N. 559 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 marzo 1998

                                N. 559
  Ordinanza  emessa  il  26 marzo 1998 dalla Corte d'appello di Milano
 nel procedimento civile  vertente  tra  I.S.A.  s.r.l.  e  comune  di
 Miradolo Terme
 Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione
    delle  indennita'  espropriative per la realizzazione di' opere da
    parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media  tra
    il  valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la
    riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) -
    Mancata   previsione   della   subordinazione    dell'applicazione
    dell'abbattimento   del  quaranta  per  cento  dell'indennita'  di
    espropriazione, nel giudizio  di  determinazione  instaurato  dopo
    l'espropriazione,  all'accertamento  che  l'indennita' provvisoria
    offerta al privato fosse conforme ai criteri di legge - Disparita'
    di trattamento degli espropriati a seconda dei comportamenti della
    p.a.  -  Incidenza  sul  diritto  di  difesa  e  sui  principi  di
    imparzialita' e buon andamento della p.a.
 (D.-L.  11  luglio  1992, n. 333, art. 5-bis, comma 2, convertito con
    modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359).
 (Cost., artt. 3, 24 e 97).
(GU n.36 del 9-9-1998 )
                          LA CORTE D'APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile promossa in
 grado unico da:  I.S.A.  s.r.l.,  assistita  dagli  avvocati  Stefano
 Marchesi e Mario Miglio, attrice;
   Contro:  comune  di Miradolo Terme, assistito dall'avvocato Martino
 Colucci, convenuto.
   Il collegio, letti gli atti del procedimento;
   Premesso:
     che l'attrice  ha  chiesto  la  determinazione  giudiziale  delle
 indennita'  di  occupazione  e  di  espropriazione  dell'area  di sua
 proprieta', dovute dal convenuto, ente espropriante;
     che il presidente della provincia di Pavia, con decreto 8  agosto
 1995,   n.   266,   aveva  determinato  l'indennita'  provvisoria  di
 esproprio, sulla base di un valore  venale  del  terreno  pari  a  L.
 45.000  al  metro quadro, in L. 13.542 al mq. al netto della falcidia
 del 40% (L. 22.540/mq.   in  caso  di  cessione  volontaria),  mentre
 l'attrice  pretendeva che il valore venale fosse pari a L. 160.000 al
 metro quadro;
     che dalla consulenza tecnica assunta in istruttoria e' emerso che
 il valore venale dell'area al momento dell'espropriazione era  di  L.
 60.901  al  mq.,  e  conseguentemente  l'indennita' di espropriazione
 (parametro  di  riferimento  anche  dell'indennita'  di   occupazione
 secondo  la giurisprudenza di legittimita') doveva essere determinata
 in L.   17.330.000, pari alla  semisomma  del  valore  venale  e  del
 coacervo  decennale dei redditi catastali, ovvero in L. 10.400.000 al
 netto della falcidia del 40%;
     che il comune di Miradolo Terme ha  comunicato  allora  all'altra
 parte   la  propria  disponibilita'  a  corrispondere,  a  titolo  di
 indennita' di espropriazione e di occupazione, le somme indicate  dal
 consulente,  e precisamente, quanto all'indennita' di espropriazione,
 quella al netto della falcidia del 40%,
                             O s s e r v a
   Oggetto di controversia tra le parti del presente giudizio e',  tra
 l'altro,  la  applicabilita'  o meno della falcidia del 40%, prevista
 dall'art. 5-bis, legge n. 359 del 1992 cit., alla  indennita'  dovuta
 per una espropriazione disposta successivamente all'entrata in vigore
 della  5-bis,  legge  8  agosto  1992,  n.  359, avendo l'espropriato
 rifiutato  la  cessione   volontaria   sulla   base   dell'indennita'
 provvisoria  determinata dal presidente della provincia, e avendo poi
 l'ente espropriante comunicato all'espropriato in corso di  causa  la
 disponibilita'   alla  determinazione  convenzionale  della  predetta
 indennita'  sulla  base  degli  elementi  accertati  dal   consulente
 d'ufficio nominato dal giudice.  L'espropriato, che si dichiara a sua
 volta   disponibile  "alla  cessione  volontaria  del  bene"  per  un
 corrispettivo pari a quello indicato dal consulente tecnico, contesta
 che ricorrano i presupposti  per  l'applicazione  della  falcidia,  e
 contesta  quindi  la  pretesa  del comune espropriante di beneficiare
 dell'abbattimento del 40% dell'indennita' in  ragione  della  mancata
 cessione  volontaria.  Egli prospetta, per tale evenienza, la lesione
 del suo diritto soggettivo ad un congruo indennizzo  per  la  perdita
 del  bene  "in quanto l'uso del ricorso giudiziario porterebbe, anche
 nella fondatezza della ragione, ad un risultato peggiorativo".
