N. 761 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 giugno 1998

                                N. 761
  Ordinanza  emessa  il  19  giugno  1998 dal tribunale amministrativo
 regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia,  sul  ricorso
 proposto  da  Mologni  Giancarla  contro  A.S.L.  della  provincia di
 Bergamo
 Impiego pubblico - Trasformazione del rapporto  di  lavoro  da  tempo
    pieno  a  tempo  parziale a domanda dell'interessato (nella specie
    dirigente  sanitario)  -   Mancata   previsione   della   facolta'
    dell'amministrazione  di  reiezione  della  domanda in presenza di
    grave pregiudizio alla propria funzionalita' - Irragionevolezza  -
    Incidenza  sui  principi  di  imparzialita' e buon andamento della
    p.a.
 (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 57 e 58).
 (Cost., artt. 3 e 97).
(GU n.42 del 21-10-1998 )
                 IL TRIBUNALE AMMINSITRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso  n  616  del  1998
 proposto  da    Mologni Giancarla rappresentata e difesa dagli avv.ti
 Caterina Bonomelli e  Massimo  Rocchi  ed  elettivamente  domiciliata
 presso  lo  studio  della prima, in Brescia, contrada del Cavalletto,
 25;
   Contro A.S.L. della provincia di Bergamo, in persona del  direttore
 generale,   costituitasi   in   giudizio,   rappresentata   e  difesa
 dall'avv.to Carlo  Andena  ed  elettivamente  domiciliata  presso  la
 segreteria  del  tribunale  amministrativo regionale, in Brescia, via
 Malta n. 12;
   Per l'annullamento, previa sospensione  della nota in data 16 marzo
 1998, prot. n. 1583, con la quale il direttore amministrativo  ed  il
 direttore  sociale hanno negato alla ricorrente la trasformazione del
 rapporto di lavoro da tempo pieno in part-time.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento
 impugnato, presentata in via incidentale dalla ricorrente
   Visto l'atto di costituzione in giudizio  della  Azienda  sanitaria
 locale;
   Vista  la  memoria  prodotta  dall'Amministrazione a sostegno delle
 proprie difese;
   Vista la propria ordinanza n. 510/1998 emessa nella odierna  camera
 di consiglio;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Udito,  nella  camera  di consiglio del 19 giugno 1998, il relatore
 ref. dr. Salvatore Cacace;
   Uditi, altresi', l'avv. Caterina  Bonomelli  per  la  ricorrente  e
 l'avv. Carlo Andena per l'amministrazione intimata;
   Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   1.  -    Con  atto  notificato  il  13  maggio 1998 e depositato il
 successivo 20 maggio 1998,  la  ricorrente,  psicologo  dirigente  di
 primo  livello dell'A.S.L. della provincia di Bergamo, ha impugnato -
 chiedendone incidentalmente la sospensione - la nota in data 16 marzo
 1998, prot.  n. 1583, con la quale il direttore, aministrativo ed  il
 direttore  sociale  della azienda stessa le hanno comunicato (come si
 legge nella nota medesima) "l'impossibilita' di  accoglimento"  della
 "richiesta  ad  ottenere  la trasformazione del rapporto di lavoro da
 tempo pieno a part-time", motivando il diniego con la "impossibilita'
 di  disciplinare il nascente rapporto di lavoro per mancanza di norma
 contrattuale di riferimento ... alla luce ...  dell'attuale  silenzio
 della legge in merito al part-time del personale dirigente".
   1.1  -  Avverso  il  suddetto  atto negativo ella deduce, con unico
 motivo di ricorso, violazione della legge n. 662/1996, sostenendo che
 la reiezione dell'istanza da lei presentata per la trasformazione del
 rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo  parziale  debba  ritenersi
 illegittima,   in   quanto,   si   sostiene  in  ricorso,  l'asserito
 (dall'Ente)  "silenzio  della  legge  in  merito  al  part-time   del
 personale dirigente non puo' pregiudicare il diritto della ricorrente
 a vedersi concedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo
 pieno  a  tempo parziale, cosi' come previsto dall'art. 1, commi 57 e
 58, legge n. 662/1996".
