N. 862 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 giugno 1998

                                N. 862
  Ordinanza emessa il 18  giugno  1998  dal  tribunale  di  Trani  nel
 procedimento penale a carico di Calo' Giuseppe ed altri
 Processo  penale  -  Dibattimento  -  Esame  di  persona  imputata in
    procedimento connesso - Esercizio della facolta' di non rispondere
    - Lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni rese  nel  corso
    delle  indagini  preliminari  -  Preclusione salvo l'accordo delle
    parti - Irragionevolezza  posta  la  sottrazione  al  processo  di
    materiale   probatorio   ritualmente   assunto   -  Disparita'  di
    trattamento rispetto al regime delle dichiarazioni testimoniali  -
    Lesione  del  principio  di  obbligatorieta'  dell'azione penale -
    Violazione del principio di  buon  andamento  dell'amministrazione
    della giustizia.
 Processo  penale  -  Dibattimento  -  Esame  di  persona  imputata in
    procedimento connesso - Modifiche normative - Lamentata  immediata
    applicabilita'   ai   procedimenti  di  primo  grado  in  corso  -
    Irragionevole disparita' di trattamento  tra  analoghe  situazioni
    processuali.
 (C.P.P.  1988, artt. 210 e 513, comma 2; legge 7 agosto 1997, n. 267,
    art. 6).
 (Cost., artt. 3, 97 e 112).
(GU n.48 del 2-12-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza;
   Nel giudizio penale n. 253/1997 r.g.t. a carico di Calo' Giuseppe +
 2, imputati dei reati di  falsita'  materiale,  abuso  di  ufficio  e
 corruzione  commessi  a  Trani  sino  al mese di gennaio 1990, veniva
 citato a comparire all'odierna udienza per rendere  l'esame  il  sig.
 Ricciardi  Antonio,  nella  sua  qualita' di imputato in procedimento
 separato per i medesimi fatti per i quali si procede a  carico  degli
 odierni imputati e la cui posizione e' stata definita con sentenza di
 applicazione pena ex art. 44 c.p.p.
   In  sede dibattimentale il Riccardi si e' avvalso dalla facolta' di
 non rispondere, riconosciutagli dall'art. 210, comma 4, c.p.p., ed il
 p.m. ha chiesto che fossero acquisite le dichiarazioni  dallo  stesso
 rese in sede di indagini preliminari con l'assistenza del difensore.
   I   difensori   degli   odierni   imputati   non  hanno  consentito
 all'acquisizione ed alla lettura delle suddette dichiarazioni a mente
 del disposto dell'art. 513, comma 2, c.p.p. come sostituito dall'art.
 1 della legge 7 agosto 1997, n. 267, di immediata  applicabilita'  al
 processo in corso.
   Di  conseguenza  il  p.m.  ha sollevato questione di illegittimita'
 costituzionale della suddetta norma  per  contrasto  con  i  principi
 ricavabili dagli artt. 3, 97 e 112 della Costituzione.
   Argomenta  l'organo dell'accusa che e' manifestamente irragionevole
 e fonte di disparita' di trattamento tra  le  parti  in  un  processo
 penale  costringere il magistrato inquirente ad assumere, in forme di
 legge  vincolate  e  garantite,  atti  di  indagine   preliminare   e
 successivamente  rimettere  alla  mera volonta' del soggetto fonte di
 prova e/o dello stesso imputato  la  possibilita'  di  utilizzare  il
 materiale conoscitivo raccolto ovvero renderlo totalmente irrilevante
 ai   fini   dell'accertamento   della  verita'  processuale,  con  la
 conseguente possibile svalutazione di  elementi  probatori  che,  nel
 frattempo,  hanno imposto al p.m. di esercitare l'azione penale ed al
 g.u.p. di introdurre la fase dibattimentale, senza parlare  dei  casi
 in cui si siano adottate misure cautelari a carico degli imputati.
   Osserva  il  p.m.  che  siffatta situazione incide pesantemente sul
 buon andamento dell'amministrazione della giustizia, nel  momento  in
 cui  si  permette  di vanificare i risultati di un'indagine, che puo'
 essere stata anche  complessa  e  dispendiosa,  senza  consentire  di
 sottoporre   alla  valutazione  dell'organo  decidente  il  materiale
 probatorio, con evidente spreco di attivita' giudiziaria.
   Cio', oltretutto,  influisce  in  maniera  decisiva  sull'esercizio
 obbligatorio  dell'azione  penale,  nel  momento  in  cui  vi  e'  la
 possibilita'  che  muti,  in  maniera  non  prevedibile,  il   quadro
 processuale di riferimento.
