N. 213 SENTENZA 1 - 19 giugno 1998

 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Militari  -  Procedimento  giudiziario  -  Diritti  linguistici   del
 cittadino  appartenente  alla  minoranza  tedesca  della provincia di
 Bolzano - Rilevanza del principio di territorialita' - Esclusione  di
 una  valenza  regionale del tribunale militare di Verona - Esclusione
 di una incongruenza tra norme statutarie e disposizioni  attuative  -
 Esclusione  della violazione del diritto di difesa - Ragionevolezza -
 Non fondatezza.
 
 (D.P.R. 15 luglio 1988, n. 574, artt. 1, 15 e 24; in riferimento agli
 artt. 3, commi 1 e 2, 6 e 10, comma 1).
 
 (Convenzione per la salvaguardia per i  diritti  dell'uomo,  art.  6,
 terzo  comma;  Cost.  artt.  24 e 116; d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670,
 art. 100).
 
(GU n.26 del 1-7-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,    prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 13, 15 e 24
 del  d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574 (Norme di attuazione dello statuto
 speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di  uso  della
 lingua  tedesca e della lingua ladina nei srapporti dei cittadini con
 la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari),  promossi
 con  n.  3 ordinanze emesse il 29 novembre 1996 (n. 2 ordd.)  e il 20
 febbraio 1997 dal giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 tribunale militare di Verona, rispettivamente iscritte ai nn.  8, 9 e
 247 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica nn. 5 e 20, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto l'atto di costituzione di Alexander Peintner nonche' gli atti
 di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  10  febbraio  1998  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky;
   Uditi  l'Avvocato  Fernando  Giacomini  per  Alexander  Peintner  e
 l'Avvocato  dello Stato Paolo Di Tarsia di Belmonte per il Presidente
 del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.1. - Nel corso di un processo penale a carico di un militare,  in
 sede  di  fissazione  dell'udienza  preliminare,  il  giudice  per le
 indagini preliminari presso il tribunale militare di Verona  rilevava
 che   l'imputato,   nell'interrogatorio   reso  durante  le  indagini
 preliminari, aveva dichiarato di appartenere  al  gruppo  linguistico
 tedesco  della  provincia  di  Bolzano  e  di non conoscere la lingua
 italiana;  che,  inoltre,  la  difesa  del  medesimo  imputato  aveva
 depositato  una  memoria con la quale, documentata l'appartenenza del
 proprio assistito al gruppo linguistico tedesco, aveva chiesto  l'uso
 della  madrelingua dell'imputato nel processo in corso, sottolineando
 altresi' che la disciplina del processo penale  militare,  in  quanto
 preclusiva della facolta' richiesta, risulterebbe in contrasto con il
 diritto di difesa.  Muovendo da tali rilievi, il giudice solleva, con
 ordinanza   del   29   novembre  1996  (r.o.  8/1997),  questione  di
 costituzionalita' degli artt. 1, 13, 15 e 24  del  d.P.R.  15  luglio
 1988,  n.  574  (Norme  di  attuazione  dello statuto speciale per la
 Regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca  e
 della  lingua  ladina  nei  rapporti  dei  cittadini  con la pubblica
 amministrazione e nei procedimenti giudiziari), nella  parte  in  cui
 tali  norme  non  riconoscono  la  facolta'  di  usare la madrelingua
 tedesca  all'imputato  appartenente  alla  corrispondente   minoranza
 chiamato a rispondere di un reato dinanzi agli organi giurisdizionali
 militari,  in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 6, 10,
 primo comma - in relazione all'art. 6, terzo comma, della Convenzione
 per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
 fondamentali -, 24 e 116 della Costituzione e all'art. 100 del d.P.R.
 31  agosto  1972,  n.  670  (Approvazione del testo unico delle leggi
 costituzionali concernenti lo statuto speciale per  il  Trentino-Alto
 Adige).    Il  giudice  rimettente  osserva  che  la  rilevanza della
 questione   sollevata    risiede    nell'esigenza    di    assicurare
 l'effettivita'  della  garanzia difensiva all'imputato, attraverso la
 partecipazione allo svolgimento  processuale  nonche'  attraverso  la
 comprensione  dell'accusa e degli atti fondamentali del giudizio, con
 l'uso della lingua madre.
   Questa garanzia non sarebbe accordata dalla disciplina che concerne
 la traduzione degli atti processuali  nella  lingua  dell'imputato  a
 mezzo  di  interprete (artt. 143 e seguenti cod. proc. pen.), poiche'
 detta disciplina non risulterebbe comunque applicabile nel  giudizio,
 in  ragione  della specialita' della normativa di tutela accordata al
 cittadino  italiano  appartenente   a   una   minoranza   linguistica
 riconosciuta (art. 6 della Costituzione e art. 109 cod. proc. pen.).