   Richiama, a sostegno delle sue tesi, giurisprudenza  del  tribunale
 amministrativo  regionale  Lombardia, che ha gia' ritenuto che l'art.
 1, comma 57, della legge n. 662 preveda l'applicazione  generalizzata
 del   tempo   parziale   a   tutti   i   dipendenti  delle  pubbliche
 amministrazioni,  quali  che  siano  il  profilo  professionale,   la
 qualifica  o  il livello di appartenenza, con la sola eccezione delle
 categorie indicate dallo stesso  comma  e  salva,  per  le  categorie
 indicate   al   comma  58,  la  preventiva  emanazione  di  normativa
 ministeriale (tribunale amministrativo regionale
  Lombardia, Milano, II, sent. n. 2355/1997).
   1.2 - Con il ricorso l'istante chiede, altresi', la sospensione del
 provvedimento impugnato, deducendo danno grave ed  irreparabile,  che
 la esecuzione dello stesso potrebbe provocare.
   1.3  - Si e' costituita in giudizio la Azienda Sanitaria Locale, la
 quale, ex adverso deducendo, conclude per la infondatezza del ricorso
 ed eccepisce, sulla domanda di sospensione, "ove l'art. 1, commi  dal
 57  al  58,  legge  23  dicembre 1996, n. 662 fosse da intendersi nel
 senso di cui al ricorso, e fosse ritenuto decisivo ai fini  cautelari
 dell'accertamento  del fumus boni iuris... l'incostituzionalita', con
 riferimento agli artt. 3. 5 e 97 cost". chiedendo, pertanto, "che gli
 atti vengano trasmessi alla Corte Costituzionale per  la  risoluzione
 dell'incidente  di  costituzionalita'  (in  tal  senso,  cfr.    gia'
 tribunale amministrativo regionale Veneto, 6 giugno  1997,  ord.    n
 1005)".
   1.4  -  Con  separata  ordinanza, pronunciata nella stessa odierna,
 camera  di  consiglio,  il  collegio  ha  accolto   provvisoriamente,
 valutata  positivamente  la  gravita'  ed  irreparabilita'  del danno
 addotto,  la  suindicata  domanda  incidentale  di  sospensione   del
 provvedimento  impugnato, rinviando ogni definitiva pronuncia in sede
 cautelare all'esito del  promuovendo  giudizio  di  costituzionalita'
 dell'art.  1, commi 57 e 58, della legge n. 662 del 23 dicembre 1996,
 di cui il Collegio deve fare applicazione ai  fini  dell'accertamento
 del requisito del fumus boni iuris del ricorso.
                             D i r i t t o
   1.  -    Come  si  ricava  dalla narrativa in fatto, la ricorrente,
 dipendente di ruolo della Azienda sanitaria locale della provincia di
 Bergamo, con qualifica  di  psicologo  dirigente  di  primo  livello,
 impugna la nota con la quale la azienda di appartenenza ha opposto un
 diniego  alla  sua richiesta di trasformazione del rapporto di lavoro
 da tempo pieno in part-time.
   Ella  chiede,  in  via incidentale, la sospensione della esecuzione
 del provvedimento impugnato.
   2. - Ai fini della valutazione complessiva del fumus boni iuris del
 ricorso - onde pronunciarsi in via definitiva sulla istanza cautelare
 - appare al collegio rilevante l'eccepita questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1, commi 57 e 58, della legge n. 662/1996,
 che reca disposizioni, alla cui stregua il ricorso sembra, in  questa
 fase  di  sommaria  delibazione, assistito da consistenti elementi di
 fondatezza.
