseguente condanna delle amministrazioni intimate al pagamento in suo favore di quanto a tal titolo dovuto. In via subordinata, il dott. Tenore ha chiesto che la sezione condanni le medesime amministrazioni al risarcimento del danno causatogli col loro illegittimo ritardo, con interessi e rivalutazione monetaria. A tal fine, l'interessato ha lamentato l'omessa applicazione in suo favore e la violazione delle norme sopra indicate. Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio e la loro difesa con successiva memoria ha controdedotto alle argomentazioni avversarie, chiedendo che il gravame sia respinto. Anche il difensore del ricorrente ha prodotto memoria illustrativa. Nel corso della pubblica udienza del 5 dicembre 1997 il ricorso, come chiesto dai difensori delle parti, e' stato trattenuto per la decisione. Diritto 1. - E' pacifico ed incontroverso fra le parti che alle date di "assunzione in servizio" del dott. Vito Tenore (d.m. 1 ottobre 1991) e del dott. Raffaele Sabato (d.m. 1 ottobre 1991) erano vigenti l'art. 4 terzo comma, legge 20 novembre 1982, n. 869 ed il principio dell'"allineamento stipendiale" di cui lo stesso - unitamente all'art. 1, legge 6 agosto 1991, n. 265 - costituiva l'esplicita espressione normativa. Ne consegue inevitabilmente che alle date indicate il dott. Tenore - precedendo nel ruolo il dott. Sabato e percependo, tuttavia, un trattamento economico inferiore a quello assegnato a quest'ultimo - aveva maturato il "diritto" soggettivo, "perfetto ed incondizionato" in quanto nascente direttamente dal principio e dalle norme sopra citati, a ricevere un'integrazione del suo stipendio pari alla differenza fra quest'ultimo, come in precedenza determinato, e quanto invece concretamente erogato al collega (Cfr., per tutte, Corte dei conti, Sez. controllo Stato, 13 luglio 1984, n. 1479, 3 febbraio 1989, n. 2093 e 19 novembre 1992, n. 67; Cons. Stato, VI Sez., 26 marzo 1990, n. 410, IV Sez., 1 aprile 1992, n. 376, IV Sez., 7 febbraio 1994, n. 111, t.a.r. Lazio III Sez. 6 marzo 1992, n. 220). Se la normativa non fosse successivamente mutata ed in particolare non fosse intervenuta la soppressione dell'istituto dell'allineamento stipendiale, quanto sopra rilevato sarebbe sufficiente per giustificare l'accoglimento del ricorso in esame perche' - come, del resto, ammesso dalla sua stessa difesa - l'amministrazione non ha mai provveduto a conformare la situazione di fatto a quella di diritto ed, in particolare, a tempestivamente corrispondere al ricorrente la maggiore retribuzione dovutagli secondo il principio e le norme sopra descritti, sicuramente vigenti al momento in cui e' stato acquisito il corrispondente "diritto soggettivo". 2. - Senonche', anche dopo il menzionato mutamento delle norme, la giurisprudenza prevalente dei tribunali amministrativi regionali, in base a varie e non sempre convergenti considerazioni, e' pervenuta alla conclusione che i diritti acquisiti in vigenza delle norme sopra indicate sono sopravvissuti nonostante i dd.-ll. 11 luglio 1992, n. 333, e 19 settembre 1992, n. 384, (poi convertiti nelle leggi 8 agosto 1992, n. 359 e 14 novembre 1992, n. 438) contenenti, rispettivamente, la soppressione dell'allineamento stipendiale automatico ed il divieto di adottare nuovi "provvedimenti" di ammissione allo stesso, ancorche' con effetti anteriori all'11 luglio 1992 (Cfr., per esempio, t.a.r. Molise 17 gennaio 1995, n. 11 e 7 maggio 1997, n. 101, t.a.r. Emilia Romagna 21 novembre 1995, n. 373, t.a.r. Basilicata 21 agosto 1994, n. 176, t.a.r. Campania, sez. Salerno 12 marzo 1996, n. 175, t.a.r. Abruzzo 27 maggio 1996, n. 151, t.a.r. Abruzzo, sez. Pescara 23 maggio 1997, n. 391). Secondo la giurisprudenza sopra richiamata, il primo dei due decreti-legge (art. 2, quarto comma), per quanto in questa sede interessa, non avrebbe effetti "retroattivi" in quanto, come si apprende dalla sua lettura, ha espunto dall'ordinamento l'art. 4 della legge 20 novembre 1982, n. 869 "a decorre dalla data di entata in vigore" del decreto stesso. Ne conseguirebbe che dallo stesso non possono derivare ne' direttamente ne' indirettamente effetti preclusivi all'accoglimento della domanda di accertamento proposta dal dott. Tenore. La situazione, per quanto concerne il ricorrente, secondo