N. 758 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 maggio 1998

                                N. 758
  Ordinanza emessa il 4 maggio 1998  dalla  Corte  di  cassazione  nel
 procedimento penale a carico di Zamboni Carlo
 Processo  penale  -  Procedimento innanzi al pretore - Dibattimento -
    Giudice che si sia precedentemente  pronunciato  con  sentenza  di
    applicazione  della pena su richiesta delle parti nei confronti di
    coimputato - Incompatibilita' per il dibattimento da  tenersi  nei
    confronti  degli  altri imputati in ordine allo stesso fatto e con
    lo stesso materiale probatorio - Omessa  previsione  -  Violazione
    del  principio  del  giusto  processo  -  Riferimento  ai principi
    espressi nelle sentenze nn. 124 e 186/1992, 155 e 371/1996.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.42 del 21-10-1998 )
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
   Ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  da
 Zamboni  Carlo, nato il 21 novembre 1934, a Roma, avverso l'ordinanza
 23 gennaio 1998  del  tribunale  di  Belluno,  che  ha  rigettato  la
 dichiarazione  di  ricusazione  da  lui  proposta  nei  confronti del
 pretore di Belluno sezione di Pieve di Cadore;
   Sentita la relazione fatta dal consigliere Antonio Morgigni;
    Sentita  la  requisitoria  del sostituto procuratore generale, dr.
 Frangini che ha concluso per il rigetto del ricorso;
   Sentito il difensore Nocita Pietro - Roma;
                             O s s e r v a
   Carlo Zamboni unitamente ad altri  veniva  tratto  a  giudizio  del
 pretore  di  Belluno  sezione di Pieve di Cadore; per rispondere "del
 reato p.p. dall'art. 221 t.u.l.s.  per  avere,  quali  proprietari  o
 soggetti  aventi piena disponibilita' materiale e giuridica sul bene,
 utilizzato le unita' abitative  abusivamente  ricavatevi,  attraverso
 trasformazioni  edilizie,  con  mutamento  della  destinazione d'uso,
 nell'immobile denominato ''hotel Verokay'' dotato di solo certificato
 ad uso albergo rilasciato in data 4 agosto 1994".
   Il pretore emetteva, su richiesta, sentenza di  applicazione  della
 pena ad alcuni coimputati del medesimo reato a lui contestato, previa
 separazione  della  loro posizione dal processo fissato per l'udienza
 pubblica. Zamboni proponeva istanza di ricusazione.
   Il 23 gennaio 1998 il tribunale rigettava  l'impugnazione.  Ricorre
 il predetto, deducendo due motivi.
   Con il primo evidenzia la violazione dell'art. 34 c.p.p. cosi' come
 integrato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 371 del 1996.
   In particolare formula le seguenti considerazioni.
   La  contestazione  concerne  il  certificato  di abitabilita' del 4
 agosto 1994 ritenuto inefficace nei confronti di tutti. Tale elemento
 d'accusa e' unitario ed implica che la sua valutazione tocca anche la
 sua posizione. La sentenza della Corte  costituzionale  non  riguarda
 soltanto  l'ipotesi  del concorso ma anche tutti i casi, nei quali il
 giudice abbia espresso incidentalmente  apprezzamenti  di  merito  in
 ordine  alla  responsabilita'  penale di un terzo non concorrente nel
 reato. Determinante e' l'identita' della  regiudicanda,  l'essere  il
 secondo  giudizio  gia'  contenuto  in nuce nel primo. La sentenza di
 patteggiamento  ha  tale  carattere,   poiche'   non   e'   possibile
 prescindere  dalle  prove  di  responsabilita'. E' ininfluente che il
 reato non sia ascritto a titolo concorsuale.
