N. 706 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 maggio 1997- 9 settembre 1998

                                N. 706
  Ordinanza   emessa   il   20   maggio  1997  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 9 settembre 1998) dalla  Corte  di  cassazione  sul
 ricorso proposto da I.N.P.S. contro Di Corato Riccardina ed altre
 Previdenza   e   assistenza  sociale  -  Indennita'  di  mobilita'  -
    Esclusione dalla data del compimento dell'eta' pensionabile ovvero
    dalla data di maturazione del diritto alla pensione di  vecchiaia,
    se  successiva  -  Conseguente esclusione, per le lavoratrici, del
    diritto all'indennita' al compimento del cinquantacinquesimo  anno
    di eta', anziche' al compimento del sessantesimo anno di eta' come
    stabilito   per   i   lavoratori  -  Violazione  dei  principi  di
    uguaglianza e di parita' di trattamento delle lavoratrici rispetto
    ai lavoratori.
 (Legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 3).
 (Cost., artt. 3 e 37).
(GU n.40 del 7-10-1998 )
                        LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza di rimessione atti alla Corte
 costituzionale sul ricorso proposto da: INPS Istituto nazionale della
 previdenza sociale, in persona del legale rappresentante pro-tempore,
 elettivamente domiciliato in Roma, via della  Frezza  n.  17,  presso
 l'Avvocatura  Centrale  dell'istituto  rappresentato  e  difeso dagli
 avvocati Giuseppe Fabiani, Giacomo Giordano, giusta delega  in  atti,
 ricorrente;
   Contro  Di  Corato  Riccardina,  Lanza  Clelia,  Fogli Maria Luisa,
 elettivamente domiciliate in Roma, via F.sco De Sanctis n. 15, presso
 lo studio dell'avvocato Antonio  Pellegrini,  che  le  rappresenta  e
 difende, giusta delega in atti, controricorrenti;
   Avverso   la   sentenza  n.  1680/1994  del  tribunale  di  Genova,
 depositata il 17 maggio 1994 r.g. n. 10459/1993;
   Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20
 maggio 1997 dal Consigliere dott. Grazia Cataldi;
   Udito il p.m. in persona del Sostituto procuratore  generale  dott.
 Massimo Fedeli che ha concluso per il rigetto del ricorso.
                           Premessa in fatto
   Il  tribunale di Genova ha confermato la sentenza del pretore della
 stessa citta' che aveva accolto il  ricorso  proposto  dalle  signore
 Riccardina  Di  Corato,  Clelia Lanza e Maria Luisa Fogli, dipendenti
 ultracinquantenni della societa' Connei, le quali avevano chiesto  di
 essere  ammesse  ad  usufruire  dei  benefici previsti dalla legge 23
 luglio 1991, n. 223, in relazione alla procedura per la dichiarazione
 di  mobilita'  che  la  societa'  Connei  aveva  attivato  nei   loro
 confronti, benefici loro negati dall'INPS sulla base dell'art. 9, del
 r.d.-l.    14 aprile 1939, n. 636, come modificato dall'art. 2, della
 legge 4 aprile 1952, n. 218, che stabilisce a 60 anni per gli  uomini
 ed a 55 anni per le donne, l'eta' pensionabile.
   Il tribunale di Genova, nel confermare la decisione di accoglimento
 della  domanda, ha osservato - richiamando gli interventi della Corte
 costituzionale in materia ed in particolare la sentenza n.  137,  del
 18 giugno 1986, che aveva dichiarato la illegittimita' costituzionale
 degli  artt.  11 della legge n. 604/1988 e 9 del r.d.-l. n. 636/1939,
 convertito in legge 8 luglio  1939,  n.  1272,  nella  parte  in  cui
 prevedavano  il  conseguimento della pensione di vecchiaia e, quindi,
 il licenziamento  della  donna  lavoratrice  per  questo  motivo,  al
 compimento   del   cinquantacinquesimo  anno  di  eta'  anziche'  del
 sessantesimo,  come  per  l'uomo  -  che  quando  il  legislatore  si
 riferisce all'eta' pensionabile, deve intendersi il sessantesimo anno
 di  eta', sia per l'uomo che per la donna, ferma restando la facolta'
 per la donna di ottenere il pensionamento al compimento dei  55  anni
 di eta'.
   Per  la  cassazione  della  sentenza  del  tribunale l'INPS propone
 ricorso censurando la  sentenza  impugnata  per  aver  trascurato  la
 differenza  esistente tra il concetto di eta' lavorativa della donna,
 spostata a 60 anni, e quella di eta' pensionabile,  rimasta  distinta
 per  gli  uomini  (60  anni)  e per le donne (55 anni) e per non aver
 valutato il contenuto e la ratio dell'art. 7, comma 3 della legge  23
 luglio  1991, n. 223, che richiama l'eta' pensionabile - cioe, per la
 donna, il cinquantacinquesimo anno di eta' - e non l'eta' lavorativa.
