N. 750 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 agosto 1998

                                N. 750
  Ordinanza  emessa  il  3  agosto  1998  dal  pretore  di Brescia nel
 procedimento penale a carico di Tombolan Elio
 Processo penale - Condanna per la responsabilita' civile -  Lamentata
    attribuzione  alle  dichiarazioni  della parte civile di valore di
    mezzo di prova  anche  per  l'accertamento  della  responsabilita'
    civile - Lesione del diritto di difesa - Disparita' di trattamento
    dell'imputato  rispetto  alla  tutela  della situazione soggettiva
    accordata in sede civile.
 (C.P.P. 1988, art. 538).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.42 del 21-10-1998 )
                              IL PRETORE
   Letti  gli  atti del proc. pen n. 5041/96 a carico di Tombolan Elio
 osserva in fatto e in diritto quanto segue:
   1. - A seguito di indagini preliminari il p.m. rinviava a giudizio,
 dinanzi a questo pretore, Tombolan Elio per rispondere dei  fatti  di
 cui alla epigrafe.
    Esperita  la  istruttoria  dibattimentale  e  dichiarato chiuso il
 dibattimento questo pretore provvedeva con la presente ordinanza.
   2. -  Con  la  medesima  viene  impugnato  l'art.  538,  c.p.p.  in
 relazione agli artt. 3 e 24 primo e secondo comma Cost. nei limiti in
 cui   imponga,   una   volta   accertata   ex  art.  533  c.p.p.,  la
 responsabilita' penale dell'imputato, di accogliere le domande civili
 anche allorche' esse si fondino  esclusivamente  sulle  dichiarazioni
 della parte civile.
   3.  -  Come  e' evidente dal tenore letterale dell'art. 538 c.p.p.,
 una volta accertata  la  penale  responsabilita'  del  prevenuto,  il
 giudice  penale,  nella  ipotesi in cui le domande civili siano state
 proposte nel processo penale ex artt. 74 e segg. c.p.p., non puo' non
 accogliere le domande civili qualunque siano i  mezzi  di  prova  sui
 quali  si sia fondata la responsabilita' penale. Quelle, proprio alla
 luce del disposto dell'art. 538 c.p.p., vanno  comunque  accolte  una
 volta  accertata  la  responsabilita'  penale dell'imputato qualunque
 siano i mezzi di prova sui quali questa sia stata affermata i  quali,
 pertanto, automaticamente, consentono l'accoglimento di quelle.
   4.  -  Dalle  disposizioni  costituzionali sopra indicate si desume
 che,  a  parita'  di  situazioni,  deve  corrispondere  identita'  di
 disciplina;  in secondo luogo il diritto alla difesa, in tutte le sue
 facolta' e poteri (compreso il diritto alla prova che costituisce una
 sua estrinsecazione), non puo' assolutamente subire alcuna deminutio,
 o ampliamento, qualunque sia la forma processuale attraverso la quale
 un diritto soggettivo venga esercitato.
   In altri termini allorche' la  giurisdizione  venga  esercitata  su
 richiesta  di  parte  e  al  fine  di tutelare un diritto soggettivo,
 necessariamente le parti del rapporto obbligatorio sotteso al diritto
 soggettivo devono essere poste in condizioni di  parita'  soprattutto
 con riferimento proprio al diritto alla prova che impone ed esige: a)
 di  attribuire,  sul  punto,  gli  stessi  poteri  alle  parti; b) di
 attribuire lo  stesso  valore  probatorio  alle  dichiarazioni  delle
 parti.
   Ne  segue  che  in  subiecta materia non puo' attribuirsi valore di
 testimonianza alle dichiarazioni di una delle parti e non all'altra.
   Cio' e' vero qualunque sia  la  forma  processuale  scelta  per  la
 tutela  del  proprio  diritto  soggettivo;  invero  -  se  essa  puo'
 ragionevolmente  incidere  su  altri  aspetti,   ad   esempio   sulla
 costituzione   del   rapporto   processuale  e  finanche  sul  valore
 probatorio di alcuni criteri (si pensi a talune presunzioni  in  tema
 di  responsabilita'  civile  che,  ovviamente,  non hanno "diritto di
 cittadinanza" nel  sistema  penale  vigendo  ivi  la  presunzione  di
 innocenza)   -   tale   tutela,   proprio   alla  luce  dei  principi
 costituzionali  suddescritti,  non  potra'  mai   svolgersi   ponendo
 l'attore - parte civile in posizione prevalente rispetto al convenuto
 attribuendo  alle sue dichiarazioni, con riferimento all'accertamento
 della responsabilita' civile, valore probatorio maggiore (essendo  la
 sua  una  testimonianza) rispetto a quello del convenuto-imputato (le
 cui  dichiarazioni  sono  acquisibili  solo  mediante  l'esame  della
 parte).
