N. 870 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 ottobre 1998

                                N. 870
  Ordinanza emessa il 17 ottobre  1998  dal  pretore  di  Palermo  sul
 ricorso da Kyereh Kofi contro il prefetto di Palermo
 Sicurezza  pubblica - Espulsione amministrativa di straniero (apolide
    o cittadino extracomunitario) -  Ricorso  al  pretore  avverso  il
    decreto di espulsione - Procedimento - Termini per la proposizione
    del  ricorso  e  per  la  definizione  del  giudizio  - Lamentata,
    eccessiva brevita' - Violazione del diritto di azione e di difesa.
 Sicurezza  pubblica - Espulsione amministrativa di straniero (apolide
    o extracomunitario) - Ricorso al pretore  avverso  il  decreto  di
    espulsione  -  Sospensione  cautelare  del decreto - Preclusione -
    Lesione del diritto di difesa e del diritto di azione.
 (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, commi 8, 9 e 10).
 (Cost., artt. 24, primo e secondo comma).
(GU n.49 del 9-12-1998 )
                              IL PRETORE
   Letti gli atti del giudizio n. 6148/1998 r.g.  promosso  da  Kyereh
 Kofi  avverso  il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti del
 prefetto di Palermo il 24 settembre 1998 e notificato allo stesso  il
 2 ottobre 1998;
                             O s s e r v a
   Con  atto  depositato in cancelleria il 7 ottobre 1998 Kyereh Kofi,
 cittadino extracomunitario nato a Berkum (Ghana) il 21 febbraio  1966
 proponeva  ricorso  avverso  il  decreto  di  espulsione  emesso  dal
 prefetto di Palermo e fondava lo  stesso  su  due  motivi;  il  primo
 motivo  di  ricorso, afferente la regolare sottoscrizione del decreto
 di espulsione da parte dell'autorita' decidente, non veniva  ritenuto
 fondato  da  questa  decidente;  il secondo motivo di ricorso e' piu'
 propriamente un'eccezione  di  incostituzionalita'  proposta  avverso
 l'art.  11,  legge  n.  40/1998  ora sostituito dall'art. 13, decreto
 legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (c.d.  testo   unico   delle
 disposizioni  sull'immigrazione)  che  ha  in  toto recepito la norma
 citata  della  legge  n.  40/1998.  Secondo  la  prospettazione   del
 ricorrente,  il  termine  di  soli  cinque  giorni  per presentare il
 ricorso innanzi al pretore e' talmente breve da menomare  il  diritto
 di difesa dell'extracomunitario colpito dal decreto di espulsione. In
 particolare   si  fa  rilevare  che  cinque  giorni  sono  pochi  per
 consentire a uno straniero, che presumibilmente versa  in  condizioni
 di disagio e difficolta' - economico ma anche sociale, culturale - di
 approntare   una   reazione   efficace  contro  il  provvedimento  di
 espulsione, considerando anche le  difficolta'  pratiche  alle  quali
 incorre   chi   intende   adire   un'autorita'  giudiziaria.  Inoltre
 nell'ipotesi che qualora lo straniero (nell'accezione che ne  da'  la
 normativa  richiamata  e  cioe' extracomunitario o apolide) decida di
 farsi assistere da un procuratore,  avendone  la  possibilita'  anche
 economica  (considerando  le  difficolta' di accedere al patrocinio a
 spese dello Stato previsto dalla legge  richiamata)  la  ristrettezza
 dei termini impedisce ovvero rende oltremodo difficoltosa l'eventuale
 ricerca,  analisi o indagine su altri possibili motivi di ricorso che
 richiedano acquisizione di documentazione (si pensi ad  esempio  alla
 possibilita'  di  chiedere  il permesso per motivi politici adombrato
 dal  Kyereh);  allo  stesso  modo  la  prospettiva  per  esempio  del
 ricongiungimento   familiare   prevista   dalla   legge  puo'  essere
 vanificata dall'eventuale emissione del decreto di espulsione e dalla
 conseguente impossibilita' di articolare una  difesa  in  attesa  che
 l'iter  burocratico  per  il  suddetto ricongiungimento sia esaurito.
 L'odierno ricorrente, in definitiva, anche se ha proposto  nei  brevi
 termini  il  ricorso, ha pero' lamentato le difficolta' di articolare
 una difesa completa e piu' ampia anche in termini di ulteriori motivi
 da proporre.
   La predetta situazione,  a  parere  della  difesa  del  ricorrente,
 contrasta  con  la  previsione  dell'art.  24  della Costituzione che
 attribuisce a tutti, e dunque non  solo  ai  cittadini  italiani,  il
 diritto  di  agire  a  tutela  di  diritti  o  interessi  legittimi e
 l'inviolabilita'   del   diritto  di  difesa.  La  norma  va  infatti
 interpretata non solo nel senso di consentire in  astratto  l'accesso
 alla  giurisdizione  e  alla  relativa  tutela, ma anche nel senso di
 rendere  in  concreto  sempre   possibile   questo   accesso,   anche
 permettendo  a  chi  intende  agire  di  preparare  nel  miglior modo
 possibile le difese a  tutela  delle  proprie  situazioni  giuridiche
 soggettive.  L'art.  24  della  Costituzione  in sostanza sancisce il
 diritto ad avere il giusto processo che  non  puo'  andare  disgiunto
 all'effettivita'  della  difesa.  Orbene non sembra sussistere questa
 possibilita' se, pur riconoscendo allo straniero il diritto di  adire
 l'autorita'   giudiziaria   italiana,  non  lo  si  metta  poi  nelle
 condizioni di meglio articolare le  proprie  difese  in  vista  della
 tutela delle proprie situazioni giuridiche soggettive.