   1.2.  -  La  prospettazione  della  questione  e'  preceduta da una
 ricognizione del quadro normativo  di  riferimento.    Il  rimettente
 ricorda  che  il  codice  penale militare di pace (R.  D. 20 febbraio
 1941, n. 303) disciplina il corrispondente processo  penale  militare
 facendo rinvio alla normativa del processo penale ordinario (art. 261
 cod. pen. mil. pace).  Il codice di procedura penale vigente, d'altra
 parte,  nel  regolare  la lingua degli atti, si basa sul principio di
 territorialita', che viene specificato dall'art. 109,  in  attuazione
 delle  norme  costituzionali  di tutela delle minoranze linguistiche,
 con  prescrizioni  che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo   "appaiono
 direttamente  riconducibili  alla  piu' ampia e generale normativa di
 cui al d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574", recante le norme di attuazione
 dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in  materia
 di  uso della lingua tedesca e ladina nei procedimenti giudiziari. La
 normativa attuativa, a sua volta, trova fondamento nell'art. 6  della
 Costituzione  e  nello  Statuto  speciale  per il Trentino-Alto Adige
 (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670),  il  cui  art.  100  prevede  che  i
 cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano hanno facolta'
 di  usare  la  loro  lingua  nei  rapporti  con gli uffici giudiziari
 situati nella medesima provincia o aventi competenza regionale.    Ma
 le  norme di attuazione in vigore (d.P.R. n. 574 del 1988 citato) non
 risultano,  secondo  il  rimettente,  del  tutto   rispettose   delle
 prescrizioni  di rango costituzionale, in quanto non sono applicabili
 anche ai "rapporti dei cittadini altoatesini di lingua tedesca con la
 giustizia militare".  Le disposizioni del citato d.P.R.  n.  574  del
 1988,  infatti,  prevedono  e  regolano  la  parificazione tra lingua
 italiana e lingua tedesca nei rapporti dei cittadini con  gli  uffici
 giudiziari  e con gli organi giurisdizionali ordinari, amministrativi
 e tributari a) situati nella provincia di Bolzano, ovvero b) con sede
 in provincia di Trento  ma  con  competenza  anche  in  provincia  di
 Bolzano  (art. 1, comma 1, lettere b) e c) del d.P.R. n. 574). Questi
 uffici e organi della  giurisdizione  devono  servirsi  della  lingua
 usata dal richiedente nei rapporti con i cittadini della provincia di
 Bolzano  e  negli atti correlativi (art.  13). Per quanto concerne il
 processo penale in  generale,  la  lingua  presunta  dell'indagato  o
 imputato,  di  cui  l'autorita'  giudiziaria deve fare uso, e' quella
 individuata in base alla notoria appartenenza a un gruppo linguistico
 nonche', eventualmente,  in  base  ad  altri  elementi  acquisiti  al
 processo  (art.  15,  comma 1). Infine, l'art.   24 del d.P.R. n. 574
 stabilisce che nei procedimenti dinanzi agli  organi  giurisdizionali
 ordinari,  amministrativi  e  tributari  non inclusi nell'elencazione
 dell'art. 1, i  cittadini  di  madrelingua  tedesca  residenti  nella
 provincia  di Bolzano hanno facolta' di rendere le loro dichiarazioni
 o deposizioni in lingua tedesca.  Per quanto precede, risulta  dunque
 -  prosegue  il  rimettente  -  che  le ricordate norme di attuazione
 escludono dal  proprio  ambito  di  applicazione  i  rapporti  tra  i
 cittadini   altoatesini   di   lingua  tedesca  e  gli  organi  della
 giurisdizione militare.  Tale  mancata  ricomprensione  del  processo
 penale  militare  nella  disciplina  attuativa,  insuperabile  in via
 interpretativa,  appare  al  giudice  a  quo  lesiva  dei   parametri
 costituzionali invocati.
   1.3.  -  Svolgendo  un  primo  profilo  della questione, il giudice
 ricorda l'equiparazione tra la giurisdizione penale militare e quella
 ordinaria, sia sul piano ordinamentale  e  della  composizione  degli
 organi  (legge  7  maggio  1981,  n. 180), sia sul piano propriamente
 processuale, dato il rinvio dell'una all'altra (art.  261  cod.  pen.
 mil. pace).  In questo quadro, connotato dal tendenziale principio di
 unita' della giurisdizione, e dalla odierna parificazione dello stato
 giuridico  dei  giudici militari e dei giudici ordinari (legge n. 180
 del  1981  citata),  la  specialita'  del  giudizio  militare  e'  da
 ritenersi  limitata  alle  sole  norme sostanziali da applicare nelle
 rispettive sedi.  La lacuna nella tutela degli  indagati  o  imputati
 altoatesini  di  lingua tedesca in ordine al processo penale militare
 costituirebbe, per questo primo profilo, una irragionevole esclusione
 della giurisdizione militare da una disciplina  altrimente  unitaria,
 con lesione del principio di uguaglianza sostanziale (art. 3, secondo
 comma,  della Costituzione).  Per un ulteriore aspetto, la disciplina
 descritta determinerebbe una  differenziazione  di  trattamento,  tra
 imputati  chiamati  dinanzi  alla  giurisdizione ordinaria e imputati
 chiamati dinanzi alla giurisdizione militare, non sorretta da  valide
 ragioni. Tra le due categorie, infatti, l'unica differenza di rilievo
 attiene    alla    qualificazione    formale    della    disposizione
 incriminatrice, come norma sostanziale comune  ovvero  militare;  ma,
 data  l'identita'  del  valore  dei  provvedimenti  resi  nell'uno  e
 nell'altro processo, e delle pene e degli altri effetti penali che ne
 conseguono, il residuo elemento differenziale consistente nel tipo di
 interesse protetto, vale a dire la presenza  di  un  bene  "militare"
 quale  oggetto  esclusivo  o  concorrente della corrispondente tutela
 penale, non sarebbe elemento sufficiente a giustificare la  censurata
 discriminazione (art. 3, primo comma, della Costituzione).
   Ne'  puo' valere in senso contrario - osserva il giudice a quo - la
 prescrizione dell'uso della lingua italiana nel corso  del  servizio,
 contenuta  nell'art.  43  del  Regolamento  di  disciplina  militare,
 giacche' tale norma, dettata e  valevole  ai  soli  fini  dell'ambito
 amministrativo  e,  appunto,  disciplinare,  non puo' estendersi alla
 giurisdizione, disciplinata, come si e'  visto,  da  norme  di  rango
 superiore.
   Le  norme  impugnate appaiono inoltre al giudice a quo in contrasto
 con la norma statutaria, contenuta nell'art. 100 del  d.P.R.  n.  670
 del  1972,  che  garantisce  l'uso  della lingua tedesca davanti agli
 uffici  giudiziari  aventi  "competenza  regionale".   Il   tribunale
 militare  di  Verona,  del  quale  fa parte il giudice rimettente, ha
 competenza territoriale estesa anche al territorio delle province  di
 Trento e di Bolzano, e dunque all'intera regione Trentino-Alto Adige.