   2.1 - ln  effetti,  ritiene  il  collegio  che  la  disciplina  del
 part-time,  dopo  le  innovazioni  introdotte  dalla legge n. 662 del
 1996, che ha inteso allargare  l'a'mbito  applicativo  dell'istituto,
 non  offra  appigli  alla tesi che vorrebbe escludere dal part-time i
 dirigenti  del  ruolo  sanitario  in  nome  di  una  incompatibilita'
 astratta   di   tali   qualifiche   con  l'istituto  de  quo,  basata
 sull'assunto  (sostenuto  dall'Ente  resistente   nel   provvedimento
 impugnato  e  ribadito  nelle  difese prodotte), secondo cui la nuova
 configurazione della qualifica dirigenziale non sarebbe  conciliabile
 con il part-time.
   2.2  -  L'art.  1,  comma  57, della legge 23 dicembre 1996, n. 662
 (recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica collegate
 alla finanziaria 1997) stabilisce che "il rapporto di lavoro a  tempo
 parziale  puo'  essere  costituito  relativamente  a  tutti i profili
 professionali  appartenenti  alle  varie  qualifiche  o  livelli  dei
 dipendenti   delle   pubbliche  amministrazioni,  ad  esclusione  del
 personale militare, di quello delle Forze  di  polizia  e  del  Corpo
 nazionale dei vigili del fuoco".
   Aggiunge  il  successivo comma 58, ultimo periodo, che "fatte salve
 le esclusioni di cui al comma  57,  per  il  restante  personale  che
 esercita  competenze istituzionali in materia di giustizia, di difesa
 e di sicurezza dello Stato, di ordine e di  sicurezza  pubblica,  con
 esclusione  del  personale  di  polizia  municipale e provinciale, le
 modalita' di costituzione dei rapporti di lavoro a tempo parziale  ed
 i contingenti massimi del personale che puo' accedervi sono stabiliti
 con  con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro
 per la funzione pubblica e con il Ministro del tesoro".
   L'a'mbito di applicazione dell'istituto e'  ulteriormente  definito
 dal  comma  65 dello stesso articolo, che esclude il part-time "negli
 enti locali che non versino in situazioni strutturalmente deficitarie
 e la cui pianta organica preveda un numero  di  dipendenti  inferiore
 alle cinque unita'".
   Alle  modalita'  di trasformazione del rapporto ed agli impedimenti
 che vi si possono frapporre e' dedicata la prima parte del comma  58,
 ove e' previsto che:
     la  trasformazione  avvenga  automaticamente, una volta che siano
 trascorsi 60 giorni dalla domanda del dipendente;
     che l'amministrazione possa  negarla  in  caso  di  conflitto  di
 interessi  tra  attivita'  interna  ed esterna o in caso di attivita'
 esterna alle dipendenze di altra amministrazione  (per  i  dipendenti
 degli   enti   locali  questa  disciplina  e'  stata  successivamente
 integrata  dall'art.    58-bis  della  stessa  legge  n.  662,   come
 introdotto  con  l'art.  6  del  decreto-legge  28 marzo 1997, n. 79,
 convertito nella legge 28 maggio 1997, n. 140, nonche' dall'art.  17,
 comma 18, della legge 15 maggio 1997, n. 127);
     che    la    trasformazione    del    rapporto    possa    essere
 dall'Amministrazione posticipata per un periodo non superiore  a  sei
 mesi,  nel  caso in cui, per le mansioni e la posizione organizzativa
 ricoperta  dal  dipendente,  essa  comporti  grave  pregiudizio  alla
 funzionalita' dell'amministrazione.
   Il  nuovo  "corpus normativo" applicabile al part-time dei pubblici
 dipendenti e' stato, poi, completato dai commi 25 e ss. dell'articolo
 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che introduce,  da  un  lato,
 ulteriori  incentivi  ai  dipendenti  interessati  (in  un'ottica  di
 incoraggiamento e di stimolo alla  diffusione  del  part-time  tra  i
 dipendenti  pubblici) e, per converso, sembra restituire un minimo di
 autonomia nelle scelte ad alcuni enti (laddove, al comma 27,  prevede
 che  "le disposizioni dell'articolo 11, commi 58 e 59, della legge 23
 dicembre 1996, n.   662 .... si  applicano  al  personale  dipendente
 delle  regioni  e degli enti locali purche' non diversamente disposto
 da ciascun ente").
