N. 593 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 febbraio 1998

                                N. 593
  Ordinanza emessa il 13 febbraio 1998 dal tribunale  di  Potenza  nel
 procedimento civile vertente tra Stigliani Giovanna ed altri e comune
 di Marsiconuovo
 Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione
    delle  indennita'  espropriative  per la realizzazione di opere da
    parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media  tra
    il  valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la
    riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) -
    Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura  dei
    risarcimenti  dovuti  per illegittime occupazioni acquisitive, con
    l'aumento dell'importo stesso del 10 per cento  in  considerazione
    della  incostituzionalita'  del precedente criterio dichiarata con
    sentenza n. 369/1996 - Ritenuta  persistente  inadeguatezza  della
    nuova  misura  del  risarcimento  -  Incidenza  sul  principio  di
    uguaglianza  e  sul  diritto  di  proprieta'  e  sui  principi  di
    imparzialita' e buon andamento della p.a.
 (Legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 5-bis, comma 7-bis, aggiunto dalla
    legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65).
 (Cost., artt. 3, 42 e 97).
(GU n.36 del 9-9-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  emesso  la seguente ordinanza nella causa civile in primo grado
 iscritta, in data 10 ottobre 1990, col  n.  1795  al  ruolo  generale
 nell'anno  1990  e  vertente  tra Stigliani Giovanna, Palermo Flora e
 Sassano Antonio, quest'ultimo quale procuratore generale di Montesano
 Giovanni in forza  di  mandato  generale  del  14  gennaio  1971  per
 Consolato  generale in Caracas, elettivamente domiciliati in Potenza,
 presso lo studio dell'avv.  Antonio  Autilio  che  li  rappresenta  e
 difende  come  da mandato a margine dell'atto di citazione, attori, e
 comune di Marsiconuovo, contumace, convenuto.
   Premesso:
     che, con  decreto  21  maggio  1982  il  comune  di  Marsiconuovo
 disponeva  l'occupazione  di  urgenza dei terreni di proprieta' degli
 attori siti in localita' Campitelli di Marsiconuovo  e  riportati  in
 catasto  al  foglio  30,  particelle 53, 54, 55, 56, 57, 58 e 59, per
 procedere ai lavori di costruzione di un'edificio scolastico ed opere
 annesse;
     che con altro decreto n.  3  del  7  febbraio  1983  la  medesima
 amministrazione  comunale  di Marsiconuovo procedeva alla occupazione
 d'urgenza dei terreni di proprieta' degli attori siti nella  medesima
 localita'   Campitello   dell'abitato  di  Marsiconuovo  (foglio  30,
 particelle  53,  57,  58,  54,  56)  per  la  realizzazione  di   una
 costruzione da  adibire ad asilo nido;
     che  non  appare  controversa la titolarita' della proprieta' dei
 beni occupati in testa agli attori;
     che   l'amministrazione   procedente   dopo   aver   eseguito  le
 occupazioni d'urgenza  e  realizzato  le  opere    predette,  non  ha
 provveduto  ad emettere i rituali decreti di esproprio nei termini di
 cinque anni, come previsto nei provvedimenti di occupazione;
     che nelle more del giudizio e' intervenuta la nuova normativa  in
 materia   di  liquidazione  del  danno  da  occupazione  illegittima,
 contenuta nel comma 7-bis, dell'art. 5-bis,della legge 8 agosto 1992,
 n. 359, aggiunto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996,
 n. 662, a norma del quale "in  caso  di  occupazioni  illegittime  di
 suoli per causa di pubblica utilita', intervenute anteriormente al 30
 settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del danno i criteri
 di   determinazione  dell'indennita'  di  cui  al  primo  comma,  con
 esclusione della riduzione del 40 per cento. In  tal  caso  l'importo
 del risarcimento e' altresi' aumentato del 10 per cento";
     che  tale  disposizione si applica anche ai procedimenti in corso
 non ancora definiti con sentenza passata in giudicato.
                             O s s e r v a
   La. norma in questione risulta emanata dal legislatore dopo neppure
 due mesi dalla declaratoria di incostituzionalita'  della  previgente
 disciplina  della  liquidazione  del danno da occupazione illegittima
 contenuta nel comma 6, dell'art. 5-bis, della legge 8 agosto 1992, n.
 359.
   A parere di questo tribunale, peraltro, neppure la nuova  normativa
 in  esame  si  sottrae  da  fondati  dubbi  di  costituzionalita' che
 impongono quindi la rimessione della questione al vaglio del  giudice
 delle leggi.
   A  questo  fine  appare  positiva la verifica dei presupposti della
 rilevanza nel presente giudizio della norma in questione e della  non
 manifesta  infondatezza  della  questione  di costituzionalita' della
 medesima.
