N. 239 SENTENZA 1 giugno - 3 luglio 1998
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Previdenza e assistenza - Pensioni di guerra - Situazione di preesistente convivenza che abbia avuto a causa della guerra, durata inferiore ad un anno anche se accompagnata da altri elementi e circostanze circa la volonta' non equivoca del militare di contrarre matrimonio - Riconoscimento del diritto - Omessa previsione - Contrasto con il principio di ragionevolezza dell'attribuzione al dato temporale un valore cosi' assoluto - Illegittimita' costituzionale. (Legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 42, quarto comma; d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, art. 37, quinto comma). (Cost., art. 3)(GU n.27 del 8-7-1998 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: dott. Renato GRANATA; Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 42, quarto comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313 (Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra), e dell'art. 37, quinto comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), come modificato dall'art. 20 della legge 6 ottobre 1986, n. 656 (Modifiche ed integrazioni alla normativa sulle pensioni di guerra), promosso con ordinanza emessa il 10 luglio 1996 dalla Corte dei conti Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana sul ricorso proposto da Maria Catena Bonfiglio contro il Ministero del tesoro - Direzione generale per le pensioni di guerra, iscritta al n. 1269 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 1996. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 29 ottobre 1997 il giudice relatore Cesare Mirabelli. Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza emessa il 10 luglio 1996 nel corso di un giudizio promosso, per ottenere la pensione di guerra, da una donna che non aveva potuto contrarre matrimonio con un militare per la morte di quest'ultimo avvenuta a causa della guerra in Albania nel 1940, la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 42, quarto comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313 (Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra), e dell'art. 37, quinto comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), come modificato dall'art. 20 della legge 6 ottobre 1986, n. 656 (Modifiche ed integrazioni alla normativa sulle pensioni di guerra). Nel contesto di una disciplina che, ai soli effetti della pensione di guerra, considera come vedova la donna che non abbia potuto contrarre matrimonio per la morte del militare avvenuta a causa della guerra qualora il militare abbia rilasciato procura per la celebrazione del matrimonio o siano state chieste le prescritte pubblicazioni, le disposizioni denunciate stabiliscono che, anche in mancanza della procura o delle pubblicazioni, e' riconosciuto alla donna il diritto a pensione quando il militare, durante lo stato di guerra, abbia dichiarato di voler contrarre con essa matrimonio, purche' risulti, da apposito atto stragiudiziale o da altro documento certo, uno stato preesistente di convivenza da almeno un anno e purche' le circostanze che impedirono la celebrazione del matrimonio non risultino imputabili alla volonta' delle parti. Il giudice rimettente ritiene irrazionale ed arbitrario che il limite di durata minima della convivenza, per almeno un anno, valga anche quando questa durata sia stata impedita dagli stessi eventi le cui conseguenze pregiudizievoli la norma e' diretta ad indennizzare. Difatti la durata della convivenza dovrebbe comprovare il serio intento matrimoniale, che costituisce l'elemento comune ai tre criteri alternativi di assimilazione alla vedova di guerra, prescelti dal legislatore nel corso della evoluzione della disciplina in questa materia: la procura per la celebrazione del matrimonio, le pubblicazioni matrimoniali, la dichiarazione di voler contrarre matrimonio unitamente alla preesistente convivenza. Ad avviso dello stesso giudice, sarebbe irragionevole escludere l'assimilazione alla vedova quando la valutazione della stabilita' della convivenza possa essere desunta da circostanze diverse dalla sua durata, che non si realizza per il periodo minimo prestabilito dalla legge a causa di eventi non attribuibili alla volonta' delle parti. In questo caso l'assimilazione alla vedova di guerra verrebbe paradossalmente frustrata proprio dagli stessi eventi assunti a giustificazione dell'intervento solidaristico. La soluzione del dubbio di legittimita' costituzionale e' considerata rilevante nel giudizio principale, giacche' il militare deceduto aveva dichiarato di voler contrarre matrimonio con la ricorrente, ma la convivenza aveva avuto una durata inferiore all'anno anche se dall'unione era nato un figlio, di cui era stata accertata giudizialmente la paternita' ed al quale era stata poi concessa la pensione di guerra. 