   2.3 - Sulla base di tale  quadro  legislativo  di  riferimento,  le
 limitazioni che, con la esclusione dei dirigenti dalla disciplina del
 tempo  parziale, si vorrebbero introdurre all'a'mbito di applicazione
 dell'istituto che ne occupa, non paiono avere fondamento normativo.
   Come  ha  gia'  osservato  il  tribunale  amministrativo  regionale
 Lombardia  (Milano, sez. II, sent. n. 2355/1997) "l'art. 1, comma 57,
 della legge n. 662 del 1996 prevede l'applicazione generalizzata  del
 tempo  parziale a tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni,
 quali che siano il profilo professionale, la qualifica o  il  livello
 di appartenenza, con la sola eccezione delle categorie indicate dallo
 stesso  comma,  e  salvo,  per  le categorie indicate al comma 58, la
 previa   emanazione   della   normativa   ministeriale   diretta   al
 contingentamento  dei  posti  di  lavoro  a  tempo  parziale  ed alla
 disciplina delle modalita' costitutive dei relativi rapporti".
   E nessuna eccezione specifica, aggiunge  opportunamente  la  citata
 sentenza,  "e'  prevista  per  i dirigenti delle aziende del servizio
 sanitario, che rientrano nell'area della pubblica amministrazione  ai
 sensi  dell'art. 1, comma secondo, del decreto legislativo 3 febbraio
 1993 n. 29".
   2.3.1  -  Preclusioni  in  tal  senso,  peraltro,  ritiene   questo
 collegio,  non paiono in via assoluta potersi trarre ne' dal C.C.N.L.
 dell'area della dirigenza medica  del  comparto  sanita',  ne'  dalla
 disciplina  della dirigenza posta dal decreto legislativo 30 dicembre
 1992, n.  502 (relativamente al ruolo  sanitario),  ne'  dal  decreto
 legislativo  n.  29/1993  (in  via  generale  per  tutta  la pubblica
 amministrazione), essendo stato del resto giustamente  osservato  che
 il  rapporto  di  lavoro  a  tempo parziale rappresenta una soluzione
 molto gradita a  livello  dirigenziale,  ove  si  rinvengono  profili
 professionali   caratterizzati   da   specifiche   competenze   e  da
 differenziata domanda sul mercato  delle  relative  professionalita',
 cosicche'   proprio  tra  i  dirigenti  potrebbe  avere  maggiormente
 successo quella  operazione  di  diffusione  del  part-time,  che  il
 legislatore,  con  gli  interventi  dell'ultimo biennio, sembra voler
 auspicare e promuovere.
   3. - Se, dunque, il tenore letterale e la ratio  del  complesso  di
 norme  passate  in rassegna, di cui bisogna fare applicazione ai fini
 della necessaria valutazione del  fumus  del  ricorso,  paiono  dover
 portare   a   concludere  per  la  illegittimita',  prima  facie  del
 provvedimento  impugnato  (apparendo privo di fondamento normativo il
 diniego opposto all'accesso al part-time di un dirigente  sanitario),
 purtuttavia  opina  questa  sezione che la normativa sopra illustrata
 (che sembrerebbe esser stata  violata  dal  provvedimento  impugnato)
 appaia  (conformemente  alla eccezione sollevata da parte resistente)
 palesemente irrazionale (in violazione  degli  artt.  3  e  97  della
 Costituzione)  e  che  tale  dubbio di costituzionalita' si appalesi,
 alla luce dell'excursus compiuto supra al punto 2, come rilevante  ai
 fini  dell'accertamento del requisito del fumus boni iuris e, quindi,
 ai fini della decisione sulla istanza cautelare.