   La  tutela  statutaria  della parita' linguistica dovrebbe pertanto
 essere operante anche dinanzi al Tribunale competente per  territorio
 sulla  regione  in  argomento,  in  quanto  ufficio  giudiziario  con
 "competenza  regionale",  ancorche'   collocato,   dalle   norme   di
 ordinamento  del  settore, fuori dei confini geografici della regione
 medesima.   Dal contrasto  con  l'art.  100  dello  statuto  speciale
 conseguirebbe  anche  la  violazione  del principio costituzionale di
 autonomia regionale speciale (art. 116 della Costituzione), di cui il
 d.P.R. n. 670 del 1972 e' espressione.   Infine,  il  giudice  a  quo
 ravvisa  un contrasto delle norme impugnate anche con l'art. 6, terzo
 comma, della Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
 dell'uomo  e  delle  liberta' fondamentali, ratificata con la legge 4
 agosto 1955, n. 848 e, tramite esso,  con  l'art.  10,  primo  comma,
 della   Costituzione.      La   norma  pattizia  prevede  il  diritto
 dell'accusato a "essere informato
  ..  in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato della
 natura e dei motivi dell'accusa";  cio'  che  non  si  verificherebbe
 nell'ipotesi rimessa al controllo di costituzionalita'.
   2.  -  Questione  identica  e' stata sollevata dallo stesso giudice
 rimettente con altra ordinanza in pari data (r.o. 9/1997), emessa nel
 corso di distinto procedimento penale militare, nel quale  l'imputato
 non  si  era  presentato  all'interrogatorio nel corso delle indagini
 preliminari  ma  la  difesa  aveva  comunque  richiesto  l'uso  della
 madrelingua tedesca dell'imputato nel procedimento.
   3.  -  Altra  questione di identico tenore e' stata successivamente
 sollevata dal medesimo giudice, con ordinanza del  20  febbraio  1997
 (r.o.    247/1997),   in   un   procedimento   per   reati   militari
 caratterizzato, rispetto ai due precedenti, dal  fatto  che  esso  si
 trova  dinanzi  al  rimettente  giudice per le indagini preliminari a
 seguito di ordinanza del collegio del dibattimento, con la  quale  e'
 stata  dichiarata  la nullita' del decreto di fissazione dell'udienza
 preliminare ed e' stata quindi disposta la restituzione degli atti al
 giudice a quo.  La decisione del tribunale e' stata adottata, secondo
 quanto   riferisce   l'ordinanza    di    rimessione,    a    seguito
 dell'attestazione  di  appartenenza  al gruppo linguistico tedesco da
 parte dell'imputato nel corso dell'udienza  dibattimentale,  e  della
 conseguente richiesta di celebrazione del processo in lingua tedesca.
 Il  collegio  ha  ritenuto  che  l'appartenenza al gruppo linguistico
 tedesco fosse rilevabile gia' nel corso delle  indagini  preliminari,
 in  via  presuntiva,  per la residenza in un determinato comune, e ha
 altresi' ritenuto  applicabile  anche  al  processo  penale  militare
 l'art.   15   del   d.P.R.  n.  574,  del  1988,  relativamente  alla
 prescrizione della notifica degli atti  nella  lingua  dell'imputato.
 Reinvestito  del  procedimento  nel  modo  anzidetto,  per  la  nuova
 notificazione, il giudice rimettente  ritiene  di  non  aderire  alla
 soluzione    intepretativa    del    collegio,   data   la   generale
 inapplicabilita'  dell'intera  citata  disciplina   attuativa   dello
 statuto   speciale  all'ambito  della  giurisdizione  militare,  alla
 stregua degli argomenti esposti nelle precedenti come  nell'ulteriore
 ordinanza  di rinvio. Non puo' dunque procedersi altrimenti, conclude
 il giudice a quo che sollevando la  questione  di  costituzionalita',
 svolta   secondo  profili  corrispondenti  a  quelli  precedentemente
 esposti.
   4. - Nel giudizio promosso con la prima delle tre  ordinanze  (r.o.
 8/1997)  si  e'  costituito  l'imputato,  Alexander  Peintner, il cui
 patrocinio, integralmente richiamando come proprie le  argomentazioni
 svolte   dal   rimettente,   ha  concluso  per  l'accoglimento  della
 questione.
   5.1. - Nel giudizio  instaurato  con  l'ordinanza  r.o.  9/1997  ha
 spiegato   intervento  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato.
 L'Avvocatura  osserva  che  il codice penale militare fa rinvio (art.
 261 cod. pen. mil. pace) alla  normativa  processuale  comune  e  che
 quest'ultima  (art. 109 cod. proc. pen.), come del resto riconosce il
 rimettente, accoglie il principio di territorialita' in  ordine  alla
 lingua  degli  atti processuali, specificandolo in una disciplina che
 fa   salve   ulteriori   disposizioni   speciali   o   la   normativa
 internazionale, ma in quanto queste ultime prevedano "altri diritti".
 Osserva  inoltre  che  la  disposizione  contenuta nel codice di rito
 comune riprende e specifica il contenuto del d.P.R. n. 574  del  1988
 di  attuazione  dello  statuto  speciale, nel senso che non fa rinvio
 formale a esso ma ne rielabora le  previsioni,  determinando  percio'
 una  reciproca  autonomia applicativa tra la fonte ordinaria e quella
 di attuazione statutaria.   Se e' cosi', la  lacuna  delle  norme  di
 attuazione  di cui si duole il rimettente, in quanto non includono il
 rito militare, risulta, per l'Avvocatura  erariale,  irrilevante,  in
 presenza  della  possibilita'  e  del  dovere per il giudice a quo di
 applicare, nel procedimento per reati militari, l'art. 109 cod. proc.
 pen., in virtu' della generale norma di  rinvio  dell'art.  261  cod.
 pen. mil. pace.  L'anzidetto art. 109 cod. proc. pen. stabilisce che,
 a  richiesta  dell'interessato,  il cittadino italiano appartenente a
 una minoranza linguistica riconosciuta venga interrogato o  esaminato
 nella  madrelingua, che il relativo verbale sia redatto anche in tale
 lingua e che nella stessa lingua debbano essere tradotti gli atti del
 procedimento  a  lui  indirizzati  successivamente  alla   richiesta.