la giurisprudenza sopra citata, non sarebbe mutata neppure per effetto del secondo dei decreti-legge sopra menzionati. Quest'ultimo, poiche' si limita ad impedire l'adozione di "provvedimenti di allineamento stipendiale" "ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992" (art. 7, settimo comma) avrebbe, infatti, introdotto un - per molti versi singolare - "divieto" alla pubblica amministrazione, ma, proprio perche' neppure li menziona, non avrebbe, di per se' solo, fatto venire meno i "diritti soggettivi" gia' acquisiti sulla base della normativa precedente e, tantomeno, la possibilita' per i loro titolari di ottenerne la tutela in sede giurisdizionale. Ad avviso di alcuni tt.aa.rr., tale soluzione avrebbe addirittura ricevuto esplicita conferma dalla Corte costituzionale, la quale, pronunciando in relazione alla norma in questione, ha avuto modo di chiarire che "la disciplina adottata", "oltre a non risultare lesiva dei giudicati gia' formatisi", "non ha sottratto ai ricorrenti alcuno strumento di tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione, ne' ha menomato l'autonomia riconosciuta al potere giurisdizionale nell'applicazione del diritto oggettivo, ai fini della definizione delle singole controversie" (Cfr., in termini, Corte costituzionale 26 gennaio 1994, n. 6). Tutto cio' per non dire che, sempre secondo la giurisprudenza sopra riferita, la norma in questione - avente efficacia sostanzialmente retroattiva ed eccezionale e da interpretare, pertanto, in modo strettamente letterale (art. 14 disp. prel. cod. civ.) - vieterebbe soltanto i "provvedimenti" in materia di allineamento stipendiale. Si limiterebbe, pertanto, ad impedire esclusivamente l'adozione di quei particolari atti amministrativi (negoziali, unilaterali e tipici) che sono oggettivamente preordinati ad introdurre autoritativamente delle immutazioni alla situazione preesistente, quali, per esempio, potrebbero essere, nella specifica materia, le eventuali determinazioni rivolte ad estendere ulteriormente l'ambito dei beneficiari dell'allineamento stipendiale. La norma, invece, non prenderebbe esplicitamente in considerazione e, pertanto, non vieterebbe affatto ne' gli "atti meramente ricognitivi" di situazioni giuridiche gia' compiutamente conformate dalla legislazione e, in sostanza "applicativi" di quest'ultima ne', tantomeno, le "sentenze" di accertamento e condanna che il giudice deve, invece, adottare in conformita' alla specifica normativa oggettivamente riferibile alla fattispecie sottoposta alla sua cognizione. Ne risulterebbe confermato che la norma in questione non impedirebbe la pronuncia della decisione di "accertamento e condanna" sollecitata in questa sede dal ricorrente ed, anzi, tuttora consentirebbe che la stessa amministrazione spontaneamente adempia all'"obbligo", a suo tempo insorto e mai venuto meno, di corrispondere materialmente al ricorrente stesso quanto, sulla base di un'attivita' meramente ricognitiva, risulta essergli gia' dovuto secondo le previsioni della legge nel suo caso applicabile. 3. - Il sopra riferito orientamento non e' stato, tuttavia, per nulla condiviso dal giudice di appello. La IV sez. del Consiglio di Stato con le sentenze 20 maggio 1996, n. 636 e 7 ottobre 1996, n. 1034, come ha puntualmente riferito la difesa resistente, infatti, e' giunta all'opposta conclusione che il diritto all'allineamento "e' ormai scomparso dall'ordinamento giuridico", con effetto retroattivo e con sostanziale vanificazione della possibilita' di esercitarlo per chiunque prima della data di entrata in vigore della nuova norma non abbia materialmente percepito quanto a tale titolo dovutogli. Tale orientamento giurisprudenziale - peraltro supportato col richiamo a successive pronunce di inammissibilita' emesse dalla Corte costituzionale nn. 105 e 394 del 1994 e 523 del 1995 - trova la sua unica, ma indubbiamente decisiva, ragione giustificatrice nella ratio della norma abrogatrice, cioe' nell'esigenza, avvertita dal legislatore e gia' ritenuta ragionevole dalla Corte costituzionale (cfr. la medesima sentenza n. 6 del 1994 cit), di "impedire, col massimo grado di efficacia generale, l'ulteriore applicazione di un istituto che, nella pratica, aveva determinato inconvenienti e distorsioni maggiori di quelli cui si intendeva rimediare". Ad avviso del giudice di appello, siffatti inconvenienti e distorsioni risulterebbero "estesi ed aggravati" dall'"ulteriore sopravvivenza dell'istituto - per quanto limitata alle sole situazioni maturate prima dell'11 luglio 1992". 