N. 656 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 marzo 1998
N. 656 Ordinanza emessa il 6 marzo 1998 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Sicilia nel giudizio di responsabilita' proposto dal procuratore regionale nei confronti di Irecoop-Sicilia Corte dei conti - Giudizio di appello - Previsione, secondo il "diritto vivente", che il giudice di secondo grado possa pronunciarsi anche solo su una parte del merito, rinviando gli atti alla sezione giurisdizionale, che ha emesso la sentenza di primo grado, per l'applicazione del principio di diritto da esso affermato e la decisione della restante parte della domanda - Violazione del principio della liberta' ed indipendenza del giudice. Subordinatamente: Corte dei conti - Potere di rischiesta all'amministrazione e di ordine alle parti di produzione di atti e documenti ritenuti necessari alla decisione della controversia, nonche' di ordine al procuratore generale di disposizione di accertamenti diretti anche in contraddittorio delle parti (c.d. potere sindacatorio) - Violazione del principio di uguaglianza delle parti del giudizio - Incidenza sul diritto di difesa. (R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, artt. 14 e 105). (Cost., artt. 3, 24 e 101).(GU n.39 del 30-9-1998 )
LA CORTE DEI CONTI Ha emesso la seguente ordinanza n. 69/98/ord. resp. nel giudizio di responsabilita', iscritto al n. 4742 del registro di segreteria, promosso dal procuratore regionale, in favore della regione siciliana, nei confronti dell'Irecoop-Sicilia (Istituto regionale per gli studi cooperativi), in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, domiciliato per la carica in Palermo, via Ugo La Malfa n. 87/89. Sentiti alla pubblica udienza del 6 marzo 1998 il relatore, consigliere dott. Giuseppe Aloisio ed il pubblico ministero nella persona del vice procuratore generale dott. Antonio Dagnino. Esaminati gli atti ed i documenti del giudizio. F a t t o Con atto di citazione depositato in data 5 ottobre 1994, il procuratore regionale ha convenuto in giudizio l'Irecoop-Sicilia, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, chiedendone la condanna al pagamento, in favore della regione siciliana, di L. 34.427.822, somma facente parte di finanziamenti concessi dall'assessorato regionale al lavoro all'ente convenuto e risultata a debito a seguito della revisione definitiva dei rendiconti di spesa. Con sentenza n. 287/1995 del 27 aprile 1995, la sezione giurisdizionale per la regione siciliana assolveva l'Irecoop-Sicilia dall'addebito contestatogli. Avverso la suddetta sentenza, il procuratore regionale proponeva atto di appello innanzi alle sezioni giurisdizionali centrali d'appello che, con sentenza della sez. III, n. 249/1997 del 26 febbraio 1997, accoglieva l'impugnazione del procuratore regionale; in particolare il giudice d'appello, nel sindacare il mancato esercizio del potere sindacatorio da parte di questa sezione, che era pervenuta "... ad una pronuncia assolutoria, pur in assenza di soddisfacenti elementi di prova dei fatti posti a fondamento della domanda ...", annullava la sentenza impugnata, rimettendo gli atti a questo giudice, ai sensi dell'art. 105 del regolamento di procedura, "... affinche' subordini la sua pronuncia ai dovuti accertamenti istruttori ...". Con atto di riassunzione del 1 ottobre 1997, il procuratore regionale chiedeva la fissazione dell'udienza di discussione del giudizio, confermando la domanda di condanna formulata con l'atto di citazione; richiesta ribadita dal pubblico ministero all'udienza odierna. D i r i t t o L'art. 105 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, dispone che "Quando in prima istanza la competente sezione giurisdizionale si sia pronunciata soltanto su questioni di carattere pregiudiziale, su queste esclusivamente si pronunciano in appello le sezioni riunite. Quando invece in prima istanza la sezione si sia pronunciata anche sul merito, le sezioni riunite possono conoscere di questo, oppure rinviare la causa al primo giudice". La costante giurisprudenza della suddetta norma da parte della giurisprudenza di questa Corte consente al giudice di appello - diversamente da quanto prevede l'art. 354 del codice di procedura civile - di limitare la propria pronuncia alle questioni pregiudiziali, di definire il giudizio pronunciandosi anche nel merito, di trattare solo una parte del merito, a prescindere dall'esistenza di questioni pregiudiziali, rinviando gli atti al giudice di primo grado per la definizione del giudizio, in applicazione di quanto statuito in sede di appello. Nella fattispecie odierna, la sezione III giurisdizionale centrale d'appello ha annullato la sentenza impugnata, rimettendo ai sensi dell'art. 105 del regolamento di procedura gli atti a questo giudice per la definizione del giudizio, dopo l'esperimento