N. 510 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 maggio 1998

                                N. 510
 Ordinanza  emessa  il  4  maggio  1998  dal  pretore  di  Brescia nel
 procedimento civile tra Di Martino Paola e I.N.P.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Pensioni INPS - Previsto  pagamento
    dei  rimborsi  in sei annualita' e mediante emissioni di titoli di
    Stato - Estinzione dei giudizi pendenti alla data  di  entrata  in
    vigore  della  normativa  impugnata - Esclusione degli interessi e
    della rivalutazione monetaria - Limitazione del  diritto  ai  soli
    soggetti  interessati  e  ai  loro  superstiti  aventi titolo alla
    pensione di riversibilita' - Incidenza sul diritto di azione,  sui
    principi,  del  giudice  naturale e della tutela giurisdizionale -
    Esclusione del giudicato della Corte costituzionale  -  Violazione
    dei  principi  sulla  formazione  delle leggi e sulla decretazione
    d'urgenza - Indebita interferenza sulla funzione giurisdizionale.
 (Legge 23 dicembre 1996, n. 662,  art.  1,  commi  181,  182  e  183,
    modificato dal d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, art. 3-bis, convertito,
    con modificazioni, dalla legge 28 maggio 1997, n. 140).
 (Cost., artt. 1, 24, 25, 70, 72, 77, 94, 101, 102, 104, 113 e 136).
(GU n.28 del 15-7-1998 )
                              IL PRETORE
   Nella  causa  in  materia di previdenza ed assistenza obbligatoria,
 r.g. n.  4518/1995,  promossa  da  Di  Martino  Paola,  elettivamente
 domiciliata  in  Brescia  presso  l'avv.  Danilo  Mina,  il  quale la
 rappresenta e  difende  in  forza  di  procura  a  margine  dell'atto
 introduttivo  del  giudizio, ricorrente, contro L'I.N.P.S. - Istituto
 Nazionale della Previdenza Sociale, con sede in Roma, in persona  del
 presidente  pro-tempore,  rappresentato  e difeso dagli avv.ti Oreste
 Manzi ed Alfonso Faienza, procuratori per mandati alle liti a  rogito
 del  dott.  Lupo,  notaio in   Roma, con domicilio eletto nel proprio
 ufficio di avvocatura in Brescia, via Cefalonia, n. 49, convenuto;
   Visti:
     gli atti difensivi delle parti; l'ordinanza 7-9 maggio  1997,  n.
 130  della  Corte  costituzionale,  con la quale e' stata disposta la
 restituzione degli atti a questo pretore per  un  nuovo  esame  delle
 censure  formulate  con l'ordinanza 13 dicembre 1995, pubblicata, con
 il n. 137 del registro ordinanze 1996,  nella  Gazzetta  Ufficiale  -
 prima serie speciale, n. 9 del 28 febbraio 1996; l'art. 1, commi 181,
 182,  183 e 184, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nonche' l'art.
 3-bis (modifiche all'art. 1 della legge 23  dicembre  1996,  n.  662)
 della   legge   28   maggio   1997,   n.  140,  di  conversione,  con
 modificazioni, del d.-l. 28 marzo 1997,  n.  79,  recante  misure  di
 riequilibrio della finanza pubblica;
     l'art.  1  del  d.-l.  28  marzo  1996,  n.  166  e la catena dei
 successivi decreti-legge di pura reiterazione, n. 295 del  27  maggio
 1996,  n.    396  del 26 luglio 1996, e n. 499 del 24 settembre 1996,
 tutti decaduti;
     la gia' citata precedente ordinanza 13 dicembre 1995, emessa  nel
 presente  giudizio e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, prima serie
 speciale, n. 9 del 28 febbraio 1996;
     l'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903;
     la   sentenza   29-31   dicembre   1993,   n.   495  della  Corte
 costituzionale;
     l'ordinanza 18-25 luglio 1997, n. 278 della Corte costituzionale;
     l'ordinanza 9-16 aprile 1998, n. 130 della Corte costituzionale;
     gli artt. 23 e 30, terzo comma, della legge  ordinaria  11  marzo
 1953, n. 87;
     l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;
     l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1;
     gli  artt. 1, 24, 25, 70, 72, 76, 77, 81, 94, 101, 102, 104, 113,
 134, 136 e 137 della  Costituzione;  Nella  pubblica  udienza  del  4
 maggio  1998,  ha pronunciato, dandone integrale lettura, la seguente
 ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale di nuove  questioni
 di  legittimita' costituzionale rilevate d'ufficio ai sensi dell'art.
 134 Costituzione, dell'art.  1 della legge costituzionale 9  febbraio
 1948, n. 1 e dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953 n. 87.
   1. - Le deduzioni e conclusioni formulate dalle parti in causa.
   A)  Nelle  conclusioni di parte attrice si chiede a questo pretore,
 di "dichiarare l'INPS convenuto tenuto, a  favore  della  ricorrente,
 nei  modi e forme di legge, a riliquidare, in esecuzione della citata
 sentenza n. 495/1993  della  Corte  costituzionale,  la  pensione  di
 reversibilita'  in relazione alla pensione diretta con l'integrazione
 al minimo di cui il coniuge defunto era titolare od alla  quale  egli
 aveva comunque diritto, con gli arretrati ab origine o comunque entro
 i  limiti della prescrizione decennale, oltre rivalutazione monetaria
 ed interessi di legge".
   B)  L'INPS,  ha  espresso  le  seguenti,  riportate   testualmente,
 graduate  conclusioni: respingere il ricorso "in via preliminare, per
 carenza  dei  requisiti  fattuali  di  cui  alle  premesse  di  fatto
 necessari".
   "Nel merito:
    respingere  il  ricorso  siccome  inammissibile  per  scadenza del
 termine di decadenza per agire in  giudizio  previsto  dalle  vigenti
 disposizioni".
   "In via subordinata:
     respingere  la  domanda  per  carenza  di  interesse in quanto il
 ricorrente gode di pensione di reversibilita' per  importo  integrato
 al minimo o superiore".
     "respingere  la  domanda  di  riliquidazione  della  pensione  di
 reversibilita' rapportata al trattamento minimo del  dante  causa  in
 quanto riferita a periodi anteriori alla pubblicazione della sentenza
 della Corte costituzionale in materia".
   C)  L'istituto  resistente ha, inoltre, pur senza addurre argomenti
 di supporto, senza assumere conclusioni specifiche e senza  sollevare
 formale  eccezione  di  legittimita'  costituzionale,  sostenuto  che
 l'interpretazione  dell'art.  22,  legge  n.  903/1965  nei   termini
 addittivi  voluti  dalla  sentenza  n. 495/1993 sarebbe, comunque, in
 contrasto con l'art. 81 della Costituzione.
   D) Nessun nuovo argomento difensivo e' stato proposto  dalle  parti
 in questa processuale, dopo la riassunzione del giudizio.
   2.  -  La  necessita'  di  procedere  al riesame delle questioni di
 legittimita'
  costituzionale  gia'  rilevate  d'ufficio nella propria ordinanza 13
 dicembre 1995, pubblicata, al n. 137  del  registro  ordinanze  1996,
 nella Gazzetta  Ufficiale, prima serie speciale. n. 9 del 28 febbraio
 1996.    Con l'ordinanza 13 dicembre 1995, emessa nel corso di questo
 giudizio, questo pretore rilevava d'ufficio le seguenti questioni  di
 legittimita'  costituzionale:  a) dell'art. 22, legge 21 luglio 1965,
 n. 903, come modificato dalla sentenza 29-31  dicembre  1993  n.  495
 della  Corte  costituzionale,  per  violazione  dell'art.  136, primo
 comma, 101 e 104, primo comma, della Costituzione; b)  dell'art.  30,
 terzo  comma,  della  legge  11  marzo  1953  n.  87,  per violazione
 dell'art. 136, primo comma,  della  Costituzione;  c)  dell'art.  22,
 legge  21  luglio  1965, n. 903, come modificato dalla sentenza 29-31
 dicembre 1993 n.  495  della  Corte  costituzionale,  per  violazione
 dell'art.   81,   ultimo   comma,   della  Costituzione;  d)  in  via
 preliminare, rispetto  alle  questioni  precedenti,  dell'art.    23,
 secondo comma, della legge  11 marzo 1953, n. 87, ove prevede che "il
 giudizio   non   possa   essere   definito   indipendentemente  dalla
 risoluzione  della  questione  di  legittimita'   costituzionale"   e
 limitatamente  a  tale  parte,  per violazione dell'art. 134, nonche'
 101, 104, primo comma, e 111 della Costituzione;  e)  sempre  in  via
 preliminare e con gli stessi riferimenti indicati sub-d) dell'art. 23
 della  legge  ordinaria  11  marzo  1953,  n.  87,  nelle  parti  che
 stabiliscono condizioni e forme  di  proponibilita'  dei  giudizi  di
 legittimita'  costituzionale,  come  meglio precisato in motivazione,
 per palese violazione della riserva di legge costituzionale  prevista
 dall'art. 137, primo comma, della Costituzione.