 Questa  disciplina,  immune  da  ogni  dubbio di incostituzionalita',
 relativamente  ai  parametri  e  profili  dedotti   dal   rimettente,
 garantisce  appieno  le  esigenze  fatte  valere  con la proposizione
 dell'incidente di legittimita' costituzionale.   La  questione  della
 lacuna  del  d.P.R.  n.  574  del  1988  rispetto  alla giurisdizione
 militare - conclude l'interveniente - avrebbe potuto essere posta, in
 ipotesi, solo sul piano della disparita' di trattamento, qualora  non
 fosse  stata formulata dall'interessato la richiesta di utilizzazione
 in giudizio della madrelingua: in questo limitato caso, la  normativa
 attuativa  apporta una tutela piu' forte, giacche' dispone l'utilizzo
 della  lingua  presunta   dell'imputato,   in   base   alla   notoria
 appartenenza  a  un  gruppo linguistico o ad altri elementi acquisiti
 (art. 15 del d.P.R. citato), mentre la  norma  comune  opera  solo  a
 seguito  di  richiesta.  Ma  nel  giudizio  principale,  come risulta
 espressamente dall'ordinanza di  rimessione,  la  parte,  tramite  la
 difesa,    aveva    depositato    una   memoria   di   documentazione
 dell'appartenenza al gruppo di  minoranza  e  di  richiesta  dell'uso
 della  lingua  madre,  ond'e'  che  tale  ridotto profilo e' comunque
 ipotetico e percio' irrilevante.
   L'Avvocatura   conclude   quindi   per    una    declaratoria    di
 inammissibilita' della questione.
   5.2.  -  L'Avvocatura erariale ha altresi' spiegato intervento, per
 il Presidente del Consiglio  dei  Ministri,  anche  negli  altri  due
 giudizi costituzionali (r.o. 8/1997 e 247/1997), con atti di richiamo
 integrale e allegazione materiale del precedente atto di intervento.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il  giudice  per le indagini preliminari presso il tribunale
 militare di Verona, con tre ordinanze emesse in altrettanti  giudizi,
 solleva  questione  di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 13,
 15 e 24 del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574 (Norme di attuazione  dello
 statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso
 della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini
 con  la  pubblica  amministrazione e nei procedimenti giudiziari). La
 censura d'incostituzionalita' colpisce tali disposizioni nella  parte
 in   cui,  prevedendo  e  disciplinando  i  diritti  linguistici  del
 cittadino appartenente alla  minoranza  tedesca  della  provincia  di
 Bolzano  nei  rapporti  con  uffici  e  organi giurisdizionali penali
 ordinari, non estendono tale previsione e tale disciplina ai rapporti
 con gli uffici e gli organi giurisdizionali militari.
   L'art.  1  del d.P.R. n. 574 del 1988, adottato in attuazione delle
 norme  contenute  nel  titolo  XI  dello  statuto  speciale  per   il
 Trentino-Alto  Adige,  stabilisce che nella regione la lingua tedesca
 e' parificata a quella italiana - che e' la  lingua  ufficiale  dello
 Stato  -  nei  rapporti  tra  i  cittadini italiani appartenenti alla
 minoranza linguistica tedesca con gli uffici giudiziari e gli  organi
 giurisdizionali  ordinari situati nella provincia di Bolzano (art. 1,
 comma 1, lettera b), e - in riferimento alla giurisdizione  penale  -
 con la Corte d'appello, la Corte d'assise d'appello, la sezione della
 Corte  d'appello per i minorenni, la procura generale presso la corte
 d'appello, il tribunale per i minorenni, il tribunale di sorveglianza
 e  l'ufficio  di  sorveglianza,  nonche'  con  ogni   altro   ufficio
 giudiziario  e organo giurisdizionale ordinario con sede in provincia
 di Trento ma con competenza anche in provincia di Bolzano.
   Ai  fini  della  suddetta  parificazione  linguistica,  l'art.   13
 stabilisce  che gli uffici e gli organi giudiziari indicati nell'art.
 1 devono servirsi, nei rapporti con i cittadini  della  provincia  di
 Bolzano  e  negli  atti cui gli stessi sono interessati, della lingua
 usata dal richiedente e l'art. 15, commi 1-3, prevede che  la  lingua
 del  processo  e'  quella  dell'imputato o dell'indagato o, comunque,
 quella da costoro scelta, secondo le modalita'  determinate  da  tale
 articolo.
   L'art. 24, infine, prevede che nei procedimenti innanzi agli organi
 giurisdizionali  ordinari  (oltre che amministrativi e tributari) non
 compresi  nelle  disposizioni  di  cui  all'art.   1,   i   cittadini
 appartenenti al gruppo linguistico tedesco, residenti nella provincia
 di  Bolzano,  hanno  facolta'  di  rendere  le  loro  dichiarazioni o
 deposizioni in lingua tedesca.