    Sebbene il  rifiuto  dell'espropriato  di  convenire  la  cessione
 volontaria  fosse  nella  fattispecie giustificato dall'insufficienza
 della indennita' determinata in via  provvisoria,  ritiene  la  Corte
 che,  nell'attuale assetto normativo della materia, la determinazione
 giudiziale della stima non potrebbe omettere l'abbattimento  del  40%
 previsto  dall'art.   5-bis, legge 8 agosto 1992, n. 359. Il predetto
 abbattimento, infatti,  e'  contemplato  quale  metodo  ordinario  di
 determinazione  della  stima,  che  puo'  essere  evitato  solo dalla
 convenzione con cui le parti addivengano alla cessione volontaria del
 bene.  Questa  e'  possibile   "in   ogni   fase   del   procedimento
 espropriativo",   ma   solo   fino   all'emissione   del  decreto  di
 espropriazione (con il quale  quel  procedimento  termina),  giacche'
 questo  provvedimento,  procurando  all'ente  espropriante l'acquisto
 della proprieta', ne  priva  l'espropriato,  il  quale  non  potrebbe
 pertanto  piu'  disporne  per  cederlo alla pubblica amministrazione.
 Secondo l'interpretazione piu' accreditata, scopo del legislatore  e'
 quello  di  offrire  un  incentivo  alla composizione non contenziosa
 della  vertenza;  ma  appunto  per  questa  ragione   il   beneficio,
 costituito   da   un   significativo   aumento   dell'indennita'   di
 espropriazione rispetto a quello previsto  in  via  ordinaria  e  che
 sconta  l'abbattimento  del  40%, e' necessariamente subordinato alla
 conclusione di una cessione volontaria.
   In questa cessione deve ravvisarsi una convenzione che,  quantunque
 inserita   in   un   procedimento   amministrativo,  conserva  natura
 privatistica, e nella sua  fase  di  perfezionamento  si  sottrae  al
 sindacato  del  giudice.    Vero  e'  che  la  consistenza di diritto
 soggettivo della posizione del privato che subisce  il  provvedimento
 ablatorio,  e la conseguente necessita' di dare compiuta applicazione
 alla riserva di legge contenuta nell'art.  42,  comma  terzo,  Cost.,
 imporrebbero   di  limitare  l'area  di  esplicazione  dell'autonomia
 negoziale dell'ente espropriante sotto un  duplice  profilo.  Per  un
 verso,  infatti,  la  determinazione del corrispettivo della cessione
 non  sembra  liberamente  negoziabile,  ma,  piuttosto,  correlata  a
 parametri  di  liquidazione  predeterminati  dalla  legge;  per altro
 verso, dovrebbe escludersi per l'ente espropriante la possibilita' di
 sottrarsi ad una cessione volontaria offerta dal privato, al fine  di
 conseguire il bene attraverso un provvedimento di espropriazione e il
 pagamento  di  una  indennita'  inferiore  (gia'  la  formula ambigua
 dell'art. 12,  della  legge  n.  865/1971,  la  quale  prevedeva  per
 l'espropriato  la  facolta'  di  accettare, entro trenta giorni dalla
 notifica, l'indennita' provvisoria offerta dall'espropriante, con una
 consistente  maggiorazione  dell'indennita'  provvisoria  medesima  -
 formula che lasciava  sussistere  il  dubbio  se  l'accettazione  del
 privato  fosse vincolante per l'espropriante - era stata chiarita dal
 successivo art. 14, legge n. 10/1977 nel senso che si  tratta  di  un
 vero e proprio diritto del privato).