   3.1  -  Le  nuove  disposizioni  di  cui  si  tratta,  invero,  nel
 modificare  la  preesistente  disciplina dell'istituto del part-time,
 pervase come sono dell'intento  di  favorirne  una  ampia  diffusione
 (cosi'  attenuando  o,  meglio,  pressoche'  eliminando i vincoli che
 prima limitavano e  rendevano  poco  conveniente  la  trasformazione,
 sotto  il  profilo  dell'orario  di lavoro, del rapporto del pubblico
 dipendente), hanno inteso configurare  tale  trasformazione  come  un
 diritto,  ovvero  una facolta' del dipendente, evitando di introdurre
 elementi che impediscano o limitino  in  qualche  modo  l'accesso  al
 tempo  parziale.  Con  una  tale  disciplina,  tuttavia,  sono  state
 completamente ignorate o, forse meglio, accantonate ed abbandonate  a
 se stesse, le esigenze funzionali delle pubbliche amministrazioni, le
 quali si sono viste private di qualunque potere discrezionale ai fini
 dell'accoglimento  della  domanda  di  trasformazione  del  rapporto,
 essendo esse tenute, "sic et simpliciter", ad accogliere  le  domande
 di  cui si tratta, con l'unica possibilita' di ricorrere ad un potere
 di differimento, che appare, per la verita', di ben scarsa  rilevanza
 ed incisivita'.
   Cosicche'  l'ente  viene a trovarsi in balia dei propri dipendenti,
 del diritto di  questi  ad  una  trasformazione  che  il  legislatore
 dichiara  addirittura  expressis  verbis  automatica (ove l'ente, nel
 ridotto termine di 60 gg.,  non  si  avvalga  del  citato  potere  di
 differimento).     La  irrazionalita'  (e  dunque  la  illegittimita'
 costituzionale) di tali norme appare non manifestamente infondata, in
 riferimento ai citati artt. 3 e 97 Cost., laddove  esse  non  pongono
 alcun limite all'esercizio di tale diritto, se non quello (desunto in
 via  logico-interpretativa) del limite massimo di posizioni di lavoro
 a tempo parziale consentite, che tuttavia,  lungi  dal  rappresentare
 una diga all'esercizio massiccio del diritto da parte dei dipendenti,
 rischia  di  creare, per converso, una "corsa" al part-time, la quale
 (essendo stata superata la disciplina preesistente, che  regolava  la
 presentazione  e  l'accoglimento  delle  domande)  porta a situazioni
 irrazionali e  potenzialmente  discriminatorie  (nessuna  particolare
 verifica  delle situazioni personali e/o di servizio essendo prevista
 ne',  tantomeno,  permessa  all'Ente),   cosicche'   l'istituto   del
 part-time,  cosi'  come  configurato  dal  legislatore del 1996 e del
 1997, pare potersi risolvere, sui due  versanti  interessati  (quello
 del  personale dipendente e quello della amministrazione), da un lato
 nel trionfo del  principio  homo  homini  lupus  e,  dall'altro,  nel
 concreto  rischio,  per  l'Ente,  di trovarsi, in un volgere di tempo
 anche  breve,  intere  aree  dei   propri   servizi   piu'   o   meno
 massicciamente  sguarnite  e cio' per quanto riguarda il personale di
 tutti i livelli e di tutte le qualifiche, ivi compresi  i  dirigenti,
 con  probabili  gravi ripercussioni sulla funzionalita' organizzativa
 delle strutture amministrative delle pubbliche amministrazioni.
