N. 493 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 aprile 1998

                                N. 493
 Ordinanza  emessa  l'8  aprile  1998  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la  pretura di Pistoia nel procedimento penale a
 carico di Paganelli Filippo
 Lavoro  -  Contravvenzioni  in  materia  di  sicurezza  ed  igiene  -
    Ammissione obbligatoria del contravventore alla definizione in via
    amministrativa  (con  conseguente  estinzione del reato) - Mancata
    previsione in caso di difetto di prescrizione da parte dell'organo
    di vigilanza (nella specie: l'organo di vigilanza ha  ritenuto  di
    non  dover  impartire  alcuna  prescrizione  trattandosi  di reato
    istantaneo che  preclude  la  regolarizzazione)  -  Disparita'  di
    trattamento tra contravventori - Contrasto con la legge delega.
 (D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, art. 21, comma 2).
 (Cost., artt. 3 e 76).
(GU n.28 del 15-7-1998 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
     Ha  emesso  la  seguente  ordinanza per questione di legittimita'
 costituzionale (artt. 23 e segg., legge cost. 11 marzo 1953, n. 87).
   Letti gli atti del procedimento penale sopraindicato;
   Esaminata la richiesta del p.m., pervenuta in data 4  aprile  1998,
 di  emissione  di  decreto  penale  di  condanna  per il reato di cui
 all'art.  6 d.lgs. n. 626/1994, accertato il 20 ottobre 1995 a carico
 dell'indagato Paganelli Filippo in atti generalizzato;
   Rilevato che la richiesta in esame e' relativa ad  un  accertamento
 eseguito  in  data  22  settembre  1997  da personale della U.S.L. n.
 3/zona Pistoia;
   Che, in particolare, nel corso dell'accertamento eseguito  in  data
 22  settembre 1997 nei confronti dell'indagato e' emersa l'infrazione
 di cui sopra perche' "ha venduto in data 31 maggio  1997  alla  ditta
 Rossi Maria Gabriella con sede a Quarrata (Pistoia), via Donatello n.
 19, la macchina per la stiratura dei capi di maglieria modello NCP 80
 senza numero di matricola, prodotta dalla ditta Nepi Otello
  C.  S.r.l.,  priva  di  comando  di azionamento a doppio pulsante od
 altro dispositivo di protezione atto ad evitare che le mani od  altre
 parti  del  corpo dell'operatore potessero venire offese dal piano di
 presatura della macchina contrariamente a quanto  previsto  dall'art.
 115 d.P.R. n. 547 del 27 aprile 1955";
   Rilevato,  ancora,  che  a  seguito  dell'accertamento  l'organo di
 vigilanza pur rilevando la  violazione  dell'art.  6  del  d.lgs.  n.
 626/1994 non ha ritenuto di impartire prescrizioni ai sensi dell'art.
 20 del d.lgs.  n. 758/1994 in quanto "l'infrazione da lui commessa si
 riferisce  ad  un  reato  gia'  consumato  e quindi non ottemperabile
 amministrativamente" (v. nota U.S.L./PT del 23 febbraio 1998);
   Rilevato, pertanto, che il p.m. in assenza di prescrizioni da parte
 dell'organo di vigilana ed in difetto  di  sospensione  del  relativo
 procedimento  penale  ex art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 758/1994, ha
 presentato la richiesta di emissione di decreto  penale  di  condanna
 per il reato oggetto di accertamento;
   Ritenuto,   ad   avviso  di  questo  g.i.p.,  che  tale  situazione
 processuale   prospetti   dubbi   di   legittimita'    costituzionale
 relativamente  all'art.    21, comma 2, del d.lgs. cit. che, infatti,
 consente all'organo di vigilanza di  ammettere  il  contravventore  a
 pagare in sede amministrativa, entro il termine di trenta giorni, una
 somma  pari  al  quarto  del  massimo  dell'ammenda  stabilita per la
 contravvenzione   commessa,   il   tutto   pero'   "Quando    risulta
 l'adempimento della prescrizione";
   Ritenuto,  infatti,  che tale disposizione normativa si appalesi in
 contrasto con gli articoli 3 e 76, Cost.,
                            O s s e r v a:
   Il capo II del d.lgs. n. 758/1994, in ottemperanza "parziale"  alla
 delega  conferita  con  legge  6 dicembre 1993, n. 499, disciplina un
 procedimento definito come misto, ovvero amministrativo  penale,  per
 la  definizione  delle  contravvenzioni  accertate  dagli  organi  di
 vigilanza in materia, di prevenzione infortuni. La  prassi  ispettiva
 relativa  alla  legislazione in materia era fondata, antecedentemente
 all'introduzione di tale procedimento misto, su  alcune  disposizioni
 contenute fondamentalmente negli artt. 9/10 del d.P.R. 19 marzo 1955,
 n.  520,  recante "Disposizioni riguardanti l'lspettorato del lavoro,
 sulla riorganizzazione centrale e periferica del Ministero del lavoro
 e della previdenza sociale".  In particolare l'art. 9 del d.P.R. cit.