   5.  -  E'  alla  luce  delle suesposte premesse che deve ritenersi,
 pertanto, che  l'attuale  disciplina  della  responsabilita'  civile,
 accertata  nel processo penale, e' incostituzionale nei limiti in cui
 imponga di attribuire alle dichiarazioni della p.c., anche per quanto
 afferisce l'illecito civile, valore di mezzo di prova  (testimonianza
 chiaramente  inammissibile  e  inutilizzabile,  proprio alla luce dei
 suesposti principi costituzionali, in quanto tale nella giurisdizione
 civile). Cio' viola il diritto  alla  difesa  dell'imputato-convenuto
 (nel particolare aspetto del diritto alla prova) che vede chiaramente
 diminuita  la sua situazione soggettiva rispetto a quella che sarebbe
 ove il diritto soggettivo venisse tutelato nella  sua  sede  naturale
 che  e'  il  processo  civile  (i cui principi generali costituiscono
 nella specie tertium comparationis).
   6. - Due precisazioni si impongono. Innanzitutto, come e'  evidente
 dall'analisi   suesposta,   con   la  presente  ordinanza  non  viene
 assolutamente  posta   in   discussione   la   ammissibilita'   della
 testimonianza   della   p.c.,  e  la  sua  utilizzabilita',  ai  fini
 dell'accertamento della responsabilita' penale. Invero la Corte si e'
 piu' volte pronunciata nel senso della ammissibilita';  peraltro  con
 considerazioni   che  (condivisibili  o  meno  che  siano)  risultano
 chiaramente utilizzabili anche nella specie.  Si dice che la funzione
 del processo penale (quale e' quella di accertare i reati e  irrogare
 una  giusta  pena)  e'  tale  che  non consente di ritenere rilevanti
 limitazioni  probatorie  tipiche  ed   esclusive   di   altra   forma
 processuale,  quale  quella  del processo civile. Ma se cio' e' vero,
 allora, e' evidente che tale criterio non puo' valere  nella  ipotesi
 in   cui  si  discuta,  come  nella  specie,  della  rilevanza  della
 dichiarazione  nell'ambito  precipuo  ed  esclusivo  della  correlata
 responsabilita'  civile ove, giova ribadire, non possono non valere i
 principi fondamentali (tra i quali indubbiamente vi e'  quello  della
 inammissibilita'   e   inutilizzabilita'   come  testimonianza  delle
 dichiarazioni della p.c.  - attore) del sistema processualcivilistico
 atteso che trattasi comunque di tutelare un diritto soggettivo e  non
 un fine politico.
   Quindi  non  puo'  che  ribadirsi che le ordinanze e sentenze della
 Corte costituzionale sono certamente ultronee nel caso di  specie  in
 quanto  riguardavano  altra  questione; ma e altrettanto evidente che
 argomentando  "a   contrario"   il   criterio   enucleato   in   esse
 implicitamente  impone proprio quanto evidenziato (inammissibilita' e
 inutilizzabilita' della  testimonianza  della  p.c.  con  riferimento
 all'accertamento  della  responsabilita'  civile  correlata  a quella
 penale).
   7. - Si potrebbe obiettare che la suddescritta limitazione, essendo
 dettata non da norme costituzionali, ma da norme di legge  ordinaria,
 non  puo'  ne' costituire parametro di valutazione della legittimita'
 ne ex se essere estesa in altro sistema.
   Tale eventuale prospettazione non e'  di  pregio.  Innanzitutto  e'
 evidente che l'attuale disciplina comporti di fatto una diversita' di
 trattamento  ove si ponga mente che la tutela della stessa situazione
 soggettiva   subisce   degli   ampliamenti   o   diminuzioni,   nelle
 possibilita'  concrete  di  difesa, a seconda della forma processuale
 scelta.
   Analiticamente  se  essa fosse tutelata in sede civile l'attore non
 potrebbe fondare le sue domande  solo  sulle  sue  dichiarazioni;  se
 cosi' fosse e' chiaro che esse sarebbero da respingere.
   Al   contrario  se  esse  fossero  tutelate  in  sede  penale  tale
 fondamentale limitazione non sussisterebbe; per cui, in tal caso, una
 volta  accertata  la  responsabilita'  penale  (che  giova  ricordare
 potrebbe  essere  affermata solo sulla base delle dichiarazioni della
 p.c.) le domande civili dovranno essere comunque  accolte.  Una  tale
 evidente  diversita' ridonda in disparita' ove si ponga mente: a) che
 essa si fonda esclusivamente sulla forma processuale che, chiaramente
 sul punto, non puo'  giustificare  una  tale  diversita'  trattandosi
 della  medesima  situazione  (tutela  di  un diritto soggettivo) e di
 aspetto in se' non attinente alla finalita' della specifica forma (in
 quanto  il  giudice  non  accerta  la   responsabilita'   penale   ma
 esclusivamente  la  r.c.);  b)  che essa e' espressione di una libera
 scelta della p.c. - attore  che  pero',  in  quanto  tale,  non  puo'
 ripercuotersi  in  peius sull'imputato-convenuto; analiticamente tale
 scelta (proprio perche' libera e insindacabile) non  puo'  deminuire,
 sul  punto, e con riferimento alla situazione soggettiva azionata, le
 possibilita' difensive del convenuto foss'anche, come  nella  specie,
 attribuendo  diverso e inferiore valore probatorio alle dichiarazioni
 di questo.