   A parte l'ipotesi prevista dall'art. 24,  applicabile  comunque  in
 relazione   alla  giurisdizione  penale  ordinaria  e  non  a  quella
 militare, la normativa anzidetta configura una  garanzia  secondo  la
 quale  la  protezione dei diritti linguistici della comunita' tedesca
 opera  sulla  base  di  un  criterio  territoriale:  la  collocazione
 dell'organo  giurisdizionale  nella provincia di Bolzano ovvero anche
 in quella di Trento, purche' pero' la  competenza  si  estenda  sulla
 provincia  di  Bolzano.  Alla  stregua di questi criteri, la garanzia
 linguistica contenuta nelle norme impugnate non vale, in generale nel
 processo penale militare e nei rapporti con gli uffici e  gli  organi
 della  giurisdizione  penale  militare, nonche' in particolare con il
 tribunale  militare  di  Verona  il  cui  giudice  per  le   indagini
 preliminari  ha  sollevato  le  questioni  in  esame. Tale tribunale,
 infatti, istituito a Verona presso il Comando  militare  territoriale
 della  Regione  Nord-Est,  esercita  la  sua  competenza  anche sulla
 provincia di Bolzano,  oltre  che  su  quelle  di  Belluno,  Brescia,
 Mantova,  Trento  e Verona (d.P.R.  14 febbraio 1964, n. 199), ma non
 ha sede nella regione Trentino-Alto Adige, pur avendo competenza  per
 i  reati  militari  commessi, per quel che qui interessa, anche nella
 provincia di Bolzano.
   Della mancata inclusione dei  tribunali  penali  militari  tra  gli
 organi  giudiziari  ai  quali si applica quella speciale garanzia dei
 diritti  linguistici  dei  cittadini   italiani   appartenenti   alla
 minoranza  linguistica  tedesca,  si  duole  il  giudice  rimettente.
 Risulterebbero a suo avviso violati (a) gli articoli 6  e  116  della
 Costituzione  e  l'art. 100 dello statuto speciale di autonomia della
 regione  Trentino-Alto  Adige  (d.P.R.  31  agosto 1972, n. 670), che
 garantiscono al  cittadino  appartenente  alla  minoranza  di  lingua
 tedesca  della provincia autonoma di Bolzano il diritto all'uso della
 propria  lingua;  (b)  gli  artt.    24  e  10   della   Costituzione
 (quest'ultimo in relazione all'art. 6, terzo comma, della Convenzione
 europea  per  la  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
 fondamentali) che prevedono la garanzia  del  diritto  di  difesa  in
 giudizio;   (c)   l'articolo   3,   primo   e  secondo  comma,  della
 Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza  della  diversa
 disciplina dell'uso della lingua tedesca nel processo penale comune e
 nel processo penale militare.
   2.  -  Le  tre  ordinanze  del  giudice per le indagini preliminari
 presso  il  tribunale  militare  di  Verona  sollevano  la   medesima
 questione  di  costituzionalita'.  I  relativi giudizi possono quindi
 riunirsi, per essere definiti con unica sentenza.
   3. - La questione non e' fondata rispetto ad alcuno  dei  parametri
 indicati.
   4.1.  - Quanto alla pretesa violazione delle norme costituzionali e
 statutarie in tema di protezione della minoranza italiana  di  lingua
 tedesca  (artt.  6  e  116  della  Costituzione  e  100 dello statuto
 speciale), si deve  innanzitutto  rilevare  che  tale  protezione  e'
 basata   non   sul   principio   di  personalita'  ma  su  quello  di
 territorialita'. L'art.   2  dello  statuto  speciale  stabilisce  in
 generale  che  nella  regione  e'  riconosciuta parita' di diritti ai
 cittadini, qualunque sia il gruppo  linguistico  di  appartenenza,  e
 l'art.  99,  analogamente,  ribadisce  che,  nella  regione le lingue
 italiana e tedesca sono equiparate.    Conformemente,  rispetto  alla
 giurisdizione,   l'art.   100   precisa   che  i  cittadini  italiani
 appartenenti alla minoranza tedesca della provincia di Bolzano  hanno
 facolta'  di  usare  la  propria  lingua  nei rapporti con gli uffici
 giudiziari situati nella provincia nonche' "nei rapporti cogli uffici
 giudiziari ... aventi competenza regionale".
   Su quest'ultima espressione si basa, ma non  giustificatamente,  il
 dubbio d'incostituzionalita' del giudice rimettente, il quale ritiene
 che   il   tribunale  militare  di  Verona  debba  considerarsi,  per
 l'appunto, avere competenza regionale.
   Da un punto di vista rigorosamente letterale, e' evidente che  tale
 locuzione  non e' affatto idonea a designare gli uffici giudiziari la
 cui giurisdizione si estenda bensi' sul territorio regionale,  ma  lo
 superi  inglobandolo  in  un  piu' vasto ambito, come e' nel caso del
 tribunale militare di Verona, territorialmente  competente  su  varie
 provincie, appartenenti a quattro regioni. L'opposta interpretazione,
 favorevole  alla  tesi  argomentata  dal giudice rimettente, potrebbe
 sostenersi solo se potesse sorreggersi su formule normative  diverse,
 come quella di "uffici con competenza sul territorio di insediamento"
 di   un   gruppo  linguistico  minoritario,  contenuta  nell'art.  2,
 direttiva numero 102), della legge-delega  per  il  nuovo  codice  di
 procedura  penale 16 febbraio 1987, n. 81, oppure (alla stregua della
 formula usata dal comma 2 dell'art. 109 cod.  proc.  pen.,  rilevante
 per  quanto  si  dira'  in  seguito)  "autorita'  giudiziaria  avente
 competenza  su  un  territorio  dove  e'  insediata   una   minoranza
 linguistica".
   La   portata   dell'art.  100  che  pianamente  risulta  dalla  sua
 formulazione   letterale,   non   smentita   ma    anzi    confermata
 sistematicamente  dalle  indicazioni  ricavabili  dagli  artt. 2 e 99
 dello statuto, non conforta dunque il dubbio che ha mosso il  giudice
 rimettente nel promuovere la presente questione di costituzionalita':
 la  competenza  del  tribunale  militare  di Verona si esercita anche
 "nella regione", ma non e' una "competenza regionale".
