N. 477 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 gennaio 1998

                                N. 477
 Ordinanza emessa il 15  gennaio  1998  dal  tribunale  amministrativo
 regionale  del  Veneto  sul  ricorso  proposto da Mondardo Antonio ed
 altro contro l'ufficio elettorale centrale  presso  il  tribunale  di
 Vicenza
 Elezioni  -  Elezioni  comunali  -  Presentazione delle candidature -
    Sottoscrizione della lista da  parte  di  un  numero  di  elettori
    superiore  a  quello  massimo  prescritto dalla legge - Esclusione
    della lista dalla competizione  elettorale  -  Mancata  previsione
    delle possibilita' per l'ufficio elettorale centrale di apprezzare
    autonomamente  la  rilevanza della violazione - Irragionevolezza e
    violazione dei principio di imparzialita' e buon  andamento  della
    p.a.  -  Richiamo  alla  sentenza  della  Corte  costituzionale n.
    83/1992 (di non fondatezza di analoga questione) non condivisa dal
    giudice rimettente.
 (D.P.R. 16 maggio 1960, n.  570,  art.  33,  comma  1,  lett.  a)  in
    relazione alla legge 8 marzo 1951, n. 122, art. 14, comma 4, lett.
    c)).
 (Cost., artt. 3 e 97).
(GU n.27 del 8-7-1998 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO  REGIONALE
   Ha  pronunziato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 3046797,
 proposto da Antonio Mondardo e Marco Guazzo, rappresentati  e  difesi
 dall'avv.    Ivone Cacciavillani, con elezione di domicilio presso la
 segreteria del t.a.r. ai sensi dell'art. 35 del r.d. 26 giugno  1924,
 n. 1054;
   Contro l'ufficio elettorale centrale presso il tribunale di Vicenza
  per  le  elezioni  provinciali  del 16 novembre 1997; in persona del
 presidente  pro-tempore,  costituito  in  giudizio   col   patrocinio
 dell'Avvocatura  distrettuale  dello  Stato di Venezia, presso cui ha
 domicilio  legale  in  San  Marco  n.  63;  per  l'annullamento   del
 provvedimento  dell'ufficio  elettorale  centrale di esclusione dalla
 competizione elettorale della lista "Lega Nord - Liga Veneta";
   Visto il ricorso notificato il 21 ottobre 1997 e depositato  presso
 la segreteria il 22 ottobre 1997, con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione in giudizio dell'ufficio elettorale
 centrale;
   Uditi  all'udienza  pubblica  del  15  gennaio  1998  (relatore  il
 consigliere Depiero) gli avv. Cacciavillani per i ricorrenti, e Botta
 per l'amministrazione;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F a t t o
   I  ricorrenti  rappresentano  che,  per  le elezioni del presidente
 della provincia di  Vicenza  e  il  rinnovo  del  relativo  consiglio
 provinciale indette per il giorno 16 novembre 1997, il termine ultimo
 per  la  presentazione delle liste elettorali scadeva alle ore 12 del
 giorno 18 ottobre 1997.
   Con atto del 17 ottobre 1997 il segretario dell'ufficio elettorale
  centrale presso il tribunale di Vicenza dichiarava di aver  ricevuto
 dall'istante   Mondardo  (in  qualita'  di  delegato  del  segretario
 organizzativo regionale della "Lega Nord - Liga Veneta") la lista dei
 candidati,  con  tutti  gli  allegati  previsti   dalla   legge,   in
 particolare  "numero  2.431  certificati ... comprovanti l'iscrizione
 dei presentatori nelle liste elettorali dei comuni della provincia".
   Con l'atto presentemente opposto (del 19 ottobre 1997), per contro,
 l'ufficio elettorale centrale ricusava la lista in oggetto, in quanto
 sarebbe stato depositato,  "un  elenco  di  presentatori  legittimati
 superiore  al massimo" e cioe' 2.532 anziche' i prescritti 2.500 (e i
 dichiarati 2.431).
