N. 761 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 giugno 1998
N. 761 Ordinanza emessa il 19 giugno 1998 dal tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia, sul ricorso proposto da Mologni Giancarla contro A.S.L. della provincia di Bergamo Impiego pubblico - Trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale a domanda dell'interessato (nella specie dirigente sanitario) - Mancata previsione della facolta' dell'amministrazione di reiezione della domanda in presenza di grave pregiudizio alla propria funzionalita' - Irragionevolezza - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 57 e 58). (Cost., artt. 3 e 97).(GU n.42 del 21-10-1998 )
IL TRIBUNALE AMMINSITRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n 616 del 1998 proposto da Mologni Giancarla rappresentata e difesa dagli avv.ti Caterina Bonomelli e Massimo Rocchi ed elettivamente domiciliata presso lo studio della prima, in Brescia, contrada del Cavalletto, 25; Contro A.S.L. della provincia di Bergamo, in persona del direttore generale, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall'avv.to Carlo Andena ed elettivamente domiciliata presso la segreteria del tribunale amministrativo regionale, in Brescia, via Malta n. 12; Per l'annullamento, previa sospensione della nota in data 16 marzo 1998, prot. n. 1583, con la quale il direttore amministrativo ed il direttore sociale hanno negato alla ricorrente la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in part-time. Visto il ricorso con i relativi allegati; Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla ricorrente Visto l'atto di costituzione in giudizio della Azienda sanitaria locale; Vista la memoria prodotta dall'Amministrazione a sostegno delle proprie difese; Vista la propria ordinanza n. 510/1998 emessa nella odierna camera di consiglio; Visti gli atti tutti della causa; Udito, nella camera di consiglio del 19 giugno 1998, il relatore ref. dr. Salvatore Cacace; Uditi, altresi', l'avv. Caterina Bonomelli per la ricorrente e l'avv. Carlo Andena per l'amministrazione intimata; Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue: F a t t o 1. - Con atto notificato il 13 maggio 1998 e depositato il successivo 20 maggio 1998, la ricorrente, psicologo dirigente di primo livello dell'A.S.L. della provincia di Bergamo, ha impugnato - chiedendone incidentalmente la sospensione - la nota in data 16 marzo 1998, prot. n. 1583, con la quale il direttore, aministrativo ed il direttore sociale della azienda stessa le hanno comunicato (come si legge nella nota medesima) "l'impossibilita' di accoglimento" della "richiesta ad ottenere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a part-time", motivando il diniego con la "impossibilita' di disciplinare il nascente rapporto di lavoro per mancanza di norma contrattuale di riferimento ... alla luce ... dell'attuale silenzio della legge in merito al part-time del personale dirigente". 1.1 - Avverso il suddetto atto negativo ella deduce, con unico motivo di ricorso, violazione della legge n. 662/1996, sostenendo che la reiezione dell'istanza da lei presentata per la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale debba ritenersi illegittima, in quanto, si sostiene in ricorso, l'asserito (dall'Ente) "silenzio della legge in merito al part-time del personale dirigente non puo' pregiudicare il diritto della ricorrente a vedersi concedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, cosi' come previsto dall'art. 1, commi 57 e 58, legge n. 662/1996". Richiama, a sostegno delle sue tesi, giurisprudenza del tribunale amministrativo regionale Lombardia, che ha gia' ritenuto che l'art. 1, comma 57, della legge n. 662 preveda l'applicazione generalizzata del tempo parziale a tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, quali che siano il profilo professionale, la qualifica o il livello di appartenenza, con la sola eccezione delle categorie indicate dallo stesso comma e salva, per le categorie indicate al comma 58, la preventiva emanazione di normativa ministeriale (tribunale amministrativo regionale Lombardia, Milano, II, sent. n. 2355/1997). 1.2 - Con il ricorso l'istante chiede, altresi', la sospensione del provvedimento impugnato, deducendo danno grave ed irreparabile, che la esecuzione dello stesso potrebbe provocare. 