2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. L'Avvocatura ritiene che rientri nella discrezionalita' del legislatore stabilire che vi sia stato almeno un anno di convivenza per attribuire alla donna il diritto a pensione di guerra: cio' sarebbe conforme al razionale obiettivo di porre un limite alle aspettative nascenti dal rapporto con un militare, non seguito dal matrimonio. Sul piano della razionalita' la scelta del legislatore sarebbe contestabile solo dal suo interno. L'ammettere al beneficio la donna, nei cui confronti esisteva una procura a contrarre matrimonio o la richiesta di pubblicazioni, sarebbe fondato sulla presunzione che la guerra abbia impedito di contrarre un matrimonio seriamente programmato. La ricostruzione della volonta' del militare non basata su di un atto solenne ed impegnativo, ma riferita ad una convivenza protrattasi per oltre un anno, costituirebbe un'eccezione alla quale il giudice rimettente vorrebbe ulteriormente derogare se la durata della convivenza risulti impedita dagli stessi fatti che hanno reso impossibile il matrimonio; ma in tal modo si cadrebbe in un vizio logico, giacche' l'elemento che ha impedito il matrimonio svolgerebbe il duplice ruolo di sorreggere sia la deroga che l'eccezione, e si finirebbe con l'ammettere al beneficio la donna che, comunque, possa vantare l'intenzione del militare di sposarla al suo ritorno. Considerato in diritto 1. - Il dubbio di legittimita' costituzionale investe le disposizioni che - nel considerare come vedova, agli effetti della pensione di guerra, la donna che non abbia potuto contrarre matrimonio per la morte del militare avvenuta a causa della guerra non solo quando sia stata rilasciata procura per la celebrazione del matrimonio o siano state richieste le prescritte pubblicazioni, ma anche quando il militare abbia dichiarato di voler contrarre matrimonio e risulti uno stato preesistente di convivenza, purche' le circostanze che impedirono il matrimonio non risultino imputabili alla volonta' delle parti - richiedono sempre, in quest'ultimo caso, una durata della convivenza di almeno un anno. La Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana ritiene che questa disciplina - dettata dall'art. 42, quarto comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313 (Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra), e dall'art. 37, quinto comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), come modificato dall'art. 20 della legge 6 ottobre 1986, n. 656 (Modifiche ed integrazioni alla normativa sulle pensioni di guerra) - sia irrazionale ed arbitraria, quindi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui fa dipendere l'assimilabilita' alla vedova dalla condizione della durata minima di un anno della convivenza, senza eccettuare il caso in cui tale durata minima sia stata impedita dagli stessi eventi le cui conseguenze pregiudizievoli la norma e' diretta ad indennizzare, quando la stabilita' della convivenza possa essere desunta da circostanze diverse dalla sua durata. 2. - La questione e' fondata nei termini di seguito precisati. La legislazione pensionistica di guerra, sin dalla iniziale disciplina delineata dal decreto luogotenenziale 27 ottobre 1918, n. 1726 (Norme per la concessione delle pensioni privilegiate di guerra), ha previsto l'attribuzione della pensione alla vedova del militare morto per causa di servizio di guerra; ma ha anche considerato la situazione della donna che non abbia potuto contrarre matrimonio per essere il militare deceduto, assimilandola, ai soli effetti della pensione, alla vedova del militare, purche' sussistessero particolari requisiti, previsti dal legislatore come idonei a presumere che il matrimonio sarebbe stato contratto se la celebrazione, voluta dagli interessati, non fosse stata impedita dalle circostanze belliche. Le diverse norme che hanno disciplinato, succedendosi nel tempo (cfr. art. 2 del regio d.