   Resistono le lavoratrici chiedendo, ove la  Corte  avesse  ritenuto
 esatta  la  interpretazione  dell'INPS, la rimessione degli atti alla
 Corte  costituzionale,  sollevando  la  questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  7,  comma  3,  della legge n. 233/1991 per
 violazione  dell'art.   3 della Costituzione, stante la disparita' di
 trattamento, fondata esclusivamente sul sesso, tra l'uomo,  che  puo'
 fruire  del  trattamento  di mobilita' sino al compimento di sessanta
 anni e puo' cosi' incrementare l'anzianita' contributiva, e la  donna
 che, compiuti cinquantacinque anni, non avendo accesso al trattamento
 di  mobilita'  non  ha  la  possibilita' di incrementare l'anzianita'
 contributiva.
                       Considerazioni in diritto
   Il terzo comma dell'art. 7, della legge 23  luglio  1991,  n.  223,
 stabilisce: "L'indennita' di mobilita' e' adeguata, con effetto dal 1
 gennaio  di ciascun anno, in misura pari all'aumento della indennita'
 di contingenza  dei  lavoratori  dipendenti.  Essa  non  e'  comunque
 corrisposta   successivamente  alla  data  del  compimento  dell'eta'
 pensionabile ovvero, se a questa  data  non  e'  ancora  maturato  il
 diritto  alla pensione di vecchiaia, successivamente alla data in cui
 tale diritto viene a maturazione".
   Il punto decisivo della controversia  e'  quello  di  stabilire  se
 l'eta  pensionabile cui fa riferimento la norma in esame corrisponda,
 per la donna a quella in cui ha facolta' di andare  in  pensione  (55
 anni)  o  se  tale eta' debba considerarsi raggiunta, a seguito della
 sentenza della Corte costituzionale n. 13 del 1986,  al  sessantesimo
 anno di eta', cosi' per le donne come per gli uomini.
   La  ratio  della  norma  in  esame  e',  senza dubbio, quella di un
 intervento   assistenziale   pubblico   mediante   l'erogazione   del
 trattamento  di  mobilita'  a favore del lavoratore privo di tutela a
 fronte della eventuale insorgenza di  uno  stato  di  disoccupazione,
 esigenza  che  il  legislatore  ha ritenuto non sussistente quando il
 soggetto  possa  far  fronte,  per  aver  maturato   il   trattamento
 pensionistico  di  vecchiaia,  alle  proprie necessita' di vita. Deve
 pertanto  ritenersi,  in  base  ad  una  lettura  della   norma   che
 corrisponda  alla  ratio  della  stessa,  che  per  le  donne  l'eta'
 pensionabile cui fa riferimento la  norma  in  esame  corrisponda  al
 compimento  del cinquantacinquesimo anno, in quanto al raggiungimento
 dell'eta' indicata, esse hanno diritto al  trattamento  pensionistico
 di vecchiaia.
   Come  ha  chiarito  in  proposito  la  Corte  costituzionale con la
 sentenza 27 aprile 1988  n.  498,  la  statuizione  precettiva  e  la
 rilevanza  innovativa nell'ordinamento giuridico della sentenza della
 stessa  Corte  n.  137  del  1986  hanno  riguardato   solo   l'"eta'
 lavorativa"  della  donna,  sancendo  il  diritto  della  stessa alla
 prosecuzione  del  rapporto  di  lavoro  sino   al   compimento   del
 sessantesimo  anno  di  eta'  come per l'uomo, e non la postergazione
 dell'eta'  pensionistica  che  per  la  donna  e'  rimasta  ferma  al
 cinquantacinquesimo  anno  di eta', essendo il riferimento alle norme
 sul pensionamento  anticipato  per  vecchiaia  della  donna  rispetto
 all'uomo,  contenuto nella stessa sentenza, meramente incidentale; la
 non coincidenza per le donne lavoratrici dell'"eta'  lavorativa"  con
 l'"eta'  pensionabile"  e' stata successivamente ribadita dal giudice
 delle leggi con le successive sentenze 27 giugno 1989  n.  371  e  18
 novembre 1993 n. 404.