1.3 - Si e' costituita in giudizio la Azienda Sanitaria Locale, la quale, ex adverso deducendo, conclude per la infondatezza del ricorso ed eccepisce, sulla domanda di sospensione, "ove l'art. 1, commi dal 57 al 58, legge 23 dicembre 1996, n. 662 fosse da intendersi nel senso di cui al ricorso, e fosse ritenuto decisivo ai fini cautelari dell'accertamento del fumus boni iuris... l'incostituzionalita', con riferimento agli artt. 3. 5 e 97 cost". chiedendo, pertanto, "che gli atti vengano trasmessi alla Corte Costituzionale per la risoluzione dell'incidente di costituzionalita' (in tal senso, cfr. gia' tribunale amministrativo regionale Veneto, 6 giugno 1997, ord. n 1005)". 1.4 - Con separata ordinanza, pronunciata nella stessa odierna, camera di consiglio, il collegio ha accolto provvisoriamente, valutata positivamente la gravita' ed irreparabilita' del danno addotto, la suindicata domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato, rinviando ogni definitiva pronuncia in sede cautelare all'esito del promuovendo giudizio di costituzionalita' dell'art. 1, commi 57 e 58, della legge n. 662 del 23 dicembre 1996, di cui il Collegio deve fare applicazione ai fini dell'accertamento del requisito del fumus boni iuris del ricorso. D i r i t t o 1. - Come si ricava dalla narrativa in fatto, la ricorrente, dipendente di ruolo della Azienda sanitaria locale della provincia di Bergamo, con qualifica di psicologo dirigente di primo livello, impugna la nota con la quale la azienda di appartenenza ha opposto un diniego alla sua richiesta di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno in part-time. Ella chiede, in via incidentale, la sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato. 2. - Ai fini della valutazione complessiva del fumus boni iuris del ricorso - onde pronunciarsi in via definitiva sulla istanza cautelare - appare al collegio rilevante l'eccepita questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 57 e 58, della legge n. 662/1996, che reca disposizioni, alla cui stregua il ricorso sembra, in questa fase di sommaria delibazione, assistito da consistenti elementi di fondatezza. 2.1 - ln effetti, ritiene il collegio che la disciplina del part-time, dopo le innovazioni introdotte dalla legge n. 662 del 1996, che ha inteso allargare l'a'mbito applicativo dell'istituto, non offra appigli alla tesi che vorrebbe escludere dal part-time i dirigenti del ruolo sanitario in nome di una incompatibilita' astratta di tali qualifiche con l'istituto de quo, basata sull'assunto (sostenuto dall'Ente resistente nel provvedimento impugnato e ribadito nelle difese prodotte), secondo cui la nuova configurazione della qualifica dirigenziale non sarebbe conciliabile con il part-time. 2.2 - L'art. 1, comma 57, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica collegate alla finanziaria 1997) stabilisce che "il rapporto di lavoro a tempo parziale puo' essere costituito relativamente a tutti i profili professionali appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale militare, di quello delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco". Aggiunge il successivo comma 58, ultimo periodo, che "fatte salve le esclusioni di cui al comma 57, per il restante personale che esercita competenze istituzionali in materia di giustizia, di difesa e di sicurezza dello Stato, di ordine e di sicurezza pubblica, con esclusione del personale di polizia municipale e provinciale, le modalita' di costituzione dei rapporti di lavoro a tempo parziale ed i contingenti massimi del personale che puo' accedervi sono stabiliti con con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica e con il Ministro del tesoro". L'a'mbito di applicazione dell'istituto e' ulteriormente definito dal comma 65 dello stesso articolo, che esclude il part-time "negli enti locali che non versino in situazioni strutturalmente deficitarie e la cui pianta organica preveda un numero di dipendenti inferiore alle cinque unita'". Alle modalita' di trasformazione del rapporto ed agli impedimenti che vi si possono frapporre e' dedicata la prima parte del comma 58, ove e' previsto che: la trasformazione avvenga automaticamente, una volta che siano trascorsi 60 giorni dalla domanda del dipendente; che l'amministrazione possa negarla in