dei "dovuti accertamenti istruttori", censurando espressamente il mancato esercizio del potere sindacatorio da parte della sezione. Il collegio, rilevato che la interpretazione costante dell'art. 105 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038 costituisce diritto vivente, ritiene di dovere nuovamente proporre la questione di legittimita' costituzionale della norma predetta per contrasto con l'art. 101, secondo comma della Costituzione, gia' sollevata da questa sezione con ordinanze nn. 42/1998 del 17 aprile 1998, 129/1998 dell'8 ottobre 1997 e 142/1998 del 6 ottobre 1997. Si ribadisce, infatti, che l'applicazione dell'art. 105 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, nei termini indicati, determina - come nella fattispecie oggetto dell'odierno giudizio - un assoggettamento del giudice di primo grado alle statuizioni del giudice di appello, tanto marcato da limitare la formazione e l'espressione del suo convincimento per la definizione della causa, affidandogli in definitiva il compito di dare attuazione alla decisione di un altro giudice, con la manifesta lesione dei principio sancito dall'art. 101, secondo comma, della Costituzione. Principio che - come gia' affermato nelle citate ordinanze di questa sezione, in linea con la consolidata giurisprudenza costituzionale - "...garantisce la liberta' e l'indipendenza del giudice, nel senso di vincolare la sua attivita' alla legge e solo alla legge, in modo che egli sia chiamato ad applicarla senza interventi ed interferenze al di fuori di essa, che possano incidere sulla formazione del suo libero convincimento, anche se non esclude che il giudice possa essere assoggettato alle valutazioni che la legge da' dei rapporti, degli atti e dei fatti, e al rispetto degli effetti che ne desume, quando cio' sia conforme al precetto costituzionale ovvero alle regole del procedimento di formazione graduale della pronuncia giurisdizionale (sent. n. 50 del 1970 e n. 234 del 1976). Quel che, dunque, la legge non puo' fare e' introdurre vincoli che abbiano oggettivamente il solo o principale effetto di ridurre il giudice a mero esecutore della decisione assunta da altri, precludendo l'espressione del suo convincimento sulle questioni dalle quali dipende la soluzione della causa". In tal senso, pertanto, deve essere proposta la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 105 del Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti. Qualora la Corte costituzionale non dovesse ritenere fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 105 citato, la sezione, gradatamente, solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, nei termini e nei limiti di seguito esposti. Infatti, premesso che la sezione d'appello ha annullato con rinvio la sentenza n. 287/1995, ritenendo l'assoluzione del convenuto pronunciata "...in assenza di soddisfacenti elementi di prova dei fatti posti a fondamento della domanda...", e condizionando la definizione del giudizio all'esperimento dei "...dovuti accertamenti istruttori..." da parte del giudice di primo grado, si ritiene necessaria una verifica sul piano della costituzionalita' dell'art. 14 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, che prevede il potere della Corte di conti (tradizionalmente definito sindacatorio) di "...richiedere all'amministrazione e ordinare alle parti di produrre gli atti e i documenti che crede necessari alla decisione della controversia e ... ordinare al procuratore generale di disporre accertamenti diretti anche in contraddittorio delle parti...". La consolidata giurisprudenza di questa Corte - superando un diverso orientamento giurisprudenziale espresso in passato - ha attribuito alla c.d. "sindacatorieta'" la natura di potere-dovere di ricerca della prova da parte del giudice, cosi' esteso da superare i limiti oggettivi e soggettivi della domanda (ss.rr. 3 maggio 1988 n. 579/A), consentendogli di determinare autonomamente l'oggetto del giudizio, individuare i soggetti responsabili ed acquisire gli elementi di prova a sostegno della domanda (sez. giur. reg. Calabria 24 novembre 1992, n. 17, ss.rr. 10 giugno 1986, n. 496/A). Ad avviso del collegio, la atipicita' del potere sindacatorio cosi' inteso, nel senso di riconoscere al giudice un potere di ricerca autonoma e piena delle fonti materiali di prova e non di integrazione degli elementi di prova offerti dall'attore a sostegno della domanda, contrasta con il principio di imparzialita' ed indipendenza del giudice oltre che con il principio di tutela delle parti. In definitiva, ad avviso del collegio, attribuire al potere sindacatorio una portata cosi' ampia da consentire al giudice di colmare del tutto le lacune dell'impianto accusatorio del procuratore regionale determinerebbe essenzialmente la sua sostituzione ad una delle parti processuali, con la conseguenza