   Il  giudizio  espresso,  pur  investendo  formalmente  i   soggetti
 richiedenti   il   patteggiamento,   per   la   particolarita'  della
 fattispecie portata unitariamente all'esame del  giudice,  pregiudica
 quello  successivo,  relativo  all'accertamento della responsabilita'
 degli altri, anche per la rilevata contestazione del fatto comune  ed
 inscindibile,  rappresentato  dal  certificato  di  abitabilita'.  Il
 pretore si e' gia' pronunziato:    a)  sulla  sussistenza  del  fatto
 storico,   identico   per  tutti;  b)  sulla  riferibilita'  di  quel
 fatto-reato alle condotte dei vari imputati, essendo queste identiche
 e  rilevando,  ai  fini  dell'imputazione  soggettiva,  la   semplice
 qualifica di comproprietario o lo stato di fatto di sogetto avente la
 piena disponibilita' materiale e giuridica dell'immobile.
   Con  il  secondo  motivo  rappresenta  la  palese  insufficienza ed
 illogicita' della motivazione. L'unitarieta' del  capo  d'imputazione
 non  consente  di affermare che le posizioni dei singoli imputati sia
 scindibile e suscettibile di autonoma valutazione.
   Il  tribunale  avrebbe  dovuto  verificare  se   la   sentenza   di
 patteggiamento  non  avesse  l'identico contenuto del giudizio che lo
 stesso giudice a chiamato ad  esprimere  nei  confronti  degli  altri
 soggetti.  L'obiezione,  secondo  cui  l'incompatibilita' deriverebbe
 dalla particolarita' del  fatto-reato,  sarebbe  superata  dall'ampia
 formulazione  della  pronuncia della Corte costituzionale. Il pretore
 ha, infatti, gia' ritenuto irrilevante il certificato di abitabilita'
 rilasciato nel 1994. Quest'argomento non sarebbe piu'  prospettabile,
 pur   essendo   rilevante,   poiche'  questa  corte  ha  motivato  il
 dissequestro sulla base del suddetto certificato.
   Reputa il collegio  di  dovere  sollevare  d'ufficio  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 34 in relazione agli artt. 3 e
 24 Cost.
   I. - Sulla rilevanza della questione.
   Il pretore ha gia' esaminato la vicenda ed ha  emesso  sentenza  di
 applicazione  della  pena, ritenendo che non ricorrono gli estremi di
 cui all'art. 129 c.p.p.
   In tal modo pronunziando, quel giudice ha ritenuto  ininfluente  il
 certificato   d'abitabilita'   indicato   nel  capo  d'imputazione  e
 considerato determinante da questa terza sezione in senso  favorevole
 agli  imputati - sia pure nell'ambito di un procedimento di sequestro
 - con sentenza  n.  4311  del  13  dicembre  1996  nei  confronti  di
 Ferretto, Bona, Zamboni ed altri.
   L'intero  giudizio di merito si fonda unicamente sulla legittimita'
 ed efficacia del detto provvedimento  abilitativo,  gia'  considerato
 negativamente dal pretore medesimo.
   V'e'  stata  da parte di quel magistrato una completa ("esaustiva")
 valutazione di merito del fatto e la formulazione  del  convincimento
 conseguito.
   II. - Sulla non manifesta infondatezza.
   Come  gia' ha osservato codesta Corte costituzionale nella sentenza
 n. 371 del 1996: "e' acquisito alla giurisprudenza  di  questa  Corte
 che  l'istituto  della incompatibilita' del giudice per atti compiuti
 nel procedimento penale e' preordinato alla garanzia di  un  giudizio
 imparziale; che non sia ne' possa apparire condizionato da precedenti
 valutazioni  sulla  responsabilita'  penale dell'imputato manifestate
 dallo stesso giudice in altre fasi del medesimo processo (e quindi  a
 maggior ragione, in riferimento alla fattispecie in esame, in diverso
 processo)  e  tali  da  poter  pregiudicare  la  neutralita'  del suo
 giudizio.  Il principio del giusto processo, infatti, comporta che il
 giudizio si formi in base  al  razionale  apprezzamento  delle  prove
 raccolte ed acquisite e non abbia a subire l'influenza di valutazioni
 sul merito dell'imputazione gia' in precedenza espresse".