caso di conflitto di interessi tra attivita' interna ed esterna o in caso di attivita' esterna alle dipendenze di altra amministrazione (per i dipendenti degli enti locali questa disciplina e' stata successivamente integrata dall'art. 58-bis della stessa legge n. 662, come introdotto con l'art. 6 del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito nella legge 28 maggio 1997, n. 140, nonche' dall'art. 17, comma 18, della legge 15 maggio 1997, n. 127); che la trasformazione del rapporto possa essere dall'Amministrazione posticipata per un periodo non superiore a sei mesi, nel caso in cui, per le mansioni e la posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, essa comporti grave pregiudizio alla funzionalita' dell'amministrazione. Il nuovo "corpus normativo" applicabile al part-time dei pubblici dipendenti e' stato, poi, completato dai commi 25 e ss. dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che introduce, da un lato, ulteriori incentivi ai dipendenti interessati (in un'ottica di incoraggiamento e di stimolo alla diffusione del part-time tra i dipendenti pubblici) e, per converso, sembra restituire un minimo di autonomia nelle scelte ad alcuni enti (laddove, al comma 27, prevede che "le disposizioni dell'articolo 11, commi 58 e 59, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 .... si applicano al personale dipendente delle regioni e degli enti locali purche' non diversamente disposto da ciascun ente"). 2.3 - Sulla base di tale quadro legislativo di riferimento, le limitazioni che, con la esclusione dei dirigenti dalla disciplina del tempo parziale, si vorrebbero introdurre all'a'mbito di applicazione dell'istituto che ne occupa, non paiono avere fondamento normativo. Come ha gia' osservato il tribunale amministrativo regionale Lombardia (Milano, sez. II, sent. n. 2355/1997) "l'art. 1, comma 57, della legge n. 662 del 1996 prevede l'applicazione generalizzata del tempo parziale a tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, quali che siano il profilo professionale, la qualifica o il livello di appartenenza, con la sola eccezione delle categorie indicate dallo stesso comma, e salvo, per le categorie indicate al comma 58, la previa emanazione della normativa ministeriale diretta al contingentamento dei posti di lavoro a tempo parziale ed alla disciplina delle modalita' costitutive dei relativi rapporti". E nessuna eccezione specifica, aggiunge opportunamente la citata sentenza, "e' prevista per i dirigenti delle aziende del servizio sanitario, che rientrano nell'area della pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 1, comma secondo, del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29". 2.3.1 - Preclusioni in tal senso, peraltro, ritiene questo collegio, non paiono in via assoluta potersi trarre ne' dal C.C.N.L. dell'area della dirigenza medica del comparto sanita', ne' dalla disciplina della dirigenza posta dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (relativamente al ruolo sanitario), ne' dal decreto legislativo n. 29/1993 (in via generale per tutta la pubblica amministrazione), essendo stato del resto giustamente osservato che il rapporto di lavoro a tempo parziale rappresenta una soluzione molto gradita a livello dirigenziale, ove si rinvengono profili professionali caratterizzati da specifiche competenze e da differenziata domanda sul mercato delle relative professionalita', cosicche' proprio tra i dirigenti potrebbe avere maggiormente successo quella operazione di diffusione del part-time, che il legislatore, con gli interventi dell'ultimo biennio, sembra voler auspicare e promuovere. 3. - Se, dunque, il tenore letterale e la ratio del complesso di norme passate in rassegna, di cui bisogna fare applicazione ai fini della necessaria valutazione del fumus del ricorso, paiono dover portare a concludere per la illegittimita', prima facie del provvedimento impugnato (apparendo privo di fondamento normativo il diniego opposto all'accesso al part-time di un dirigente sanitario), purtuttavia opina questa sezione che la normativa sopra illustrata (che sembrerebbe esser stata violata dal provvedimento impugnato) appaia (conformemente alla eccezione sollevata da parte resistente) palesemente irrazionale (in violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione) e che tale dubbio di costituzionalita' si appalesi, alla luce dell'excursus compiuto supra al punto 2, come rilevante ai fini dell'accertamento del requisito del fumus boni iuris e, quindi, ai fini della decisione sulla istanza cautelare. 