   Ha  segnalato  ancora  il  p.m.  come  in  riferimento  al disposto
 dell'art.  513 c.p.p., nella formulazione antecedente  alla  novella,
 fossero intervenute le sentenze della Corte costituzionale n. 254 del
 3  giugno 1992 e n. 60 del 24 febbraio 1995 che affermano principi di
 cui il legislatore del 1997 non pare abbia tenuto debito conto.
   Alle prospettazioni del p.m. si  sono  opposti  i  difensori  degli
 imputati,  chiedendo  che  questo  tribunale  dichiari manifestamente
 infondata la questione incidentale di costituzionalita' sollevata.
   Osserva  il   collegio   che   la   questione   di   illegittimita'
 costituzionale  sollevata  dal p.m. e' rilevante e non manifestamente
 infondata.
   Sotto il primo  aspetto  si  rileva  che  il  diritto  al  silenzio
 esercitato  dal Ricciardi e la conseguente impossibilita', in assenza
 dell'accordo delle parti, di utilizzare le sue dichiarazioni rese nel
 corso delle indagini preliminari impediscono di acquisire al processo
 una fonte di prova, emersa in modo rituale nel corso delle indagini e
 sottoposta al vaglio del g.u.p. ai fini della decisione in ordine  al
 rinvio   a   giudizio,   e   pertanto   incidono   sulla  completezza
 dell'accertamento dei fatti oggetto delle contestazioni.
   Sotto  il profilo della non manifesta infondatezza si rileva quanto
 segue;
   Appare ravvisabile la violazione del principio di cui all'art.    3
 della   Costituzione  con  riferimento  alla  irragionevolezza  della
 disparita' di  trattamento  fra  situazioni  processuali  equivalenti
 giacche',  mentre  nel  caso  in  cui  il  testimone  si  rifiuti  di
 rispondere possono, ai sensi del comma  2-bis  dell'art.  500  c.p.p.
 recuperarsi  le  sue  dichiarazioni,  viceversa  nel  caso  in cui il
 dichiarante ex art. 210 c.p.p (che sostanzialmente altri non  e'  che
 un  testimone  seppur  fornito di particolari garanzie) si rifiuta di
 rispondere, il recupero delle sue dichiarazioni non puo' avvenire che
 con l'accordo delle parti.
   Ne' a  superare  la  perplessita'  di  cui  sopra  puo'  valere  la
 considerazione  che  il  dichiarante  ex  art.  210 c.p.p., in quanto
 indagato e/o imputato dello stesso reato o di un reato  connesso  non
 puo'  essere obbligato a rendere dichiarazioni a se' pregiudizievoli,
 in quanto il principio per il quale nessuno puo' essere  costretto  a
 rendere  dichiarazioni  integranti  una  sua  responsabilita'  e'  di
 carattere generale ed e' espressamente previsto per il testimone  dal
 comma secondo dell'art.  198 c.p.p.
   In  altri  termini,  il dichiarante ex art. 210 c.p.p., allorquando
 riferisce di fatti riguardanti la responsabilita' di  terzi,  trovasi
 in  una  situazione perfettamente equiparabile a quella del testimone
 ed, alla luce di tanto, la diversita'  di  disciplina  in  ordine  al
 recupero delle sue dichiarazioni desta perplessita'.
   In  verita',  come  e'  agevole  comprendere,  cio'  che  viene  in
 discussione e' proprio "la facolta' di non  rispondere"  riconosciuta
 al  dichiarante  ex art. 210 c.p.p. con riferimento a fatti attinenti
 la responsabilita' di terzi ed,  apparendo  tale  facolta'  fonte  di
 disparita'  di  trattamento  con  riguardo all'omologa situazione del
 testimone, il collegio  ritiene  di  dovere  d'ufficio  sollevare  la
 questione   di  illegittimita'  costituzionale  anche  dell'art.  210
 c.p.p., per contrasto con l'art. 3 della  Costituzione  nei  riflessi
 che  lo  stesso provoca sull'attuale disciplina dell'art.  513 c.p.p.
 come novellato.
   A tal proposito va evidenziato  che  il  dichiarante  ex  art.  210
 c.p.p., pur avendo avuto sin dall'inizio la facolta' di esercitare il
 diritto   al  silenzio,  di  tale  facolta'  non  si  e'  avvalso  e,
 comportandosi alla stregua di un  testimone  relativamente  ai  fatti
 coinvolgenti la responsabilita' di terzi, puo' aver dato impulso alle
 indagini  sfociate  nel  rinvio  a  giudizio  a  carico  dei soggetti
 chiamati in correita'.