   Quindi e' chiaro che l'attuale disciplina ridonda in disparita'  di
 trattamento.
   8. - Ma v'e' di piu'.
   Le   disposizioni  civilistiche  sulla  base  delle  quali  risulta
 inammissibile (e quindi inutilizzabile ove sia stata attuata),  nella
 specie, la testimonianza della p.c. (99, 101 e 246 c.p.c. nella parte
 nella quale si riferisce all'attore) lungi dall'essere regole proprie
 ed  esclusive  del processo civile instaurato ex art. 163 c.p.c., per
 la  loro  intrinseca  connessione  con  la  situazione   tutelata   e
 soprattutto  in  quanto trovano i loro referenti proprio nell'art. 24
 Cost.,  devono  costituire  il  diritto  processuale  "comune"  delle
 situazioni soggettive tutelabili in sede civile.
   Esse,  in altri termini, e per le considerazioni suesposte, debbono
 trovare applicazione  ogni  qualvolta  sia  azionata  una  situazione
 soggettiva  civilisticamente  rilevante (connessa o non che sia ad un
 illecito penale).
   Quindi, una diversa  disciplina  comporterebbe  una  disparita'  di
 trattamento nonche', nella posizione del convenuto, una deminutio dei
 suoi poteri difensivi.
   Si  deve,  pertanto,  concludere  che,  col  ritenere  rilevanti  i
 suddetti principi processuali, non vengono introdotte limitazioni ma,
 stante la loro connotazione e i loro referenti  costituzionali,  cio'
 e'  necessario,  alla  luce  degli  stessi,  per garantire parita' di
 trattamento a situazioni identiche (trattasi pur sempre di  connotare
 le forme di tutela di un diritto soggettivo sia esso azionato in sede
 civilistica  sia  esso  azionato  in sede penale) nonche', sul punto,
 identita'  delle  possibilita'   difensive   dell'imputato-convenuto.
 Situazioni lese proprio dall'attuale disciplina.
   9.  -  Questo  pretore  evidenzia  alla Corte che, ove la questione
 fosse   fondata,   si   dovrebbe   imporre   la    declaratoria    di
 incostituzionalita'  anche  dell'art. 651, c.p.p. allorche' (peraltro
 reiterando  il  meccanismo  delineato  gia'  dall'art.  538   c.p.p.)
 attribuisca  efficacia  di  cosa  giudicata  alla  sentenza penale di
 condanna   nei   giudizi   civili   almeno   per   quanto   afferisce
 all'accertamento  della  sussistenza del fatto, alla sua illiceita' e
 alla sua riferibilita' all'imputato. Invero, anche in  tal  caso,  al
 giudice  civile e' preclusa la possibilita' di escludere tale diretta
 efficacia della sentenza di condanna ove essa  si  sia  fondata  solo
 sulle   dichiarazioni   della   p.c.,   chiaramente  inammissibili  e
 inutilizzabili nel  giudizio  civile.  Invero,  anche  in  tal  caso,
 l'automatismo  delineato  dall'art.  651  viola  i succitati principi
 costituzionali.
   10. -  Riguardo  alla  rilevanza  della  questione  e'  sufficiente
 rilevare  che,  nella  specie,  non solo la responsabilita' penale si
 fonda  sulle  dichiarazioni  della  p.c.,  ma  anche   la   correlata
 responsabilita'  civile  e'  fondata  esclusivamente  sulle  suddette
 dichiarazioni. A tal fine e' sufficiente osservare che l'unico  mezzo
 di  prova richiesto e' stato proprio quello della testimonianza della
 p.o. (poi p.c.) Quindi, ove la  Corte  dovesse  ritenere  fondata  la
 questione,  questo  pretore si deve pronunciare sulla responsabilita'
 penale mentre, con riferimento alle domande civili, si deve  astenere
 dal  pronunciarsi  (configurandosi  in  tal  caso  una ipotesi di non
 liquet pienamente legittima atteso che  riguarda  un  ambito  diverso
 dalla  giurisdizione  penale)  restando  fermo  all'attore il potere,
 eventualmente, di iniziare l'azione civile senza precludere alcunche'
 al medesimo.
   In caso contrario, invece,  questo  pretore  dovrebbe  pronunciarsi
 sulla responsabilita' penale ma anche sulla correlata responsabilita'
 civile.
                                 P.Q.M.
   Visto l'art. 23, legge n. 87/1953;
   Sospende il processo;
   Dichiara non manifestatamente infondata e rilevante la questione di
 legittimita' dell'art. 538 c.p.p., ai sensi di cui a parte motiva;
   Manda alla cancelleria per gli avvisi e le notifiche di rito.
     Brescia, addi' 3 agosto 1998
                          Il pretore: Toselli
 98C1158