N. 515 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 1998
N. 515 Ordinanza emessa il 29 gennaio 1998 dal tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sul ricorso proposto da Zago Elio contro il Ministero dell'interno ed altra Circolazione stradale - Soggetto gia' sottoposto a misura di sicurezza personale, poi revocata, nei cui confronti non siano intervenuti provvedimenti riabilitativi - Prevista revoca della patente di giuda - Lesione del principio di eguaglianza, in relazione a soggetti sottoposti, in atto, a tali misure - Violazione del diritto al lavoro. (C.S.N. art. 120, comma 1, sostituito dal d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, art. 5). (Cost., artt. 3 e 4).(GU n.29 del 22-7-1998 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 4274 del 1997 proposto da Zago Elio, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizio Bono e dall'avv. Antonio Toffoletto ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Milano, via Marcona n. 26; Contro il Ministero dell'interno, in persona del Ministro in carica, e la prefettura di Milano, in persona del prefetto pro-tempore, costituitosi in giudizio, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, presso i cui uffici sono domiciliati in via Freguglia n. 1; Per l'annullamento, previa sospensione, del provvedimento di revoca della patente di guida prot. n. 4159/1996 U.P. emesso dal prefetto di Milano in data 25 giugno 1997 nei confronti del ricorrente; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 29 gennaio 1998 il relatore dott. Carlo Testori; Uditi, altresi', i procuratori delle parti; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue; F a t t o Con sentenza della Corte d'appello di Milano del 24 febbraio 1969 il sig. Elio Zago, condannato per reati connessi alla prostituzione, fu sottoposto alla misura di sicurezza della assegnazione a casa di lavoro per anni uno; detta misura fu revocata con decreto del giudice di sorveglianza di Venezia in data 8 gennaio 1974. Con atto n. 4159/1996 U.P. del 25 giugno 1997 il prefetto della provincia di Milano, facendo riferimento all'intervenuta sottoposizione del sig. Zago alla citata misura ed alla circostanza che non era intervenuto provvedimento di riabilitazione, ha disposto, ai sensi dell'art. 120 del codice della strada approvato con d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, la revoca della patente di guida rilasciata al ricorrente nel 1981 ed in seguito regolarmente rinnovata. Avverso tale determinazione il sig. Zago ha proposto il ricorso in epigrafe, deducendo: 1) incompetenza assoluta per straripamento di potere (la revoca della patente prevista dall'art. 120 C.d.S. si configura quale sanzione amministrativa interdittiva e come tale e' soggetta ai principi di cui alla legge n. 689/1981 e, in particolare, al principio di irretroattivita' delle norme sanzionatorie; poiche' la sanzione della revoca della patente anche nei confronti di chi sia stato sottoposto a misura di sicurezza gia' eseguita e' stata introdotta dal nuovo codice della strada, mentre il precedente la prevedeva solo in relazione a misure in corso di esecuzione, essa non puo' operare in relazione ad una misura revocata ben prima dell'entrata in vigore della disposizione che la prevede); 2) violazione di legge (la legge n. 241/1990 e' stata disattesa sotto molteplici profili: perche' il provvedimento impugnato difetta di adeguata motivazione in ordine alle ragioni della revoca, perche' non e' stato individuato il responsabile del procedimento e, quindi, non ne e' stato comunicato il nominativo al ricorrente, perche' sono stati omessi gli adempimenti finalizzati alla partecipazione dell'interessato al procedimento; sono stati violati, altresi', il principio di buona amministrazione, ex art. 97 della Costituzione ed il principio dell'affidamento in buona fede, atteso che non sono stati adeguatamente comparati gli interessi in gioco ne' si e' tenuto conto che il ricorrente ha fruito della patente dal 1981 in poi); 3) eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica (il ricorrente lavora come autista ed ha quindi necessita' della patente; la revoca impugnata pregiudica tale attivita', incidendo negativamente, e senza il supporto di una ponderata valutazione, sul diritto al lavoro del predetto, costituzionalmente garantito; in tal modo la revoca assume un carattere persecutorio); 4) eccesso di potere per contraddittorieta' (in relazione ai precedenti rinnovi della patente, l'ultimo dei quali risalente al 1 aprile 1996). Si e' costituita l'amministrazione intimata, insistendo per il rigetto del ricorso. Nella camera di consiglio del 16 ottobre 1997 questa sezione ha accolto, con ordinanza n. 3476, la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato. In