 prevede che, in caso di constatata inosservanza di norme di legge  la
 cui applicazione e' affidata all'Ispettorato del lavoro, quest'ultimo
 organo  ha  la  facolta',  ove  lo  ritenga  opportuno,  valutate  le
 circostanze del caso, di "diffidare"  con  apposita  prescrizione  il
 datore  di  lavoro  fissando  un  termine  per  la  regolarizzazione.
 Orbene, l'interpretazione dell'istituto della "diffida" - che  l'art.
 21  della  legge  n.  833/1978, istitutiva del S.S.N., ha esteso agli
 operatori di  vigilanza  delle  U.S.L.,  per  la  legislazione  sulla
 sicurezza  del lavoro - ha generato un contrasto nella giurisprudenza
 della Suprema Corte risolto solo a  seguito  di  una  sentenza  delle
 ss.uu.  penali.  Un primo filone giurisprudenziale, infatti, riteneva
 che la facolta' di  diffida  non  fosse  alternativa  all'obbligo  di
 denunzia  del  fatto-reato  che e' perfetto sin dal momento del primo
 accertamento  e  perseguibile  per  il  principio   dell'officialita'
 dell'azione  penale.  Tale orientamento, in particolare, riteneva che
 la "diffida" di per se' consistesse  in  un  formale  avvertimento  a
 rimuovere  le situazioni pregiudizievoli riscontrate, senza che essa,
 o l'ottemperanza da parte del  datore  di  lavoro,  potesse  influire
 sulla procedibilita' o punibilita' del commesso reato (v., ex multis:
 Cass.  pen.,  24 aprile 1990, imp. Diddi; Cass. pen., 27 giugno 1986,
 n.  12284,  imp.  Ciari).    Un  secondo  e   piu'   recente   filone
 giurisprudenziale,  invece, d'accordo con la dottrina piu' avvertita,
 ha inteso la "diffida" non come  strumento  meramente  sollecitatorio
 ma,  piuttosto, come strumento atto all'eliminazione di situazioni di
 pericolo nell'interesse  dei  lavoratori,  sicche'  dalla  prevalenza
 accordata a tale interesse si e' desunto dal sistema il principio per
 il  quale  la diffida costituisse condizione per il promovimento e la
 prosecuzione dell'azione penale, mentre  la  tempestiva  ottemperanza
 alla  diffida  da'  luogo  ad  una sorta di absolutio ab osservatione
 iudicii (v., nel senso dell'alternativita'  tra  "diffida"  e  azione
 penale,  ex multis: Cass. pen., 9 aprile 1990, n. 7016, imp.  Fasoli;
 Cass. pen., 24 settembre 1991, n.  10498,  p.m.  in  proc.  Casarini;
 nello  stesso  senso,  anche  Corte  cost. 12 luglio 1967, n. 105, ed
 ancora, Corte cost. 9 giugno 1971, n. 125).    A  seguito,  tuttavia,
 dell'arresto giurisprudenziale della suprema Corte con la sentenza n.