   Sotto il primo profilo deve, infatti, rilevarsi  che  nel  caso  di
 specie  risulta  venuta  all'esame  di  questo  tribunale  una tipica
 fattispecie  di  occupazione   appropriativa   caratterizzata   dalla
 sussistenza  di  tutti  i  requisiti  che  la  denotano  (intervenuta
 dichiarazione di pubblica utilita'  implicita  nell'approvazione  del
 progetto dell'opera da eseguire; mancata emanazione del provvedimento
 di  espropriazione; realizzazione dell'opera pubblica con conseguente
 irreversibile trasformazione ed incorporazione del fondo;).
   Quanto poi alla non manifesta infondatezza essa risulta,  a  parere
 di questo tribunale, dai rilievi che seguono:
     1)  preliminarmente  va osservato che, secondo l'assunto espresso
 dallo stesso giudice delle leggi con la sentenza 2 novembre 1996,  n.
 369,  la disciplina della misura del risarcimento del danno derivante
 da accessione invertita si pone quale risultante di un  bilanciamento
 di interessi sostanzialmente diverso da quello caratterizzante invece
 la  determinazione  dell'entita'  dell'indennizzo  da liquidare nelle
 fattispecie  in  cui   la   procedura   ablatoria   si   sia   svolta
 legittimamente.
   Piu' precisamente, mentre nel primo caso la misura del risarcimento
 dovrebbe  realizzare il punto di equilibrio "tra l'interesse pubblico
 al mantenimento dell'opera pubblica gia'  realizzata  e  la  reazione
 dell'ordinamento  a  tutela della legalita' violata per effetto della
 manipolazione-distruzione illecita del  bene  privato",  nel  secondo
 alla base della quantificazione dell'indennizzo sarebbe l'equilibrato
 componimento  "tra interesse pubblico alla realizzazione dell'opera e
 interesse del privato alla conservazione del bene".
   Di   qui   l'illegittimita'   della   parificazione   del   quantum
 risarcitorio  alla  misura  dell'indennizzo   sancita   dalla   Corte
 costituzionale  con la sentenza 2 novembre 1996, n. 369, sia sotto il
 profilo della ragionevolezza intrinseca ex art. 3 della  Costituzione
 (risultando nella occupazione appropriativa l'interesse pubblico gia'
 essenzialmente soddisfatto dalla non restituibilita' del bene e dalla
 conservazione  dell'opera  pubblica),  sia sotto quello dell'art. 42,
 secondo  comma,  Cost.,  evidentemente  vulnerato  dalla  perdita  di
 garanzia  che  al  diritto  di  proprieta'  deriverebbe  laddove tale
 equiparazione fosse accolta. Tanto premesso, deve tuttavia  rilevarsi
 come  il  meccanismo  di  determinazione  del  risarcimento del danno
 introdotto dal comma 7-bis, dell'art.  5-bis  della  legge  8  agosto
 1992, n. 359, aggiunto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre
 1996,   n.  662,  a  seguito  della  declaratoria  di  illegittimita'
 costituzionale della precedente  disciplina,  appaia  sostanzialmente
 elusivo  dei principi posti dalla Corte alla base della sua pronuncia
 e  si  esponga  quindi  alle  medesime  censure  gia'  formulate   in
 precedenza.
   In  particolare,  il  persistente riferimento ai criteri (semisomma
 tra il valore venale ed il reddito  dominicale  rivalutato)  previsti
 dal comma 1 dell'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992, n. 359, per la
 quantificazione  dell'indennita'  di  espropriazione, pur se corretto
 con l'esclusione della detrazione del 40%  prevista  in  relazione  a
 questa  e  con  l'aumento del 10% rispetto alla somma cosi' ottenuta,
 non vale evidentemente ne' ad esprimere  coerentemente  la  "radicale
 diversita'  strutturale  e funzionale" dell'obbligazione risarcitoria
 rispetto a quella indennitaria, ne' a realizzare  quella  riparazione
 adeguata  che,  anche  a  prescindere  dall'attuazione  della  regola
 generale della integralita' del risarcimento del danno  da  illecito,
 deve comunque essere assicurata in tali ipotesi dal legislatore.
   In  questo  senso  va infatti sottolineato come l'unico elemento di
 novita'  introdotto  dalla   norma   in   esame   sia   rappresentato
 dall'aumento   del   10%  sancito  per  le  ipotesi  di  risarcimento
 conseguente  ad  occupazione  appropriativa  rispetto   all'ammontare
 ordinario dell'indennizzo, dovendosi infatti dubitare che l'ulteriore
 detrazione  del  40% avrebbe potuto essere effettivamente applicata a
 fattispecie  che  come  quelle  in  esame  appaiono   sostanzialmente
 incompatibili con l'istituto della cessione volontaria.