   E'  evidente  pertano  la rilevanza della questione di legittimita'
 costituzionale della normativa in esame in quanto l'INPS ha negato il
 diritto all'indennita' di mobilita' alle lavoratrici proprio in  base
 al  riferimento all'eta' pensionabile contenuto nell'art. 7, comma 3,
 della  citata  legge  23 luglio 1991 n. 223, in quanto le resistenti,
 tutte  ultracinquantacinquenni,  avevano  maturato  il   diritto   ad
 ottenere la pensione di vecchiaia.
   Questa   Corte   rileva   poi  che  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale non e' manifestamente infondata.
   Il citato art. 7 della legge n. 223 del 1991 dopo aver disposto che
 i lavoratori collocati in mobilita' ai sensi dell'art. 4 della stessa
 legge e in possesso dei necessari  requisiti  hanno  diritto  ad  una
 indennita'  per  un  periodo  massimo,  per  gli ultracinquantenni di
 trentasei mesi (comma 1), al successivo  comma  9  stabilisce  che  i
 periodi  di  godimento dell'indennita' di mobilita' sono riconosciuti
 d'ufficio utili ai fini del conseguimento del diritto alla pensione e
 ai fini della determinazione della misura della pensione stessa.
   La  stessa  legge  prevede,  poi,  misure  atte   a   favorire   la
 rioccupazione  dei  lavoratori in mobilita' stabilendo (art. 8, comma
 1) che essi, ai fini del collocamento, abbiano diritto di  precedenza
 nell'assunzione  presso  la  stessa  azienda  che  aveva  avviato  la
 procedura di mobilita' e concedendo ai datori di  lavoro  che,  senza
 esservi tenuti, assumano a tempo pieno e indeterminato dei lavoratori
 iscritti  nella lista di mobilita', un contributo mensile pari al 50%
 dell'indennita'  di  mobilita'  che  sarebbe  stata  corrisposta   al
 lavoratore.
   E'      evidente     che     l'esclusione     delle     lavoratrici
 ultracinquantacinquenni che hanno raggiunto l'eta' pensionabile,  dei
 benefici  collegati al collocamento in mobilita', di cui i lavoratori
 di sesso maschile possono usufruire sino  all'eta  di  sessanta  anni
 incide  direttamente  sulla  loro  capacita'  lavorativa escludendole
 definitivamente  dal  mondo  del  lavoro   e   non   consentendo   di
 incrementare  la loro anzianita' contributiva contrariamente a quanto
 previsto per i lavoratori in  mobilita'  in  favore  dei  quali  sono
 riconosciuti  contributi figurativi per tutto il periodo di godimento
 dell'indennita' di mobilita'. La norma si risolve, in sostanza, in un
 pensionamento  obbligato  della  donna  a  cinquantacinque   anni   e
 costituisce  una  sorta di deminutio per chi si sente ancora in grado
 di lavorare per continuare  cosi'  ad  assicurare  un  piu'  completo
 svolgimento  della  sua  personalita'  in  contrasto  con  i principi
 costituzionali gia' ricordati in base ai quali l'eta'  lavorativa  e'
 identica  per  l'uomo e per la donna potendo entrambi lavorare sino a
 sessanta anni.
    Questa Corte ritiene  pertanto  non  manitestamente  infondata  la
 questione  di legittimita' costituzionale, in relazione agli artt.  3
 e 37 della Costituzione, dell'art. 7, comma 3, della legge 23  luglio
 1991  n.  233  nella  parte  in  cui,  disponendo che l'indennita' di
 mobilita'  non  venga  corrisposta  successivamente  alla  data   del
 compimento     dell'eta'     pensionabile,    prevede    l'anticipato
 allontanamento  dal   mondo   del   lavoro,   con   incidenza   anche
 sull'anzianita'  contributiva e, quindi, sulla misura della pensione,
 della donna che abbia maturato il diritto alla pensione di vecchiaia,
 in reazione ad un elemento che l'ordinamento  costituzionale  esclude
 quale    possibile    causa   di   giustificazione   di   trattamenti
 discriminatori come la diversita' del sesso.
   Tenuto  conto  delle  considerazioni che precedono, gli atti devono
 essere  trasmessi  alla  Corte  costituzionale  con  sospensione  del
 presente procedimento.
   Da  parte  della  Cancelleria  deve  essere  provveduto a tutti gli
 adempimenti previsti dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.
                               P. Q. M.
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  comma  3, della legge 23
 luglio  1991,  n.  223,  in  relazione  agli  artt.  3  e  37   della
 Costituzione;
   Sospende  il  giudizio in corso e ordina trasmettersi gli atti alla
 Corte costituzionale;
   Ordina che a cura  della  Cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti  in  causa  e al Presidente del Consiglio dei
 Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei  deputati
 e del Senato della Repubblica.
     Roma, addi' 20 maggio 1997
                      Il presidente: Pontrandolfi
 98C1108