   2.a.  -  Tali  questioni  devono  essere  riconsiderate,  a seguito
 dell'ordinanza n. 130 del 1997, con la quale la Corte  costituzionale
 ha  disposto  la restituzione degli atti a questo pretore per un loro
 nuovo esame, "a prescindere dalle prospettate e del tutto ininfluenti
 questioni concernenti le norme sul funzionamento della  Corte",  alla
 luce della sopravvenuta normativa, costituita dalla legge 23 dicembre
 1996,  n.  662, "la quale all'art. 1, comma 183, dichiara estinti con
 compensazione di spese i giudizi aventi ad oggetto l'accertamento dei
 diritti nascenti dalle due citate decisioni  di  questa  Corte,  come
 appunto  i processi a quibus, disponendo altresi' al comma successivo
 la copertura finanziaria degli oneri conseguenti".
   2.b. - Le questioni di cui  alle  lettere  d)  ed  e),  concernenti
 l'art.   23, della legge ordinaria n. 87 del 1953, non possono essere
 riproposte, poiche'  la  Corte,  in  altro  giudizio  incidentale  di
 costituzionalita',  deciso  con  la recentissima ordinanza 9-6 aprile
 1998, n. 130, ne ha gia' dichiarato la manifesta  infondatezza.    In
 assenza    di    ulteriori    e    realmente   diverse   ragioni   di
 incostituzionalita', infatti, stante il divieto d'impugnazione  delle
 decisioni  della  Corte,  previsto  dall'art. 137, terzo comma, della
 Costituzione,  una  nuova  rimessione  al  giudice  delle  leggi   di
 questioni gia' decise si appalesa, in concreto, coma forma vietata di
 impugnazione.    2.c.  -  Ne'  si  intende  riproporre quella sub b),
 attinente l'art.   30 della legge ordinaria  n.  87/53,  in  adesione
 all'invito  della  Corte  costituzionale  di  riesaminare  le censure
 sollevate nell'ordinanza 13 dicembre 1995, pubblicata, con il n.  137
 del  registro  ordinanze  1996, sulla Gazzetta Ufficiale, prima serie
 speciale, n. 9 del 28 febbraio 1996, "a prescindere dalle prospettate
 e  del  tutto  ininfluenti  questioni  concernenti   le   norme   sul
 funzionamento  della  Corte" perche', comunque (a prescindere, cioe',
 da quanto si dira' al punto 5.-), la stessa censura si trova espressa
 in molte altre ordinanze di questo pretore non ancora esaminate dalla
 Corte  e,  pertanto,  la  rinuncia  ad  essa  in  questa  sede non ne
 determina l'estinzione definitiva.  2.d. - Occorre, dunque,  seguendo
 le  indicazioni  del  giudice  delle  leggi, riconsiderare le residue
 questioni, attinenti il merito della presente controversia, sollevate
 nell'ordinanza precedente, con la precisazione che,  in  realta',  il
 riesame  di  quelle  censure  deve  essere svolto, non solo alla luce
 delle disposizioni  di  legge  indicate  dalla  Corte,  ma  anche  (e
 soprattutto,  per  quanto riguarda la denunciata violazione dell'art.
 81 Cost.) con riferimento alla nuova formulazione dell'art. 1,  della
 legge n. 662 del 1996, nel comma 181, (interamente sostituito) e, nel
 comma 182 (sostituito nel quarto periodo ed abrogato nell'ultimo), in
 forza  dell'art. 3-bis (modifiche all'art. 1 legge n. 662/1996) della
 legge 28 maggio 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni,  del
 decreto-legge    28  marzo  1997,  n. 79, normativa questa entrata in
 vigore successivamente all'ordinanza della  Corte  costituzionale  n.
 130/1997.
   3.   -  I  vizi  di  legittimita'  costituzionale  della  normativa
 sopravvenuta attualmente vigente e le relative  questioni da rilevare
 d'ufficio in questa sede.   Prima di riconsiderare  alla  luce  della
 normativa sopravvenuta le questioni gia' portate all'attenzione della
 Corte  nella  precedente  ordinanza emessa in questo stesso giudizio,
 devono essere rilevate  d'ufficio  nuove  questioni  di  legittimita'
 costituzionale  a carico della normativa attualmente vigente.  3.a. -
 Sin dall'epoca della emanazione del primo decreto-legge n. 166/1996 e
 con riferimento, poi, alle successive reiterazioni con i nn. 295, 396
 e 499, questo giudice, in numerose (e' sufficiente qui ricordare solo
 le prime due, quelle emesse in data 1 aprile 1996,  iscritte  ai  nn.
 524  e  525,  del  registro ordinanze 1996, pubblicate sulla Gazzetta
 Ufficiale, prima serie speciale, n. 25 del 19 giugno 1996)  ordinanze
 di  trasmissione  al giudice delle leggi di questioni di legittimita'
 costituzionale a carico di tale serie di provvedimenti,  aveva  messo
 in risalto che mai si era verificato nella legislazione italiana, pur
 tormentata  da  un  eccessivamente  anomalo ricorso alla decretazione
 d'urgenza del Governo, un caso si' palesemente evidente di  abuso  di
 potere  da  parte  del  potere  esecutivo  con  grave  violazione del
 principio di legalita' e delle attribuzioni dei poteri legislativo  e
 giudiziario.    Dopo l'entrata in vigore dell'art. 1, commi 181, 182,
 183 e 184, legge 23 dicembre 1996, n. 662, rilevata l'idoneita' della
 normativa - identica  a  quella  dei  sopra  ricordati  decreti-legge
 decaduti  -  a  sottrarre all'Autorita' giudiziaria l'amministrazione
 della giustizia in nome del popolo,  essendole  precluso  l'esercizio
 tipico  della  funzione giurisdizionale e cioe' quello di definire le
 controversie in corso con  la  decisione  delle  stesse  mediante  la
 pronuncia della sentenza, questo stesso giudice, con ordinanza del 28
 gennaio  1997,  proponeva  ricorso,  depositato il 1 febbraio 1997 ed
 iscritto  al  n.  70  del  registro  ammissibilita'  conflitti,   per
 conflitto   di  attribuzione  nei  confronti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.  In quella sede questo pretore denunciava l'invasione del
 potere legislativo  nella  sfera  delle  attribuzioni  dell'autorita'
 giudiziaria   ricorrente,  in  considerazione  del  fatto  che  nelle
 suddette disposizioni era (come tuttora e', anche dopo  l'entrata  in
 vigore  dell'art.  3-bis  della  legge  28  maggio  1997,  n  140, di
 conversione,  con  modificazioni,  del  d.-l.  28  marzo 1997, n. 79)
 prevista una soluzione legislativa delle  controversie,  all'evidenza
 sostitutiva  della decisione del giudice competente, al quale restava
 (come resta)  solo  affidato  il  compito,  decisamente  atipico,  di
 dichiarare  d'ufficio  l'estinzione dei giudizi pendenti alla data di
 entrata in vigore della legge.  Con ordinanza n. 278 del 18-25 luglio
 1997 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, prima serie  speciale,  13
 agosto   1997,   n.   33)   la  Corte  costituzionale  ha  dichiarato
 inammissibile  il  ricorso  per  conflitto  di   attribuzione   sopra
 ricordato,  cosi',  testualmente, motivando:   "considerato ... che i
 commi 181 e 182, dell'  art.  1,  della  legge  n.  662  del  1996  -
 concernendo,  il  primo,  le  modalita'  di  pagamento  delle  somme,
 maturate  fino  al  31  dicembre  1995  suitrattamenti  pensionistici
 erogati   dagli   enti   previdenziali  interessati,  in  conseguenza
 dell'applicazione delle sentenze di questa Corte n. 495 del 1993 e n.