   La  stessa  affermazione  fatta  dalla  Corte  costituzionale nella
 citata pronuncia n. 369/1996  secondo  cui  anche  nelle  ipotesi  di
 occupazione  privativa  sarebbe  possibile  al  proprietario del bene
 accettare in via transattiva  l'offerta del valore mediato del  suolo
 e  quindi, in mancanza di tale accettazione, applicare al danneggiato
 la  detrazione  del  40%,  appare,   infatti,   chiaramente   fondata
 sull'estensione  a  tale  caso degli effetti dell'intervento additivo
 operato sul testo dell'art.   5-bis, della legge 8  agosto  1992,  n.
 359,  dalla  pronuncia  della Consulta del 10 giugno 1993, n. 283, in
 relazione  all'indennita'  di  esproprio  e   conseguentemente   deve
 ritenersi  vada  intesa come limitata alle sole occupazioni privative
 perfezionatesi anteriormente all'entrata in  vigore  della  legge  n.
 359/1992.
   Eccezion  fatta  per  tali  casi di diritto transitorio, l'istituto
 della  cessione  volontaria  deve  invece   considerarsi   non   solo
 astrattamente  incompatibile  sotto  il  profilo  funzionale con ogni
 ipotesi di occupazione acquisitiva, risultando la sua  applicabilita'
 indissolubilmente   connessa   con  lo  svolgimento  di  un  regolare
 procedimento espropriativo, ma neppure concretamente utilizzabile  in
 tali  casi,  in  quanto essendo gia' intervenuto un titolo traslativo
 della proprieta' del bene (l'occupazione appropriativa da parte della
 p.a. appunto) l'operativita' della fattispecie  negoziale  rimarrebbe
 comunque preclusa.
   Da  cio'  la  conseguenza  che  l'unico  elemento differenziale tra
 ammontare dell'indennizzo e  quantum  risarcitorio  introdotto  dalla
 norma    denunciata   rispetto   alla   previgente   disciplina   sia
 effettivamente costituito dal menzionato aumento del 10% che, sebbene
 pari ad una somma di poco superiore al 5% del valore venale del  bene
 (stante   la   particolare  esiguita'  della  componente  di  calcolo
 rappresentata dal reddito dominicale rivalutato), negli  intenti  del
 legislatore   dovrebbe   esprimere  sia  la     "radicale  diversita'
 strutturale e funzionale" ritenuta dalla pronuncia  n.  369/1996  tra
 l'obbligazione   risarcitoria  e  quella  indennitaria,  sia  attuare
 quell'intervento normativo "ragionevolmente  riduttivo  della  misura
 della   riparazione"   dovuta   in   questi   casi   dalla   pubblica
 amministrazione.
   L'ammontare  palesemente  irrisorio  della  somma  rende   tuttavia
 evidente la sua inadeguatezza allo scopo e la portata sostanzialmente
 elusiva  dei  principi  affermati  dalla  Corte  costituzionale nella
 sentenza  n.  369/1996  caratterizzante  il   nuovo   meccanismo   di
 determinazione  del  risarcimento  del  danno,  nei cui confronti non
 possono quindi non  riproporsi  le  medesime  censure  relative  alla
 violazione degli artt. 3, primo comma, 42, secondo comma, e 97, primo
 comma,  della  Costituzione gia' positivamente apprezzate dal giudice
 delle leggi in relazione alla previgente  disciplina  legislativa  in
 materia.
   Peraltro, deve osservarsi che la norma denunciata non sembra idonea
 a realizzare la ragionevole riduzione dell'ammontare del risarcimento
 ritenuta ammissibile dalla Corte nella citata sentenza n. 369/1996 in
 relazione  alle  ipotesi  di  c.d.  accessione  invertita non solo in
 ragione dell'ammontare previsto,  ma  per  gli  stessi  parametri  di
 riferimento  e  commisurazione  assunti a tale fine dal legislatore e
 che, coincidendo con quelli utilizzati per  la  determinazione  della
 misura  dell'indennizzo espropriativo, non appaiono tali da esprimere
 adeguatamente  la  diversa  struttura  e   funzione   caratterizzante
 l'obbligazione risarcitoria.
    La  semplice  maggiorazione  percentuale disposta su di un importo
 derivante dall'applicazione al caso  concreto  del  criterio  mediato
 (semisomma  tra il valore venale ed il reddito dominicale rivalutato)
 previsto dal comma 1, dell'art. 5-bis, della legge 8 agosto 1992,  n.
 359,  per  la  determinazione  dell'indennita' di espropriazione, non
 puo' infatti essere in grado di riportare  nell'ambito  della  logica
 risarcitoria un meccanismo di calcolo rispondente ad esigenze diverse
 ed  in  cui  la  discrezionalita'  legislativa  trova ampio ambito di
 esplicazione, potendo tenere conto delle stesse ragioni della finanza
 pubblica.
