N. 573 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 1998

                                N. 573
  Ordinanza emessa il 29 gennaio 1998 dal Consiglio nazionale  forense
 sul ricorso proposto da Toscano Vincenzo
 Avvocato e procuratore - Iscrizione all'albo - Divieto per i pubblici
    dipendenti - Previsione, con norma autoqualificata interpretativa,
    dell'inapplicabilita'  agli impiegati di pubbliche amministrazioni
    con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa
    non  superiore  al  cinquanta  per cento di quella a tempo pieno -
    Irragionevolezza - Introduzione di norma innovativa  celata  sotto
    veste  interpretativa  -  Incidenza  sul  diritto di' difesa e sui
    principi di  indipendenza  ed  autonomia  della  magistratura,  di
    fedelta'  alla  Repubblica  e servizio esclusivo della Nazione dei
    pubblici impiegati, di imparzialita' e buon andamento della p.a.
 Avvocato e procuratore -  Iscrizione  all'albo  -  Abrogazione  delle
    disposizioni  che  vietano  l'iscrizione  all'albo  per i pubblici
    dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione
    lavorativa non superiore al cinquanta per cento di quella a  tempo
    pieno  -  Irragionevolezza - Incidenza sul diritto di difesa e sui
    principi di  autonomia  ed  indipendenza  della  magistratura,  di
    fedelta'  alla  Repubblica  e servizio esclusivo della Nazione dei
    pubblici impiegati, di imparzialita' e buon andamento della p.a.
 (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma  56;  d.-l.  28  marzo
    1997, n. 79, art. 6, convertito in legge 28 maggio 1997, n. 140).
 (Cost., artt. 3, 24, 54, 70, 97, 98, 101 e 104).
(GU n.36 del 9-9-1998 )
                    IL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza;
   Visto  il  ricorso  n.  170/1997  r.g.  proposto dal dott. Vincenzo
 Toscano, rappresentato e difeso dall'avv. Guido Belmonte, avverso  la
 decisione   in  data  27  aprile  1997  con  la  quale  il  Consiglio
 dell'ordine degli avvocati di Napoli  rigettava  la  sua  domanda  di
 iscrizione all'albo degli avvocati - part-time;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visti gli atti di causa;
   Relatore  alla  pubblica  udienza del 29 gennaio 1998 il consiglire
 Paolo Pauri e udito il sostituto procuratore generale presso la Corte
 di cassazione Domenico Iannelli;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F a t t o
   Con atto depositato in data 3 luglio 1997 il dott. Vincenzo Toscano
 ha  proposto  ricorso  al  Consiglio  nazionale  forense  contro   il
 Consiglio  dell'ordine  di  Napoli,  ai sensi dell'art. 31 r.d.-l. 27
 novembre 1933, n. 1578, per  l'annullamento  della  deliberazione  27
 aprile 1997, con la quale e' stata rigettata la domanda di iscrizione
 all'Albo degli avvocati.
   Il  dott. Vincenzo Toscano, dipendente del Ministero del bilancio e
 programmazione economica, in base alla legge  23  dicembre  1996,  n.
 662,  ha  stipulato  con  l'amministrazione  un  contratto  di lavoro
 part-time in data 18 marzo 1997 ed ai sensi degli artt. 56-65, stessa
 legge, ha avanzato, in data 10 aprile  1997,  domanda  di  iscrizione
 all'albo.
   In  data 14 giugno 1997, il Consiglio dell'ordine degli avvocati di
 Napoli ha comunicato al ricorrente che nella  seduta  del  29  aprile
 1997,  era  stato  deliberato  il  rigetto  dell'istanza contro detto
 provvedimento.
   Il dott. Toscano si duole del provvedimento, con ricorso presentato
 il 3 luglio 1997, per i seguenti motivi.
   Nel rito, non sarebbero mai stati formalmente richiesti chiarimenti
 al ricorrente ai sensi dell'art. 6, d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, prima
 dell'audizione e  cio'  avrebbe  impedito  di  preparare  un'adeguata
 illustrazione difensiva.
   Nel  merito  si denuncia errata applicazione dell'art. 1, commi 56,
 56-bis, 58-bis, legge 23 dicembre 1996, n. 662,  anche  in  relazione
 all'art.  6,  legge  28 maggio 1997, n. 140, di conversione del d.-l.
 28 marzo 1997, n. 90.
