N. 229 SENTENZA 1 - 19 giugno 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Divieto  di  sottoporre  a sequestro gli scritti
 formati   dall'imputato   (e    dall'indagato)    appositamente    ed
 esclusivamente   come   appunto   per   facilitare  la  difesa  negli
 interrogatori  -  Omessa  previsione  -  Erroneita'  dei  presupposti
 interpretativi da parte del giudice rimettente - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 103, comma 6).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.26 del 1-7-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,  avv. Massimo VARI,  dott. Cesare RUPERTO,    dott.
 Riccardo CHIEPPA,  prof. Valerio ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,
  prof. Guido NEPPI MODONA,  prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 103, comma 6,
 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa  il  18
 luglio  1997  dal  tribunale  di  Genova  -  Sezione  per il riesame,
 iscritta al n. 763, del registro ordinanze 1997  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  45, prima serie speciale,
 dell'anno 1997.
   Udito nella camera di  consiglio  il  22  aprile  1998  il  giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Nel corso delle indagini preliminari, con provvedimento del 3
 luglio 1997 il Procuratore della Repubblica presso  il  tribunale  di
 Genova  ordinava, previa perquisizione, il sequestro probatorio della
 documentazione  "concernente  i  fatti"   oggetto   delle   indagini,
 "esistente  nella  cella  del carcere ove" l'inquisito "e' detenuto";
 nella motivazione del provvedimento, eseguito lo stesso 3 luglio,  si
 faceva   "esplicito  riferimento  alla  natura  della  documentazione
 ricercata", precisandosi "che la stessa viene sottoposta a  sequestro
 in  quanto  predisposta"  dall'indagato, "con funzione di appunti, al
 fine di piu' agevolmente  rispondere  all'interrogatorio  reso  dallo
 stesso  indagato  in data 1 luglio 1997", "nell'intento di verificare
 se in detta documentazione siano  riportate  circostanze  diverse  da
 quelle poi verbalmente riferite".
   2.  - Proposta richiesta di riesame avverso il detto provvedimento,
 il tribunale  di  Genova  ha,  con  ordinanza  del  18  luglio  1997,
 sollevato  in  riferimento  agli  artt.  3  e  24 della Costituzione,
 questione di legittimita' dell'art.  103,  comma  6,  del  codice  di
 procedura  penale,  "nella  parte  in  cui  non prevede il divieto di
 sottoporre  a  sequestro  gli  scritti   formati   dall'imputato   (e
 dall'indagato)  appositamente  ed  esclusivamente  come  appunto  per
 facilitare la difesa negli interrogatori".
   Rileva il giudice a quo che la ricerca probatoria ha ad oggetto non
 fatti ma osservazioni circa la linea difensiva che l'imputato intende
 assumere. Cosicche' risponde alla medesima esigenza  difensiva  posta
 alla  base  della  norma  denunciata  precludere  che  le  "carte e i
 documenti relativi all'oggetto della  difesa"  che  si  trovino,  non
 presso  il difensore, ma presso l'imputato vengano sequestrate quando
 attengano all'esercizio della linea  difensiva  da  predisporre;  con
 conseguente  violazione  anche  del  principio di eguaglianza perche'
 l'inviolabilita' del diritto di difesa non puo' essere  riservata  al
 solo  difensore,  rappresentando  difesa  personale  e difesa tecnica
 attuazione di un unico principio.
   3.  -  Nel  giudizio  non  si e' costituita la parte privata ne' ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                        Considerato in diritto
   1. -  Il giudice a quo  dubita  della  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  103, comma 6, del codice di procedura penale, "nella parte
 in cui non prevede il divieto di sottoporre a sequestro  gli  scritti
 formati    dall'imputato    (e    dall'indagato)   appositamente   ed
 esclusivamente  come  appunto  per   facilitare   la   difesa   negli
 interrogatori".