   Nel caso  di  specie,  inoltre,  va  rilevato  che,  essendo  stato
 disposto  il  presente giudizio con decreto del g.u.p. pronunciato in
 data 24 marzo 1997 (e percio' in  epoca  anteriore  alla  entrata  in
 vigore  della  legge  n.  267/1997)  ed  essendo  stato  chiamato  il
 Ricciardi per la prima volta a deporre in data odierna,  non  sarebbe
 applicabile  ne' la norma transitoria di cui all'art. 6, commi 2 e 5,
 legge n. 267/1997 (che consente di recuperare a certe  condizioni  il
 materiale probatorio di cui si sia in precedenza gia' dato lettura in
 dibattimento);  ne' il meccanismo previsto dal primo comma del citato
 art. 6, posto che al  momento  dell'entrata  in  vigore  della  legge
 novellatrice  la  fase delle indagini preliminari erano gia' esaurite
 con la conseguente impossibilita'  di  recuperare  la  prova  con  il
 ricorso   all'incidente   probatorio.   Cio'  comporta  indubbiamente
 un'altra ipotesi di violazione dell'art. 3 della Costituzione, sempre
 sotto  il  profilo di una irragionevole disparita' di trattamento fra
 situazioni processuali equipollenti, con specifico  riferimento  alla
 disciplina  transitoria  prevista dall'art.  6, legge n. 267/1997 che
 postula l'immediata applicazione del testo  novellato  dell'art.  513
 c.p.p.,  ai  giudizi di primo grado in corso nei quali il dichiarante
 venga esaminato dopo l'entrata in vigore della novella e  si  avvalga
 della facolta' di non rispondere, senza prevedere alcuna normativa di
 salvaguardia  come  quella dettata dai commi 2 e 5 dell'art. 6 citato
 per il caso del dichiarante  gia'  esaminato  in  dibattimento  prima
 dell'entrata in vigore della legge, e cio' nonostante che il p.m. non
 abbia  avuto  alcuna  concreta possibilita' di assicurare il mezzo di
 prova con il ricorso all'incidente probatorio, essendo gia'  esaurite
 le fasi in cui tale mezzo e' consentito.
   Parimenti  violati,  a  parere  di  questo collegio sono i principi
 sanciti dagli artt. 97 e 112 della Costituzione,  di  buon  andamento
 dell'amministrazione   e   dell'esercizio   obbligatorio  dell'azione
 penale.
   E'  evidente  l'incongruenza  della  situazione  che  si  viene   a
 determinare  in  ordine  all'esercizio  dell'azione  penale  previsto
 obbligatoriamente dall'art. 112 della Costituzione: detta norma viene
 tradotta in pratica dal combinato disposto degli art.  408  c.p.p.  e
 125  disp.  di att.   al c.p.p. che, nel prevedere che il p.m. chieda
 l'archiviazione tutte le volte che ritenga  di  non  avere  materiale
 probatorio   sufficiente  per  sostenere  l'accusa  in  dibattimento,
 dimostra, per contrario, come detto organo sia obbligato a promuovere
 l'azione penale tutte le volte in cui disponga di tale materiale.
   Sicche'  la  sottrazione  anche  di  parte   di   detto   materiale
 probatorio,   rimessa   alla   semplice  volonta'  della  controparte
 processuale ovvero alla facolta' di non rispondere  di  un  soggetto,
 che  potrebbe  anche  essere stato esposto a minacce o altri mezzi di
 inquinamento della prova, produce l'effetto di  paralizzare  ex  post
 una  iniziativa  penale  che  per  il  p.m.  aveva costituito un atto
 doveroso, cosi' di fatto ponendosi  in  contrasto  con  il  principio
 costituzionale  che  logicamente  comporta,  come suo corollario, che
 l'organo  dell'accusa  sia  messo  nelle  condizioni  processuali  di
 validamente esercitare l'azione promossa.
   Tale  irragionevole  situazione  viola anche in maniera evidente il
 principio sancito dall'art. 97 della Costituzione in quanto determina
 un  rilevante  spreco  di   attivita'   amministrativa,   finalizzata
 all'espletamento  delle  indagini  e  all'introduzione  del  giudizio
 dibattimentale,  allorche'  tale  attivita'   venga   vanificata   in
 conseguenza  della impossibilita' non prevedibile di poter utilizzare
 una fonte di prova che  puo'  aver  costituito  il  fondamento  della
 stessa attivita' processuale.
                               P. Q. M.
   Ritiene  rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli
 artt. 3, 97 e 112 della Costituzione  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  degli artt. 210, 513, comma 2 c.p.p., e art. 6, legge
 7 agosto 1997, n. 267,  nelle  parti  e  per  i  profili  di  cui  in
 motivazione;
   Sospende il presente procedimento;
   Manda   alla   cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
 ordinanza alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri  e  per  la
 comunicazione ai Presidenti delle Camere del Parlamento;
   Dispone  la  trasmissione  degli  atti  del  procedimento  e  della
 presente ordinanza alla Corte costituzionale;
   Della presente ordinanza viene data lettura in udienza alle parti.
     Trani, addi' 18 giugno 1998
                   Il presidente: (firma illeggibile)
 98C1302