N. 230 ORDINANZA 1 - 19 giugno 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  civile  - Estensione al procedimento innanzi al giudice di
 pace delle norme relative  a  procedimento  davanti  al  tribunale  -
 Domanda  introduttiva  -  Chiamata  in causa del terzo - Formalita' -
 Peculiarita' della disciplina del procedimento innanzi al giudice  di
 pace  -  Struttura semplificata del rito - Erroneita' dei presupposti
 interpretativi  da  parte  del   giudice   rimettente   -   Manifesta
 infondatezza.
 
 (C.P.C.,  art.  311,  come  sostituito  dall'art.  22,  dell legge 21
 novembre 1991, n. 374).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.26 del 1-7-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,    prof.
 Cesare  MIRABELLI,   avv. Massimo VARI,  dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo CHIEPPA,  prof. Valerio ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,
  avv. Fernanda CONTRI,   prof. Guido NEPPI MODONA,    prof.  Annibale
 MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 311 del codice
 di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 4  agosto  1997
 dal giudice di pace di Stradella nel procedimento civile vertente tra
 Paolillo  Bruno  e  Gragnani  Pietro ed altra, iscritta al n. 675 del
 registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  22  aprile  1998  il  giudice
 relatore Fernanda Contri;
   Ritenuto che nel corso di un procedimento civile il giudice di pace
 di Stradella, con ordinanza emessa il 4 agosto 1997, ha sollevato, in
 riferimento  agli  artt.  3  e  24  della  Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 311  del  codice  di  procedura
 civile, come sostituito dall'art. 22 della legge 21 novembre 1991, n.
 374  (Istituzione del giudice di pace), nella parte in cui estende al
 procedimento  innanzi  al  giudice  di  pace  le  norme  relative  al
 procedimento  davanti  al tribunale, tra le quali, in particolare, le
 disposizioni di cui agli artt. 270 e 271 del medesimo codice;
     che il rimettente premette in fatto che nel  giudizio  a  quo  il
 terzo  chiamato  in  causa  iussu  iudicis  ha  eccepito  la nullita'
 dell'atto  di  chiamata  in  causa,  effettuata  dall'attore  con  la
 notifica  del  verbale  di  udienza  e  della  vocatio in ius, per la
 mancata indicazione o, comunque,  per  l'incertezza  del  motivo  del
 contendere  e  dell'oggetto della domanda, chiedendo la cancellazione
 della causa dal ruolo, ex art. 270 cod. proc. civ., per  la  radicale
 inesistenza dell'atto di chiamata in causa;
     che  il rimettente richiama, per discostarsi dall'interpretazione
 in essa contenuta, la sentenza n. 154 del 1997, con la  quale  questa
 Corte,  nel  dichiarare  non  fondata  la  questione  di legittimita'
 costituzionale degli artt. 318 e 164 cod. proc.  civ.,  ha  affermato
 che  il  procedimento  innanzi  al  giudice di pace e' caratterizzato
 dalla massima semplificazione delle forme e che pertanto rispetto  ad
 esso  sono  incompatibili  e, quindi, non operano le preclusioni e le
 decadenze previste nel rito davanti al tribunale;
     che, tuttavia, secondo il  diverso  orientamento  espresso  dalla
 Corte  di  cassazione  -  peraltro  anteriormente  alla  riforma  - e
 condiviso dal giudice a quo,  il  giudizio  di  equita'  continua  ad
 essere   retto  dalle  norme  relative  al  procedimento  davanti  al
 tribunale e nei giudizi davanti al pretore sono applicabili tutte  le
 norme  che  disciplinano  il  procedimento  innanzi  al tribunale, ad
 eccezione di quelle incompatibili con la struttura  del  procedimento
 davanti al giudice monocratico;
     che,  ad  avviso  del  rimettente,  il giudizio di compatibilita'
 delle norme relative al procedimento davanti  al  tribunale  dovrebbe
 eseguirsi  con riferimento "alla struttura monocratica del giudice di
 pace",  come  sostiene  la  Cassazione,  non  gia'   alla   struttura
 semplificata del rito;
     che  comunque  verrebbe  a  crearsi  un  paradosso,  in quanto il
 giudice di pace, nonostante la struttura semplificata  del  rito,  e'
 obbligato  a  verificare, in forza del rinvio contenuto nell'art. 311
 cod. proc.  civ., la compatibilita' e la  conseguente  applicabilita'
 al  rito  "speciale" delle norme del rito "ordinario", ovvero a porsi
 la  questione  circa  la  "stretta  interpretazione  da   dare   alle
 disposizioni  speciali previste espressamente per il rito speciale in
 deroga alle norme generali relative al rito ordinario";
     che, a parere del giudice a quo, gli  artt.  316-319  cod.  proc.