   Il Consiglio dell'ordine sarebbe caduto in evidente errore  laddove
 ha  ritenuto  che  "quale  che  sia  l'ambito  di applicazione che si
 ritenga di conoscere all'art. 1 comma  56,  56-bis,  della  legge  23
 dicembre  1996, n. 662, e' da escludere che da esso possa derivare il
 venir meno delle incompatibilita' tra la professione  di  avvocato  e
 rapporto d'impiego pubblico e privato", in quanto le norme istitutive
 del  rapporto  d'impiego  part-time  eliminano,  in via di principio,
 l'ipotesi prima esistente  della  incompatibilita'  tra  l'impiego  e
 l'iscrizione all'albo: le norme richiamate infatti danno per certa la
 possibilita' del patrocinio da parte del dipendente part-time.
   Sulla   scorta   di   tali   premesse   il  ricorrente  ha  chiesto
 l'annullamento  della  deliberazione  del  Consiglio  di   Napoli   e
 l'iscrizione all'Albo degli avvocati.
                             D i r i t t o
   Il  Consiglio  nazionale  forense che per autorevole giurisprudenza
 (Corte   costituzionale   n.   171/1996)   ha    la    rappresentanza
 istituzionale,  e  la  legittimazione  e interesse per ogni questione
 concernente l'avvocatura, che svolge un  ruolo  essenziale  pubblico,
 pronunciando   sul   ricorso   in   questione,  preliminarmente  alle
 considerazioni di  merito  ritiene  di  ufficio,  non  manifestamente
 infondate   le   questioni   di   legittimita'   costituzionale   che
 pacificamente e' legittimata a sollevare (Cass.    ss.uu.,  1974,  n.
 2177;  Cass.  ss.uu., 1976, n. 1030; CNF:, 28 novembre 1974, in Rass.
 For., 1977, 21; CNF:, 28 novembre 1974,  ivi,  28;  CNF.,  25  giugno
 1977,  ivi,  1980, 14.), in quanto anche in materia di tenuta di albi
 svolge funzioni giurisdizionali, relativamente agli artt.   1,  comma
 56,  della  legge 23 dicembre 1996, n. 662, e art. 6, d.-l.  28 marzo
 1997, n. 79, convertito nella legge 28 maggio 1997, n.  140,  che  ha
 aggiunto  all'art. 1, comma 56, sopra richiamato il comma 56-bis, per
 contrasto con gli artt. 70, 101, 104 (legge innovativa  celata  sotto
 veste  interpretativa), 3 per irragionevolezza e discriminazione, 24,
 57, 97 e 98 Costituzione.
   Infatti i dubbi di costituzionalita' sono stati gia' avvertiti  nel
 secondo  parere  del  C.N.F.  del  20 giugno 1997, nel quale e' stato
 ribadito il rilievo costituzionale dell'avvocato, in quanto partecipe
 della funzione di difesa, garantita e  protetta  dalla  costituzione,
 avvertendosi    dell'inquinamento   che   potrebbe   derivare   dalla
 interpretazione contraria alterando in modo  determinante  la  figura
 dell'avvocato  (aspetto  questo, sia detto per inciso, che ha portato
 in  linea  teorica  a   preferire   una   interpretazione   creatrice
 maggiormente  conforme ai valori costituzionali, secondo un principio
 astrattamente da  condividere:    Corte  Cost.,  823/1988;  369/1988;
 370/1988).  E'  appena  il  caso  di  osservare  che  di  fronte alle
 espressioni letterali degli artt. 56 e  56-bis,  della  normativa  in
 questione  non  e'  prospettabile alcuna interpretazione adeguatrice,
 sicche' non puo' sorgere alcun dubbio  circa  la  ammissibilita'  del
 rinvio alla Consulta della questione la cui rilevanza sulla decisione
 di  merito  (accoglimento  o  rigetto della istanza di iscrizione) e'
 evidente.
   Le  principali  questioni di incostituzionalita' e per piu' aspetti
 possono cosi' riassumersi:
   1. - Non pare dubbio che, con  la  disposizione  dell'art.1,  comma
 56-bis,  della  legge  1997,  il legislatore abbia voluto prospettare
 come interpretativa una legge che invece tale natura non ha.  Proprio
 la  interpretazione  dell'art.  1,  comma 56, nei sensi sopraindicati
 mostra come, col comma 56-bis, nelle apparenti spoglie di  una  legge
 interpretativa si sia voluta invece una norma innovativa, che appunto
 disciplina  in  modo  diverso  la  situazione  precedente.  Se  ne ha
 conferma (a parte la interpretazione  in  tal  senso  corrente  nella
 stampa  di  opinione,  v.  ad  es.  il Sole 24 ore del 5 aprile 1997)
 persino nella circolare n. 6/1997 del 18 luglio 1997 della Presidenza
 del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica  (in
 Gazzetta  Ufficiale  22  luglio 1997 - serie generale - n. 169) che a
 pag. 24, n. 3, dopo avere accennato alle obiezioni insorte a  seguito
 dell'art.  1,  comma 56, della legge n. 662/1996, circa la permanenza
 delle norme di legge che stabiliscono l'incompatibilita' dello status
 di dipendente pubblico con l'esercizio  di  attivita'  professionali,
 testualmente  aggiunge:    "la questione e' stata chiarita dal citato
 decreto-legge  n.  79,  convertito  dalla  legge  n.   140/1997"   e,
 riferendosi  al  comma  aggiunto  56-bis  (art. 6, comma 2, del testo
 modificato  in  sede   parlamentare)   dice   che   esso   "chiarisce
 inequivocabilmente  che  l'iscrizione  del personale a tempo parziale
 negli   albi   professionali   da'   titolo    all'esercizio    della
 corrispondente attivita' professionale".