 240 del 1994 e, il secondo, la titolarita' del diritto  al  pagamento
 delle  somme anzidette nonche' l'esclusione dalla loro determinazione
 degli interessi e della rivalutazione monetaria - sono  per  il  loro
 contenuto evidentemente inidonei a ledere la sfera delle attribuzioni
 costituzionali  del  giudice  ricorrente,  recando esclusivamente una
 disciplina sostanziale di diritti in materia  pensionistica;  che  il
 comma  183,  del  medesimo  art.  1,  della  legge  n. 662 del 1996 -
 stabilendo che i giudizi pendenti alla  data  di  entrata  in  vigore
 della legge stessa, aventi a oggetto le questioni di cui ai commi 181
 e  182,  sono  dichiarati  estinti  d'ufficio con compensazione delle
 spese fra le parti e che le sentenze non ancora passate in  giudicato
 restano prive di effetti - contiene norme, disciplinanti direttamente
 l'esercizio della giurisdizione, di cui il giudice e' chiamato o puo'
 essere  chiamato  a  fare applicazione per definire giudizi innanzi a
 se' pendenti; che, quindi, per l'eventualita' che il  giudice  stesso
 dubiti  della legittimita' costituzionale delle norme medesime (anche
 sotto il profilo della  possibile  lesione  della  propria  sfera  di
 attribuzioni),   l'ordinamento   appresta   un  rimedio  diverso  dal
 conflitto, vale a  dire  la  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale, eventualmente sollevata dal giudice d'ufficio a norma
 degli  articoli  1,  della  legge costituzionale n. 1 del 1948, e 23,
 della legge n. 87 del 1953;  che  le  stesse  considerazioni  valgono
 anche  per  la  parte  in  cui  il conflitto e' proposto in relazione
 all'art. 1, comma 6, della legge n. 608 del 1996, norma di  sanatoria
 degli  effetti  di  precedenti decreti-legge non convertiti, aventi i
 medesimi contenuti dei contestati commi 181, 182 e 183  dell'art.  1,
 della  legge  n.  662  del   1996; che, d'altra parte, le ragioni che
 indussero questa Corte, nella sentenza n. 161 del 1995, ad  ammettere
 che  in  casi  eccezionali  di  "situazioni  non piu' reversibili ne'
 sanabili"   e   in   vista   della   tempestivita'   della   garanzia
 costituzionale  di diritti fondamentali, il conflitto di attribuzioni
 possa affiancarsi al sindacato incidentale non valgono,  all'evidenza
 nel  caso  in  esame  in  cui  si chiede di riconoscere al giudice il
 potere di adire la Corte  tramite  lo  strumento  previsto  a  tutela
 dell'integrita'  dell'ambito  delle  sue  competenze  costituzionali,
 quando gia'  dispone  della  possibilita'  di  attivare  il  giudizio
 incidentale sulla costituzionalita' della legge;
     che, pertanto, il conflitto in esame e' inammissibile.".
   In considerazione della sopra riferita decisione della Corte, senza
 con  cio'  riconoscerne  la  fondatezza,  ma  avendo  ben presente il
 divieto  di  cui  all'art.  137  Costituzione,   risulta   necessario
 trasformare  i  contenuti  del  conflitto dichiarato inammissibile in
 questioni di legittimita' costituzionale.  Deve, cosi', rilevarsi  la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 181, 182,
 e  183, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nonche' dell'art. 3-bis
 (modifiche all'art. 1 della legge 23 dicembre  1996,  n.  662)  della
 legge  28 maggio 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni, del
 decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, recante  misure  di  riequilibrio
 della  finanza pubblica, per violazione degli artt. 24, 25, 101, 102,
 104 e 113 della Costituzione.
   3.a.1. - La violazione dell'art. 113 della Costituzione.    Invero,
 qualunque sia il contenuto sostanziale dei commi 181 e 182, dell'art.
 1,  della  legge  n.  662/1996,  e' di tutta evidenza che le relative
 norme  determinano  la  lesione  dell'art.  113  della  Costituzione,
 essendo  chiaro che, per quanto le domande dei ricorrenti nelle cause
 aventi ad oggetto la  materia  sottoposta  alla  vigenza  dell'attale
 fomulazione  dell' art 1, commi 181, 182 e 183, legge n. 662/1996 non
 siano   dirette    ad    ottenere    una    pronuncia    dichiarativa
 dell'illegittimita'  degli atti amministrativi dell'INPS che hanno in
 passato negato i diritti  vantati  nelle  controversie  in  discorso,
 bensi'  ad  ottenere  le  prestazioni  richieste, appare evidente che
 l'imposta  estinzione  dei  giudizi  in  corso  determina  anche   la
 violazione  dell'art.  113,  commi 1 e 2, della Costituzione, poiche'
 preclusiva della tutela giurisdizionale  contro  i  provvedimenti  di
 diniego  gia'  emessi  dall'INPS.    L'art. 113 Cost., infatti, cosi'
 recita nei suoi primi due commi:   "Contro gli  atti  della  pubblica
 amministrazione  e'  sempre  ammessa  la  tutela  giurisdizionale dei
 diritti  e  degli  interessi  legittimi  dinanzi   agli   organi   di
 giurisdizione   ordinaria   o   amministrativa.".      "Tale   tutela
 giurisdizionale non puo' essere  esclusa  o  limitata  a  particolari
 mezzi  di  impugnazione  o  per  determinate categorie di atti."   La
 violazione dell'art. 113, come sopra individuata, determina anch'essa
 un invasione illecita della  specifica  attribuzione  dell'organo  di
 giurisdizione  ordinaria  (giudice  del lavoro in sede di merito e di
 legittimita') competente  a  conoscere  delle  domande  spiegate  dai
 ricorrenti  contro l'INPS nelle numerosissime cause delle quali si e'
 detto, poiche' preclude la tutela giurisdizionale  contro  tutti  gli
 atti  di  diniego  dell'INPS  posti  in  essere  nelle pregresse fasi
 amministrative.  Tale esclusione della tutela giurisdizionale  contro
 i   predetti  atti  della  pubblica  amministrazione,  e',  non  solo
 illegittima, ma anche tale da  eliminare  la  specifica  attribuzione
 costituzionale dell'autorita' giudiziaria prevista nell'art. 113, con
 la  conseguente ulteriore violazione degli artt. 101, 102 e 104 della
 Costituzione.
   3.a.2. - La violazione degli  artt.  101,  102,  103  e  104  della
 Costituzione.  Inoltre, a causa della situazione di fatto eccezionale
 determinata,  appunto,  ai  commi  181,  182  e  183  della  legge n.