   Il giorno successivo (20 ottobre 1997) il medesimo ufficio,a tenore
 dell'art. 33, ultimo comma,  del  d.P.R.  16  maggio  1960,  n.  570,
 sentiva  i  delegati della lista, i quali hanno, da un confermato che
 il numero dei certificati elettorali presentati era 2.341; dall'altro
 si premuravano  di  depositare  una  dichiarazione  di  ritiro  della
 sottoscrizione  da  parte  di 41 dei presentatori, cosi' da rientrare
 comunque nel numero prescritto.
   Nonostante cio' l'ufficio elettorale centrale ha confermato la gia'
 disposta esclusione.
   Avverso questo provvedimento  agiscono  i  ricorrenti  lamentandone
 l'illegittimita'  con  un  unico  articolato motivo, con cui deducono
 violazione dell'art. 2699 c.c. e travisamento di fatto.
   Secondo  la  prospettazione  dei  ricorrenti  l'atto  con  cui   il
 segretario dell'ufficio elettorale centrale dichiara di aver ricevuto
 la  documentazione  relativa  alla  presentazione delle liste e' atto
 pubblico pienamente fidefacente fino a querela di falso.
   Cio' significa, nella specie, che il dato relativo  al  numero  dei
 certificati  elettorali  dimessi,  che  l'ufficio elettorale medesimo
 doveva tener fermo (e non  aveva  facolta'  di  modificare),  era  di
 2.431, come dichiarato dal segretario.
   Che  vi  fossero  "firme"  in  piu'  (non  "sostenute" dal relativo
 certificato elettorale) e', all'evidenza, irrilevante.
    Inoltre, per rimuovere l'effetto probante di quanto accertato  dal
 Segretario,  occorreva  la querela di falso, ovvero l'eliminazione di
 tale dato in altre forme.
   Non essendo siffatta invalidazione  intervenuta,  il  documento  fa
 piena prova della ritualita' della lista presentata.
   In  subordine,  gli istanti rappresentano che, comunque, i delegati
 di  lista  sentiti  dall'ufficio  elettorale   centrale   il   giorno
 successivo   hanno   presentato   un   apposito   atto   con  cui  41
 sottoscrittori avevano ritirato la loro adesione alla lista, con cio'
 facendo rientrare il numero delle sottoscrizioni entro quello massimo
 previsto dalla legge (2.500), del che  detto  organo  doveva  prender
 atto  e tener conto, posto che costituiva fatto idoneo a eliminare il
 motivo di ricusazione.
   L'amministrazione, costituita, puntualmente controdeduce nel merito
 del ricorso, concludendo per la sua reiezione, siccome infondato.
   In  limine,  ne eccepisce l'inammissibilita' in quanto non proposto
 nelle forme e secondo le procedure di cui agli artt.  83,  undicesimo
 comma,  e seguenti del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 e non notificato
 anche alla provincia.
                             D i r i t t o
   Col ricorso all'esame gli istanti  lamentano  l'illegittimita'  del
 provvedimento dell'ufficio elettorale centrale presso il tribunale di
 Vicenza,  che ha escluso dalla competizione elettorale la lista "Lega
 Nord - Liga Veneta", per aver presentato a supporto della  stessa  un
 numero  di  sottoscrizioni  (accompagnate  dal  previsto  certificato
 elettorale) superiore al limite massimo di 2.500  previsto  dall'art.
 14,  quarto  comma,  lett.  c) della legge 8 marzo 1951, n. 122 (come
 modificata dalla legge 11 agosto 1991, n. 271).
   Come risulta dal breve riassunto in fatto che precede, gli  istanti
 affermano  di  aver  presentato  entro il termine utile al competente
 ufficio elettorale centrale la propria documentazione.
    Il segretario rilasciava un documento attestante  il  deposito  di
 2.431  certificati  elettorali,  laddove  al  controllo effettuato il
 giorno successivo dall'ufficio elettorale centrale  tali  certificati
 risultavano essere 2.532.