 civ.  sono  norme  che  fanno  eccezione alla regola generale e, come
 tali, sono di stretta interpretazione,  con  la  conseguenza  che  il
 procedimento  davanti  al  giudice di pace, per tutto cio' che non e'
 espressamente  regolato,  deve  ritenersi  disciplinato  dalle  norme
 relative  al  procedimento  innanzi  al  tribunale,  tra le quali, in
 particolare, quelle di cui agli artt. 270, 163,  163-bis,  164,  271,
 166  e  167,  del  tutto compatibili con la struttura monocratica del
 giudice di pace;
     che, tuttavia, verrebbero cosi' aggravate, anziche'  eliminate  o
 attenuate,  le difficolta' processuali che le parti e il giudice gia'
 incontrano nell'affrontare il formalismo del procedimento davanti  al
 tribunale;
     che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   della   Stato,
 concludendo per l'infondatezza della questione;
     che,  a  parere  della  difesa erariale, non puo' condividersi la
 premessa interpretativa del giudice rimettente circa la  portata  del
 rinvio  contenuto  nell'art.  311  cod.  proc. civ., in quanto non e'
 sufficientemente considerato che il procedimento innanzi  al  giudice
 di pace si caratterizza per la sua estrema semplicita' soprattutto in
 relazione alle modalita' di introduzione del giudizio;
     che,  in  particolare,  poiche'  innanzi  al  giudice  di pace la
 domanda  introduttiva  puo'  proporsi  anche  verbalmente,  ai  sensi
 dell'art.   316, secondo comma, cod. proc. civ., appare evidente come
 le disposizioni relative  alle  tecniche  introduttive  del  giudizio
 davanti   al  tribunale,  che  assoggettano  a  rigorose  preclusioni
 domande,  eccezioni  e  istanze  probatorie,  siano  complessivamente
 inapplicabili al rito innanzi al giudice di pace;
     che,  inoltre,  sarebbe  illogico  e  contraddittorio nel rito in
 questione consentire all'attore l'instaurazione del giudizio mediante
 la notifica del verbale di udienza e della vocatio in ius ed  imporre
 invece  per  la  chiamata in causa di un terzo le rigorose formalita'
 cui e' sottoposta la citazione nel giudizio innanzi al tribunale.