   D'altronde,   se   la   ragionevolezza   dell'intervento  normativo
 limitativo  della  misura  del  risarcimento  dipende  effettivamente
 dall'equilibrato   componimento   di   un   complesso   di  interessi
 sostanzialmente diversi  da  quelli  caratterizzanti  le  fattispecie
 espropriative   (quello   dell'amministrazione   alla   conservazione
 dell'opera   di   pubblica   utilita'   assieme    al    contenimento
 dell'incremento di spesa correlativa e quello del privato ad ottenere
 la  riparazione  del danno subito), la ragionevole attuazione di tale
 bilanciamento  postula  necessariamente  un  autonomo  meccanismo  di
 determinazione e limitazione della somma da risarcire che, fondato su
 specifici  criteri,  sia appunto idoneo ad assicurare il contenimento
 del sacrificio dell'interesse privato  alla  totale  riparazione  del
 danno  nei  limiti della stretta strumentalita' alla realizzazione di
 quello pubblico.
   Cio' emerge con ancora maggiore evidenza se si consideri gli  esiti
 controintuitivi   derivanti   dall'utilizzazione  del  meccanismo  di
 determinazione  dell'indennizzo   dovuto   nei   casi   di   regolare
 espropriazione   in  relazione  ad  ipotesi  in  cui  la  misura  del
 risarcimento imposto  alla  p.a.,  seppure  compressa,  sembra  dover
 rispondere  oltre  che  a  una funzione riparatoria anche a quella di
 sanzione per la violazione del  principio  di  legalita'  dell'azione
 amministrativa;
     2)  sotto  altro profilo deve invece rilevarsi l'irragionevolezza
 dei  risultati  che  l'art.  7-bis  determina  riferendosi  in   modo
 onnicomprensivo  alle  "occupazioni illegittime di suoli per cause di
 pubblica utilita'".
   Con tale previsione vengono infatti ad essere  accomunate  ai  soli
 fini   della   determinazione  della  misura  del  risarcimento  aree
 (edificabili, agricole, non edificabili ) aventi vocazione diversa  e
 rispetto alle quali il criterio dell'art. 5-bis, non opera egualmente
 nell'ambito  del  procedimento  di commisurazione della indennita' di
 esproprio  (essendo  infatti  la  sua   operativita'   esplicitamente
 limitata alle aree edificabili).
   Alla  pluralita' di criteri indennitari viene cosi' a far riscontro
 l'unitarieta' del parametro assunto ai fini della determinazione  del
 risarcimento  dovuto  in caso di occupazione acquisitiva delle stesse
 aree, del tutto coincidente peraltro (salvo la maggiorazione del  10%
 e la non operativita' della riduzione del 40%) con quello preordinato
 alla   commisurazione   dell'indennizzo  espropriativo  per  i  suoli
 edificabili.
   Il che, pure ammettendo che  in  relazione  alle  aree  edificabili
 possa  rispondere  ad  una  logica conforme ai principi enucleati dal
 giudice delle leggi nella  sua  pronuncia  n.  369/1996  (conclusione
 peraltro  da  rigettarsi  alla luce di quanto in precedenza esposto),
 determinerebbe comunque un'irragionevole  disparita'  di  trattamento
 tra  le  ipotesi di espropriazione legittima dei suoli agricoli o non
 edificabili, rispetto a  cui  l'indennizzo  verrebbe  commisurato  ai
 sensi  del  comma  4,.dell'art.  5-bis, della legge 8 agosto 1992, n.
 359, sulla base  del  valore  agricolo  medio  e  quindi  secondo  un
 criterio  prossimo  a quello venale ed i casi di occupazione illecita
 degli stessi in cui, in conseguenza dell'applicazione della norma  di
 cui  all'art.  7-bis,  l'ammontare del risarcimento dovuto dalla p.a.
 verrebbe ad essere quantificato ad un livello inferiore.
   Tali  le  considerazioni  che  inducono  il Collegio a ritenere non
 manifestamente infondata la questione di  costituzionalita'  relativa
 al  comma  7-bis, dell'art. 5-bis, della legge 8 agosto 1992, n. 359,
 aggiunto dall'art. 3, comma 65, della  legge  23  dicembre  1996,  n.
 662,  sotto  il  profilo della violazione degli artt. 3, primo comma,
 42,  secondo  comma,  e  97  primo  comma,  della   Costituzione   e,
 conseguentemente, a sollevarla d'ufficio.
                               P. Q. M.
   Sospende  il  giudizio,  disponendo  l'immediata trasmissione degli
 atti alla Corte costituzionale;
   Dispone che la presente ordinanza venga  notificata  a  cura  della
 cancelleria  alle  parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri,
 nonche' comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
     Potenza, addi' 13 febbraio 1998
                        Il presidente: Borraccia
 98C0966