   E'  astrattamente  condivisibile  la  tesi  secondo cui l'autonomia
 delle posizioni di ciascun imputato  consente  una  segmentazione  di
 processi   e   la  scomposizione  del  fatto  in  una  pluralita'  di
 comportamenti distintamente apprezzabili in processi separati,  senza
 che la decisione dell'uno debba influenzare quella dell'altro.
   A   parere   del   collegio,  tale  soluzione,  pero',  non  appare
 accettabile, nel caso particolare in cui  la  posizione  dei  singoli
 imputati  si fondi sugli stessi ed unici elementi di fatto e, quindi,
 sulla medesima  ed  intera  prova  gia'  completamente  valutata  dal
 giudice, che sia la stessa persona fisica.
   Si   prospetta,   cosi',   una  situazione  d'incompatibilita'  nel
 successivo giudizio a carico del terzo.
   Cio' che conta, ai fini dell'integrita' del  principio  del  giusto
 processo,  e' che il giudice del nuovo dibattimento non sia lo stesso
 che abbia preso parte al primo, quando, per il peculiare  atteggiarsi
 della  fattispecie probatoria, abbia dovuto formarsi un convincimento
 non   soltanto  sul  merito  dell'azione  penale  svolta  contro  gli
 imputati, ma anche, seppure incidentalmente, sul  merito  dell'intera
 vicenda di fatto e sulla posizione del terzo.
   La   capacita'   di  qualificazione  che  quel  principio  possiede
 abbraccia in un medesimo giudizio di disvalore tutte  le  ipotesi  in
 cui, qualunque ne sia stato il motivo, il giudice, nella sentenza che
 definisce  il  processo,  abbia  incidentalmente  o in modo implicito
 espresso valutazioni di merito in ordine alla responsabilita'  penale
 di  un  terzo  non  imputato  in  quel  processo (a prescindere dalla
 legittimita'  di  tali  valutazioni).     Ai  fini   delle   garanzie
 costituzionali alle quali la disciplina legale delle incompatibilita'
 deve  essere  improntata,  viene  in  considerazione solo l'effettivo
 compimento di tale valutazione, poiche' e' questo  a  determinare  il
 pregiudizio.
   Ne'  la  specialita'  del  rito di cui all'art. 444 cod. proc. pen.
 puo' condurre ad un diverso risultato.
   Non ignora il collegio  che  con  la  pronunzia  n.  186  del  1992
 (corretta  con  l'ordinanza  n.  313  dello  stesso  anno)  la  Corte
 costituzionale  ha  escluso  che  l'emissione  di  una  sentenza   di
 applicazione  di  pena  concordata  nei  confronti  di  un coimputato
 determini incompatibilita' a celebrare il giudizio nei confronti  dei
 concorrenti   negli   stessi   reati,  rilevando  che  il  necessario
 presupposto di questa, e cioe' l'identita' dell'oggetto del giudizio,
 "non e' ... ravvisabile  nell'ipotesi  di  concorso  di  persone  nel
 medesimo   reato,   in  quanto  alla  comunanza  dell'imputazione  fa
 necessariamente riscontro una pluralita'  di  condotte  distintamente
 ascrivibili  a  ciascuno  dei  concorrenti,  le  quali,  ai  fini del
 giudizio di  responsabilita',  devono  formare  oggetto  di  autonome
 valutazioni  sotto  il profilo tanto materiale che psicologico, e ben
 possono, quindi, sfociare in un accertamento  positivo  per  l'uno  e
 negativo per l'altro".
   Osserva, pero', il collegio che l'"assolutezza" di questa pronunzia
 sembra, invero, superata da quelle successive ed in particolare dalla
 sentenza n. 155 del 1996 e dalla n. 371 del 1996.
   Sul  tema,  gia'  con  la  sentenza  n.  124  del  1992,  la  Corte
 costituzionale aveva chiarito che non la mera conoscenza degli  atti,
 ma una valutazione di merito circa l'idoneita' delle risultanze delle
 indagini   preliminari  a  fondare  un  giudizio  di  responsabilita'
 dell'imputato, vale a radicare l'incompatibilita'; e che questa  deve
 riconoscersi  sussistente nelle ipotesi di rigetto della richiesta di
 applicazione di pena concordata, dato che essa comporta, quanto meno,
 una  valutazione  negativa   circa   l'esistenza   delle   condizioni
 legittimanti il proscioglimento ex art.  129 c.p.p.