   Gli  istanti  (dopo  aver  ventilato  anche l'ipotesi di possibili,
 successive, manipolazioni della  documentazione,  peraltro  meramente
 ipotizzate  senza  addurre  il  benche'  minimo  supporto probatorio)
 lamentano, innanzi tutto, che non si sia tenuto conto del  valore  di
 atto  pubblico  fidefacente  fino a querela di falso della "ricevuta"
 rilasciata  dal  segretario  dell'ufficio,  e,  in   subordine,   che
 l'ufficio  elettorale  centrale  non  abbia  comunque  considerato la
 circostanza che, il giorno successivo a quello dell'esclusione  della
 lista  per  superamento  del  limite  massimo  di sottoscrizioni, gli
 stessi hanno fatto pervenire un formale atto di rinuncia da parte  di
 41 elettori, con cio' rimuovendo il motivo di esclusione.
   Entrambe  le  doglianze,  come  correttamente rappresenta la difesa
 dell'amministrazione, sono palesemente  infondate.
   L'art. 14 della legge 8 marzo 1951, n.  122  (come  successivamente
 modificato)  prevede che la dichiarazione di presentazione del gruppo
 deve essere sottoscritta (per quanto qui rileva) "da almeno  1.750  e
 da  non  piu'  di  2.500  elettori iscritti nelle liste elettorali di
 comuni compresi nelle province con piu' di 500.000 abitanti e fino  a
 1.000.000 di abitanti".
   Il  sesto  comma  prescrive  poi  che "la presentazione deve essere
 effettuata dalle  ore  8  del  trentesimo  giorno  alle  ore  12  del
 ventinovesimo   giorno   antecedenti  la  data  delle  elezioni  alla
 segreteria dell'ufficio
  elettorale centrale, il quale provvede all'esame delle candidature e
 si pronuncia sull'ammissione di esse secondo le norme in  vigore  per
 le elezioni comunali".
   A sua volta, l'art. 33, primo comma lett., a), del d.P.R. 16 maggio
 1960,   n.   570   (e  successive  modificazioni)  prescrive  che  la
 commissione elettorale, il giorno successivo a quello  stabilito  per
 la   presentazione   delle   liste   "verifica  che  le  liste  siano
 sottoscritte dal numero richiesto di elettori, eliminando quelle  che
 non lo sono".
   Sotto  il profilo procedimentale e' ancora previsto che il delegato
 di ciascuna lista  possa  prendere  immediatamente  cognizione  delle
 contestazioni  fatte  dalla  commissione  (nel nostro caso, l'ufficio
 elettorale centrale) e delle modificazioni apportate  alla  lista,  e
 che  la commissione torni a riunirsi l'indomani alle ore 9 per udire,
 eventualmente, i delegati delle liste  contestate  o  modificate,  ed
 ammettere   nuovi  documenti  onde  deliberare  seduta  stante  sulle
 modificazioni eseguite.
   E cosi' infatti, e'  avvenuto:  l'ufficio  elettorale  centrale  ha
 preso  in  esame  la  lista  dei  ricorrenti e, effettuati i relativi
 controlli ed accertato che le regolari sottoscrizioni  (cioe'  quelle
 accompagnate  dai  relativi certificati elettorali) erano superiori -
 sia pure di sole 31 unita' - al massimo previsto dalla legge (2.500),
 ha provveduto all'esclusione della lista medesima.
   Del tutto infondata appare la prima tesi difensiva prospettata  dai
 ricorrenti, e cioe' che l'atto del segretario dell'ufficio con cui lo
 stesso  dichiara  di  aver  ricevuto  la  documentazione  (che, nella
 specie, indicava in 2.43 1 le  valide  sottoscrizioni)  farebbe  fede
 fino a querela di falso, di talche' l'ufficio elettorale centrale non
 potrebbe  discostarsene.
   Innanzi  tutto,  la  legge  non  parla  affatto  di tale atto, che,
 all'evidenza  costituisce  una  sorta  di  "ricevuta  a   protocollo"
 attestante  che  la  documentazione  e'  stata  presentata. Ne' alcun
 potere di "accertamento" la legge assegna al segretario  dell'ufficio
 al  quale  ufficio  solamente,  nella  sua ordinaria composizione, e'
 demandata la verifica della documentazione dimessa.
   Anche a seguire la tesi dei ricorrenti, tuttavia, il risultato  non
 cambierebbe.