 3171  del  27  febbraio  1992 (imp. Bergamini), si rendeva necessario
 l'intervento chiarificatore delle ss.uu.  della  suprema  Corte  che,
 infatti,  oltre a ribadire le argomentazioni proprie del primo filone
 giurisprudenziale,   hanno   assegnato   carattere   decisivo    alla
 constatazione  per cui nell'art. 9, del d.P.R. n. 520/1955, manca una
 espressa previsione della sospensione dell'azione penale in  caso  di
 diffida  e  dell'estinzione  del  reato per effetto dell'ottemperanza
 alla diffida stessa. La  conclusione,  quindi,  e'  stata  quella  di
 ritenere  che la "diffida" consiste in un mero formale avvertimento a
 rimuovere le situazioni pregiudizievoli riscontrate e che esaurisce i
 suoi effetti sul piano amministrativo.  Orbene, osserva il decidente,
 come l'attuale disciplina dettata dagli artt. 19/25 del  d.lgs.  cit.
 per  lo  svolgimento  del  procedimento "misto" nel senso indicato in
 precedenza, presenti quale elemento centrale di differenziazione  tra
 i  contemplati  poteri  di  disposizione  e  diffida  da quello della
 "prescrizione" ex art. 20 d.lgs.  cit.  proprio  il  carattere  della
 obbligatorieta'  di quest'ultima.  Mentre, cioe', fino all'entrata in
 vigore  del  d.lgs.  n.  758/1994  l'organo   di   vigilanza   poteva
 discrezionalmente  valutare  l'opportunita' o meno di emanare un atto
 ingiuntivo o dispositivo di natura amministrativa, cosi'  dando  vita
 ad  una  fase autonoma rispetto al procedimento penale, viceversa con
 l'entrata in  vigore  della  disciplina  citata  in  presenza  di  un
 accertamento   di  una  contravvenzione  in  materia  di  prevenzione
 infortuni, l'organo di vigilanza deve necessariamente  impartire  una
 prescrizione,   quale   atto   di   p.g.   strettamente  connesso  al
 procedimento penale come desumibile dall'art. 20, comma 1, del d.lgs.
 cit.  Tale obbligatorieta' nell'impartire la  prescrizione  da  parte
 dell'organo  di  vigilanza, soffre un'eccezione solo nella previsione
 dell'art.   23,  comma  2,  del  d.lgs.  n.  758/1994  che,  infatti,
 riconosce la possibilita' all'organo di vigilanza di potersi astenere
 dall'impartire  una prescrizione limitatamente, pero', all'ipotesi in
 cui la notizia di  reato  non  pervenga  direttamente  all'organo  di
 vigilanza ma dal p.m. o da altri soggetti.  Il dato letterale di tale
 norma,  peraltro,  lascerebbe propendere per continuare a considerare
 la prescrizione come  atto  discrezionale  dell'organo  di  vigilanza
 ferma  restando  la  promuovibilita' dell'azione penale da parte  del
 p.m.   Orbene, una simile soluzione non  puo'  essere  condivisa  non
 soltanto   con   riferirnento  all'ipotesi  contemplata  dalla  norma
 richiamata ma soprattutto, per  quanto  di  interesse  nella  vicenda
 procedimentale  de  qua,  con  riferimento all'ipotesi apparentemente
 diversa sotto un profilo  giuridico/fattuale  ma  omogenea  sotto  un
 profilo  contenutistico  e  sostanziale  in cui l'organo di vigilanza
 prendendo direttamente cognizione di una notizia di reato in  materia
 di   prevenzione   infortuni  ritenga  "discrezionalmente"  (con  una
 valutazione, si osserva, fondata su una  discrezionalita'  "tecnica")
 di  non  dover  impartire alcuna prescrizione ritenendo il reato gia'
 consumato  e  dunque  non  ottemperabile,   con   cio'   negando   al
 contravventore  la  possibilita'  (rectius,  il  diritto) di definire
 amministrativamente la procedura mediante pagamento della somma  pari