 662/1996,  sussiste  un'ulteriore   compromissione   della   funzione
 giurisdizionale,  poiche'  (si ripete qui quanto gia' prospettato nel
 citato ricorso per  in  sede  di  conflitto  di  attribuzione)  "deve
 mettersi  in  risalto che, comunque e cioe' anche a non voler credere
 alla natura sostanziale di sentenza dell'art. 1,  commi  181,  182  e
 183,  della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662,  e'  certo che tale
 disposizione ostacola la funzione giurisdizionale, poiche'  determina
 il  trasferimento  del  contenzioso  giudiziario  pendente,  al quale
 risulta  destinata  la  suddetta  normativa,  di  nuovo  nella   sede
 amministrativa  (ove  si  e'  gia' in precedenza sviluppato con esito
 negativo), senza che la disposta estinzione d'ufficio dei giudizi  in
 corso  possa  eliminarlo,  essendo  ipotizzabile  un  suo riaprirsi e
 rinnovarsi nei casi di decisioni amministrative di diniego,  tali  da
 costringere  i  pensionati  (i  loro  eredi,  senza dubbio) a cercare
 ancora una volta  tutela  in  sede  giudiziaria.    Tale  effetto  e'
 certamente  idoneo  a creare turbativa (come gia' l'hanno determinata
 le   identiche   norme   dei   decreti-legge   decaduti)   in   danno
 dell'amministrazione   della   giustizia,   dando  luogo  ad  inutili
 duplicazioni  di  attivita',  con  dilatazione   enorme   dei   tempi
 processuali  e  con  causazione  di  un  aggravio  ingiustificato  ed
 ingiustificabile   di    lavoro    a    carico    delle    parti    e
 dell'amministrazione   stessa,   senza   parlare   delle  difficolta'
 giuridiche connesse alla definizione dei  potenziali  futuri  giudizi
 per   la   carenza   sostanziale  di  regole  nelle  disposizioni  di
 riferimento da applicare.".
   Con  conseguente  lesione  degli  artt.  101,  102  e   104   della
 Costituzione.
   3.a.3.  -  La  violazione  degli  artt. 24 e 25 della Costituzione.
 Inoltre - cosi' come gia' e' stato messo in rilievo piu' volte  e  da
 molti  dei  giudici  remittenti  con  riferimento  alla  decretazione
 d'urgenza del Governo, gia' ricordata - anche nei confronti dell'art.
 1, commi 181, 182 e 183, della legge n. 662  del  1996  deve  negarsi
 l'applicabilita' del principio affermatosi nella giurisprudenza della
 Corte costituzionale, secondo il quale non sussiste(rebbe) violazione
 dell'art. 24 della Costituzione, quando la normativa sopravvenuta sia
 idonea  a  soddisfare,  anche  se non integralmente, le ragioni fatte
 valere nei giudizi per i quali e' imposta dalla  legge  l'estinzione,
 purche'   risulti   comunque  arricchito  l'ambito  delle  situazioni
 giuridiche di cui sono  titolari  gli  interessati:  la  perdita  del
 diritto  all'azione,  conseguente all'estinzione dei giudizi prevista
 nel comma 183, infatti, non trova nei commi precedenti quella  misura
 di   arricchimento  degli  interessati  sufficiente  a  far  ritenere
 insussistente la violazione dell'art. 24 della  Costituzione,  stante
 la  (oggi  parziale)  esclusione  degli accessori del credito per gli
 aventi  diritti  e  l'esclusione  degli  eredi  da  ogni  diritto   e
 vantaggio.    Peraltro,  non  puo'  omettersi  di  far  notare che il
 principio del quale si  e'  appena  detto  appare  poco  convincente,
 poiche'  esso  risulta  privo  di  riscontro  e  conforto giuridico a
 livello costituzionale.   Invero  l'affermazione  della  legittimita'
 costituzionale  della  legge  che  privi gli interessati della tutela
 giurisdizionale solo sulla base della  concessione  di  un  vantaggio
 sufficiente,  in assenza di totale riconoscimento del diritto, appare
 in contrasto con l'intero sistema costituzionale vigente,  nel  quale
 la  garanzia  della  giurisdizione  e'  posta  come essenziale per la
 tutela dei diritti e non sembra davvero confrontabile e "barattabile"
 con parziali riconoscimenti  economici  attribuiti  dalla  legge.  Il
 diritto  alla  tutela  giurisdizionale  e' paragonabile al diritto di
 voto,  alla  liberta'  di  espressione,  all'esercizio  dei   diritti
 politici,  a  tutti  quei  diritti,  cioe',  che danno concretezza di
 contenuto  al  concetto  di "Stato di diritto" e che devono ritenersi
 intangibili ed insopprimibili: tenuto conto di quanto  si  e'  appena
 detto, il principio qui sottoposto a critica sembra davvero frutto di
 una mancata visione globale degli interessi costituzionali sottesi al
 diritto  alla  tutela giursdizionale.  Ne' puo', inoltre, negarsi che
 il diritto all'azione non e' di  una  sola  parte  del  giudizio,  di
 tutte,  cosicche'  la tutela prevista nell'art. 24 della Costituzione
 e'   diretta   anche   al    convenuto/resistente    e    non    solo
 all'attore/ricorrente,  con la incontestabile conseguenza che nessuna
 soluzione legislativa  diretta  a  soddisfare  le  ragioni  del  solo
 attore/ricorrente, senza dettare una nuova regola destinata ad essere
 applicata   dal   giudice   nel   processo  per  la  decisione  della
 controversia, puo' ritenersi legittima e conforme all'art.  24  della
 Costituzione.    In  sostanza  non  si  comprende  come  possa essere
 considerata legittima rispetto all'art.  24  della  Costituzione  una
 legge  che  nel negare la tutela giurisdizionale a tutte le parti del
 processo, offra in cambio vantaggi (parziali, con violazione, dunque,
 del primo comma dell'art. 24 della Cost.) alla sola parte ricorrente,
 respingendo ogni legittima domanda svolta da quella  resistente  (con
 palese  violazione  del  secondo  comma dell'art. 24 della Cost.): e'
 cio' che si verifica nei giudizi in corso dinanzi  a  questo  giudice
 per i quali risulta applicabile l'art. 1, commi 181, 182 e 183, della
 legge  n. 662/1996, con l'aggravante che anche per taluni ricorrenti,
 quelli che agiscono a titolo ereditario, viene  eliminata  la  tutela
 giurisdizionale.    Che,  poi,  la denunciata privazione della tutela
 giurisdizionale, con violazione dell'art. 24 della Cost., concretizzi
 anche una indebita ingerenza nell'ambito delle esclusive attribuzioni
 costituzionali  dell'autorita'   giudiziaria   appare   di   evidenza
 assoluta,  quando  (come  nel  caso  in esame) la causa della lesione
 all'art. 24  sia  da  rinvenire  nella  sostituzione  ex  lege  della
 decisione  del  giudice  con  una soluzione nomativa, poiche' in tale
 situazione l'esclusione dell'azione determina senza dubbio alcuno  la
 sottrazione  della funzione giurisdizionale al "potere" al quale essa
 e' affidata.  Ne' puo' ritenersi che l'estinzione a spese  compensate
 dei  giudizi  pendenti ... sia paragonabile nella sua sostanza ad una
 sentenza di cessazione della  materia  del  contendere  (come  si  e'
 affermato  in  precedenti simili ipotesi), poiche' nel caso specifico
 l'estinzione  non  opera  come  una  cessazione  della  materia   del
 contendere,   giacche'   non   si   puo'  ravvisare  nella  soluzione
 prospettata dalla legge per i soggetti interessati (si badi  bene:  i
 soli  ricorrenti  dei  giudizi pendenti, ai sensi dell'art. 183 della
 legge n. 662/1996) un vantaggio tale da far  presumere  in  linea  di
 fatto soddisfatti i diritti dedotti nelle cause da estinguere. Se poi
 si  sposta  l'indagine sulla posizione giuridica degli eredi, parlare
 di cessazione della materia  del  contendere  in  conseguenza  di  un
 sufficiente   raggiungimento  dei  diritti  da  loro  vantati  appare
 francamente,  se  non  umoristico,   impossibile:   per   gli   eredi
 l'estinzione  delle  cause  in  corso  alla data di entrata in vigore
 della legge significa, seccamente, rigetto dei ricorsi  dagli  stessi
 proposti e null'altro.  Quanto poi all'operativita' del comma 183 sui
 commi  181  e 182 e' evidente che il riferimento alle "questioni" non
 consente di escludere dai giudizi da estinguere quelli introdotti  da
 eredi  dei  soggetti individuati nel comma 182 come aventi diritto ai
 pagamenti di cui al comma 181. La norma sul punto  non  lascia  spazi
 aperti a soluzioni interpretative "costituzionalizzanti".