   Infatti,  posto che la legge (per evidenti motivi di funzionalita')
 non impone al segretario di "contare" i documenti presentati, bensi',
 se dal caso, solo di attestare di  averli  ricevuti,  risulta  chiaro
 che,  a  tenore  del  richiamato art. 2699 c.c. e del successivo art.
 2700, ("l'atto pubblico fa piena prova,  fino  a  querela  di  falso,
 della  provenienza  del  documento  dal  pubblico ufficiale che lo ha
 redatto, nonche' delle dichiarazioni delle parti e degli altri  fatti
 che  il  pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui
 compiuti") detto atto non sarebbe comunque idoneo  ad  attestare  con
 fede  privilegiata un farto (quale il conteggio delle certificazioni)
 che il segretario non ha materialmente compiuto, ne' e'  avvenuto  in
 sua  presenza.  Nella specie, nessuno dubita che i ricorrenti abbiano
 presentato liste e documenti in quella certa data ed ora,  e  abbiano
 dichiarato  al segretario che le sottoscrizioni munite di certificato
 elettorale erano 2.431, di tal che, anche ammesso che l'atto  di  cui
 si  controverte  abbia  natura  di  atto  pubblico fidefacente fino a
 querela di falso, poiche' (e' pacifico in causa) il segretario non ha
 provveduto a contare i certificati elettorali bensi' si e' limitato a
 recepire la dichiarazione delle parti, risulta chiaro che, sul punto,
 il documento di cui si controverte non ha alcuna  speciale  efficacia
 probante.  A tacer del fatto che, lo si ribadisce, il controllo delle
 sottoscrizioni  non  spetta affatto al segretario, bensi' all'ufficio
 elettorale centrale.
   Ne' miglior sorte puo' aver il secondo argomento difensivo, secondo
 cui l'ufficio elettorale centrale avrebbe dovuto, in ogni caso,  dare
 rilievo  alla  nuova  documentazione  prodotta dalle parti in sede di
 contestazione   dell'esclusione,   e   cioe'   la    rinuncia    alla
 sottoscrizione  da  parte  di  41  elettori, che avrebbe riportato il
 numero dei sottoscrittori al di sotto  del  limite  massimo  previsto
 dalla  legge.  E' fin troppo facile osservare, in primis, come questo
 argomento  abbia  un  indubbio  valore  confessorio:  infatti  se   i
 ricorrenti  si  sono premurati di produrre un certo numero di rinunce
 al fine di ricondurre il numero dei sottoscrittori  a  legalita',  e'
 evidente  che  erano  perfettamente  consapevoli  di averlo superato.
 Anche a prescindere da cio', tuttavia, e' chiaro che le condizioni di
 legge per essere ammessi alla competizione elettorale  devono  essere
 possedute  al  momento di scadenza dei termini, il che, nel caso, non
 era.  Del tutto legittimamente, quindi, l'ufficio elettorale centrale
 ha  proceduto  all'esclusione  della  lista  di  cui  trattasi.    La
 conclusione  cui  si  dovrebbe  pervenire,  a  questo  punto,  e'  la
 reiezione  del  ricorso,  poiche'  l'unico,  articolato,  motivo   di
 doglianza  appare  palesemente infondato.   Tuttavia il collegio pare
 che sia seriamente dubitabile la conformita' alla Costituzione, e, in
 specie, agli artt. 3 (poiche' si trattano in modo  eguale  situazioni
 sostanzialmente diverse) e 97, sotto i profili della ragionevolezza e
 proporzionalita'  dell'azione  rispetto al risultato, non tanto della
 norma che prevede un limite  "superiore"  alle  sottoscrizioni  della
 lista,  bensi'  dell'art.  33.  primo  comma,  lett. a) del d.P.R. 16
 maggio 1960, n. 570,  laddove  commina  la  sanzione  dell'esclusione
 della  lista  stessa in ogni caso di superamento del limite medesimo.