 ad  un  quarto  del  massimo dell'ammenda stabilita per la violazione
 accertata  e,  per  converso,  obbligandolo  a  definire   penalmente
 altrimenti   (ovvero,   mediante  l'oblazione  speciale  -  peraltro,
 quest'ultima,  davvero  "discrezionale"  per  il  giudice  penale   e
 soggetta a determinate condizioni indicate dall'art. 162-bis c.p. - o
 mediante  il  ricorso  ai  riti  alternativi,  al dibattimento ovvero
 legittimando,  come  nel  caso  di  specie,  il  p.m.  a   richiedere
 l'emissione  di  decreto  penale  di  condanna essendo venuta meno la
 sospensione dell'azione penale ex art. 23 del d.lgs. n. 758/1994)  la
 violazione  davanti  al giudice penale.   E' evidente, peraltro, come
 nel  caso  sub  specie  per  l'organo  di  vigilanza  impartire   una
 prescrizione  finalizzata  all'eliminazione  di  una  contravvenzione
 accertata  sia  materialmente  impossibile,  trattandosi   di   reato
 istantaneo  caratterizzato  da  un'offesa  del  bene  protetto che si
 perfeziona e si esaurisce nel momento della  commissione  del  fatto,
 senza  protrarsi  nel tempo, sicche' risulta ontologicamente impedita
 qualsiasi  possibilita'  di   regolarizzazione   e   la   conseguente
 emanazione  di  una  prescrizione  non  avrebbe  alcuna  utilita', in
 considerazione  dell'oggettiva  impossibilita'  di  ripristinare  una
 situazione conforme a diritto.  Se tale situazione legittima l'organo
 di vigilanza a non impartire alcuna prescrizione di fronte al caso di
 specie  (come,  del  resto,  si  verifica  in altri casi: es art. 328
 d.P.R. n. 547/1955,  relativamente  alla  verifica  dell'impianto  di
 messa  a  terra  prima  della  messa  in  servizio;  art. 4, legge n.
 628/1961, quanto alla scadenza del  termine  per  la  esibizione  dei
 documenti  richiesti  da parte dell'Ispettorato del lavoro), e' pero'
 dubbio che tale mancata prescrizione, risolvendosi nella  preclusione
 per  il contravventore della definizione del procedimento mediante il
 pagamento "in via  ammimstrativa"  davanti  all'organo  di  vigilanza
 della  somma pari ad un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per
 la violazione accertata, sia  pienamente  conforme  con  la  voluntas
 legis    sottesa  alla legge delega n. 499 del 6 dicembre 1993 e, nel
 contempo, conforme al principio costituzionale dell'art.  3, Cost.
   La lettura dell'art. 1, comma  1,  lett.  b)  della  legge  delega,
 infatti,  non lascia spazio a margini di discrezionalita' agli organi
 di vigilanza.  Ed invero, tale disposizione normativa  nel  conferire
 al  Governo  la delega ad "adottare... uno o piu' decreti legislativi
 per la riforma sanzionatoria relativa ai rapporti di lavoro..." (art.
 1, comma 1,  prima  parte)  fissa  i  principi  e  criteri  direttivi
 richiesti dall'art.  76 della Costituzione e in maniera perfettamente
 intelligibile "in materia di tutela della sicurezza e dell'igiene del
 lavoro"  richiede  che  nell'attuazione delle delega il Governo debba
 "stabilire, per le contravvenzioni previste da  leggi  speciali,  una
 causa  di estinzione del reato consistente nell'adempimento, entro un
 termine  non  superiore  al  limite   fissato   dalla   legge,   alle
 prescrizioni  obbligatoriamente  impartite  dagli organi di vigilanza
 allo  scopo  di  eliminare  la  violazione  accertata,  nonche'   nel
 pagamento  in  sede amministrativa di una somma pari ad un quarto del
 massimo dell'ammenda comminata per ciascuna infrazione".