vista dell'udienza del 29 gennaio 1998 entrambe le parti hanno depositato memorie; in particolare, la difesa del ricorrente ha provveduto a cio' quando era ormai scaduto il termine perentorio di cui all'art. 23 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034; in udienza, peraltro, la difesa erariale ha dichiarato a verbale di non opporsi all'acquisizione di tale memoria agli atti del giudizio. La causa e' quindi passata in decisione. D i r i t t o 1. - L'art. 82 del codice della strada approvato con d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, nel definire i requisiti morali necessari per ottenere la patente di guida, stabiliva al primo comma che non potevano essere ammessi al relativo esame "... i delinquenti abituali, professionali o per tendenza e coloro che sono sottoposti a misure amministrative di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dall'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423". Il successivo art. 91, prevedeva al tredicesimo comma, che la patente era revocata dal prefetto (tra le altre ipotesi) quando il titolare non era piu' in possesso dei requisiti morali indicati all'art. 82 primo comma. In sostanza il previgente codice della strada, per la parte che qui interessa, escludeva che potesse ottenere la patente chi fosse sottoposto, in atto, ad una misura di sicurezza personale; ed in caso di patente gia' rilasciata ne prescriveva la revoca, ove ricorresse il medesimo presupposto. La materia e' stata sensibilmente modificata, in senso rigorista, dal nuovo codice della strada, approvato con d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, ed in particolare dall'art. 120, primo comma, come successivamente sostituito dall'art. 5 del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575. Tale disposizione stabilisce: "La patente di guida e' revocata dal prefetto ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza e a coloro che sono o sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali o alle misure di prevenzione previste dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituita dalla legge 3 agosto 1988, n. 327 e dalla legge 31 maggio 1965 n. 575, cosi' come successivamente modificata e integrata, fatti salvi gli effetti di provvedimenti riabilitativi, nonche' alle persone condannate a pena detentiva, non inferiore a tre anni, quando l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura". Per cio' che riguarda il presente giudizio va immediatamente sottolineato che il nuovo codice della strada dispone la revoca della patente non piu' solo a carico di chi sia sottoposto a misura di sicurezza personale (la cui esecuzione, cioe', non si sia ancora esaurita), come era previsto dal C.d.S. del 1959, ma anche nei confronti di chi sia stato sottoposto in passato ad una misura di tal genere, ormai cessata, sempre che non siano intervenuti provvedimenti riabilitativi. Quest'ultimo e', appunto, il caso di cui si discute, atteso che il ricorrente e' stato sottoposto a misura di sicurezza disposta nel 1969, revocata nel 1974 ed in relazione alla quale non e' intervenuta riabilitazione. Il tenore delle citate disposizioni in materia di revoca della patente, contenute sia nel previgente, sia nel nuovo codice della strada, induce ad affermare che il provvedimento prefettizio in questione, laddove trovi il suo fondamento nella sottoposizione del titolare ad una misura di sicurezza, e' espressivo di attivita' vincolata: il prefetto, in altre parole, era ed e' tenuto in detta ipotesi a procedere alla revoca della patente al solo verificarsi del presupposto normativamente indicato, senza poter esprimere alcuna valutazione discrezionale sull'an del provvedimento (in senso conforme t.a.r. Napoli III sez. 7 agosto 1996, n. 635 e 8 luglio 1996, n. 580; t.a.r. Reggio Calabria 13 febbraio 1995, n. 281; t.a.r. Milano I sez. 1 aprile 1993, n. 259). Depone in tal senso, in primo luogo, la formulazione letterale delle disposizioni in parola (sia il previgente art. 91, comma tredicesimo, sia l'attuale art. 120 statuiscono: "... la patente e' revocata..."); in piu' nella disciplina vigente in tema di revoca si distingue tra le ipotesi in cui la revoca dipende esclusivamente dal verificarsi di date circostanze obiettive (tra le quali figura, appunto, la sottoposizione a misura di sicurezza) e quella in cui la revoca consegue non solo al verificarsi di una data circostanza di fatto (condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni), ma anche ad una ulteriore fase valutativa (circa la strumentalita' della patente ai fini della commissione di reati della stessa natura). 