   Queste  considerazioni non bastano tuttavia, ad avviso della Corte,
 ad assicurare un meccanismo di liquidazione dell'indennita', nel caso
 di   cessione   volontaria,   che   vada   esente   da    dubbi    di
 costituzionalita'.     Occorre  a  questo  riguardo  muovere  da  due
 premesse. Innanzi tutto, sebbene  l'indennita'  determinata  a  norma
 dell'art.  5-bis,  legge n.  359 del 1992, al netto dell'abbattimento
 del 40 per cento, sia stata ritenuta un  serio  indennizzo,  tale  da
 soddisfare  il precetto dell'art.  42, comma terzo, Costituzione, non
 si puo' dubitare del fatto che l'intero corrispettivo della  cessione
 volontaria  concordata  tra  il privato e la pubblica amministrazione
 debba considerarsi (anche nella  parte  corrispondente  alla  mancata
 applicazione  dell'abbattimento) oggetto per il privato di un diritto
 soggettivo pieno, tutelato dall'art.   42,  comma  terzo,  Cost.,  in
 quanto diretto appunto, nella sostanza, ad indennizzare il sacrificio
 del  diritto  di  proprieta',  ancorche'  maggiorato  in funzione del
 comune  interesse  delle  parti  ad   una   composizione   rapida   e
 convenzionale   del   conflitto.   In  secondo  luogo,  tuttavia,  la
 realizzazione di questo diritto soggettivo e' stata  dal  legislatore
 subordinata  ad  un  meccanismo negoziale, che dipende dall'autonomia
 delle parti e non puo' essere sindacato dal giudice.
   La tutela giurisdizionale del diritto  sarebbe  garantita  qualora,
 nell'ambito  del  procedimento  di' determinazione dell'indennita' di
 espropriazione,  la  determinazione   amministrativa   della   giusta
 indennita'   dovuta   per   legge   costituisse   un  presupposto  di
 legittimita' della cessione volontaria  convenuta  tra  le  parti,  e
 qualora  poi  la  possibilita'  offerta  al  privato  di convenire la
 cessione volontaria su tale base fosse  essa  stessa  presupposto  di
 legittimita'  dell'abbattimento  del  40%  dell'indennita' nella sede
 dell'accertamento  giurisdizionale.    La  determinazione  giudiziale
 dell'indennita'  comporterebbe allora l'abbattimento del 40% solo sul
 presupposto di un accertamento dell'indennita' dovuta in  una  misura
 corrispondente   -   o   inferiore   -  a  quella  offerta  dall'ente
 espropriante  (e  della  conseguente  infondatezza  del  rifiuto  del
 privato   di  convenire  la  cessione  volontaria).  In  tale  quadro
 l'attivita' della pubblica amministrazione  risulterebbe  interamente
 vincolata.   Lo   stesso   giudice  ordinario,  una  volta  accertata
 l'indennita' dovuta in una misura eventualmente  maggiore  di  quella
 offerta,  dovrebbe disapplicare l'atto amministrativo illegittimo, e,
 non essendosi  verificato  il  presupposto  di  legittimita'  per  la
 applicazione   dell'abbattimento   del   40%,   dovrebbe  determinare
 l'indennita' dovuta in misura conforme ai parametri di legge ma senza
 falcidiarla  del 40%.
   Ad un simile risultato non sembra tuttavia consentito pervenire nel
 quadro della disciplina vigente.  La  formulazione  dell'art.  5-bis,
 legge  n. 359 del 1992, cit., sembra opporre un ostacolo insuperabile
 a   quella   ricostruzione,   laddove   implicitamente   esclude   la
 possibilita'  stessa  che  in  sede  giurisdizionale  (laddove  cioe'
 l'omesso perfezionamento della  cessione  volontaria  e'  presupposto
 dell'azione)  l'abbattimento  del 40% possa essere mai omesso. Non e'
 infatti   consentito   l'accertamento   delle   cause   del   mancato
 perfezionamento  della  cessione volontaria nell'ipotesi - in pratica
 assai comune, e che si e' verificata nella fattispecie sottoposta  al
 giudizio  della  Corte - di disaccordo sull'ammontare dell'indennita'
 dovuta per legge  (un  ostacolo  ad  assicurare  alla  posizione  del
 privato  nella  cessione  volontaria effettiva consistenza di diritto
 soggettivo e' costituito  dalla  circostanza  che  la  determinazione
 dell'indennita', nel sistema istituito dall'art. 5-bis, legge n.  359
 del   1992,  non  ha  carattere  meramente  tabellare  -  come  nella
 previsione dell'art. 12, legge n. 865 del 1971 -  ma  include  tra  i
 presupposti del calcolo la determinazione del valore venale del bene,
 e cioe' un dato accertabile solo con il ricorso alle tecniche offerte
 dalla  scienza  dell'estimo);  e  non  e'  conseguentemente  prevista
 neppure la possibilita'  di  sanzionare  l'eventuale  responsabilita'
 della   pubblica   amministrazione,   che   (omettendo  una  proposta
 rigorosamente conforme ai parametri di legge, ovvero  non  accettando
 una   proposta   conforme   a  tali  parametri  ma  divergente  dalla
 valutazione  espressa  in  sede  di  determinazione   di   indennita'
 provvisoria)  non  abbia  consentito  al privato di conseguire con il
 meccanismo della cessione  volontaria  quanto  effettivamente  a  lui
 dovuto, con l'esclusione dell'abbattimento del 40% (nella fattispecie
 in  esame  all'insufficienza  obiettiva  dell'indennita'  offerta  si
 contrapponevano    le    pretese    eccessive    ed    ingiustificate
 dell'espropriato, e un tale contrasto puo' ricorrere fisiologicamente
 in  una  trattativa  precontrattuale).  Il  relativo  accertamento e'
 previsto e disciplinato dalla legge solo come conseguenza del mancato
 accordo in ordine alla cessione volontaria, con la conseguenza che la
 pubblica amministrazione, ancorche' nell'accertamento dell'indennita'
 provvisoria sia vincolata ai parametri  di  legge,  nel  determinarsi
 alla  cessione  volontaria  opera  nella  sfera  della  sua autonomia
 privata,  e  la  sua  manifestazione  di  volonta'  al  riguardo  non
 costituisce   un   atto   amministrativo,  la  cui  legittimita'  sia
 sindacabile in sede giurisdizionale.