 La legge, nel nostro caso l'art. 14 della legge 8 marzo 1951. n.  122
 e  successive  modificazioni,  prevede  che  "la   dichiarazione   di
 presentazione  del gruppo deve essere sottoscitta ... da almeno 1.750
 e da non piu' di 2.500 elettori iscritti nelle liste elettorali"  dei
 comuni  ricompresi  nella  provincia  interessata.    L'ultimo  comma
 dell'art. 14 richiama, quanto ad  aspetti  procedimentali,  le  norme
 vigenti  per  le  elezioni  comunali,  le quali, sul punto, prevedono
 l'esclusione delle liste non sottoscritte da un  numero  di  elettori
 esattamente compreso entro i limiti (inferiore e superiore) previsti.
   La  giurisprudenza  e'  univoca  nel  ritenere entrambi tali limiti
 inderogabili (si veda, a titolo di esempio: t.a.r. Abruzzo -  Pescara
 n.  334 del 25 giugno 1993, che, tra l'altro, dichiara manifestamente
 infondata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  30,
 primo  comma, lett. a) del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 in relazione
 al successivo art. 33. relativamente  all'omessa previsione  in  capo
 alla  commissione  elettorale del potere di riduzione d'ufficio delle
 firme di presentazione delle liste  eccedenti,  rispetto  ad  analogo
 potere - ben piu' pregnante - ammesso nei confronti delle candidature
 che  superano  il  massimo  consentito;  t.a.r. Sicilia - Catania, n.
 1483 del 9 luglio 1994).   Il Collegio non ignora  che  la  questione
 della   legittimita'   costituzionale   del   limite   massimo  delle
 sottoscrizioni delle liste  e'  gia'  stata  affrontata  dalla  Corte
 costituzionale con la sentenza n. 83 del 19 febbraio-4 marzo 1992 (su
 ordinanza di rimessione della Sezione V del Consiglio di Stato n. 824
 del  13  maggio  1991),  e  che  la  stessa  ha concluso per la piena
 legittimita'  di  tale  limite   esaminandone   il   significato   ed
 argomentando    con   ragioni   di   carattere   storico-sistematico.
 Ciononostante il collegio ritiene di investire  nuovamente  la  Corte
 costituzionale  della questione (che e' rilevante nella specie, e non
 manifestamente   infondata)   in    quanto,    contrariamente    alla
 prospettazione  di  cui  all'ordinanza  di  rimessione  da  parte del
 Consiglio  di  Stato,  non  si  reputa  incostituzionale  il   limite
 "superiore"  in  se'  considerato  (che, anche ad avviso del collegio
 come  verra' in prosieguo evidenziato, ha una sua precisa e rilevante
 funzione), bensi' solo la sanzione  di  esclusione  automatica  dalla
 competizione   elettorale   che   consegue  (in  ogni  caso)  al  suo
 superamento.  La Corte costituzionale nella sentenza n. 83/1992, dopo
 aver rappresentato come i limiti minimo e massimo di sottoscrizioni a
 sostegno della singola lista costituisca un principio da  gran  tempo
 presente  nella nostra legislazione elettorale, precisa che mentre il
 limite minimo mira a garantire serieta' e consistenza  numerica  alla
 rappresentanza  politica,  quello  "superiore",  lungi dal costituire
 "una  mera  semplificazione  dei   preliminari   richiesti   per   la
 presentazione  delle  candidature", "si da' carico di esigenze di ben
 maggiore rilievo in quanto rivolto a garantire la  libera  e  genuina
 espressione  della  volonta'  del  corpo elettorale", rilevando come,
 specie nei piccoli comuni, l'assenza di un  limite  massimo  potrebbe
 dar   luogo   "a   vere  e  proprie  precompetizioni  elettorali  per
 assicurarsi il piu' alto numero di sottoscrittori possibile  al  fine
 di   dimostrare   la  forza  e  l'influenza  dell'una  piuttosto  che
 dell'altra lista di candidati  ed  esercitare  un'indebita  pressione
 psicologica   sull'elettorato   e   in   definitiva   una   forma  di
 condizionamento del voto".  La Corte si e' cioe' preoccupata  che  le
 singole  liste  (per  usare  un'espressione colorita) non "mostrino i
 muscoli" prima  del  tempo,  con  cio'  influenzando  la  parte  meno
 avveduta   dell'elettorato,   al   fine  di  conseguire  un  indebito
 vantaggio.  In altre parole si e' posta  il  problema  dell'abuso  (o
 dell'uso   distorto   o   con  finalita'  fraudolente)  del  diritto,
 particolarmente rilevante in questa materia.  Tuttavia, se  anche  si
 puo'   concordare   sulla   funzione   non  meramente  formale  o  di
 semplificazione  procedimentale   della   prescrizione,   bensi'   di
 sostanziale  difesa  di  un  principio  di  parita',  neppure si puo'