2. - Chiarito il significato e la portata della norma che ha trovato applicazione nel caso di specie, occorre soffermarsi sulla natura del provvedimento di revoca della patente di guida, quale configurato dall'art. 120, comma 1, del nuovo C.d.S. La questione assume particolare rilievo nel presente giudizio in relazione alla prima censura proposta nel ricorso. Il sig. Zago sostiene, infatti, che l'atto impugnato e' viziato da incompetenza assoluta, non avendo il prefetto di Milano il potere di adottarlo; cio' in quanto la revoca, disposta ex art. 120 nei confronti di un soggetto in passato sottoposto a misura di sicurezza, si configurerebbe come tipica sanzione amministrativa interdittiva e sarebbe quindi soggetta ai principi enunciati dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, in particolare al principio di irretroattivita' di cui all'art. 1; pertanto non poteva essere disposta nei confronti del ricorrente in relazione ad una misura revocata ben prima che entrasse in vigore la disposizione citata, che ha innovato la previgente disciplina proprio per il profilo che qui interessa. Il collegio ritiene infondata la censura, in quanto appare piu' convincente la qualificazione della revoca della patente disciplinata dall'art. 120 citato non come sanzione amministrativa, bensi' come misura cautelare. Se si parte, infatti, dal presupposto che la sanzione amministrativa presenta, in generale, carattere eminentemente e tipicamente afflittivo e consegue, in via immediata e diretta, ad un comportamento costituente violazione di una norma o di un provvedimento amministrativo, risulta difficile ravvisare tali elementi caratterizzanti nel provvedimento revocatorio di cui si discute; da un lato appare assai sfumato il collegamento con comportamenti antigiuridici i cui effetti immediati e diretti sono altri (la dichiarazione di abitualita', professionalita' e tendenza a delinquere, ovvero l'applicazione di misure di sicurezza o di prevenzione) e rispetto ai quali la revoca della patente assume, semmai, la veste di conseguenza ulteriore; dall'altro, e correlativamente, il carattere afflittivo appare di gran lunga meno rilevante (se non addirittura del tutto estraneo alle finalita' della misura) rispetto al palese intento preventivo, a tutela della sicurezza pubblica. E' chiaro, infatti, che a fondamento della revoca ex art. 120 sta una valutazione operata in via generale, circa la pericolosita' di determinate categorie di soggetti, che il legislatore ha ritenuto sufficiente a giustificare l'imposizione di una misura cautelare limitativa della liberta' di circolazione, priva di valenza sanzionatoria. A conforto di tale conclusione si puo' richiamare anche il dato testuale dell'art. 219, del vigente codice della strada che, riferendosi distintamente ai casi in cui la revoca costituisce sanzione amministrativa accessoria ed a quelli previsti dall'art. 120, sembra voler implicitamente riconoscere a questi ultimi una natura non sanzionatoria. Ne' rileva, in senso contrario, la disposizione, richiamata dal ricorrente, di cui all'art. 237, comma secondo, C.d.S.; tale norma e' infatti inserita tra quelle transitorie relative al titolo V, mentre l'art. 120, rientra nel titolo IV e riguarda espressamente "violazioni", tra le quali risulta difficile inserire concettualmente le situazioni costituenti presupposto per la revoca di cui si discute. 3. - Neppure le ulteriori censure prospettate nell'atto introduttivo del presente giudizio meritano accoglimento. In particolare non sussiste il denunciato vizio di difetto di motivazione, ne' l'asserita violazione del legittimo affidamento del ricorrente, e neppure i pretesi vizi di sviamento e di contraddittorieta', tenuto conto che il provvedimento impugnato ha natura vincolata e che il prefetto di Milano, in osservanza del dettato normativo, era obbligato a disporre la revoca della patente del ricorrente, una volta riscontrata la sussistenza nel caso concreto, peraltro indiscussa, dei presupposti di legge. Anche le censure relative ad asserite violazioni della legge n. 241/1990, in tema di individuazione del responsabile del procedimento e di partecipazione allo stesso, risultano infondate; da un lato perche' secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale (cfr. da ultimo Cons. Stato, V sez., 11 ottobre 1996, n. 1223) i principi partecipativi di cui sopra hanno un senso solo in caso di procedimenti che implichino il compimento di valutazioni discrezionali o almeno l'accertamento di circostanze di fatto suscettibili di vario apprezzamento; dall'altro perche' il ricorrente si limita a denunciare la violazione formale della legge citata, senza evidenziare quali concreti effetti pregiudizievoli gliene siano derivati. 