   La previsione normativa de qua, quindi, non sembra lasciare  spazio
 a  margini  di  discrezionalita' all'organo di vigilanza nell'imporre
 una prescrizione successivamente all'accertamento  della  violazione,
 cio'   in   considerazione   del  fatto  che  tale  atto  rappresenta
 l'attivazione della procedura "mista" che potenzialmente  porta  alla
 definizione  in  fase  amministrativa del procedimento secondo quanto
 previsto dagli artt. 21/24 del d.lgs. cit.
   Del resto, osserva  il  g.i.p.,  non  avrebbe  alcun  senso  logico
 sostenere che l'obbligatorieta' o la discrezionalita' dell'emanazione
 dell'atto  prescrittivo  sia  deteminata  e condizionata dalla natura
 della violazione accertata.
   Cio' per almeno un duplice ordine di motivi.
   Ed infatti, la circostanza per cui la possibilita' di estinguere il
 reato adempiendo alla prescrizione e pagando una sanzione  pecuniaria
 in   via   amministrativa  sarebbe  rimessa,  in  primo  luogo,  alla
 casualita' che determina il  reato  oggetto  di  accertamento  (ossia
 dipenderebbe  dalla natura del reato stesso, impedendo, come nel caso
 di specie, qualsiasi prescrizione trattandosi di reato gia' consumato
 per il quale non si ritenga di dover impartire prescrizioni da  parte
 dell'organo  di vigilanza) ed, in secondo luogo, sarebbe rimessa alla
 discrezionalita' insindacabile  dell'organo  di  vigilanza  (cio'  in
 considerazione del fatto che di fronte ad una rinuncia dell'organo di
 vigilanza  ad  impartire  prescrizioni  e,  dunque,  ad  ammettere il
 contravventore alla definizione amministrativa,  l'organo  inquirente
 non  ha alcuna facolta' di intervento nella fase amministrativa della
 procedura di spettanza esclusiva  dell'organo  di  vigilanza  ne'  e'
 legittimato  a  porre  in  essere  atti  finalizzati  a  sanare  tale
 situazione potendo solo compiere quelle attivita'  limitate  previste
 dall'art.  23,  comma  3, d.lgs. cit. che, peraltro, presuppongono la
 sospensione  del  procedimento  penale,  sospensione  automaticamente
 caducata  di  fronte  al diniego da parte dell'organo di vigilanza di
 ammettere il contravventore  alla  definizione  amministrativa  della
 procedura).   In definitiva, quindi, autorizzare una simile soluzione
 (ovvero ritenere non  obbligatorio  l'impartire  la  prescrizione  da
 parte   dell'organo   di   vigilanza   o,  comunque,  rimettere  alla
 discrezionalita' tecnica dell'organo di  vigilanza  la  decisione  di
 ammettere   o   meno   il  contravventore  alla  definizione  in  via
 amministrativa) equivale ad attribuire all'organo  di  vigilanza  uno
 smisurato,   eccessivo   e   comunque   non   legittimo   spazio   di
 discrezionalita'  circa  l'effettiva  operativita'   dello   speciale
 procedimento   di   estinzione  delle  contravvenzioni  previsto  dal
 legislatore per evitare la fase processuale penale  e  garantire  nel
 contempo  l'osservanza  delle  disposizioni  violate.   A giudizio di
 questo g.i.p., pertanto, sembra evidente il contrasto e,  dunque,  la
 sospetta incostituzionalita' dell'art. 21, comma 2, d.lgs. cit. nella
 parte  in  cui  non  prevede  l'obbligo  per l'organo di vigilanza di
 ammettere il contravventore a pagare in sede amministrativa anche nel
 caso in cui non venga impartita  alcuna  prescrizione  per  materiale
 impossibilita'  nella  sua  emanazione  (come  nel  caso  sub specie,
 trattandosi  di  reato  istantaneo  che   impedisce   ontologicamente
 qualsiasi  possibilita'  di  regolarizzazione), posto che subordinare
 l'ammissione   alla   procedura    amministrativa    alla    verifica