3.1 - Le nuove disposizioni di cui si tratta, invero, nel modificare la preesistente disciplina dell'istituto del part-time, pervase come sono dell'intento di favorirne una ampia diffusione (cosi' attenuando o, meglio, pressoche' eliminando i vincoli che prima limitavano e rendevano poco conveniente la trasformazione, sotto il profilo dell'orario di lavoro, del rapporto del pubblico dipendente), hanno inteso configurare tale trasformazione come un diritto, ovvero una facolta' del dipendente, evitando di introdurre elementi che impediscano o limitino in qualche modo l'accesso al tempo parziale. Con una tale disciplina, tuttavia, sono state completamente ignorate o, forse meglio, accantonate ed abbandonate a se stesse, le esigenze funzionali delle pubbliche amministrazioni, le quali si sono viste private di qualunque potere discrezionale ai fini dell'accoglimento della domanda di trasformazione del rapporto, essendo esse tenute, "sic et simpliciter", ad accogliere le domande di cui si tratta, con l'unica possibilita' di ricorrere ad un potere di differimento, che appare, per la verita', di ben scarsa rilevanza ed incisivita'. Cosicche' l'ente viene a trovarsi in balia dei propri dipendenti, del diritto di questi ad una trasformazione che il legislatore dichiara addirittura expressis verbis automatica (ove l'ente, nel ridotto termine di 60 gg., non si avvalga del citato potere di differimento). La irrazionalita' (e dunque la illegittimita' costituzionale) di tali norme appare non manifestamente infondata, in riferimento ai citati artt. 3 e 97 Cost., laddove esse non pongono alcun limite all'esercizio di tale diritto, se non quello (desunto in via logico-interpretativa) del limite massimo di posizioni di lavoro a tempo parziale consentite, che tuttavia, lungi dal rappresentare una diga all'esercizio massiccio del diritto da parte dei dipendenti, rischia di creare, per converso, una "corsa" al part-time, la quale (essendo stata superata la disciplina preesistente, che regolava la presentazione e l'accoglimento delle domande) porta a situazioni irrazionali e potenzialmente discriminatorie (nessuna particolare verifica delle situazioni personali e/o di servizio essendo prevista ne', tantomeno, permessa all'Ente), cosicche' l'istituto del part-time, cosi' come configurato dal legislatore del 1996 e del 1997, pare potersi risolvere, sui due versanti interessati (quello del personale dipendente e quello della amministrazione), da un lato nel trionfo del principio homo homini lupus e, dall'altro, nel concreto rischio, per l'Ente, di trovarsi, in un volgere di tempo anche breve, intere aree dei propri servizi piu' o meno massicciamente sguarnite e cio' per quanto riguarda il personale di tutti i livelli e di tutte le qualifiche, ivi compresi i dirigenti, con probabili gravi ripercussioni sulla funzionalita' organizzativa delle strutture amministrative delle pubbliche amministrazioni. Di tal guisa, qualsivoglia seria politica di gestione del personale, intesa quale indispensabile strumento volto ad adattare in modo efficiente le risorse umane, di cui l'amministrazione disponga, ai fini che la stessa persegue, viene di fatto svuotata di significato e di contenuti e, cosi', resa vana a priori, in spregio, altresi', di quei valori di utilizzazione flessibile del personale in termini di produttivita', dei quali la Corte costituzionale ha gia' rilevato il carattere strumentale rispetto al buon andamento della pubblica amministrazione (v. sentenza n. 309 del 1997). Non, allora, un interesse pubblico astrattamente dedotto dal sistema, ma gli stessi vincoli finalistici imposti dalla missione concretamente assegnata alla Amministrazione considerata (ciascuna sempre piu' diversa dalle altre pubbliche amministrazioni, in un quadro di autonomia e di decentramento vieppiu' crescenti) risultano cosi' concretamente messi in pericolo. E' stato autorevolmente sostenuto che una amministrazione pubblica che aspiri ad essere piu' decentrata, leggera e semplice, piu' trasparente sotto il profilo finanziario