   Ora,  sono  note  le dispute circa la costituzionalita' delle norme
 interpretative, risolte in vario senso dalla prassi, ma  un  dato  e'
 certo:  non puo' considerarsi in linea con la nostra costituzione una
 norma interpretativa che interpretativa non sia, e che regoli in modo
 diverso  la   situazione,   pur   vestendo   i   panni   della   mera
 interpretazione.    Una  legge  del  genere  e'  contradittoria,  non
 veritiera e addirittura puo' considerarsi in frode alla legge (Corte,
 cost., 1990, n. 155; v. anche Cass. ss.uu.,  1983,  n.  1622;  Cass.,
 1986, n. 4182), e in violazione degli artt. 70, 101 e 104 Cost.
   2.  -  Anche  a  prescindere  da  tale  rilievo  che non puo' dirsi
 manifestamente infondato, sussiste  ancora  a  parere  del  consiglio
 altra  ragione  di  illegittimita' costituzionale che puo' formularsi
 nei seguenti termini:   e' consentito  al  legislatore,  in  sede  di
 abrogazione di leggi, porsi contro principi costituzionali, come tali
 insuperabili?  La  risposta non puo' che essere negativa; non e' piu'
 certo l'epoca della teoria  volontaristica  del  diritto,  quando  il
 legislatore  poteva  fare  de  albo nigrum e de rotundis quadrata, il
 controllo costituzionale sulle leggi ha stabilito precisi limiti  nei
 valori  costituzionali.  Tali  valori  per la libera professione sono
 rappresentati dalla indipendenza e dalla autonomia, e sono desumibili
 dagli artt. 24 e 3 della Costituzione,  e  sono  sicuramente  violati
 dalla disposizione legislativa in discorso:
     A) esattamente e' stato ritenuto (vedi relazione alla proposta di
 legge  Parrelli,  presentata  alla Camera il 25 febbraio 1997, col n.
 3274) che la figura del difensore nel nostro ordinamento  ha  diretto
 radicamento    nella   norma   costituzionale   (art.   24),   e   la
 incompatibilita' e' di diretta derivazione da  principi  di  civilta'
 giuridica,  atti  ad  assicurare  la  indipendenza, (in senso ampio e
 tecnico  di  mancanza  di  subordinazione)  del   difensore,   e   la
 inviolabilita'  del  diritto  di  difesa, nell'interesse generale del
 cittadino ad essere difeso con quelle garanzie di autonomia, liberta'
 e indipendenza, e cio' sulla base anche di  un  particolare  rapporto
 fiduciario, implicante fra l'altro doveri di segretezza.
   Il  diritto  di difesa, tutelato dall'art. 24 della Costituzione si
 estrinseca nella difesa tecnica esercitata  dall'avvocato,  strumento
 di  mediazione fra cittadino e Stato. La norma costituzionale postula
 i principi di assoluta indipendenza ed autonomia del difensore,  che,
 senza  condizionamenti  di qualsivoglia natura, deve poter effettuare
 le migliori opzioni, nell'interesse esclusivo  del  proprio  cliente.
 Il  dipendente pubblico, che scelga il tempo determinato, conserva un
 rapporto organico, addirittura di  immedesimazione  con  la  pubblica
 amministrazione   di   appartenenza  il  che  costituisce  una  grave
 limitazione sotto il profilo generale, al principio di  autonomia  ed
 indipendenza  del difensore. Ne' vale ad esorcizzare il rischio di un
 grave inquinamento della professione  forense  e  delle  garanzie  di
 autonomia ed indipendenza della stessa, la norma dell'art. 56-bis che
 ha  ritenuto  di  limitare  la possibilita' di esercizio della libera
 professione  nei  procedimenti  nei  quali  sia  parte  la   pubblica
 amministrazione,  in quanto si puo' verificare spesso che la pubblica
 amministrazione non sia parte in  senso  formale  o  processuale,  ma
 resti   parte  in  senso  sostanziale,  o  sia  comunque  interessata
 all'esito della controversia. E' dunque evidente il  grave  attentato
 che  le norme di cui all'art. 1, commi 56 e 56-bis, arrecano all'art.