   3.b.   -   Finora   si   sono   riproposte  le  contestazioni  gia'
 espressamente proposte, in altra sede, a carico degli artt. 181, 182,
 183  della  legge  n.  662/1996  e   gia'   ben   note   alla   Corte
 costituzionale,  ma  anche  altre  norme della Costituzione risultano
 direttamente violate dalla medesima normativa.
   3.b.1. - La violazione degli artt. 1, 70, 72, 77, 94  e  136  della
 Costituzione.    Le questioni di legittimita' costituzionale che, nel
 corso di altri giudizi, sono state sollevate a carico della serie dei
 decreti-legge, nn. 166, 295, 396 e 499 del  1996,  del  Governo,  per
 violazione  degli  artt.  1, 70, 72, 77 e 136 della Costituzione, ben
 lungi dall'essere superate dall'intervenuto art. 1, commi  181,  182,
 183  e  184,  della  legge  23  dicembre  1996, n. 662, devono essere
 trasferite dai precedenti "contenitori" normativi  a  quello  attuale
 (come  insegna la giurisprudenza della Corte costituzionale), poiche'
 le censure rivolte alla decaduta disciplina "provvisoria" del Governo
 restano valide anche nei  confronti  della  normativa  approvata  dal
 Parlamento,  la  quale  non  presenta  reali  modifiche  di sostanza,
 rispetto a quella dei decreti legge decaduti,  neppure  in  relazione
 alla  copertura  finanziaria e cio' anche con riferimento all'attuale
 formulazione dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, nel  comma  181
 (interamente  sostituito)  e,  nel  comma  182 (sostituito nel quarto
 periodo ed abrogato nell'ultimo), in forza dell'art. 3-bis (modifiche
 all'art. 1 legge n. 662/1996) della legge 28 maggio 1997, n. 140,  di
 conversione,  con  modificazioni, del decreto-legge 28 marzo 1997, n.
 79, dal momento  che,  comunque,  resta  immutata  la  previsione  di
 pagamento  in  ben  sei  rate  annuali delle somme maturate in favore
 degli aventi diritto in applicazione delle sentenze n.  495 del  1993
 e  n.  240  del  1994  della  Corte  costituzionale.    In verita' le
 modifiche apportate con l'art. 3-bis della legge 28 maggio  1997,  n.
 140,  risultano  di  scarso  peso ai fini della copertura finanziaria
 della spesa, perche' nella sostanza, la previsione del  pagamento  in
 contanti  agli  aventi  diritto,  previa collocazione sul mercato dei
 titoli di Stato,  rispetto  al  pagamento  mediante  assegnazione  di
 titoli  di  Stato,  non muta il fatto che il pagamento del debito nei
 confronti degli aventi  diritto  si  realizza  sempre  con  un  nuovo
 indebitamento a carico del bilancio dello Stato.  Permane, inoltre ed
 in  particolare, assolutamente identica la previsione dell'estinzione
 d'ufficio  dei  processi  pendenti,  nonche'   l'individuazione   dei
 soggetti  aventi  diritto  al pagamento delle somme di cui si e' gia'
 detto,  mentre  le  modifiche  apportate  successivamente  nei   vari
 provvedimenti del Governo ed in quelli del Parlamento all'indicazione
 della  copertura finanziaria (come si e' gia' detto) ed, altresi', al
 regime degli accessori del credito non costituiscono  vere  e  reali,
 non  marginali  e  non meramente formali e solo apparenti, modifiche,
 che  diano  luogo  ad  una  sostanzialmente  diversa  regolamentazioe
 rispetto a quella contenuta nel decreto-legge n. 166/1996.
   3.b.2. - Deve essere riaffermato che l'art. 77, ultimo comma, della
 Costituzione,  la  ragione  e la logica impongono di escludere che le
 Camere possano procedere alla conversione in legge  di  decreti-legge
 iterati  o  reiterati,  quando,  rispetto al suo precedente, l'ultimo
 decreto non sia destinato a regolare un nuovo caso  straordinario  di
 necessita'  ed  urgenza  e quando non contenga quel minimo livello di
 novita' e diversita' sostanziale, requisiti essenziali per consentire
 di   affemarne   l'autonoma  esistenza.    Quando  il  contenuto  del
 decreto-legge di pura iterazione o reiterazione venga trasfuso in  un
 provvedimento  legislativo  approvato  dalle  Camere, non ci si trova
 davanti ad una tipica e tempestiva legge di conversione,  ma  ad  una
 legge  di  anomala  e  tardiva  conversione, se emessa nel termine di
 sessanta giorni dall'entrata in vigore del decreto  di  iterazione  o
 reiterazione  che viene convertito. Ci si trova invece dinanzi ad una
 legge,  non  solo  di  anomala  e  tardiva,  ma  anche  di  "occulta"
 conversione,   quando   il  contenuto  del  decreto-legge  iterato  o
 reiterato, decaduto e non piu' riproposto, venga  trasferito  in  una
 legge   approvata  dalle  Camere,  senza  un  esame  dei  presupposti
 costituzionali che legittimano l'adozione del provvedimento d'urgenza
 del Governo.  In entrambi i casi la legge  che  adotta  la  normativa
 della  decretazione  provvisoria  del  Governo  e' affetta da tutti i
 vizi, di forma e di sostanza, del provvedimento acquisito.
   3.b.3. - Era ben presente alla  Corte  costituzionale  il  problema
 appena   sopra   considerato  derivante  dal  fenomeno  illecito  dei
 decreti-legge iterati e reiterati, e  cioe'  quello  delle  leggi  di
 conversione o sanatoria di tale genere di decreti, tanto presente che
 la  Corte,  nella  sentenza  n. 360/1996, ha ritenuto di dover (senza
 necessita' ai fini della decisione) esprimere il seguente  principio:
 "Restano,  peraltro,  salvi  gli  effetti dei decreti-legge iterati o
 reiterati gia' convertiti in  legge  o  la  cui  conversione  risulti
 attualmente  in  corso,  ove la stessa intervenga nel termine fissato
 dalla Costituzione.  A questo proposito va, infatti, considerato  che
 il  vizio  di  costituzionalita'  derivante   dall'iterazione o dalla
 reiterazione attiene, in senso lato, al  procedimento  di  formazione
 del  decreto-legge  in  quanto  provvedimento  provvisorio fondato su
 presupposti straordinari di necessita' e urgenza:  la conseguenza  e'
 che  tale vizio puo' ritenersi sanato quando le Camere, attraverso la
 legge di conversione (o di sanatoria), abbiano assunto come propri  i
 contenuti  (o  gli  effetti) della disciplina adottata dal Governo in
 sede di decretazione   d'urgenza.".   Non si  puo'  negare  che,  nel
 riferito  obiter  dictum,  la  Corte  affermi  un  principio esatto e
 condivisibile, perche' impone, quale condizione inderogabile, che  le
 Camere assumano come propri i contenuti della disciplina adottata dal
 Governo  in  sede di decretazione d'urgenza e cioe' impone che quegli
 stessi contenuti acquisiti nella legge di conversione  vengano  dalle
 Camere  approvati per autonoma elaborazione, nel pieno rispetto delle
 norme della Costituzione che disciplinano la formazione delle  leggi,
 senza  "interferenze"  e senza "coartazione" del Governo nell'iter di
 formazione  della  legge   di   conversione   ed,   altresi',   senza
 "condiscendenza"  verso  il  potere  esecutivo.   Cosi' ulteriormente
 sviluppata (si ritiene nel rispetto del suo vero significato) la tesi
 della Corte comporta che,  quando  la  legge  di  anomala  e  tardiva