che la sezione dovrebbe farsi carico non solo di una attivita' preliminare di "interpretazione" della domanda del p.m. e di individuazione degli elementi sui quali essa si fonda, ma altresi' di ricerca delle prove sulla sussistenza di danno e colpa grave (o dolo) del convenuto. D'altra parte, il mutato quadro normativo ha ampliato la consistenza dei poteri istruttori del p.m. presso la Corte dei conti, consentendo all'attore di instaurare il giudizio di responsabilita' precisando compiutamente il contenuto della domanda, in conformita' all'art. 163 del codice di procedura civile: anche a tale fine assumono un particolare rilievo processuale gli istituti dell'invito a dedurre e della presentazione dei documenti, previsti dagli artt. 5, commi 1 e 6, e 2, comma 4, del d.-l. n. 453 del 1993. Ad avviso del collegio, nell'odierno giudizio la sezione di appello ripropone emblematicamente una applicazione esasperata della sindacatorieta', considerato che il procuratore regionale - come correttamente affermato nella sentenza appellata - si e' limitato a citare per relationem atti dell'amministrazione regionale, svincolando la propria domanda dall'accertamento della effettiva sussistenza del danno erariale e dell'elemento psicologico del dolo o della colpa grave. La sezione ritiene che demandare al giudice tale compito, sostanzialmente sostituendosi alla iniziativa probatoria di una delle due parti mediante l'esperimento del potere di ordinanza previsto dall'art. 14 del r.d. n. 1038 del 1933, causa una rilevante modifica della realta' processuale e si pone in contrasto con il principio di terzieta' e imparzialita' del giudice, nonche' con il principio della tutela sostanziale delle parti processuali, determinando una grave lesione dei diritti di eguaglianza e di difesa, costituzionalmente garantiti dagli artt. 3 e 24 della Costituzione. Sotto tale profilo il collegio, nel richiamare la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale in materia (cfr., in part., nn. 121 del 1977, 178 e 215 del 1979), rileva come l'art. 24 della Costituzione (definito "la massima garanzia strumentale prevista dall'ordinamento") possa essere invocato ogni qual volta una norma accordi una posizione sostanziale di vantaggio, al fine di "... assicurare sul piano processuale la tutela di una situazione giuridica riconosciuta dal diritto sostanziale ...". In particolare sulla posizione del pubblico ministero, la Corte costituzionale (pur riconoscendo che il p.m. esercita i poteri-doveri connessi alla sua funzione esclusivamente a tutela di interessi generali nell'ambito dell'osservanza della legge) ha rilevato che tutte le volte che lo stesso ha veste di parte nel processo, come quando esercita le funzioni di accusa, sussiste l'esigenza di rispettare la posizione di parita' delle parti nel procedimento (sent. n. 2 del 1974). Nell'ipotesi contraria, in cui le parti non fossero poste in condizioni di completa ed effettiva eguaglianza, verrebbe alterata la regola del contraddittorio, che costituisce un corollario del diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione (sent. n. 27 del 1972); in particolare, la sostituzione del giudice nella ricerca autonoma e piena degli elementi di prova pone il p.m. in una ingiustifica posizione di privilegio processuale, esonerandolo dall'onere di provare la domanda prospettata. Sulla ammissibilita' delle dedotte questioni di legittimita' costituzionale, nel confermare le argomentazioni gia' esposte nelle citate ordinanze nn. 129/1998, 42/1998 e (... ord. Luciana), e con riferimento quanto gia' statuito dalla Corte costituzionale 21 luglio 1995, n. 345, si osserva che l'intervento della Corte costituzionale e' consentito anche nella ipotesi di una verifica della costituzionalita' di un indirizzo interpretativo consolidato di una norma, che costituisce diritto vivente, nella ipotesi in cui il giudice remittente reputi non conforme alla Costituzione la costante applicazione della norma. Sotto il profilo della rilevanza di entrambe le questioni prospettate, il collegio rileva come il presente giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla loro soluzione, da cui deriva la permanenza dei notevoli limiti imposti a questo giudice.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 105 e 14 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, nei termini di cui in motivazione, con riferimento il primo (art. 105) all'art. 101 della Costituzione ed il secondo (art. 14) agli artt. 3 e 24 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il processo sino all'esito del giudizio incidentale di costituzionalita'; Ordina che, a cura della segreteria della sezione, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e alle parti in causa, e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 6 marzo 1998. Il presidente: Acconcia 98C1056