4.1. - Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso dovrebbe essere respinto. Il collegio ritiene tuttavia di dover sottoporre alla Corte costituzionale, perche' rilevante e non manifestamente infondata, la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 120, comma 1, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, come successivamente sostituito dall'art. 5, del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, nella parte in cui prevede la revoca della patente anche nei confronti di coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali, senza che siano intervenuti provvedimenti riabilitativi... La questione e' rilevante perche' nella specie la revoca impugnata e' stata disposta nei confronti del ricorrente; appunto perche' sottoposto in passato a misura di sicurezza personale in seguito revocata, senza che peraltro sia poi intervenuta la riabilitazione. Essa non appare, d'altro canto, manifestamente infondata sotto i profili di seguito illustrati. 4.2. - In primo luogo appare dubbia la legittimita' costituzionale della norma citata in relazione ai principi di cui all'art. 3 della Costituzione, perche' la disposizione relativa a coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali determina una equiparazione che sembra ingiustificata ed irragionevole tra chi, in passato, e' stato assoggettato a tali misure, poi revocate, e chi invece vi e' in atto sottoposto. E' noto che le misure di sicurezza personali possono essere applicate, ex art. 202 c.p., soltanto alle persone riconosciute socialmente pericolose, cioe' a chi ha commesso taluno dei fatti indicati dal citato art. 202 ed e' probabile che commetta nuovi reati (art. 203). Esse hanno finalita' essenzialmente preventive e, pertanto, una durata non predeterminata, se non nel minimo; decorso tale periodo minimo il giudice rivaluta il profilo della pericolosita' sociale del soggetto (art. 208): nel caso questi risulti ancora pericoloso si provvede a successivi accertamenti; perche' la misura di sicurezza possa essere revocata e' necessario che la persona sottoposta abbia cessato di essere socialmente pericolosa (art. 207), cioe' si possa prevedere che non commettera' nuovi reati. Risulta quindi chiaro che, se la cessazione della misura di sicurezza, mediante la revoca della stessa, presuppone l'accertato venir meno della pericolosita' sociale del soggetto che vi era sottoposto, la differenza tra chi e' in atto assoggettato a misura di sicurezza personale e chi non lo e' piu' sta nel fatto che solo il primo, e non piu' il secondo, e' ancora ritenuto socialmente pericoloso. Non si comprende allora il perche' della censurata scelta legislativa espressa nell'art. 120, comma 1, del vigente codice della strada; se la revoca della patente ha, come gia' detto, finalita' eminentemente cautelare, volta ad evitare il pericolo che detto documento sia strumentalmente utilizzato per delinquere, non appare ragionevole porre a tal fine sul medesimo piano, cioe' assoggettare al medesimo trattamento, chi sia tuttora giudicato socialmente pericoloso (in quanto e' probabile che commetta nuovi reati) e chi non sia piu' considerato tale. In altri termini, rispetto al fine perseguito la disposizione della cui legittimita' costituzionale si dubita appare sproporzionata, perche' estende l'applicazione della misura cautelare a tutti coloro che siano o siano stati sottoposti a misure di sicurezza personali, senza differenziare in base all'attuale pericolosita' dei soggetti interessati; ed anche a ritenere legittima la scelta legislativa di prescindere, nel disporre la revoca della patente, dalla valutazione della pericolosita' sociale operata ai sensi degli artt. 199 ss. del codice penale, appare comunque irragionevole e sproporzionata un'applicazione del provvedimento in questione estesa anche a chi in passato sia stato sottoposto a misure di sicurezza, sulla base di una generalizzata presunzione di pericolosita', non verificata in concreto. L'irragionevolezza della scelta legislativa di cui si discute emerge anche dal confronto tra il trattamento riservato, ai fini della revoca della patente, a coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali e quello previsto nell'ultima parte del primo comma dell'art. 120 C.d.S. nei confronti delle persone condannate a pena detentiva non inferiore a tre anni; in tale ultimo caso la revoca e' disposta dal prefetto "... quando l'utilizzazione del documento di guida possa agevolare la commissione di reati della stessa natura". Nell'ipotesi considerata l'adozione del provvedimento in questione e' quindi subordinata ad una valutazione, in concreto, della attuale sussistenza di un rapporto tra titolarita' della patente e pericolosita' del soggetto, intesa quantomeno come possibilita' che lo stesso, in relazione alla specifica natura dei reati gia' commessi, si avvalga del documento di guida per delinquere nuovamente. L'attribuzione al prefetto di tale potere valutativo va collegata alla