 conversione   di   decreti-legge  iterati  o  reiterati  non  risulti
 approvata nel piu' assoluto rispetto degli  articoli  70  e  seguenti
 della Costituzione e non costituisca espressione di autonoma e libera
 volonta'  ed  incondizionata  determinazione  delle  due  Camere  del
 Parlamento, il vizio di costituzionalita' derivante dall'iterazione o
 dalla reiterazione non  puo'  in  nessun  caso  ritenersi  sanato  e,
 conseguentemente,  determina  l'incostituzionalita'  della  legge  di
 conversione, per effetto del trasferimento ad essa del vizio genetico
 del decreto-legge iterato o reiterato.  La formazione delle leggi non
 e'   stata  lasciata  al  caso  dal  Legislatore  costituzionale,  ma
 puntigliosamente regolamentata,  nella  forte  coscienza  del  valore
 assoluto   e  determinante  del  momento  creativo  della  legge  per
 l'esistenza di un sistema giuridico fondato su valori di  liberta'  e
 democrazia  come quelli sanciti nella prima parte della Costituzione:
 cosi negli artt. 70  e  seguenti  si  rinvengono  le  regole  per  la
 creazione delle regole.  Alla luce di tali regole costituzionali deve
 affermarsi  che  e'  vietata  al  Parlamento,  sia la conversione dei
 decreti-legge di pura iterazione o reiterazione, in quanto privi  dei
 requisiti  essenziali della novita' ed autonomia assoluta rispetto ai
 decreti iterati o reiterati, sia, comunque, l'approvazione  di  leggi
 che acquisiscano le norme contenute nei decreti-legge non convertiti,
 anche  se  non  iterati.    Infatti  la previsione dell'art. 77 della
 Cost., ove si dispone nell'ultimo periodo del secondo comma  che  "le
 Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti
 sulla  base  dei decreti non convertiti", impone di ritenere precluso
 allo  stesso  Legislatore  di  recepire  in  legge   le   norme   dei
 decreti-legge   non   convertiti.      Se   e'  certamente  vero  che
 l'illegittima  prassi  della  reiterazione  incide  sugli   equilibri
 istituzionali,  alterando i caratteri della stessa forma di governo e
 l'attribuzione della funzione legislativa, e'  altrettanto  vero  che
 deleteri  effetti  sull'attribuzione  del  potere legislativo vengono
 determinati dalla passivita' delle  Camere  che  approvino  leggi  di
 anomala conversione (o comunque le si voglia denominare), acquisendo,
 senza   propria   autonoma   elaborazione,  le  norme  contenute  nei
 decreti-legge iterati  o  reiterati  ed  in  quelli  non  convertiti,
 perche'  anche  in  questi  casi  le  Camere vengono ancora una volta
 espropriate del potere legislativo, a nulla  rilevando  che  cio'  si
 verifichi  per  responsabilita'  delle stesse Camere, perche' risulta
 nello stesso modo violata  la  Costituzione.    Non  puo'  bastare  a
 modificare  il  pensiero  sopra  esplicitato  il  grande rispetto per
 l'autonomia del Parlamento e per la funzione ad esso attribuita dalla
 Costituzione,  giacche'  e'  anzi  proprio  tale  rispetto  che  deve
 condurre   a  confermare  la  validita'  delle  considerazioni  sopra
 espresse: solo la piena fedelta'  e  conformita'  dell'operato  delle
 istituzioni  dello  Stato  alla  Costituzione,  senza  deviazioni  le
 benche' minime, puo' mantenere in vita  lo  Stato  di  diritto.    Il
 principio   della   separazione   di   poteri  non  e'  nella  nostra
 Costituzione un puro simulacro, un mero retaggio  di  passate  scuole
 filosofiche:    e'  regola  diretta  a  tutelare  la  democrazia e la
 liberta' dello Stato, poiche' finalizzata a precludere ogni possibile
 insorgere di situazioni di potere assoluto e senza vincoli.    Quando
 un  potere dello Stato perde la consapevolezza della propria funzione
 e del dovere di conservare intatte le proprie attribuzioni -  e  cio'
 e' tanto piu' grave quando si verifica nel Parlamento, a causa di una
 sua  composizione  che  veda  una  forte prevalenza della maggioranza
 sull'opposizione - giungendo ad accettare passivamente una condizione
 di suddittanza nei confronti di  un  altro  potere  (o  piu'  altri),
 conformando,   anche  solo  in  linea  di  fatto,  il  proprio  agire
 istituzionale  alla  volonta'  dell'altro  potere,  si   pongono   le
 condizioni  per il rischio del verificarsi di un pericoloso mutamento
 del  sistema  democratico   in   qualcosa   d'altro,   difficile   da
 preconizzare,   ma   sicuramente   non   in   linea  con  i  principi
 costituzionali.
    3.b.4.  -  In  forza  delle  superiori  premesse,  questo  giudice
 rimettente   nutre   fortissime   perplessita'   sulla   legittimita'
 costituzionale  dell'intera  legge  23 dicembre 1996, n. 662, perche'
 approvata  dal  Parlamento  in  dispregio  delle  norme  della  legge
 fondamentale  dello Stato che regolano la produzione legislativa.  La
 stessa struttura della legge n. 662/1996 viola l'art.  72,  primo  ed
 ultimo  comma,  della Costituzione, a causa della sua composizione in
 soli tre articoli,  contenenti  un  coacervo  indistinto  di  materie
 disomogenee,  cosi'  formulata  dal  Governo  al  solo  fine di poter
 chiedere il voto di fiducia (con  violazione  autonoma  dell'art.  94
 della  Costituzione) su pochi articoli, in modo tale da accelerare al
 massimo l'iter parlamentare per rispettare i  tempi  di  approvazione
 della legge di bilancio e collegate, precludendo la discussione sugli
 (come  sempre innumerevoli) emendamenti presentati dall'opposizione e
 cio' a causa delle norme dei regolamenti delle  due  Camere  che  non
 consentono  (all'epoca  ancor meno) tempi ristretti per giungere alla
 definitiva approvazione delle leggi.   Tale realta',  qui  denunciata
 con  riferimento  alla legge n. 662/1996, non e' una novita' e non e'
 l'ultimo caso realizzato di espropriazione del potere legislativo del
 Parlamento,  "connivente"  lo  stesso  Parlamento,  ridotto  a   mero
 esecutore   della  volonta'  del  potere  esecutivo,  mediante  l'uso
 improprio, e dunque incostituzionale, della richiesta  della  fiducia
 da  parte  del  Governo,  previa strutturazione della legge in pochi,
 ipertrofici, articoli contenenti un numero enorme di  commi,  a  loro
 volta  distinti  in  piu'  parti,  destinati  a  regolare un coacervo
 incredibile di materie, estremamente diverse tra  loro,  in  assoluta
 violazione   degli  artt.  70  e  seguenti  della  Costituzione,  con
 particolare riferimento all'art. 72.  3.b.5. - Limitando la  disamina
 alle  sole  disposizioni  applicabili nel presente giudizio e cioe' a
 quelle sole norme rilevanti ai fini della decisione,  questo  pretore
 dubita della legittimita' costituzionale, in particolare dell'art. 1,
 commi  181, 182, 183, della legge n. 662/1996, direttamente derivante
 dal fatto che tale articolo, nei suddetti commi si  rappresenta  come
 puro clone delle corrispondenti disposizioni contenute nella decaduta
 decretazione  d'urgenza  del  Governo, espressa nei decreti legge nn.