4. - Il Collegio ritiene che, nonostante le ampie e suggestive argomentazioni della giurisprudenza di primo grado, debba essere necessariamente preferita la rigorosa interpretazione del giudice di appello la quale ha, se non altro, l'indubbio pregio di risultare assolutamente coerente con l'intento perseguito dal legislatore in un momento storico di particolari difficolta' finanziarie e in presenza di indubbi fenomeni distorsivi del sistema retributivo dei pubblici dipendenti. Ne consegue che il collegio dovrebbe senz'altro respingere il ricorso in esame aderendo pienamente al decisum del giudice di appello, presumibilmente destinato ad essere confermato in relazione ai giudizi che risultano ancora pendenti presso lo stesso. 5. - Senonche', il collegio osserva come la reiezione della domanda formulata in via principale dell'attuale ricorrente, possibile solo in caso di totale adesione alle argomentazioni gia' svolte dal Consiglio di Stato, faccia anche riemergere alcune delle questioni di legittimita' relative ai dd.-ll. sopra menzionati, che avevano avuto ampia ed esaustiva risposta nella piu' volte menzionata sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 1994. Si rende, pertanto, necessario disporre la sospensione del giudizio e la rimessione d'ufficio degli atti alla Corte costituzionale per ottenere una sua definitiva pronuncia in argomento, senza che neppure possa essere presa in esame l'ulteriore domanda, formulata pero' in via del tutto subordinata dal medesimo ricorrente, di condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno che gli e' derivato dalla inosservanza dell'obbligo di tempestivamente applicare le norme sull'allineamento stipendiale, quando le stesse erano ancora vigenti e ricorrevano tutti gli altri presupposti per il pagamento di quanto in base alle stesse dovuto. L'esame della domanda giudiziaria formulata in subordine e', infatti, sottoposto alla condizione che la domanda principale risulti sicuramente inaccoglibile. Tale condizione potra' verificarsi, tuttavia, solo nell'ipotesi che la Corte costituzionale ritenga infondate o inammissibili le questioni che il collegio ritiene necessario sottoporre alla sua attenzione. 6. - Un primo profilo di illegittimita' attiene al possibile contrasto dell'art. 7, sesto comma d.-l. 384 del 1992 con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione Come gia' ricordato, la Corte costituzionale aveva ritenuto non fondata l'analoga questione sollevata dalla prima sezione di questo tribunale (ordinanza 24 marzo 1993 n. 496), affermando che la norma sopravvenuta non ha privato il giudice del potere di pronunciare, sia in positivo che in negativo, tenendo conto della legislazione vigente al momento in cui si sono verificati i presupposti sui quali si fonda la domanda. Tanto perche', come gia' ricordato, la norma citata "non ha sottratto ai ricorrenti alcuno strumento di tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione, ne' ha menomato l'autonomia riconosciuta al potere giurisdizionale nell'applicazione del diritto oggettivo, ai fini della definizione delle singole controversie". Tuttavia, la questione, nonostante tale esplicita affermazione, si ripropone immutata perche' successivamente alla menzionata pronuncia della Corte, in sede di giudizio di merito, sulla base dell'interpretazione razionale fornita dal Consiglio di Stato e fatta propria dalla sezione, e' stato concluso che la norma sopracitata ha abrogato con piena efficacia retroattiva tutte le disposizioni sull'allineamento stipendiale, in quanto il legislatore ha voluto impedire in modo assoluto che fossero "estesi ed aggravati" gli oneri economici derivanti dall'"ulteriore sopravvivenza dell'istituto - per quanto limitata alle sole situazioni maturate prima dell'11 luglio 1992" (Cfr. Cons. Stato IV Sez. sent. n. 636/1996 cit.). Sembra, infatti, al collegio che non vi sia sostanziale differenza tra l'escludere in via assoluta la possibilita' per il giudice di merito di accogliere i ricorsi di quanti avevano maturato il diritto all'allineamento prima della soppressione di tale istituto e l'affermare che costoro, per tale specifico aspetto, sono del tutto privi di tutela giurisdizionale. Tanto, a meno che non si ritenga sufficiente un'osservanza meramente formale del dettato costituzionale, facendo coincidere la garanzia offerta dagli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione con l'illusoria possibilita' di adire il giudice per ottenere una pronuncia dall'esito inevitabilmente negativo a causa della sopravvenuta norma abrogatrice con effetti retroattivi anche in relazione ai diritti quesiti. 