 sottacere che l'applicazione rigida della regola puo'  portare,  come
 nel  caso  di  specie  in  cui  le eccedenze numeriche sono veramente
 irrisorie  (31  sottoscrizioni  oltre  il  limite  previsto),  ad  un
 risultato di somma ingiustizia.  Infatti, se la violazione del limite
 inferiore  e'  sicuro indice di scarsa "affidabilita' e credibilita'"
 di  una  lista,  per  cui  l'esclusione  automatica   si   giustifica
 pienamente  in  relazione  all'interesse  pubblico alla cui tutela la
 disposizione e'  preordinata;  altrettanto  non  puo'  dirsi  per  la
 violazione  del limite massimo, il quale pur teso ad evitare indebite
 e intempestive  prove  di  forza,  non  altrettanto  sicuramente,  se
 superato, viola il bene giuridico al cui presidio la regola e' posta,
 ne'  dimostra  l'intento  della  lista  di  conseguire  vantaggi  non
 consentiti.  Invero, anche se la Corte lo  ha  espressamente  negato,
 pare  al collegio che non possa disconoscersi alla disposizione anche
 (pur se non principalmente) la finalita' di tutela di  un  valore  di
 economicita'  procedimentale,  onde  non  gravare i competenti uffici
 dell'onere di controllare la legittimita' di un eccessivo  numero  di
 sottoscrizioni.    E se in quest'ottica ben si comprende l'esclusione
 di una lista che abbia "abusato" del proprio diritto  presentando  un
 numero  eccessivamente  elevato  di  sottoscrizioni  al solo scopo di
 mostrare prima del confronto elettorale  vero  e  proprio  di  quanti
 consensi  goda,  non  ugualmente  comprensibile  appare  la  medesima
 sanzione se riferita al superamento del limite di poche  unita',  per
 mero  errore  dovuto  alla  fretta  o a conteggi non accurati, ovvero
 (come si  e'  gia'  verificato)  a  casi  di  omonimia  o  di  errata
 trascrizione  dei  dati.   Situazione, questa che non lede alcun bene
 (ne procedimentale ne' sostanziale) protetto dall'ordinamento.  Nella
 specie, all'evidenza, laddove non sia ravvisabile un intento  elusivo
 della ratio della norma, l'esclusione della lista mal si concilia con
 il  generale  principio  del  favor  del legislatore verso la massima
 partecipazione alle competizioni elettorali che  e'  regola  generale
 della  materia.    Ne  consegue che, se l'esclusione automatica della
 lista per carenza del numero minimo appare coerente  col  sistema  in
 quanto  ex  se  denuncia l'assenza di credibilita' della stessa (alla
 cui garanzia il limite e' posto), la medesima sanzione applicata alla
 violazione del limite "massimo",  senza  possibilita'  per  l'ufficio
 elettorale  di  apprezzare  se  detta  violazione e' intenzionalmente
 diretta a conseguire le posizioni di vantaggio vietate  dalla  norma,
 ovvero e' frutto di mero errore, appare contrastante col principio di
 ragionevolezza.    Ne' merita spendere troppe parole per sottolineare
 lo  sfavore  che  sempre  (e  in  tutte  le  discipline)   la   Corte
 costituzionale   ha   mostrato   per  le  sanzioni  aventi  carattere
 automatico.  Il collegio, quindi, esaminata la  funzione  del  limite
 "superiore"   nel   sistema  elettorale  ne  ravvisa  sicuramente  la
 legittimita' - in se' e per se'  considerato  -  in  quanto  posto  a
 tutela  degli  interessi  pubblici  alla  parita'  dei  soggetti  che
 partecipano alla competizione elettorale; ma ritiene di  rilevare  un
 profilo di incostituzionalita' per violazione dei principi di parita'
 di  trattamento  e  di  ragionevolezza laddove il superamento di esso
 limite  viene,  sempre  e  in  ogni   circostanza,   sanzionato   con
 l'esclusione  della  lista,  senza  possibilita'  per  il  competente
 ufficio di apprezzare le circostanze di fatto che hanno generato tale
 superamento e la rilevanza della violazione.  L'esclusione automatica
 appare anche piu' grave, sol che si osservi come il competente organo
 di  controllo  debba,  nella  fattispecie  all'esame,  in  ogni  caso
 escludere  la lista, per violazioni di qualsiasi entita', laddove nel
 ben piu' delicato caso di  presentazione  di  un  numero  di  candati
 superiore  a  quello  indicato  dalla legge, ex art. 33 del d.P.R. 16
 maggio 1970, n. 570, e'  invece,  previsto  il  potere  di  riduzione
 d'ufficio.  Sotto questo profilo appare violato anche il principio di
 adeguatezza   e  proporzionalita',  inteso  come  predisposizione  di
 strumenti congruenti ed adeguati al fine che la  legge  si  prefigge.