   Di  fronte  ad  una  richiesta  di riesame del decreto di sequestro
 probatorio disposto dal pubblico ministero,  sequestro  da  eseguirsi
 "previa  perquisizione  della cella ove" l'indagato "e' detenuto", ed
 avente ad oggetto la "documentazione concernente i fatti per  cui  lo
 stesso  e'  indagato", il tribunale, premesso "che la motivazione del
 provvedimento di sequestro fa esplicito riferimento alla natura della
 documentazione ricercata, precisando che la stessa viene sottoposta a
 sequestro in quanto predisposta ... con funzione di appunti, al  fine
 di   piu'   agevolmente  rispondere  all'interrogatorio"  gia'  reso,
 nell'intento  di  "verificare  se  in  detta   documentazione   siano
 riportate circostanze diverse da quelle poi verbalmente riferite", ha
 implicitamente  ravvisato  la  fonte  di simile potere in una mancata
 previsione normativa riconducibile al disposto della norma denunciata
 che, nel disciplinare le garanzie di liberta' del difensore,  esclude
 il  sequestro  (e ogni altra forma di controllo) della corrispondenza
 tra l'imputato ed il proprio difensore solo presso quest'ultimo.  Con
 inevitabili  riverberi quanto alla conformita' della norma denunciata
 all'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della  ingiustificata
 disparita'  del trattamento, con riferimento a documenti direttamente
 interessanti la difesa, fra la tutela apprestata al  difensore  e  la
 tutela   apprestata   all'imputato  e  all'indagato,  e  conseguente,
 altrettanto irragionevole, "sbilanciamento" tra  difesa  personale  e
 difesa  tecnica;  nonche'  all'art.  24  della  Costituzione sotto il
 profilo  del   diritto   di   difesa   personale   dell'imputato   (e
 dell'indagato),   che  risulterebbe  vulnerato  dal  potere  concesso
 all'autorita' giudiziaria di  procedere  al  sequestro  di  documenti
 strettamente connessi all'esercizio della difesa personale.
   Per  la  verita',  nonostante che nel dispositivo dell'ordinanza di
 rimessione risulti  evocato  l'art.  103,  comma  6,  del  codice  di
 procedura  penale,  ad  essere chiamato in causa sembrerebbe anche il
 comma 2 di tale articolo, nei termini sopra ricordati, nella parte in
 cui prevede che presso i difensori (e i consulenti  tecnici)  e  non,
 quindi,  anche  presso l'imputato, "non si puo' procedere a sequestro
 di carte o documenti relativi all'oggetto  della  difesa,  salvo  che
 costituiscano  corpo  di  reato".  Il  tutto secondo quanto si ricava
 dalla motivazione della detta ordinanza, nell'ambito della  quale  il
 richiamo,  peraltro  neppure  nominatim,  al  sesto  comma  viene  ad
 assumere  un  significato  puramente  descrittivo  di   un   assetto,
 ricavabile dall'art. 103 nel suo integrale contesto (come tale citato
 nella motivazione), diretto a privilegiare la difesa tecnica rispetto
 alla  difesa  personale, a tutela della quale la norma denunciata non
 arrecherebbe alcun contributo.
   2. - La questione non e' fondata.
   Anche  per  ragioni  strettamente  connesse al necessario requisito
 della rilevanza, pare evidente che il giudice a quo abbia qualificato
 il decreto sia di perquisizione sia di sequestro come  legittimamente
 disposto  dal  pubblico  ministero;  in  caso contrario, il tribunale
 avrebbe dovuto procedere, in sede di  riesame,  all'annullamento  del
 provvedimento  ritenuto  contra  legem.  Il  che  risulta, del resto,
 esplicitato dall'inciso posto a chiusura  della  parte  argomentativa
 dell'ordinanza  di  rimessione ove si lamenta che "il testo dell'art.
 103 appare attualmente limitato ad una tutela  della  sfera  relativa
 alla sola difesa tecnica, e non consente un'interpretazione estensiva
 o  analogica,  che  non  sia  contenuta  in una decisione della Corte
 costituzionale".
   Pure in presenza delle precisazioni  sopra  formulate  quanto  alla
 norma   effettivamente   sottoposta   al   vaglio   di   legittimita'
 costituzionale,   risulta   subito    chiaro    come    una    simile
 interpretazione,  che  il  giudice  a  quo fa inopinatamente derivare
 dall'impossibilita'  di  applicazione  della  norma  denunciata,   e'
 palesemente  erronea  perche'  il tribunale del riesame sarebbe stato
 comunque tenuto a pronunciare  l'annullamento  del  provvedimento  di
 perquisizione  e  di  sequestro  del  quale  era  stato  richiesto il
 riesame.  Cio',  non  soltanto  in  applicazione  delle   norme   che
 disciplinano  la  perquisizione  ed il sequestro probatorio, ma anche
 per  l'incidenza  di  principi  costituzionali   qui   immediatamente
 applicabili  in  forza  di un'interpretazione secundum Constitutionem
 degli artt. 247 e 253 del codice di procedura penale.