7. - Un secondo profilo attiene al possibile contrasto della medesima norma con gli artt. 3 e 36 Cost., oltre che con il principio di ragionevolezza. La disposizione sospettata di incostituzionalita' sicuramente non ha avuto alcun effetto negativo nei confronti dei magistrati (ordinari, amministrativi, contabili o militari) che, pur trovandosi in una situazione del tutto identica a quella dell'attuale ricorrente, tuttavia, hanno concretamente usufruito dell'allineamento stipendiale perche' l'amministrazione ha puntualmente adempiuto al suo obbligo di pagare loro quanto dovuto in applicazione della legislazione all'epoca ancora vigente. Non sembra, pertanto, che occorrano molte parole per evidenziare la disparita' di trattamento ai danni dell'attuale ricorrente e l'irragionevolezza che sembrano caratterizzare siffatta disposizione, la quale fa dipendere l'entita' della retribuzione, non gia' dalla qualita' o dalla quantita' delle prestazioni lavorative, bensi' da una circostanza di fatto apparentemente irrilevante, quale appare essere la, maggiore o minore, tempestivita' nell'adempimento dei propri doveri degli uffici addetti alla liquidazione ed al pagamento del dovuto. 8. - Ritiene, infine, il collegio che nella rigida retroattivita' della disposizione interpretativa di cui si discute possa ravvisarsi anche un sintomo di eccesso di potere legislativo, con ulteriore violazione del principio di ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 97 della Costituzione Non sembra, infatti, che l'"ulteriore sopravvivenza dell'istituto" - "limitata alle sole situazioni maturate prima dell'11 luglio 1992" (Cfr. Cons. Stato, IV Sez., sent. n. 636/1996) avrebbe effettivamente "esteso ed aggravato" in modo significativo la situazione alla quale il legislatore ha inteso porre rimedio con l'art. 7 d.-l. n. 384 del 1992 cit. La retroattivita' della disposizione ha prodotto in concreto i suoi effetti nei confronti di un numero sicuramente modesto di magistrati ed ha determinato un risparmio di spesa ben poco significativo. Ha operato, infatti, solo ai danni di quanti hanno avuto la ventura di essere stati immessi nelle funzioni nel corso dell'anno 1991 ed hanno avuto l'unico torto di attendere fiduciosamente il pagamento di quanto loro dovuto in base alla legislazione all'epoca vigente, senza sollecitare l'adempimento dell'amministrazione o addirittura senza subito adire il giudice per ottenere (anche attraverso provvedimenti cautelari) quanto loro spettante. Tutti gli altri loro colleghi, ivi inclusi alcuni di quelli che sono stati immessi nelle funzioni nel medesimo periodo, pur svolgendo funzioni di pari valore, viceversa, hanno regolarmente ottenuto e continuano a percepire quanto loro spettante a titolo di allineamento stipendiale. 9. - Concludendo, la sezione, ritenuto che le questioni di legittimita' costituzionali sopra esposte non sono manifestamente infondate e constatato che le stesse assumono rilevanza decisiva ai fini del presente giudizio, dispone la sospensione del giudizio stesso e la remissione degli atti alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Sospende il giudizio e, ritenuta non infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 7, d.-l. n. 384/1992 per contrasto con gli artt. 3, 36 e 97 della Costituzione, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ai sensi dell'art. 23 11 marzo 1953, n. 87, ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia inviata in comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Latina, nella Camera di consiglio del 5 dicembre 1997. Il presidente: Camozzi Il consigliere estensore: Onorato 98C0684