 dell'adempimento  della  prescrizione impedisce al contravventore nei
 cui confronti nessuna prescrizione sia stata impartita di definire la
 violazione accertata mediante pagamento della somma  pari  al  quarto
 del  massimo dell'ammenda stabilita per tale violazione, con evidente
 disparita'   di   trattamento   rispetto   al   contravventore    che
 "beneficiato"  dall'imposizione di una prescrizione possa definire la
 violazione  accertata  avvalendosi  della  procedura   amministrativa
 evitando  quella  penale  che,  viceversa, dovrebbe obbligatoriamente
 seguire il contravventore nei cui  confronti  non  venisse  impartita
 alcuna  prescrizione  e  che  si  vede  preclusa  la  possibilita' di
 definizione in quella fase amministrativa.  In definitiva, quindi, si
 farebbe  dipendere  da  un  elemento  estraneo  alla   volonta'   del
 contravventore  (ossia dalla natura della violazione) la possibilita'
 di  avvalersi  della  definizione  amministrativa  del  procedimento,
 rimettendola  altresi'  alla  discrezionalita' tecnica dell'organo di
 vigilanza, cio' che finirebbe per far  degradare  da  obbligatoria  a
 facoltativa  l'imposizione  della prescrizione con conseguente palese
 violazione del principio di uguaglianza costituzionalmente garantito,
 da una parte, e con altrettanta evidente  violazione  dell'art.    76
 della  Costituzione  per  difformita'  rispetto ai principi e criteri
 direttivi della legge delega n. 499/1993 che  all'art.  1,  comma  1,
 lett.  b),  n.  1,  imponeva  in  materia  di  stabilire una causa di
 estinzione del reato fondata "nell'adempimento ... alle  prescrizioni
 obbligatoriamente   impartite  ...  nonche'  nel  pagamento  in  sede
 amministrativa  di  una  somma  pari  ad  un   quarto   del   massimo
 dell'ammenda comminata per ciascuna infrazione".
   Ritenuto,  infine,  che  la  questione sollevata ex officio non sia
 manifestamente infondata e che la richiesta di emissione  di  decreto
 penale  di  condanna non puo' essere definita indipendentemente dalla
 risoluzione della questione di legittimita' costituzionale in  quanto
 l'accoglimento   della  stessa  consentirebbe  al  contravventore  di
 definire amministrativamente  la  contravvenzione  con  il  pagamento
 della  somma  indicata  dall'art.  21,  comma  2,  d.lgs. cit., senza
 necessita'  per  questo  decidente  di  procedere  all'emissione  del
 decreto  penale  di  condanna  richiesto e restituzione degli atti al
 p.m. perche' provveda a  trasmetterli  all'organo  di  vigilanza  per
 l'ammissione alla, procedura amministrativa.
   Visti gli artt. 23 e segg. legge cost. 11 marzo 1953, n. 87.
                               P. Q. M.
   Solleva  d'ufficio,  la  questione  di  legittimita' costituzionale
 dell'art. 21, comma 2, del d.lgs.  19  dicembre  1994,  n.  758,  per
 violazione  degli  artt. 3 e 76 Cost., nella parte in cui non prevede
 che   l'organo   di   vigilanza   ammetta   "obbligatoriamente"    il
 contravventore   a  pagare  in  sede  amministrativa  in  difetto  di
 imposizione di una prescrizione da parte di quest'ultimo;
   Ordina, per l'effetto, l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla
 Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso;
   Ordina,   infine,  che  il  presente  provvedimento  a  cura  della
 cancelleria  sia  comunicato  al  p.m.  e   notificato   alle   parti
 interessate  nonche'  al  Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Pistoia, addi' 8 aprile 1998
           Il giudice per le indagini preliminari: Scarcella
 98C0770