   4.2. - La diversa conclusione cui perviene il  giudice  rimettente,
 in  vista  di  una  piu'  ampia  protezione  dei diritti linguistici,
 proiettata  cioe'  oltre  l'ambito   territoriale   cosi'   definito,
 presupporrebbe  che  l'art.  100  dello  statuto  potesse prestarsi a
 un'interpretazione estensiva. Ma tale interpretazione, alla quale  il
 giudice rimettente chiama la Corte costituzionale, non e' possibile.
   La  garanzia  dei  diritti linguistici delle minoranze, posta tra i
 principi costituzionali  fondamentali  e  in  vista  della  quale  la
 Repubblica  e'  tenuta  a  dettare  "apposite  norme"  (art.  6 della
 Costituzione), infatti, e' certo inderogabile, conformemente al rango
 che il principio di tutela delle minoranze occupa nella  Costituzione
 (sentenze  nn.  15 del 1996, 62 del 1992, 768 del 1988, 289 del 1987,
 312 del 1983 e 86 del  1975),  ma  non  contiene  in  se'  una  forza
 espansiva,  al  di  la' di quanto espressamente stabilito nelle norme
 degli statuti regionali speciali.
   Le norme di tutela delle minoranze rappresentano  sempre  punti  di
 equilibrio   e   contemperamenti   tra   le  garanzie  particolari  e
 l'ordinamento  generale.  L'estensione  delle  prime  non  puo'   non
 comportare  ripercussioni  sul  secondo  (cosi'  come la modifica del
 secondo puo' interferire sulle prime). In questo quadro di reciproche
 interferenze, si comprende  la  funzione  peculiare  delle  norme  di
 attuazione   degli   statuti   regionali   speciali,  norme  adottate
 attraverso  un  procedimento  normativo  speciale  (per  la   regione
 Trentino-Alto  Adige,  previsto  dall'art.  107  dello  statuto)  che
 comprende  necessariamente   una   fase   consultiva   bilaterale   e
 paritetica,    cui   partecipano   rappresentanti   delle   comunita'
 interessate.  A tali norme di attuazione, spetta  una  competenza  di
 "carattere  riservato  e separato" (sentenze nn. 137 del 1998, 85 del
 1990, 160 del 1985, 237 del 1983 e 180 del 1980) e finalizzata a dare
 vita, in corrispondenza ai contenuti e agli obiettivi  degli  statuti
 stessi,  a una disciplina che, nell'unita' dell'ordinamento giuridico
 (sentenze nn. 212 del 1984 e 136 del 1969), concilii, armonizzandoli,
 tanto l'esercizio dei  diritti  potenzialmente  confliggenti  -  come
 tipicamente  avviene  in  materia  di  uso  della  lingua da parte di
 soggetti  appartenenti  a  gruppi  linguistici  diversi   -,   quanto
 l'organizzazione  delle  autonomie  regionali con quella dei pubblici
 poteri e delle pubbliche funzioni.
   E, in effetti, nella specie, per mettere in opera  le  prescrizioni
 statutarie   poste   a   presidio  dell'identita'  linguistica  della
 minoranza tedesca nei processi penali ordinari, e in quelli civili  e
 amministrativi,  si e' resa necessaria l'emanazione di numerose norme
 di attuazione:  alcune (quali quelle contenute nel d.P.R. n. 574  del
 1988,  in talune sue parti oggetto del presente giudizio) per rendere
 compatibili i rispettivi diritti linguistici dei soggetti, non  tutti
 necessariamente  appartenenti  al  gruppo  linguistico  tedesco,  che
 simultaneamente entrano in rapporto con gli  organi  giurisdizionali;
 altre,  che influiscono sulle posizioni di soggetti diversi da quelli
 titolari  dei  diritti  linguistici,  al  fine  di   predisporre   le
 necessarie strutture organizzative della giurisdizione, come le norme
 contenute  negli artt. 33-41 del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752 (Norme
 di attuazione dello  statuto  speciale  della  regione  Trentino-Alto
 Adige  in  materia  di  proporzionale negli uffici statali siti nella
 provincia di Bolzano e di conoscenza delle due  lingue  nel  pubblico
 impiego)  e nell'art. 6 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 267
 (Norme di attuazione dello  statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto
 Adige concernenti modifiche a norme di attuazione gia' emanate).
   Il  compito  e  la procedura che, conformemente a quanto ora detto,
 caratterizzano le norme di attuazione degli statuti delle regioni  ad
 autonomia  speciale  spiegano  la loro rilevanza nella configurazione
 della portata delle norme statutarie. Il valore giuridico delle norme
 di   attuazione,   subordinate   allo   statuto   (oltre   che   alla
 Costituzione),  non  le  sottrae  di certo all'ordinario controllo di
 legittimita' costituzionale, quando contraddicano il loro compito  di
 armonizzare  nell'unita' dell'ordinamento giuridico i contenuti e gli
 obiettivi particolari  dell'autonomia  speciale.  Ma,  qualora  (come
 nella   specie)   si   sia   fuori   di   questa  eventualita',  esse
 rappresentano,   tra   le   realizzazioni   astrattamente   possibili
 dell'autonomia  regionale  speciale,  quelle storicamente vigenti. Le
 norme di attuazione, dotate di forza prevalente su quella delle leggi
 ordinarie (sentenze nn. 160 del  1985  e  151  del  1972),  finiscono
 cosi',  in  certo modo, per fissare, entro i contorni delineati dagli
 statuti o eventualmente anche nello svolgimento  e  nell'integrazione
 delle  norme  statutarie  necessari  per  dare  a queste ultime piena
 "attuazione" (sentenze nn. 260 del 1990, 212 del 1984 e 20 del 1956),
 i  contenuti  storico-concreti  dell'autonomia  regionale  e  quindi,
 nell'interpretazione  delle  norme  statutarie  che  questa  Corte e'
 chiamata a dare, vengono ad assumere un particolare rilievo e a porre
 un  limite:  un  limite  superato  il   quale   si   determinerebbero
 conseguenze   non   controllabili  relativamente  a  quell'equilibrio
 complessivo  dell'ordinamento  cui  le  norme  di   attuazione   sono
 preordinate.