   Aveva altresi' aggiunto che: l'incompatibilita' "e' ragionevolmente
 circoscritta  ai  casi  di  duplicita'  del  giudizio di merito sullo
 stesso oggetto"; dato che per attuare "la garanzia costituzionale del
 giusto  processo"  cio'  che  va  evitato  "e'  il  rischio  che   la
 valutazione  conclusiva  di  responsabilita'  sia,  o possa apparire,
 condizionata dalla propensione del giudice a confermare  una  propria
 precedente  decisione".  A  tal  fine  e',  pero',  necessario che la
 regiudicanda  sia  identica,  dato  che  solo  in   tal   caso   puo'
 riconoscersi    un    condizionamento    suscettibile    di    minare
 l'imparzialita'.
   Nella sentenza n. 155 del 1996 la Corte costituzionale ha precisato
 che: "Nel procedimento previsto dagli artt. 444 e seguenti del codice
 di  procedura  penale,  il  giudice  -  pur  essendo  il  suo compito
 condizionato  dall'accordo  intervenuto  tra  imputato   e   pubblico
 ministero  e  quindi  in questo senso circoscritto e indirizzato - e'
 chiamato  a  svolgere   valutazioni,   fondate   direttamente   sulle
 risultanze   in   atti,   aventi  natura  di  giudizio  non  di  mera
 legittimita' ma anche di merito, concernenti tanto la  prospettazione
 del   caso   contenuta   nella   richiesta   di   parte,   quanto  la
 responsabilita' dell'imputato, quanto infine la pena.
   Quanto alla  responsabilita',  la  sentenza  che  applica  la  pena
 concordata  presuppone  l'accertamento  negativo da parte del giudice
 circa la possibilita' di pronunciare sentenza di proscioglimento  per
 una  delle cause di non punibilita' indicate dall'art. 129 c.p.p., la
 cui declaratoria immediata e' obbligatoria in ogni stato e grado  del
 processo  (art.    444,  comma  2,  c.p.p.). L'anzidetto accertamento
 negativo non equivale di per se,  simmetricamente,  a  una  pronuncia
 positiva  di  responsabilita'.    Infatti,  la sentenza pronunciata a
 norma dell'art. 444 c.p.p. non assume le caratteristiche  proprie  di
 una  pronuncia  di  condanna  basata  sull'accertamento  pieno  della
 ''fondatezza  dell'accusa  penale''  (sentenza  n.  251  del   1991).
 Tuttavia,  tale  sentenza  che  la giurisprudenza talora definisce di
 condanna  sui  generis  accogliendo  la  richiesta  delle  parti  che
 concordano circa l'opportunita' di definire il processo attraverso un
 accordo   sulla   pena,  in  certo  modo  presuppone  pur  sempre  la
 responsabilita'.  Ed  e'  questo  cio'  che  giustifica  la   normale
 equiparazione della sentenza che dispone l'applicazione della pena su
 richiesta  delle  parti  a  una  pronuncia  di  condanna,  secondo il
 disposto dell'art.   445,  comma  1,  ultima  parte,  del  codice  di
 procedura penale.
   Da  tutto  cio' si evince che nella sentenza applicativa della pena
 su richiesta delle parti, ''che spazia dal merito alla legittimita'''
 (sentenza  n.  124  del  1992),   pur   mancando   innegabimente   un
 accertamento  pieno  di  responsabilita'  basato  su  una valutazione
 probatoria di analoga pregnanza rispetto a quella svolta nel giudizio
 dibattimentale o nel rito abbreviato, non sono dunque assenti aspetti
 di una pronuncia di merito".