-l. 9 luglio 1936, n. 1470; art. 55 della legge 10 agosto 1950, n. 648), questa materia, hanno sempre considerato come vedova la donna che non abbia potuto contrarre il matrimonio per il quale il militare abbia rilasciato procura o siano state richieste le pubblicazioni, quando la morte sia intervenuta entro un determinato termine da tali atti e la mancata celebrazione non sia imputabile alle parti. In tal modo si e' attribuito rilievo presuntivo della volonta' di contrarre matrimonio, rimasta inattuata a causa della guerra, ad atti formali, per loro natura preordinati alla celebrazione delle nozze. Altre norme hanno anche riconosciuto - ma con discontinuita' nella successione delle diverse discipline, giacche' la situazione ora considerata non era prevista come idonea a costituire titolo per l'attribuzione della pensione di guerra dal regio d.-l. 9 luglio 1936, n. 1470 - il medesimo rilievo presuntivo della volonta' di contrarre matrimonio alla dichiarazione, resa dal militare nel corso della guerra, purche' vi fosse un preesistente e certo stato di convivenza. Nel tempo sono state disciplinate in modo non uniforme le puntuali condizioni nelle quali si sarebbe dovuto trovare il militare per rilasciare la dichiarazione, la forma della stessa, la prova della convivenza. Per quest'ultima la disciplina iniziale non richiedeva che lo stato di preesistente convivenza avesse una durata minima (art. 12 del decreto luogotenenziale n. 1726 del 1918). Le norme denunciate, introducendo nuovamente l'assimilazione, alla procura ed alle pubblicazioni di matrimonio, della dichiarazione di voler contrarre matrimonio purche' sussistesse uno stato certo di preesistente convivenza, hanno introdotto l'ulteriore elemento temporale della durata di tale convivenza per almeno un anno; questo in un contesto legislativo che, anche in altre situazioni, prevedeva una determinata durata del rapporto come essenziale perche' avesse rilievo la situazione idonea a dare titolo a pensione (nel caso del matrimonio contratto dopo le ferite o malattie di guerra la vedova acquistava il diritto a pensione solo se il matrimonio fosse durato non meno di un anno), prima che con la sentenza n. 450 del 1991 fosse dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 44 della legge n. 313 del 1968. Lo stato di preesistente convivenza ha, nelle norme denunciate, la finalita' di avvalorare la serieta' della dichiarazione di volonta' di contrarre matrimonio, quando non siano stati compiuti gli atti formali preordinati alla sua celebrazione ma risulti una situazione che renda inequivoca tale volonta'. L'elemento della durata connota uno stato di convivenza non episodico o transeunte ed il periodo minimo, predeterminato dal legislatore, puo' ragionevolmente avere efficacia presuntiva, appunto, della stabilita' che corrobora la serieta' della dichiarazione matrimoniale; ma, in funzione dell'elemento che la durata del rapporto tende a comprovare, e' incongruo rispetto alle finalita' perseguite, ed in contrasto quindi con il principio di ragionevolezza, attribuire al dato temporale un valore cosi' assoluto, da precludere che uno stato di convivenza che abbia avuto, a causa delle vicende belliche, una durata inferiore a quella prefissata, non possa essere in alcun modo idoneo ad avvalorare la presunzione che il matrimonio sarebbe stato contratto se non vi fosse stato l'impedimento della guerra; cio' quando il preesistente stato di convivenza sia accompagnato da elementi, quali la nascita di un figlio o altre circostanze, che comprovino in modo non equivoco la stabilita' del rapporto quale indice della volonta' di contrarre il matrimonio che non e' stato celebrato a causa della guerra.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 42, quarto comma, della legge 18 marzo 1968, n. 313 (Riordinamento della legislazione pensionistica di guerra), e dell'art. 37, quinto comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (Testo unico delle norme in materia di pensioni di guerra), come modificato dall'art. 20 della legge 6 ottobre 1986, n. 656 (Modifiche ed integrazioni alla normativa sulle pensioni di guerra), nella parte in cui non prevedono che il diritto a pensione puo' essere riconosciuto anche se lo stato di preesistente convivenza abbia avuto, a causa della guerra, durata inferiore ad un anno, purche' sia accompagnato da altri elementi e circostanze che dimostrino in modo non equivoco la volonta' del militare di contrarre matrimonio. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1998. Il Presidente: Granata Il redattore: Mirabelli Il cancelliere: Milana Depositata in cancelleria il 3 luglio 1998. Il cancelliere: Milana 98C0807