 La  disposizione  di  cui  all'art.  33,  primo  comma,  lett. e), e'
 evidente espressione  del  favore  del  legislatore  per  la  massima
 partecipazione  alla  competizione  elettorale,  infatti se una certa
 lista presenta un numero di candidati superiore al massimo consentito
 (atteggiamento anche questo, e a  maggior  ragione,  suscettibile  di
 esercitare una forma di pressione psicologica sull'elettorato, specie
 se il numero dei candidati fosse, in ipotesi, enormemente alto), essa
 non  viene  affatto  esclusa,  bensi'  ridotta al numero legale.   In
 applicazione dello stesso principio di favor  per  la  partecipazione
 appare  incongrua  e  "sproporzionata"  la  prescrizione  laddove non
 consente all'ufficio elettorale, se non  un  analogo  potere,  quanto
 meno  la  facolta'  di  autonomo  apprezzamento  caso  per caso della
 rilevanza della violazione  del  limite  nella,  tutto  sommato  meno
 eclatante, vicenda di una lieve eccedenza delle sottoscrizioni.
   La  prospettata  questione  di  legittimita'  costituzionale appare
 rilevante nel caso all'esame (in quanto l'applicazione dell'art.  33,
 primo  comma,  lett.  a),  sospettato  di   incostituzionalita',   e'
 determinante   per   la   risoluzione   della  controversia),  e  non
 manifestamente  infondata  alla  stregua  delle argomentazioni che si
 sono esposte.
                               P. Q. M.
   Il tribunale amministrativo regionale per il Veneto, prima sezione,
 visti  l'art.  134  della  Costituzione,   l'art.   1   della   legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
  dichiara  rilevante  e  non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 33, primo comma, lett.  a)  del
 d.P.R.    16  maggio  1960,  n. 570, in relazione all'art. 14, quarto
 comma, lett. c) della legge 8 marzo 1951, n.  122,  per  contrarieta'
 agli  artt.  3  e  97  della  Costituzione  e ai principi generali di
 ragionevolezza e di proporzionalita', nella parte in cui  prevede  la
 sanzione  dell'esclusione  automatica  della  lista  per ogni tipo di
 violazione  del  limite  superiore  di  sottoscrizioni   alle   liste
 elettorali  all'atto  della loro presentazione, e laddove non prevede
 la possibilita', per l'ufficio  elettorale  centrale,  di  apprezzare
 autonomamente la rilevanza della violazione;
   Sospende,    nelle   more   della   decisione   sull'incidenza   di
 costituzonalita',  il  presente   giudizio   e   ordina   l'immediata
 trasmissione  degli  atti  di causa alla Corte costituzionale, per la
 risoluzione delle prospettate questioni;
   Ordina, altresi', che la presente ordinanza sia notificata, a  cura
 della  segreteria, alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio
 dei Ministri,  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  del  Senato  della
 Repubblica e della Camera dei deputati;
   Cosi' deciso in Venezia, in camera di consiglio il 15 gennaio 1998
                         Il presidente: Trotta
                                                  L'estensore: Depiero
 98C0727