   Di  tal  guisa,  qualsivoglia  seria  politica  di   gestione   del
 personale, intesa quale indispensabile strumento volto ad adattare in
 modo  efficiente le risorse umane, di cui l'amministrazione disponga,
 ai  fini  che  la  stessa  persegue,  viene  di  fatto  svuotata   di
 significato  e di contenuti e, cosi', resa vana a priori, in spregio,
 altresi', di quei valori di utilizzazione flessibile del personale in
 termini di produttivita', dei quali la Corte costituzionale  ha  gia'
 rilevato  il  carattere  strumentale rispetto al buon andamento della
 pubblica amministrazione (v. sentenza n. 309 del 1997).
   Non,  allora,  un  interesse  pubblico  astrattamente  dedotto  dal
 sistema,  ma  gli  stessi  vincoli finalistici imposti dalla missione
 concretamente assegnata alla  Amministrazione  considerata  (ciascuna
 sempre  piu'  diversa  dalle  altre  pubbliche amministrazioni, in un
 quadro di autonomia e di decentramento vieppiu' crescenti)  risultano
 cosi' concretamente messi in pericolo.
    E' stato autorevolmente sostenuto che una amministrazione pubblica
 che  aspiri  ad  essere  piu'  decentrata,  leggera  e semplice, piu'
 trasparente sotto il  profilo  finanziario  e  piu'  responsabile  al
 livello  al  quale  si assumono effettivamente le decisioni, richiede
 che la organizzazione del lavoro acquisti corrispondenti caratteri di
 flessibilita' normativa e di decentramento di responsabilita'. Ma  le
 leve  di  tale flessibilita', e' il caso di aggiungere a fronte della
 normativa qui considerata, non possono essere poste  nelle  mani  del
 singolo  dipendente  o del complesso dei dipendenti stessi, dalle cui
 decisioni individuali, a mo' di arbitraria "ruota della fortuna" (per
 il  diretto  interessato  ed,  eventualmente,  "della  sfortuna"  per
 l'amministrazione  e  per  i  suoi  colleghi  di lavoro), viene fatta
 dipendere   la   organizzazione   del    lavoro    delle    pubbliche
 amministrazioni.
   Tale   delineata   configurazione  del  sistema,  conseguente  alla
 normativa in considerazione, viene, altresi', a  porsi  in  contrasto
 con  la intervenuta caduta dell'idea monolitica del pubblico impiego,
 fino ad un recente passato forgiato  dalla  centralita'  dello  Stato
 come modello di riferimento per tutte le pubbliche amministrazioni ed
 oggi,  invece, sempre piu' caratterizzato dalla diversita' dei fini e
 dei modelli organizzativi.  li' processo di superamento di tale  idea
 del pubblico impiego (processo in buona misura indotto da esigenze ed
 esperienze  sovrastanti rispetto al mondo del lavoro pubblico) giunge
 invece ad un esito,  per  certi  versi,  imprevedibile:  la  pubblica
 amministrazione  non  e'  piu'  autorita'  nei  rapporti con i propri
 dipendenti,  ma  non  e'  nemmeno  parte,  che  possa  normalmente  e
 legittimamente    esercitare    i   poteri   (di   direzione   e   di
 organizzazione), che, invece, i datori di lavoro privati  solitamente
 ed indiscutibilmente esercitano.
   L'art.  1,  commi  57 e 58, della legge n. 662/1996, nel perseguire
 l'estensione indiscriminata e generalizzata dei  dipendenti  fruitori
 di part-time (che possono inoltre, anche in contrasto con le esigenze
 dichiarate   dalla   Amministrazione,   stabilire   autonomamente  le
 modalita' di  svolgimento  della  prestazione),  ha,  insomma,  cosi'
 realizzato  una  ingiustificata  inversione  di tendenza, rispetto al
 recente passato, nel processo di  razionalizzazione,  ammodernamento,
 responsabilizzazione,   distinzione   e  specificazione  di  ruoli  e
 responsabilita',  che  ha caratterizzato la piu' recente legislazione
 sul pubblico impiego, la quale rivela  indubbiamente  la  tendenza  a
 superare,    nella    disciplina    sostanziale,    la   tradizionale
 contrapposizione fra impiego pubblico ed impiego privato.