   Se  ne  deve  concludere, nel caso in esame, insieme al rapporto di
 congruenza tra le norme statutarie e  i  loro  svolgimenti  attuativi
 nelle   disposizioni  impugnate,  l'impossibilita'  di  rompere  tale
 rapporto  -  come  chiede  il   giudice   rimettente   -   attraverso
 un'interpretazione  espansiva  della  garanzia  linguistica, prevista
 dall'art. 100 dello statuto, non sorretta dalla necessaria  normativa
 di attuazione.
   5.  -  Le  norme  in  esame,  censurate in quanto inapplicabili nel
 giudizio  penale   militare,   si   sottraggono   anche   al   dubbio
 d'incostituzionalita'  sollevato  sotto  il profilo della lesione del
 diritto di difesa in giudizio (art. 24 della Costituzione e,  secondo
 la  prospettazione  del  rimettente,  art.  10  della Costituzione in
 relazione all'art.  6, terzo comma, della Convenzione europea per  la
 salvaguardia  dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali). A
 tale riguardo, si rende necessaria una  precisazione  circa  il  loro
 rapporto  con  la  disciplina  generale  dell'uso  della  lingua  nel
 processo penale.
   Per effetto del rinvio che il primo comma dell'art. 261  cod.  pen.
 mil.  pace  opera,  salvo  che  la  legge disponga diversamente, alle
 disposizioni del codice di  procedura  penale,  nel  processo  penale
 militare  in  generale,  e  nel  processo penale militare a carico di
 cittadini  italiani  appartenenti  alla  minoranza  di lingua tedesca
 della  provincia  di   Bolzano   in   particolare,   trova   comunque
 applicazione,  contrariamente  a  quanto  sembra  ritenere il giudice
 rimettente, la disciplina dettata dall'art. 109, comma 2, cod.  proc.
 pen.  La  clausola di salvaguardia dell'art. 261, la quale esclude il
 rinvio  al  codice  di  procedura  penale  in  presenza  di   diversa
 disposizione  legislativa,  non  vale infatti nella specie.  Non solo
 una diversa disciplina - allo stato della  legislazione  relativa  al
 processo  penale  militare  nei  confronti  dei  cittadini  di lingua
 tedesca - manca (e di questa mancanza, con riferimento alle norme del
 d.P.R. n. 574 del  1988,  il  giudice  rimettente  per  l'appunto  si
 duole).  Ma  soprattutto,  qualora  anche,  a garanzia dell'identita'
 degli appartenenti alla comunita' di lingua tedesca  della  provincia
 di Bolzano, una tale disciplina fosse posta, essa, per le ragioni che
 si  indicano  di  seguito,  non  potrebbe considerarsi una disciplina
 diversa e alternativa a quella stabilita  dall'art.  109  cod.  proc.
 pen.,  tale  da rendere operante la clausola di esclusione del rinvio
 al codice di procedura penale  (e  quindi  all'art.  109  cod.  proc.
 pen.), contenuta nell'art. 261 cod. pen. mil. pace.
   L'art.  109,  comma  2,  cod.  proc.  pen. prevede in generale, con
 riguardo  agli  appartenenti  a  tutte  le   minoranze   linguistiche
 riconosciute,   che   "davanti   all'autorita'   giudiziaria   avente
 competenza di primo grado o di  appello  su  un  territorio  dove  e'
 insediata   una  minoranza  linguistica  riconosciuta,  il  cittadino
 italiano che appartiene a  questa  minoranza  e',  a  sua  richiesta,
 interrogato  o  esaminato  nella madrelingua e il relativo verbale e'
 redatto anche in tale lingua.  Nella stessa lingua sono tradotti  gli
 atti  del  procedimento  a  lui  indirizzati successivamente alla sua
 richiesta".
   In tale disciplina,  e'  facile  scorgere  la  coesistenza  di  due
 profili  di  protezione: del diritto di difesa in giudizio, in quanto
 si garantisce la comprensibilita' degli atti del  processo  a  coloro
 che,  non  appartenendo  alla  comunita'  linguistica di maggioranza,
 potrebbero  non  padroneggiare  l'uso  della  lingua  ufficiale   del
 processo  (sentenza  n.  271  del  1994);  del  diritto all'identita'
 linguistica,  in  quanto  i  diritti  che  la  norma   prevede   sono
 attivabili, a richiesta dell'interessato, indipendentemente dalla sua
 ignoranza della lingua ufficiale del processo.
   Su  questa disciplina generale di base, possono tuttavia innestarsi
 normative  ulteriori,  dettate  allo  scopo  di  una   piu'   intensa
 protezione  delle  identita'  linguistiche  particolari. Tale innesto
 trova la sua regola nell'ultima proposizione del comma 2 dello stesso
 art. 109 cod. proc. pen., la quale fa espressamente "salvi gli  altri
 diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali".
   Alla  stregua  di  questo  sistema,  il  rapporto  tra la normativa
 codicistica e quella contenuta nel decreto n. 574 di attuazione dello
 statuto speciale per il Trentino-Alto Adige deve  essere  ricostruito
 in  termini  non  di alternativita' ma di concorrenza, secondo quanto
 gia' affermato nella sentenza n. 271 del 1994  di  questa  Corte.  La
 disciplina  generale  dell'art.  109  cod. proc. pen. riguarda sia la
 protezione del diritto di difesa in  giudizio  sia  la  garanzia  dei
 diritti   linguistici   dei   cittadini   appartenenti   a  minoranze
 riconosciute nel processo penale, valendo quindi, come disciplina  di
 base  comune,  anche per i cittadini italiani di lingua tedesca della
 provincia di Bolzano. Ove  poi  esistano  norme  speciali  che,  come
 quelle  contenute  nel d.P.R. n. 574, prevedono "altri diritti", esse
 sono "fatte salve", comportando conseguenze aggiuntive rispetto  alla
 disciplina codicistica.