e piu' responsabile al livello al quale si assumono effettivamente le decisioni, richiede che la organizzazione del lavoro acquisti corrispondenti caratteri di flessibilita' normativa e di decentramento di responsabilita'. Ma le leve di tale flessibilita', e' il caso di aggiungere a fronte della normativa qui considerata, non possono essere poste nelle mani del singolo dipendente o del complesso dei dipendenti stessi, dalle cui decisioni individuali, a mo' di arbitraria "ruota della fortuna" (per il diretto interessato ed, eventualmente, "della sfortuna" per l'amministrazione e per i suoi colleghi di lavoro), viene fatta dipendere la organizzazione del lavoro delle pubbliche amministrazioni. Tale delineata configurazione del sistema, conseguente alla normativa in considerazione, viene, altresi', a porsi in contrasto con la intervenuta caduta dell'idea monolitica del pubblico impiego, fino ad un recente passato forgiato dalla centralita' dello Stato come modello di riferimento per tutte le pubbliche amministrazioni ed oggi, invece, sempre piu' caratterizzato dalla diversita' dei fini e dei modelli organizzativi. li' processo di superamento di tale idea del pubblico impiego (processo in buona misura indotto da esigenze ed esperienze sovrastanti rispetto al mondo del lavoro pubblico) giunge invece ad un esito, per certi versi, imprevedibile: la pubblica amministrazione non e' piu' autorita' nei rapporti con i propri dipendenti, ma non e' nemmeno parte, che possa normalmente e legittimamente esercitare i poteri (di direzione e di organizzazione), che, invece, i datori di lavoro privati solitamente ed indiscutibilmente esercitano. L'art. 1, commi 57 e 58, della legge n. 662/1996, nel perseguire l'estensione indiscriminata e generalizzata dei dipendenti fruitori di part-time (che possono inoltre, anche in contrasto con le esigenze dichiarate dalla Amministrazione, stabilire autonomamente le modalita' di svolgimento della prestazione), ha, insomma, cosi' realizzato una ingiustificata inversione di tendenza, rispetto al recente passato, nel processo di razionalizzazione, ammodernamento, responsabilizzazione, distinzione e specificazione di ruoli e responsabilita', che ha caratterizzato la piu' recente legislazione sul pubblico impiego, la quale rivela indubbiamente la tendenza a superare, nella disciplina sostanziale, la tradizionale contrapposizione fra impiego pubblico ed impiego privato. Ponendosi, cosi', in chiaro contrasto con i principi di ragionevolezza ed uguaglianza, di cui all'art. 3 Cost., nonche' di imparzialita', ragionevolezza organizzativa e buon andamento dell'amministrazione, di cui all'art. 97 Cost., l'art. 1, commi 57 e 58, della legge n. 662/1996 priva, in definitiva, il datore di lavoro pubblico di possibilita' efficaci ed efficienti di gestione corretta della "risorsa personale", a cominciare da quella stessa dirigenza (che s'e' vista riservata in via esclusiva l'area di gestione amministrativa), la cui "fuga" verso il part-time, non controbilanciata da adeguati poteri del datore di lavoro pubblico di "gestione", "limitazione" e "contrattazione" dell'istituto, crea inevitabili disfunzioni organizzative, provocate da un accesso al tempo parziale non programmato ne' guidato. Bisogna, ai fini dell'esame della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' qui sollevata, infine tener altresi' presenti: a) il disposto del successivo comma 59 dello stesso articolo, il quale, a sua volta, impone di destinare i risparmi di spesa derivanti dalla trasformazione dei rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale secondo le modalita' ivi indicate ed, in particolare, prevede la possibilita' di destinare solo il cinquanta per cento del risparmio di spesa a nuove assunzioni, e solamente dopo l'inutile esperimento delle procedure di mobilita' (cosi' impedendo all'Amministrazione di far fronte, esaustivamente e tempestivamente, ai "vuoti" che con tale processo di trasformazione si vengono a creare); b) la legge n. 449/1997, la quale, nell'ambito di una serie di interventi finalizzati sia ad una riduzione della spesa del personale che ad un recupero di efficienza e di funzionalita' dei servizi, ha, agli articoli 39 e 41, abbandonato il tradizionale strumento del divieto di nuove assunzioni, per utilizzare, invece, lo