   Ponendosi,  cosi',  in  chiaro  contrasto   con   i   principi   di
 ragionevolezza  ed  uguaglianza,  di cui all'art. 3 Cost., nonche' di
 imparzialita',  ragionevolezza   organizzativa   e   buon   andamento
 dell'amministrazione,  di cui all'art. 97 Cost., l'art. 1, commi 57 e
 58, della legge n.   662/1996 priva,  in  definitiva,  il  datore  di
 lavoro  pubblico  di  possibilita' efficaci ed efficienti di gestione
 corretta della "risorsa personale", a  cominciare  da  quella  stessa
 dirigenza  (che  s'e'  vista  riservata  in  via  esclusiva l'area di
 gestione amministrativa), la  cui  "fuga"  verso  il  part-time,  non
 controbilanciata  da adeguati poteri del datore di lavoro pubblico di
 "gestione",  "limitazione"  e  "contrattazione"  dell'istituto,  crea
 inevitabili  disfunzioni  organizzative,  provocate  da un accesso al
 tempo parziale non programmato ne' guidato.
   Bisogna, ai fini dell'esame della non manifesta infondatezza  della
 questione  di  costituzionalita' qui sollevata, infine tener altresi'
 presenti:
     a) il disposto del successivo comma 59 dello stesso articolo,  il
 quale, a sua volta, impone di destinare i risparmi di spesa derivanti
 dalla  trasformazione  dei  rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo
 parziale secondo  le  modalita'  ivi  indicate  ed,  in  particolare,
 prevede  la possibilita' di destinare solo il cinquanta per cento del
 risparmio di spesa a nuove assunzioni,  e  solamente  dopo  l'inutile
 esperimento   delle   procedure   di   mobilita'   (cosi'   impedendo
 all'Amministrazione di far fronte, esaustivamente e  tempestivamente,
 ai  "vuoti"  che  con  tale  processo  di trasformazione si vengono a
 creare);
     b) la legge n. 449/1997, la quale, nell'ambito di  una  serie  di
 interventi finalizzati sia ad una riduzione della spesa del personale
 che  ad un recupero di efficienza e di funzionalita' dei servizi, ha,
 agli articoli 39 e 41,  abbandonato  il  tradizionale  strumento  del
 divieto  di  nuove  assunzioni,  per utilizzare, invece, lo strumento
 della  programmazione  triennale   del   fabbisogno   del   personale
 (prefissando   un  obiettivo  finale  di  riduzione  complessiva  del
 personale  in  servizio),  programmazione  che  potrebbe   facilmente
 risultare    snaturata,   vanificata   e   depotenziata,   nei   suoi
 indispensabili profili di efficacia, ove  l'accesso  non  programmato
 (dalla  amministrazione)  di  personale  al part-time crei carenze di
 organico, oltre  che  improvvise  ed  aggiuntive  rispetto  a  quelle
 previste  dall'Ente  ai   fini di tale programmazione, in settori che
 potrebbero essere ben diversi  da  quelli  in  cui  la  riduzione  si
 rendeva  invece  (secondo  il quadro generale programmatico tracciato
 dall'Amministrazione) necessaria o, quantomeno,  opportuna;
     c) l'art. 6, comma 4, del decreto-legge 28  marzo  1997,  n.  79,
 convertito  in  legge  28  maggio  1997,  n.  140, ha stabilito che i
 dipendenti, che hanno trasformato il  rapporto  di  lavoro  da  tempo
 pieno  a  tempo  parziale,  hanno  altresi'  "diritto" di ottenere il
 ritorno  al  tempo  pieno  alla  scadenza   di   un   biennio   dalla
 trasformazione,   nonche'   alle  successive  scadenze  previste  dai
 contratti collettivi; che, inoltre, la trasformazione del rapporto  a
 tempo  pieno  avviene  anche  in  sovrannumero,  riassorbibile con le
 successive   vacanze   (con   quali   deflagranti  conseguenze  sulla
 effettuata programmazione del fabbisogno  del  personale,  e'  facile
 arguire).