   Il collegio aderisce pienamente a quest'impostazione e  reputa  che
 la  parificazione in astratto ed in modo indefettibile tra assenza di
 accertamento di responsabilita' - compiuta da Cass. sez. 6, n.   3771
 c.c.  3  ottobre  1997,  Giallombardo,  mass. 209077 - ed inesistenza
 d'incompatibilita'  non  sia  condivisibile  nella  sua  formulazione
 assoluta,  proprio  perche'  nella  decisione de qua sono presenti in
 toto i requisiti di una sentenza di merito con valutazione probatoria
 e giudizio conclusivo di configurabilita' dell'illecito.
   Se dunque,  il  magistrato  ha  esaminato  l'intera  prova  e  l'ha
 considerata  tale  da non condurre ad un proscioglimento, ha espresso
 sullo "stesso  oggetto"  (sia  sull'imputazione  sia  sugli  elementi
 probatori)  un convincimento ed un giudizio di merito: si realizza in
 questa specifica ipotesi un  "caso  di  duplicita'  del  giudizio  di
 merito sullo stesso oggetto".
   La Corte nella sentenza n. 371 del 1996 ha affermato che:
   "Il principio del giusto processo comporta che il giudizio si formi
 in  base al razionale apprezzamento delle prove raccolte ed acquisite
 e  non  abbia  a  subire  l'influenza  di  valutazioni   sul   merito
 dell'imputazione gia' in precedenza espresse ...
   E  l'incompatibilita',  si deve aggungere, sussiste non solo quando
 nel primo giudizio la  posizione  del  terzo  sia  stata  valutata  a
 seguito di un puntuale ed esauriente esame delle prove raccolte a suo
 carico,  ma  anche quando abbia formato oggetto di una delibazione di
 merito superficiale e sommaria, apparendo  anzi,  in  questa  seconda
 ipotesi,  ancor  piu'  evidente  e grave la situazione di pregiudizio
 nella quale il giudice verrebbe a trovarsi".
   La richiesta del ricorrente di decidere sull'incompatibilita' sulla
 base della sentenza n. 371 citata non appare, invero,  condivisibile,
 poiche'  quella pronuncia originava da un caso di concorso necessario
 nel  reato  e,  sebbene  il  dispositivo  sia  svincolato  da  questo
 specifico  riferimento, esso, nella sua formulazione letterale, opera
 nei limiti ivi evidenziati.
   Occorrerebbe,  a  parere   del   collegio,   ampliarne   la   sfera
 d'applicazione  in relazione all'avvenuto esame di merito di tutto il
 materiale probatorio comune ai diversi imputati.
   Escludere la sussistenza dell'incompatibilita' soltanto  in  virtu'
 del  dato  meramente  formale  dell'assenza  nella  sentenza  di  cui
 all'art.  444 c.p.p. di qualsiasi "accertamento di  responsabilita'",
 significa   negare   l'evidenza  e  trascurare  l'esistenza  di  "una
 valutazione  probatoria  (n.d.r.:  dello  stesso  fatto)  di  analoga
 pregnanza  rispetto  a  quella  svolta  nel giudizio dibattimentale",
 destinata ad incidere sul futuro dibattimento.
                                P. Q. M.
   La  Corte  dichiara  d'ufficio  rilevante  e   non   manifestamente
 infondata  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34,
 comma 2, c.p.p. in relazione agli artt. 3  e  24  della  Costituzione
 nella  parte  in  cui non prevede incompatibilita' per il giudice del
 dibattimento,  cha  abbia  precedentemente  pronunciato  sentenza  di
 applicazione  della  pena  ex  art. 444 c.p.p. nei confronti di altro
 soggetto, valutando lo stesso fatto;
   Sospende il giudizio e dispone  la  trasmissione  degli  atti  alla
 Corte costituzionale a cura della cancelleria;
   Dispone altresi' che la cancelleria notifichi la presente ordinanza
 al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle parti e la comunichi
 ai   Presidenti   della  Camera  dei  deputati  e  del  Senato  della
 Repubblica.
     Roma, addi' 4 maggio 1998.
                         Il presidente: Tonini
 98C1166