 166, 295, 396 e 499 del 1996, giacche' non  apporta  alcuna  modifica
 sostanziale,  ne'  alcuna elaborazione originale delle due Camere del
 Parlamento alla disciplina  introdotta  dal  Governo,  atteggiandosi,
 nella realta', come tardiva forma di "conversione occulta" dei citati
 decreti-legge  "seriali",  dei  quali,  si deve ribadire, costituisce
 ennesima mera clonazione.  Puo', invero, ritenersi che il  Parlamento
 assuma  come  propri  i  contenuti  o  gli  effetti  della disciplina
 adottata dal Governo in sede di decretazione d'urgenza solo quando le
 Camere approvino una legge in tutto e per tutto conforme alle  regole
 costituzionali   sulla   formazione  delle  leggi,  senza  che  possa
 rilevarsi  una,  minima  coercizione  da  parte  del  Governo   sulla
 maggioranza  che  lo  sostiene.   Nel caso in esame non si ravvisa la
 possibilita' di ritenere che le Camere abbiano assunto  come  propri,
 nella  legge  n.  662/1996 (Misure di razionalizzazione della finanza
 pubblica),  i  contenuti  dell'art.    1,  commi  1,  2,  e  3,   dei
 decreti-legge nn. 166, 295, 396 e 499 decaduti, poiche':
     a)  le relative norme non sono state neppure esaminate in sede di
 approvazione di uno specifico articolo di legge,  a  causa  del  loro
 inserimento  in  un  "mostruoso" art. 1, sotto i commi nn. 181, 182 e
 183;
     b)  il  mancato  esame ed approvazione in un articolato normativo
 coerente (con la manifesta violazione dell'art.  72,  commi  1  e  4,
 della  Costituzione)  e'  stato  voluto dal Governo, al fine unico di
 rendere  rapida  l'approvazione  complessiva  della   legge   stessa,
 mediante tre sole votazioni sulla mozione di fiducia presentata dallo
 stesso  Governo su ogni singolo articolo della legge n. 662/1996.  E'
 chiaro che il mancato dibattito parlamentare sulle  disposizioni  che
 qui  intressano (e su tutte le altre della legge n. 662/1996) esclude
 la (piena) riferibilita' al Parlamento del contenuto della disciplina
 in discorso e, dunque, nega la sussistenza di quel requisito  che  la
 Corte  costituzionale  ha affermato dover essere presente, perche' il
 vizio di  legittimita'  costituzionale  derivante  dall'iterazione  o
 dalla  reiterazione  dei decreti-legge, (attinente, in senso lato, al
 procedimento di formazione del decreto-legge in quanto  provvedimento
 provvisorio  fondato  su  presupposti  straordinari  di  necessita' e
 urgenza) possa ritenersi sanato.   Tale realta', qui  denunciata  con
 riferimento  alla  legge  n.  662/1996  non  e'  una novita' e non e'
 l'ultimo caso realizzato di espropriazione del potere legislativo del
 Parlamento,  "connivente"  lo  stesso  Parlamento,  ridotto  a   mero
 esecutore   della  volonta'  del  potere  esecutivo,  mediante  l'uso
 improprio, e dunque incostituzionale, della richiesta  della  fiducia
 da parte del Governo, soprattutto (ed e' la situazione piu' grave) in
 sede  di  approvazione di bilanci e consuntivi, previa strutturazione
 delle relative leggi in pochi, ipertrofici,  articoli  contenenti  un
 numero  enorme  di  commi,  a  loro  volta  distinti  in  piu' parti,
 destinati a regolare un coacervo incredibile di materie, estremamente
 diverse tra loro, in assoluta violazione degli artt.  70  e  seguenti
 della  Costituzione,  come  gia'  si e' detto.   Quanto qui sostenuto
 trova  chiara  conferma  nel  quarto  comma  dell'art.     94   della
 Costituzione,  poiche'  e' chiaro che alla luce di tale disposizione,
 in forza della quale "il voto contrario di una o entrambe  le  Camere
 su  una  proposta  del Governo non importa obbligo di dimissioni", e'
 implicitamente esclusa la possibilita' di una richiesta del  voto  di
 fiducia  da esprimere contestualmente al voto su articoli di legge in
 corso di approvazione.
   3.b.6. - Deve essere, pertanto, rilevata d'ufficio la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dei  commi  181,  182 e 183, nella loro
 interezza ed in ogni singola parte e  parola  e  norme  nei  medesimi
 espressa,  dell'art. 1 della legge n. 662/1996, per violazione, degli
 artt. 1, 70, 72, 77, 94 e 136 della Costituzione.
   4. - Sui requisiti della rilevanza in causa e della  non  manifesta
 infondatezza  delle  nuove  questioni  di legittimita' costituzionale
 sopra rilevate.  Le questioni di  legittimita'  costituzionale  sopra
 sviluppate  non sono manifestamente infondate e sono anche rilevanti,
 poiche'   il   presente   giudizio   non   puo'   "essere    definito
 indipendentemente"  dalla  loro  risoluzione:  la dichiarazione della
 illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi  181,  182,  e  183,
 della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662, che ha, in modo del tutto
 anomalo, tardivamente ed "occultamente" convertito in legge l'art.  1
 della  serie  di  decreti-legge  nn.  166,  295,  396 e 499 del 1996,
 nonche' dell'art. 3-bis della legge 28 maggio 1997, n. 140,  avrebbe,
 infatti,   l'effetto   di   restituire  integra  a  questa  autorita'
 giudiziaria,   non   piu'   costretta   nella   sua   attivita'    di
 amministrazione della giustizia al solo compito di dichiarare estinti
 d'ufficio   i   processi  pendenti,  la  sua  funzione  e  cosi',  il
 potere-dovere di individuare e definire la normativa da applicare  al
 caso  concreto portato al suo esame, dovendosi valutare se la perdita
 di  efficacia  delle  disposizioni  di  legge  in  discorso   conduca
 necessariamente   al   ripristino   della   vigenza  della  normativa
 precedente, ovvero se altra normativa possa essere applicata  in  via
 di  interpretazione  estensiva  o  per  analogia,  secondo  le regole
 fissate dall'ordinamento giuridico per l'interpretazione della legge.
   5.  -  Il  riesame  delle  precedenti  questioni  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  22  della  legge  n.  903  del  1965, come
 manipolato dalla sentenza (Corte costituzionale  n.  495  del  1993).
 Definite  nei  termini  sopra  chiariti  le questioni di legittimita'
 costituzionale a carico della normativa sopravvenuta,  e'  giunto  il
 momento  di  riesaminare  le  censure  rivolte, nell'ordinanza del 13
 dicembre 1995, all'art. 22 della legge 21 luglio 1965, n.  903,  come
 modificato  dalla  sentenza  29-31  dicembre  1993 n. 495 della Corte
 costituzionale, per violazione degli artt. 81, 136, primo comma,  101
 e  104,  primo comma, della Costituzione.  Tali questioni non possono
 essere riproposte, perche', alla luce della  sopravvenuta  normativa,
 devono  ritenersi  non  rilevanti nel giudizio a quo: l'art. 22 della
 legge n. 903 del 1965, come "adeguato" dalla sentenza n. 495/1993 del
 giudice delle leggi, deve, infatti, ritenersi implicitamente abrogato
 all'art. 1, commi 181 e 182,  della  legge  n.  662/1996,  nel  testo
 conseguente  alle  modifiche apportate dall'art. 3-bis della legge n.
 140/1997.   In verita' questo  giudice  deve  riconoscere  di  essere
 giunto  a  tale  conclusione  solo  grazie allo studio dell'ordinanza
 18-25 luglio 1997, n. 278 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 33,
 prima serie speciale,  dell'anno  1997)  -  con  la  quale  la  Corte
 costituzionale  ha  dichiarato  l'inammissibilita'  del  conflitto di
 attribuzione proposto da questa autorita' giudiziaria  nei  confronti
 del Parlamento - poiche' solo partendo dalla considerazione del fatto
 che,   comunque,  i  commi  181  e  182  contengono  "una  disciplina
 sostanziale  di  diritti  in  materia  pensionistica"  (come  appunto
 precisato  dal  giudice  delle  leggi)  questo pretore e' pervenuto a
 concludere per l'avvenuta abrogazione della norma  "virtuale"  creata
 dalla  sentenza n. 495/1993 della Corte costituzionale.  Il richiamo,
 disapplicante, della  sentenza  n.  495  del  1993  (per  quanto  qui
 interessa,  ma  il  discorso  vale  anche per la sentenza n.  240 del
 1994) operato nel testo attualmente vigente dell'art. 1, commi 181  e
 182,  della  legge  n. 662/1996, regolando gli effetti della medesima
 sentenza  sull'art.   22   della   legge   n.   903/1995,   determina
 l'abrogazione  della  norma  "virtuale"  - costituita dalla decisione
 "additiva" della Corte integrata (secondo  la  teoria  dominante  che
 costituisce  "diritto  vivente") nella stessa disposizione -, poiche'
 definisce l'ambito di applicabilita' della stessa norma "virtuale" in
 modo tale da non consentire alla stessa di esplicare in modo  diverso
 i  propri  potenziali  effetti.   Ritiene questo giudice di non poter
 riproporre  le  censure  di  costituzionalita'  rivolte  alla   norma
 "virtuale" in discorso, neppure come ipotesi consequenziale correlata
 alla previa contestazione della legittimita' costituzionale dei commi
 181,  182  e  183  dell'art.  1  della  legge n. 662/1996, poiche' la
 prospettiva  giuridica  conseguente  all'eventuale  dichiarazione  di
 incostituzionalita' dei detti commi non e' necessariamente quella del
 risorgere  della  vigenza  della  disposizione  "virtuale"  abrogata.