circostanza che il soggetto, benche' gia' condannato a pena di non lieve entita', non e' per cio' solo qualificabile come socialmente pericoloso e pertanto, ai fini dell'eventuale applicazione di una misura che incide in modo non irrilevante sulla sfera di liberta' dell'interessato, occorre che la pericolosita' dello stesso sia accertata in concreto. Premesso che le evidenti differenze esistenti tra le situazioni di chi e' stato condannato a pena detentiva e di chi e' stato sottoposto a misura di sicurezza impediscono di ravvisare profili di irragionevolezza dell'art. 120, comma 1, per avere diversamente disciplinato le ipotesi considerate, il raffronto tra le scelte operate in proposito dal legislatore appare comunque utile. Esso consente infatti di rilevare che l'applicazione del provvedimento di revoca della patente e' correlata in generale (e trova la sua giustificazione) alla riconosciuta possibilita' che il documento di guida sia strumento per la commissione di reati, possibilita' che a sua volta si riconnette ad una valutazione di pericolosita' del titolare della patente; tale valutazione e' espressa dall'autorita' giudiziaria (attraverso determinati provvedimenti di piu' ampia portata, la cui adozione si riflette anche ai fini che qui interessano), oppure dall'autorita' amministrativa (nell'ambito dello stesso procedimento finalizzato alla revoca); in ogni caso non manca una previa fase di accertamento e riconoscimento della pericolosita' del soggetto interessato. Alla regola generale fa eccezione (ad avviso del collegio ingiustificatamente ed irragionevolmente) il caso di coloro che sono stati sottoposti a misura di sicurezza, cioe' a misura la cui esecuzione e' cessata per revoca. A carico di costoro la revoca viene infatti disposta obbligatoriamente dal prefetto benche' sia cessata la pericolosita' sociale che aveva giustificato l'adozione della misura di sicurezza e senza che sia stato in seguito svolto nei loro confronti alcun ulteriore accertamento al riguardo e sia stata espressa una successiva valutazione di pericolosita'. Cio' induce a ritenere che nel quadro complessivo delineato dall'art. 120, comma 1, il richiamo a "coloro che... sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali" costituisce un elemento non omogeneo ed anzi disorganico. 4.3. - La legittimita' costituzionale della norma di cui si discute appare dubbia anche in relazione all'art. 4 della Costituzione, che contiene il riconoscimento del diritto al lavoro in favore di tutti i cittadini e vincola l'ordinamento a promuovere le condizioni che rendano effettivo tale diritto. E' superfluo sottolineare quanto sia importante in una societa' complessa la disponibilita' di un automezzo e, quindi, del relativo permesso di guida. Anche ai fini dell'attivita' lavorativa essa e' spesso essenziale. La revoca della patente nei confronti di chi in passato e' stato sottoposto ad una misura di sicurezza personale, poi revocata per la riconosciuta cessazione della pericolosita' sociale del soggetto, appare confliggente con i richiamati principi ex art. 4 Cost., perche' puo' pregiudicare ogni possibilita' di effettivo e definitivo recupero, attraverso una regolare attivita' lavorativa, di chi in atto non e' piu' ritenuto pericoloso per la compagine sociale. Non e' dunque ravvisabile in tale ipotesi alcuna ragione idonea a giustificare l'imposizione attraverso la revoca della patente, di una limitazione della sfera di liberta' dell'individuo che puo' rivelarsi estremamente grave, come e' nel caso dell'odierno ricorrente, che opera come autista alle dipendenze di una societa' di trasporti. In un caso del genere la revoca della patente puo' compromettere qualsiasi sforzo di recupero individuale, senza che il sacrificio imposto risulti giustificato con l'esigenza, verificata in concreto, di tutelare interessi preminenti. 5. - Cio' premesso, attesa la rilevanza delle questioni prospettate e ritenuta la loro non manifesta infondatezza, si dispone l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale degli atti del giudizio, di cui si ordina, nelle more, la sospensione.
P. Q. M. Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 4 della Costituzione, dell'art. 120, comma 1, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, come sostituito dall'art. 5, del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, nella parte in cui prevede la revoca della patente anche nei confronti di coloro che sono stati sottoposti a misure di sicurezza personali, senza che siano intervenuti provvedimenti riabilitativi, sospende il giudizio sul ricorso n. 4274 del 1997 e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Milano nella camera di consiglio del 29 gennaio 1998. Il presidente: Mariuzzo Il primo referendario est.: Testori 98C0794