strumento della programmazione triennale del fabbisogno del personale (prefissando un obiettivo finale di riduzione complessiva del personale in servizio), programmazione che potrebbe facilmente risultare snaturata, vanificata e depotenziata, nei suoi indispensabili profili di efficacia, ove l'accesso non programmato (dalla amministrazione) di personale al part-time crei carenze di organico, oltre che improvvise ed aggiuntive rispetto a quelle previste dall'Ente ai fini di tale programmazione, in settori che potrebbero essere ben diversi da quelli in cui la riduzione si rendeva invece (secondo il quadro generale programmatico tracciato dall'Amministrazione) necessaria o, quantomeno, opportuna; c) l'art. 6, comma 4, del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, convertito in legge 28 maggio 1997, n. 140, ha stabilito che i dipendenti, che hanno trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, hanno altresi' "diritto" di ottenere il ritorno al tempo pieno alla scadenza di un biennio dalla trasformazione, nonche' alle successive scadenze previste dai contratti collettivi; che, inoltre, la trasformazione del rapporto a tempo pieno avviene anche in sovrannumero, riassorbibile con le successive vacanze (con quali deflagranti conseguenze sulla effettuata programmazione del fabbisogno del personale, e' facile arguire). Tanto tenuto presente, il Collegio non puo' non osservare, conclusivamente, come tale quadro normativo si traduca, per tutte le Amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 29/1993 (pur con qualche accenno di autonomia organizzativa introdotto, per i soli enti locali e regioni, dall'articolo 39, comma 27, della legge n. 449/1997), nella pratica impossibilita' (come, del resto, ha gia' osservato il tribunale amministrativo regionale Veneto sollevando identica questione di costituzionalita' della stessa norma ordinanza n. 845/1997) di governare le proprie strutture organizzative, di esercitare le funzioni e di erogare i servizi in modo efficace, in quanto assoggettate alle imprevedibili scelte dei propri dipendenti e cio' tanto piu' ove, come nella fattispecie oggetto del presente giudizio, si tratti di dirigenti, ai quali, nel nuovo ordinamento del rapporto di impiego del servizio sanitario pubblico, sono attribuite funzioni di supporto, di collaborazione e di corresponsabilita' nelle scelte, con corrispondente riconoscimento di precisi e notevoli a'mbiti di autonomia professionale, in una ottica di corretto espletamento del servizio, che non puo' non venire in irrimediabile contrasto col "diritto" al part-time, come disegnato dal legislatore del 1996 (pur con le integrazioni e modifiche apportate successivamente a tale disciplina); e si traduca, inoltre, nella conseguente pratica impossibilita', per le Amministrazioni stesse, di apprestare, di volta in volta, operazioni organizzative adeguate alla natura del fenomeno. 4. - Per quanto sopra esposto, il Collegio considera rilevante - ai fini della definitiva pronuncia sulla domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato - e non manifestamente infondata la eccezione di incostituzionalita' delle disposizioni di legge suindicate e, conseguentemente, ritiene che la indicata questione, nei termini e nei limiti sopra delineati, debba essere rimessa all'esame della stessa Corte, in relazione agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 134 della Costituzione; Visto l'art. 23, comma terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, Il tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, preliminarmente giudica rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, delle disposizioni di cui all'art. 1, commi 57 e 58, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, ai fini della definitiva pronuncia sulla domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato; Sospende, pertanto, il giudizio sul procedimento cautelare e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il conseguente giudizio di legittimita' costituzionale; Ordina che, a cura della segreteria della sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' ch'essa sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Brescia, il 19 giugno 1998. Il presidente: Ingrassia Il referendario, relatore ed estensore: Cacace 98C1169