 24 della Costituzione, non garantendo, come deve essere (Corte  cost.
 1974/255;  1987/100;  1990/517; 1988/37 e 38) la difesa, coi rilevati
 caratteri della autonomia e della indipendenza;
     B) le disposizioni in esame sono  prive  di  ragionevolezza,  con
 violazione    dell'art.    3    Cost.,    laddove   dimenticano   che
 l'impiegato-partimista   deve   esercitare    continuativamente    la
 professione,  perche'  questo  e'  il presupposto per iscriversi alla
 cassa previdenza;
     C) nel confronto fra l'interesse  della  temporanea  e  materiale
 utilizzazione  del  tempo  parziale  per  i  pubblici dipendenti e il
 valore  della  garanzia  della  difesa,   coi   rilevati   caratteri,
 privilegiare  il  primo  a  scapito del secondo e' privo di qualsiasi
 ragionevolezza,  con  palese  violazione   degli   artt.   3   e   24
 Costituzione;
     D)  infine,  un  ulteriore  profilo  di incostituzionalita' nelle
 norme in discorso e' relativo alla  posizione  della  p.a.,  che,  ai
 sensi  dell'art.  97  Cost., e' organizzata secondo la legge, in modo
 che  siano  assicurati  il  buon  funzionamento  e  la  imparzialita'
 dell'amministrazione medesima. Questa garanzia di imparzialita' viene
 meno   allorquando,   in   deroga   al   fondamentale  principio  del
 ricollegamento solo all'amministrazione della posizione del  pubblico
 dipendente,   a  questo  si  consente  lo  svolgimento  di  attivita'
 professionali che potrebbero legarlo ad altri interessi  di  rilievo,
 condizionanti  la  sua  attivita'  di  pubblico funzionario. Ed anche
 l'esigenza del buon andamento risulta incisa da un sistema, quale  il
 part-time   da   cui   consegue   una   sola   limitata  destinazione
 dell'attivita' lavorativa alle esigenze della amministrazione.
   Le disposizioni in questione contrastano, e per piu'  aspetti,  col
 principio di buon andamento della pubblica amministrazione:
     a)   esse   pongono   un   conflitto   tra   doveri:  quello  del
 professionista di osservare il segreto professionale e il dovere  del
 dipendente di osservare il segreto di ufficio;
     b)  altro conflitto e' quello tra diritti: il diritto inviolabile
 alla difesa e i doveri del servizio (ad esempio della segretezza  per
 il difensore e l'opposto obbligo dei pubblici dipendenti di informare
 la p.a. (artt 331 c.p.c. e 358 c.p.);
     c)  il conflitto e' poi tra autorita' a cui il partimista sarebbe
 soggetto.  Si  pensi  allo  sciopero,  egli  sarebbe  soggetto   alla
 commissione di vigilanza, ai Consigli dell'ordine e alla p.a.;
     d)  infine  resterebbe violato l'art. 54 della Costituzione per i
 doveri di fedelta' alla  Repubblica  degli  impiegati  pubblici,  che
 confliggono  con i doveri del difensore, e l'art. 98 con i doveri del
 pubblico impiego.
   Per tali  ragioni,  poiche'  la  questione  non  e'  manifestamente
 infondata,  appare  opportuno che essa sia sottoposta all'esame della
 Corte costituzionale.
                                P. Q. M.
   Ritenuta  la  non  manifesta  infondatezza   della   questione   di
 incostituzionalita'  dell'art.  1,  comma  56 della legge 23 dicembre
 1996, n. 662, e art.  6, d.-l. 28 marzo 1997, n. 79, convertito nella
 legge 28 maggio 1997, n. 140, che ha aggiunto all'art. 1,  comma  56,
 sopra  richiamato  il  comma  56-bis, per contrasto con gli artt. 70,
 101, 104 (legge innovativa celata sotto veste  interpretativa);  art.
 3,  per  irragionevolezza  e  discriminazione,  artt. 24, 54, 97 e 98
 Costituzione;
   Dispone  la  immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Ordina  che  a  cura  della  segreteria  la  presente ordinanza sia
 notificata alle parti del processo e al Presidente del Consiglio  dei
 Ministri  e  sia comunicata al Presidente del Senato ed al Presidente
 della Camera dei deputati;
   Sospende il processo in corso.
     Roma, addi' 29 gennaio 1998
                        Il presidente: Buccico
                                                    L'estensore: Pauri
 98C0938