   Nel meccanismo degli artt. 11 e 12, della legge 22 ottobre 1971, n.
 865, (applicabile propriamente e nella sua completezza solo nel  caso
 di  espropriazione  di  aree  non edificabili, ma che, in mancanza di
 qualsiasi altra disciplina, offre tuttora il modello di base  per  la
 fase di determinazione dell'indennita' anteriore all'espropriazione),
 in effetti, la indennita' di espropriazione da corrispondere a titolo
 provvisorio  deve  essere  determinata  in  base  ai criteri di legge
 (oggi,  in  base  ai  criteri  indicati  dall'art.  5-bis,  legge  n.
 359/1992);  tuttavia,  la  notifica  di  essa  non ha propriamente il
 valore di una proposta di cessione volontaria, la cui  iniziativa  e'
 invece   chiaramente   riservata   al   privato   (e  da  esercitare,
 originariamente, in un termine perentorio). La formulazione letterale
 dell'art. 5-bis, cpv., legge n. 359 del 1992  cit.,  pur  sostituendo
 all'aumento   del   50%  dell'indennita'  provvisoria  la  esclusione
 dell'abbattimento del 40%, e pur modificando il termine di decadenza,
 conferma  questa  impostazione  e  vieta  di  vedere  nella  notifica
 dell'indennita'  provvisoria  una  proposta  di  cessione volontaria.
 D'altra parte, se nella notifica in questione volesse  ravvisarsi  un
 atto  che  ha  la  concorrente  funzione  di  consentire  al  privato
 l'esercizio del diritto soggettivo di cedere volontariamente il  bene
 per   un   prezzo  corrispondente  alla  indennita'  non  falcidiata,
 all'interessato non potrebbe comunque ritenersi preclusa, nel sistema
 delineato dalla norma, la possibilita' di dichiarare la  volonta'  di
 cedere volontariamente il bene per il diverso prezzo che a suo avviso
 deriva  dalla  applicazione  dei  criteri legali. In altre parole, la
 determinazione  negoziale  dell'ente   espropriante   alla   cessione
 volontaria,   sia   essa   per   una   indennita'   pari   a   quella
 provvisoriamente  determinata  (e  non  falcidiata)  e  sia  per   il
 superiore  importo  eventualmente  indicato  dal privato, conserva in
 ogni caso la sua natura privatistica, e la  sua  autonomia  giuridica
 rispetto al decreto di determinazione dell'indennita' provvisoria.
   Ora,   la   determinazione   dell'ente   espropriante,   certamente
 insindacabile  nel  caso  della  cessione  volontaria  (non   essendo
 ipotizzabile  una  ripetizione di indebito nel caso di determinazione
 convenzionale del prezzo in misura superiore ai parametri di  legge),
 non  puo'  che  avere  identico  regime  nel  caso opposto, in cui la
 cessione volontaria non abbia luogo, non residuando alcuno spazio per
 un accertamento giudiziale delle  relative  responsabilita'  (vale  a
 dire,  del fatto che l'accordo sia mancato per le richieste eccessive
 del  privato   o   per   l'offerta   insufficiente   della   pubblica
 amministrazione).