 L'incertezza giuridica sull'esito  delle  questioni  di  legittimita'
 costituzionale  all'esame  del giudice delle leggi e' assoluta, anche
 in  considerazione'  del  fatto  che  i  numerosissimi   profili   di
 incostituzionalita',  sollevati  a  carico  della normativa contenuta
 prima nei decreti-legge nn. 166, 295,  396  e  499  del  1996  e  poi
 trasfusa  nei  commi  181, 182 e 183 della legge n. 662 del 1996, non
 sono univoci e, dunque, non conducono ad un medesimo risultato  sulle
 conseguenze    interpretative    di   una   eventuale   dichiarazione
 d'incostituzionalita' di  una  o  piu'  delle  norme  impugnate,  con
 riferimento alle disposizioni di legge previgenti.
   5.a. - E' doveroso, altresi', ancora aggiungere che, in particolare
 (ma   non   solo),  risulta  irrilevante  la  questione  inerente  la
 violazione degli artt. 136, primo comma,  101  e  104,  primo  comma,
 della  Costituzione,  poiche' questo giudice ha modificato il proprio
 orientamento sulle sentenze "legislative" della Corte costituzionale,
 in modo tale da rendere inammissibile una riproposizione della stessa
 questione, poiche' essa si parrebbe come  richiesta  di  parere  alla
 Corte.   Con la sentenza n. 368, emessa in data 27 aprile 1998, nelle
 cause riunite r.g. nn. 3424/93 e 82/1998,  promosse  da  Tarchi  Aldo
 contro  l'INPS,  nelle  quali  il  ricorrente  chiedeva, tra l'altro,
 l'applicazione in proprio favore della sentenza "additiva" n. 822 del
 1988 della Corte costituzionale, questo giudice ha, infatti, corretto
 in parte la propria giurisprudenza  (risalente  alla  fine  dell'anno
 1994)   che  affermava,  in  modo  perentorio  ed  assoluto,  la  non
 conformita' all'art.   136 Costituzione di  tutte  le  decisioni  del
 giudice  delle  leggi  che  vengono di solito definite "additive" (ma
 anche   "manipolative",   "adeguatrici"   e,   da   questo   pretore,
 "legislative"),  traendone  la  conseguenza della loro inefficacia e,
 dunque, la non vincolativita' per l'autorita' giudiziaria.
   In forza di considerazioni  che  appare  superfluo  qui  richiamare
 questo  pretore  e'  pervenuto  a  ritenere:    a)  che  le  sentenze
 "additive"  del  giudice  delle  leggi  devono  essere   interpretate
 dall'autorita'  giudiziaria,  al  fine  di  accertare  se  esse siano
 realmente dirette a caducare una norma di legge,  o  se,  invece,  il
 loro  fine  sia  esclusivamente quello di integrare una disposizione,
 dettando  una  regola  scelta   dalla   Corte,   previa   strumentale
 dichiarazione  di  incostituzionalita'  di  una  norma  che la Corte,
 pero', non vuole in nessun modo rendere inefficace, ne' in tutto, ne'
 in parte; b) che le sentenze "additive" sono pienamente efficaci,  ma
 esclusivamente nella loro parte dichiarativa dell'incostituzionalita'
 delle  norme ed atti aventi forza di legge, qualora risulti chiara la
 volonta'  di  giungere  all'effetto  previsto  dall'art.  136   della
 Costituzione,    cioe'    quello   di   determinare   la   cessazione
 dell'efficacia delle norme ritenute e dichiarate incostituzionali; c)
 che le stesse sentenze, nella  loro  parte  propriamente  "additiva",
 destinata  a  ricostruire  il contenuto della norma in senso conforme
 alla Costituzione, in nessun caso possono essere ritenute  vincolanti
 ed  idonee  a  sostituire, integrare o modificare le parti dichiarate
 illegittime, ma senza efficacia caducatoria,  delle  disposizioni  di
 legge;  d)  che  resta  nella  esclusiva  funzione del legislatore il
 potere di dettare nuove norme per sostituire  quelle  caducate  dalle
 sentenze  del  giudice  delle  leggi,  ovvero di disciplinare in modo
 conforme  alla   Costituzione,   eventualmente   seguendo   l'ipotesi
 "adeguatrice"  della  Corte,  le norme dichiarate incostituzionali in
 sentenze del giudice delle leggi inidonee a raggiungere  gli  effetti
 tipici  previsti  nell'art. 136 della Costituzione; e) che appartiene
 all'autorita' giudiziaria la funzione di interpretazione, nei termini
 previsti dalla legge, del sistema di diritto positivo, al fine  anche
 di riempire i vuoti normativi determinati dalle sentenze caducatorie,
 ivi  comprese  anche  quelle  "additive" aventi tale efficacia, della
 Corte   costituzionale.      In   tal   modo   nessuna   attribuzione
 costituzionale viene sottratta agli organi titolari, restando integre
 le   funzioni   del   legislatore,   della   Corte  costituzionale  e
 dell'autorita' giudiziaria, senza spazio per un conflitto tra  i  tre
 organi   dello   Stato.      Poiche'  tale  revisione  della  propria
 giurisprudenza non conduce piu' necessariamente alle  conseguenze  di
 quella  precedente,  e'  chiaro che non sussistono piu' le condizioni
 per riproporre al giudice delle leggi la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  a  carico dell'art.  22 della legge n. 903/1965, come
 "modificato" dalla sentenza n. 495/1993, per violazione  degli  artt.
 101 e 104, primo comma, e 136 della Costituzione.
   6.  - Ai sensi dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n.
 87,  questo  giudizio  deve  essere  sospeso  e  deve  ordinarsi   la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la notifica della
 presente  ordinanza  al  Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre
 alla comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
                               P. Q. M.
   Dichiara non manifestamente  infondate  e  rilevanti  in  causa  e,
 pertanto,  rileva  d'ufficio  le  seguenti  questioni di legittimita'
 costituzionale:
     a) dell'art. 1, commi 181, 182, e 183, della  legge  23  dicembre
 1996,  n.  662, come modificato dall'art. 3-bis della legge 28 maggio
 1997, n. 140, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 28
 marzo 1997, n. 79,  recante  misure  di  riequilibrio  della  finanza
 pubblica,  per  violazione  degli  artt.  24, 25, 101, 102, 104 e 113
 della Costituzione;
     b) dei commi 181, 182 e 183, nella  loro  interezza  ed  in  ogni
 singola  parte  e  parola  e norma nei medesimi espressa, dell'art. 1
 della legge 23 dicembre 1996, n. 662, come modificato dall'art. 3-bis
 della  legge  28  maggio  1997,   n.   140,   di   conversione,   con
 modificazioni,   del   decreto-legge   28  marzo  1997,  n.  79,  per
 violazione, degli artt.  1, 70, 72, 77, 94 e 136 della Costituzione.
   Sospende il giudizio;
   Ordina  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale,
 disponendo  la  notifica  al  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 oltre  alla  comunicazione  ai  Presidenti  delle  due   Camere   del
 Parlamento;
   Manda alla cancelleria per l'esecuzione.
     Brescia, addi' 4 maggio 1998.
                           Il pretore: Onni
 98C0787