   Considerato che il legislatore ha tratteggiato  le  linee  generali
 del procedimento innanzi al giudice di pace nelle disposizioni di cui
 agli artt. 316-322 cod. proc. civ., dalle quali emerge la volonta' di
 attuare  un  processo  diverso  da  quelli che si svolgono dinanzi al
 tribunale e al pretore;
     che   nelle  relazioni  al  Senato  sui  vari  disegni  di  legge
 concernenti la  istituzione  del  giudice  di  pace  si  sottolineava
 infatti  la  opportunita'  di "un processo estremamente semplificato"
 (relazione al disegno di legge  n.  1286  d'iniziativa  dei  senatori
 Macis e altri, comunicato alla Presidenza il 4 agosto 1988) ovvero la
 previsione di norme volte a introdurre "una rilevante semplificazione
 rispetto  alla  trattazione ordinaria" (relazione al disegno di legge
 n. 1605, presentato dal Ministro di grazia e giustizia  e  comunicato
 alla Presidenza il 17 febbraio 1989);
     che  la  semplificazione  di  cui si e' voluto permeare lo schema
 procedimentale in oggetto trova puntuale riscontro  in  quelle  norme
 nelle  quali  e'  del  tutto assente il rigore del sistema preclusivo
 previsto in relazione agli atti introduttivi del giudizio innanzi  al
 tribunale;
     che  le peculiarita' della disciplina del procedimento innanzi al
 giudice di pace sono cosi' accentuate  da  impedire  un'automatica  e
 generalizzata  applicabilita'  ad  esso  delle norme del procedimento
 davanti al tribunale;
     che infatti l'art. 311 cod. proc. civ., per tutto cio' che non e'
 espressamente regolato, dispone un rinvio alle norme del procedimento
 davanti al tribunale, solo in quanto applicabili;
     che il criterio per determinare l'operativita'  di  quelle  norme
 nel  procedimento innanzi al giudice di pace risiede nella "struttura
 semplificata del rito", con la quale e'  evidentemente  incompatibile
 il  regime  di  preclusioni  e  decadenze  che caratterizza invece il
 procedimento innanzi al tribunale (sentenza n. 154 del 1997);
     che,  contrariamente  a  quanto  affermato  dal  rimettente,   la
 struttura  monocratica  o  collegiale dell'organo giudicante non puo'
 costituire elemento di discrimine circa l'applicabilita' delle  norme
 del  procedimento  davanti  al  tribunale,  poiche'  per  effetto sia
 dell'attribuzione al giudice istruttore in funzione di giudice  unico
 di  tutti  ipoteri  del  collegio, ex art. 88 della legge 26 novembre
 1990, n. 353, sia della successiva istituzione del giudice  unico  di
 primo  grado,  ai  sensi del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n.
 51, tale distinzione, al di fuori di specifiche e tassative  ipotesi,
 non esiste piu' nell'ordinamento;
     che  la  diversita'  tra  il  procedimento innanzi al tribunale e
 quello innanzi al giudice di pace non risiede quindi nella differente
 composizione dell'organo giudicante, bensi' negli elementi tipici  di
 ciascuno  dei  due  riti, il primo dei quali improntato ad un maggior
 rigore  e  ad  un  piu'   accentuato   formalismo,   mentre   l'altro
 caratterizzato  da  un  notevole grado di elasticita' e dalla massima
 semplificazione delle forme;
     che quindi e' palesemente erroneo il presupposto da cui deriva il
 dubbio di  costituzionalita'  prospettato  dal  giudice  a  quo,  che
 afferma  l'automatica estensione delle norme del procedimento davanti
 al tribunale, solo  che  esse  siano  compatibili  con  la  struttura
 monocratica del giudice di pace;
     che le lamentate difficolta' processuali derivanti dal formalismo
 del  procedimento  davanti  al  tribunale,  le  quali,  ad avviso del
 rimettente, sarebbero aggravate nel rito innanzi al giudice  di  pace
 da  "logomachie  soggettivistiche" sulla compatibilita' e conseguente
 applicabilita' al rito speciale delle norme del rito  ordinario,  non
 possono  in alcun modo ritenersi sussistenti, ove si consideri che la
 maggiore professionalita' tecnica del giudice  di  pace  rispetto  al
 conciliatore, quale risulta dall'ampiezza delle competenze attribuite
 al   medesimo,  dalla  prescrizione  di  piu'  specifici  e  rigorosi
 requisiti per la nomina e dalla necessita' che  di  regola  le  parti
 stiano  in  giudizio  con il ministero e l'assistenza di un difensore
 (sentenza n. 150 del 1993), dovrebbe consentire al  medesimo  giudice
 di  pace la individuazione delle norme processuali applicabili a quel
 rito, mediante una semplice ed agevole attivita' interpretativa;
     che la questione  sollevata  si  appalesa  quindi  manifestamente
 infondata.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 311 del codice  di  procedura  civile,  come
 sostituito  dall'art.  22  della  legge  21  novembre  1991,  n. 374,
 sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della  Costituzione,  dal
 giudice di pace di Stradella con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1998.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Contri
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 19 giugno 1998.
                       Il cancelliere: Fruscella
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