   Gia'  la  considerazione  che  tanto  la  perquisizione  quanto  il
 sequestro,  non  avendo  ad  oggetto  ne'  il corpo di reato ne' cose
 pertinenti al reato, sono da considerare  illegittimamente  disposti,
 avrebbe  dovuto  condurre il rimettente a cancellare il provvedimento
 ablativo,  considerando  anche  che  ove  l'interessato  non   avesse
 provveduto  ad attivare il riesame, i documenti sequestrati sarebbero
 comunque risultati inutilizzabili per la parte concernente la  tutela
 del diritto alla difesa personale, trattandosi di prove illecitamente
 acquisite (art. 191 cod. proc.  pen.).
   Senonche'  ci  si trova qui in presenza non di una lacuna normativa
 da colmare con una  sentenza  additiva  della  Corte,  bensi'  di  un
 provvedimento   del  tutto  contrario  alle  regole  del  processo  e
 direttamente lesivo di principi costituzionali. Invero il  fatto  che
 il  provvedimento  qualifichi  la  perquisizione come funzionale alla
 apprensione  degli   appunti   e,   quindi,   alla   verifica   della
 corrispondenza     dei    documenti    sequestrati    al    contenuto
 dell'interrogatorio, si risolve in una palese diretta violazione  dei
 diritti  inviolabili  della  persona  prima  ancora  che  del diritto
 all'autodifesa.  Tanto  da  rivelare  la  predisposizione  da   parte
 dell'autorita' giudiziaria di uno strumento di tale invasivita' della
 sfera  privata  (a  nulla rilevando che, nella specie, l'inquisito si
 trovasse in vinculis),  proprio  al  fine  di  vulnerare  il  diritto
 presidiato  dall'art.  24,  secondo  comma,  della  Costituzione,  da
 comportare, oltre tutto, una surrettizia quanto  censurabile  lesione
 delle regole dettate in tema di interrogatorio dallo stesso codice di
 procedura penale.
   Un  vizio,  dunque,  che  travalica  la  stessa  impossibilita'  di
 utilizzazione dei documenti sequestrati  (che  potrebbe,  in  diverse
 ipotesi,  discendere  da  un'occasionale,  non  voluta apprensione di
 documenti non utilizzabili oltreche' da un  divieto  sopravvenuto  di
 utilizzazione)   per   rivelare   l'inidoneita'   del   documento  ad
 identificarsi  in uno schema legale.  Per giunta attraverso l'impiego
 di strumenti designati da una capacita' intrusiva  non  dissimile  da
 quelle  metodiche  delle  quali  l'art.  188  del codice di procedura
 penale  (che,   tutelando   la   "liberta'   morale   della   persona
 nell'assunzione  della  prova",  rappresenta una diretta applicazione
 dell'art.  2  della  Costituzione)  preclude   la   possibilita'   di
 utilizzazione  in  quanto  tali, quali che possano essere i risultati
 probatori conseguiti. Il tutto secondo regole  che  prima  ancora  di
 essere    codificate    rappresentano   l'espressione   di   principi
 fondamentali di civilta' giuridica.
   3. - Tanto  precisato,  il  voler  far  discendere  il  potere  per
 l'organo  inquirente  di  agire  con  tali modalita' dalla piu' volte
 indicata omessa previsione dell'art. 103,  comma  6,  del  codice  di
 procedura  penale,  si  rivela conseguenza, non soltanto di un'errata
 interpretazione degli artt. 247 e 253 del codice di procedura penale,
 ma anche di una palese violazione dei principi costituzionali posti a
 tutela della persona umana.
   4.  -  E'  appena  il  caso  di  soggiungere  che  nessun   apporto
 interpretativo puo' derivare dal disposto dell'art. 237 del codice di
 procedura  penale  che  consente l'acquisizione, anche di ufficio, di
 qualsiasi documento proveniente dall'imputato. E' chiaro infatti  che
 qualsivoglia lettura della detta disposizione (derivata dall'art. 465
 del  codice abrogato) debba essere sempre e comunque coordinata con i
 principi costituzionali a tutela della persona umana e del diritto di
 difesa  dell'imputato  e  dell'indagato  oltre  che  con  le   regole
 processuali che presidiano tali diritti, limitando, nei termini prima
 ricordati, l'incidenza invasiva dei mezzi di ricerca della prova.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 103, comma 6, del codice di procedura penale, sollevata, in
 riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,  dal  Tribunale  di
 Genova con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1998.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 19 giugno 1998.
                       Il cancelliere: Fruscella
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