   Tanto   tenuto  presente,  il  Collegio  non  puo'  non  osservare,
 conclusivamente, come tale quadro normativo si traduca, per tutte  le
 Amministrazioni  pubbliche  di  cui  all'art. 1, comma 2, del decreto
 legislativo n.    29/1993  (pur  con  qualche  accenno  di  autonomia
 organizzativa   introdotto,   per  i  soli  enti  locali  e  regioni,
 dall'articolo 39, comma 27, della legge n. 449/1997),  nella  pratica
 impossibilita'  (come,  del  resto,  ha  gia'  osservato il tribunale
 amministrativo regionale  Veneto  sollevando  identica  questione  di
 costituzionalita'  della  stessa  norma  ordinanza  n.  845/1997)  di
 governare  le  proprie  strutture  organizzative,  di  esercitare  le
 funzioni  e  di  erogare  i  servizi  in  modo  efficace,  in  quanto
 assoggettate alle imprevedibili scelte dei propri dipendenti  e  cio'
 tanto piu' ove, come nella fattispecie oggetto del presente giudizio,
 si  tratti di dirigenti, ai quali, nel nuovo ordinamento del rapporto
 di impiego del servizio sanitario pubblico, sono attribuite  funzioni
 di  supporto, di collaborazione e di corresponsabilita' nelle scelte,
 con corrispondente riconoscimento di precisi e  notevoli  a'mbiti  di
 autonomia  professionale,  in una ottica di corretto espletamento del
 servizio, che non puo' non  venire  in  irrimediabile  contrasto  col
 "diritto"  al part-time, come disegnato dal legislatore del 1996 (pur
 con le integrazioni e  modifiche  apportate  successivamente  a  tale
 disciplina);   e  si  traduca,  inoltre,  nella  conseguente  pratica
 impossibilita', per le  Amministrazioni  stesse,  di  apprestare,  di
 volta  in  volta,  operazioni  organizzative adeguate alla natura del
 fenomeno.
   4. - Per quanto sopra esposto, il Collegio considera rilevante - ai
 fini  della  definitiva  pronuncia  sulla  domanda   incidentale   di
 sospensione  del  provvedimento  impugnato  -  e  non  manifestamente
 infondata la eccezione di incostituzionalita' delle  disposizioni  di
 legge   suindicate  e,  conseguentemente,  ritiene  che  la  indicata
 questione, nei termini e nei limiti  sopra  delineati,  debba  essere
 rimessa  all'esame della stessa Corte, in relazione agli artt. 3 e 97
 della Costituzione.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 134 della Costituzione;
   Visto l'art. 23, comma terzo, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
   Il tribunale amministrativo regionale   per la  Lombardia,  sezione
 staccata   di   Brescia,  preliminarmente  giudica  rilevante  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale,
 in riferimento  agli  articoli  3  e  97  della  Costituzione,  delle
 disposizioni  di  cui  all'art.  1,  commi  57  e  58, della legge 23
 dicembre 1996, n. 662,  ai  fini  della  definitiva  pronuncia  sulla
 domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato;
   Sospende,  pertanto,  il  giudizio  sul  procedimento  cautelare  e
 dispone   la   immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale   per   il   conseguente   giudizio   di  legittimita'
 costituzionale;
   Ordina che, a cura della  segreteria  della  sezione,  la  presente
 ordinanza  sia  notificata  alle  parti in causa ed al Presidente del
 Consiglio dei Ministri, nonche' ch'essa sia comunicata al  Presidente
 del  Senato  della  Repubblica  ed  al  Presidente  della  Camera dei
 deputati.
    Cosi' deciso in Brescia, il 19 giugno 1998.
                        Il presidente: Ingrassia
                        Il referendario, relatore ed estensore: Cacace
 98C1169