   Di  qui  due  conseguenze  di rilievo. In primo luogo, nel presente
 giudizio,    l'impossibilita'    di    accogliere    le     richieste
 dell'espropriato,   che  quell'accertamento  giudiziale  in  sostanza
 chiede. In secondo luogo,  tuttavia,  il  dubbio  non  manifestamente
 infondato  circa  la  legittimita'  costituzionale  di un sistema che
 rende   possibile   una   consistente    variazione    dell'ammontare
 dell'indennita'  di  espropriazione,  in  ragione  anche soltanto del
 comportamento(privatistico  negoziale,  e  come  tale)  insindacabile
 della  pubblica  amministrazione,  vale  a  dire della sua maggiore o
 minore disponibilita' ad accedere al punto di vista  del  privato  in
 ordine  alla  determinazione  di  uno  degli  elementi essenziali del
 calcolo dell'indennita', qual  e'  il  valore  venale  del  bene.  Le
 conseguenze   di  una  tale  impostazione  diventano  particolarmente
 evidenti nel caso in cui, rifiutando una  indennita'  che  a  ragione
 ritiene  inferiore al dovuto, il privato si veda costretto a tutelare
 il suo buon diritto in un giudizio che, riconoscendone la fondatezza,
 lo  vanifichera'  di  fatto;  e  cio'  perche'  l'applicazione  della
 falcidia  del  40  %  sulla  maggiore indennita' accertata ridurrebbe
 quest'ultima al di sotto di quella (gia' insufficiente) a  suo  tempo
 offerta dalla pubblica amministrazione.
   In  tal modo risultano lesi dalla disciplina dell'art. 5-bis, legge
 n. 359 del 1992 cit., al tempo stesso, il  principio  di  uguaglianza
 dei  cittadini  davanti  alla legge (art. 3 Cost.), posto che il loro
 trattamento in  caso  di  procedimento  di  espropriazione  varia  in
 ragione     di    comportamenti    insindacabili    della    pubblica
 amministrazione,   e   quello   di   imparzialita'   della   pubblica
 amministrazione   (art.   97   Cost.),   in   ragione  della  diversa
 disponibilita', di fatto consentita alla pubblica amministrazione,  a
 negoziare  la  cessione  volontaria. Ma la disciplina in esame sembra
 ledere anche il principio di legalita' della  azione  della  pubblica
 amministrazione  (ancora art. 97 Cost.):  il riferimento ai parametri
 di legge nella determinazione dell'indennita'  provvisoria,  infatti,
 ancorche' sanzionabile nella sede della giurisdizione amministrativa,
 non condiziona il potere espropriativo della pubblica amministrazione
 (l'art.  13,  legge  22 ottobre 1971, n. 865, subordina il decreto di
 espropriazione solo alla condizione che l'indennita' provvisoria, non
 accettata, sia stata depositata presso la Cassa depositi e prestiti),
 e non garantisce pertanto una tutela adeguata in ordine alla cessione
 volontaria per un prezzo  corrispondente  a  quello  stabilito  dalla
 legge.  Infine,  la  disciplina  in esame risulta comunque lesiva del
 principio della tutela giurisdizionale dei diritti (art.  24  Cost.),
 dal momento che l'accertamento del diritto leso metterebbe capo ad un
 regolamento punitivo per la parte che intendeva farlo valere.
   La   decisione   del   presente  giudizio,  nel  punto  controverso
 concernente    l'applicabilita'     dell'abbattimento     del     40%
 dell'indennita'  previsto  dall'art.  5-bis,  legge  n. 359 del 1992,
 dipende in definitiva dalla decisione in  ordine  alla  questione  di
 costituzionalita'  della  disciplina  sotto  i  profili in precedenza
 considerati. Tale  questione  non  pare  manifestamente  infondata  e
 impone  pertanto  la  rimessione  alla  Corte costituzionale, a norma
 dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, mentre il presente giudizio
 deve essere sospeso.
                               P. Q. M.
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale  per  il  giudizio  incidentale  sulla  questione  non
 manifestamente infondata di illegittimita'  costituzionale  dell'art.
 5-bis, comma 2, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito,
 con  modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, per violazione
 degli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, nella  parte  in  cui  non
 subordina  l'applicazione  dell' abbattimento del 40% dell'indennita'
 di espropriazione, nel giudizio  di  determinazione  instaurato  dopo
 l'espropriazione,   all'accertamento   che  l'indennita'  provvisoria
 offerta al privato fosse conforme ai criteri di legge;
   Ordina che a cura della  cancelleria  l'ordinanza  di  trasmissione
 degli  atti  alla  Corte  costituzionale sia notificata alle parti in
 causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e  che  essa
 sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
   Dichiara  sospeso  il  presente  giudizio sino alla definizione del
 giudizio incidentale di legittimita' costituzionale.
   Cosi' deciso a Milano, in camera di consiglio, il giorno  26  marzo
 1998.
                         Il presidente: Novita'
 98C0924