   Ma  tali "altri diritti" previsti in leggi speciali si collocano su
 un piano diverso da quello che attiene alle  garanzie  della  difesa,
 non potendo che riguardare esclusivamente una piu' intensa protezione
 delle  identita' linguistiche dei gruppi minoritari, secondo le norme
 particolari  che  li   riguardano   (in   questo   senso,   si   veda
 l'argomentazione  delle  sentenze  nn.  15 del 1996 e 271 del 1994 di
 questa Corte).  La  garanzia  del  diritto  di  difesa  in  giudizio,
 infatti,  non  potrebbe dar luogo mai, senza violazione del principio
 costituzionale   di   uguaglianza,   a   soluzioni    frazionate    e
 differenziate,  a  seconda dell'appartenenza a questo o a quel gruppo
 linguistico di minoranza.
   Ma, a questo punto, si deve tenere conto che a tale  diversita'  di
 piani   di   disciplina,   fondati  ciascuno  su  una  propria  ratio
 indipendente, corrispondono principi  di  riferimento  differenziati,
 risultanti  dagli  artt.  6  e  24  della  Costituzione. Essi - salva
 l'eventualita' (che nella specie non si verifica)  di  "interferenze"
 limitatrici  tra  il  piano  della  garanzia  del diritto di difesa e
 quello della tutela linguistica, eventualita' che giustificherebbe il
 richiamo,  ad  un  tempo,  di  entrambi  i  principi   costituzionali
 anzidetti  -  hanno  ambiti di applicazione diversi che devono essere
 mantenuti distinti (sentenze nn. 15 del 1996 e 62 del 1992).
   Ne deriva allora che la questione  di  costituzionalita',  proposta
 sotto  il  profilo  della garanzia del diritto di difesa in giudizio,
 relativamente a  norme  dettate  al  fine  della  tutela  di  diritti
 linguistici  come  quelle  contenute  nel  d.P.R. n. 574 del 1988, e'
 destituita  di  fondamento,  per   non   pertinenza   del   parametro
 costituzionale invocato.
   6.  -  Anche per quanto riguarda la pretesa violazione dell'art.  3
 della Costituzione, sotto il profilo dell'irrazionale  differenza  di
 disciplina   dell'uso   della  lingua  tedesca  nel  processo  penale
 ordinario e in quello penale militare, la questione e' infondata.
   A ragione il  giudice  rimettente  sottolinea  l'esistenza  di  una
 tendenza all'avvicinamento delle due forme processuali, con l'effetto
 di una progressiva omologazione del rito speciale a quello ordinario.
 Tale  tendenza  trova  espressione  nella norma generale di rinvio al
 codice di procedura penale comune contenuta nel gia' richiamato  art.
 261  cod.  pen.  mil.  pace  e si giustifica per l'esigenza, ribadita
 anche di recente da questa Corte con la sentenza n. 274 del 1997,  di
 ricondurre   le   forme   processuali   penali  a  medesimi  principi
 informatori, tutte le volte che la specialita' delle ragioni  proprie
 della giustizia penale militare non lo impedisca.
   Tuttavia  cio'  vale nei casi in cui sia rintracciabile una matrice
 normativa processuale comune, non quando si  abbia  a  che  fare  con
 norme,  quali  quelle  contenute  nel  d.P.R.  n.  574  del 1988, che
 traggono  la  loro  ragion  d'essere  dalla  tutela  di  un  bene   -
 l'identita'  di  una  minoranza linguistica - che non e' propriamente
 del processo, ma nel processo trova soltanto un'occasione per  essere
 realizzata.    Rispetto  a  tali  norme,  in  quanto  esse valgono in
 riferimento a minoranze cui e' riconosciuto e  garantito  uno  status
 costituzionale  particolare,  l'esigenza di uniformita' cede a quella
 di specificazione e differenziazione alla stregua delle  peculiarita'
 dell'ordinamento  speciale  in cui sono inserite e da cui traggono la
 loro validita'.
   Ma  anche  a  voler  trascurare  queste  considerazioni  circa   la
 particolarita'    delle   norme   di   protezione   delle   identita'
 linguistiche, secondo i diversi ordinamenti speciali, resta  comunque
 il  fatto  che  il senso della doglianza del giudice rimettente e' di
 richiedere, attraverso il richiamo  all'art.  3  della  Costituzione,
 l'applicazione  della  disciplina  processuale  comune, cioe' - nella
 specie - dell'art. 109 cod. proc.  pen., al giudizio penale militare,
 cio' che gia' deriva pianamente, secondo quanto detto al punto  5  di
 questa  motivazione  in  diritto, dal sistema delle norme processuali
 penali comuni e militari.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti  i  giudizi,  dichiara  non   fondate   le   questioni   di
 legittimita'  costituzionale degli artt. 1, 13, 15 e 24 del d.P.R. 15
 luglio 1988, n. 574 (Norme di attuazione dello statuto  speciale  per
 la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca
 e  della  lingua  ladina  nei  rapporti dei cittadini con la pubblica
 amministrazione  e  nei  procedimenti  giudiziari),   sollevate,   in
 riferimento  agli artt.  3, primo e secondo comma, 6, 10, primo comma
 - in relazione all'art.   6, terzo comma, della  Convenzione  per  la
 salvaguardia  dei  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali -,
 24 e 116 della Costituzione e all'art. 100 del d.P.R. 31 agosto 1972,
 n. 670 (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi  costituzionali
 concernenti  lo  statuto  speciale  per  il Trentino-Alto Adige), dal
 giudice per le indagini preliminari presso il tribunale  militare  di
 Verona, con le ordinanze indicate in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1998.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Zagrebelsky
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 19 giugno 1998.
                       Il cancelliere: Fruscella
 98C0741