   Accanto  a  questa  eccezione  sollevata dal ricorrente, sussistono
 altri profili di incostituzionalita' della norma  che,  a  parere  di
 questo giudice, motivano la proposizione d'ufficio della questione di
 legittimita'  costituzionale.  In  primo  luogo,  il termine breve di
 dieci giorni a decorrere dalla proposizione del ricorso, assegnato al
 pretore per decidere sullo stesso, puo'  significativamente  menomare
 il diritto di difesa e il diritto al giusto processo. La brevita' del
 termine  per  decidere  infatti,  non  consente  al  pretore adito di
 svolgere, in dipendenza delle  difese  del  ricorrente  o  d'ufficio,
 un'adeguata  istruttoria  ai fini della giusta decisione; si pensi il
 caso in cui si renda necessario l'acquisizione di documentazione o di
 informazioni presso  una  pubblica  amministrazione.  Questo  pretore
 ritiene   pertanto   che  la  questione  di  incostituzionalita'  sia
 rilevante rispetto al caso in esame e, altresi',  non  manifestamente
 infondata.
   Questo decidente ritiene di sollevare d'ufficio ulteriore questione
 di  incostituzionalita',  peraltro  collegata  con  le precedenti. Va
 rilevato  che  ne'  la  normativa  in  esame,  ne'  altre   normative
 consentono  al pretore di sospendere l'efficacia (ovvero l'esecuzione
 o l'esecutivita') del decreto di espulsione. In via generale si  puo'
 osservare   che   la  mancanza  della  previsione  di  un  potere  di
 sospensione nuoce alla difesa del ricorrente e al giusto processo; il
 pretore infatti dovendo decidere nei tempi brevi gia' esaminati, puo'
 non essere in grado di svolgere  un'adeguata  istruttoria  se  questa
 comporti  il  superamento dei termini, perche' comunque dopo quindici
 giorni dalla comunicazione allo straniero il  decreto  di  espulsione
 puo' essere posto in esecuzione.
   Ma  questa preclusione risulta particolarmente problematica proprio
 nel caso all'esame di  questo  pretore  che,  proponendo  alla  Corte
 costituzionale l'eccezione e la questione di incostituzionalita', non
 puo'  pero',  nelle  more della decisione della Corte costituzionale,
 sospendere l'efficacia del decreto di espulsione, con il  conseguente
 rischio  che  pur in mancanza di una decisione nel merito, il decreto
 di espulsione contro l'odierno ricorrente venga comunque eseguito. Di
 contro, la previsione di  un  potere  di  sospendere  il  decreto  di
 espulsione, o una previsione di carattere generale che attribuisca al
 pretore  di  sospendere il provvedimento amministrativo nelle more di
 un ricorso  di  carattere  giurisdizionale,  sarebbe  necessaria;  la
 sospensione   del   provvedimento   amministrativo   (o   della   sua
 esecutivita')  nelle  more   del   giudizio   innanzi   all'autorita'
 giudiziaria  costituisce  una  interferenza  del  potere  giudiziario
 nell'attivita' amministrativa ed evidentemente che solo una  espressa
 previsione  di  legge  puo'  consentire.    Questa mancata previsione
 comprime sia il diritto di difesa sia il diritto al giusto  processo,
 laddove  rende  inutile  il  ricorso  all'autorita'  giudiziaria  per
 opporsi al decreto di espulsione e si  rischia  che  il  decreto  sia
 eseguito  anche  se  il  pretore non sia pervenuto alla decisione nel
 merito.   Si   deve   dunque   ritenere   che   la    questione    di
 incostituzionalita' sia rilevante rispetto al giudizio in corso e non
 manifestamente infondata.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Rimette  gli  atti  del presente giudizio alla Corte costituzionale
 per la decisione sulla legittimita' costituzionale dell'art.  13  del
 d.lgs.  25  luglio  1998,  n.  286,  commi 8, 9 e 10, con riferimento
 all'art.  24 della Costituzione, commi 1 e 2, nella parte in cui:
     a) fissa il termine di cinque giorni dalla notifica  del  decreto
 di espulsione dello straniero per la proposizione del ricorso avverso
 il predetto decreto innanzi al pretore;
     b)  fissa  il  termine  di  dieci giorni dal deposito del ricorso
 suddetto per la decisione del pretore sul ricorso;
     c) non prevede il potere del pretore  decidente  sul  ricorso  di
 sospendere l'efficacia (l'esecutivita' o l'esecuzione) del decreto di
 espulsione impugnato;
   Dispone  la  sospensione del presente giudizio sino all'esito della
 decisone della Corte costituzionale sull'eccezione e sulla  questione
 di legittimita' costituzionale suddetta;
   Manda  alla  cancelleria  di  notificare  la  presente ordinanza al
 ricorrente, alla prefettura di Palermo,  nonche'  al  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri;
   Manda  alla  cancelleria  di provvedere altresi' alla comunicazione
 della presente ordinanza ai Presidenti della Camera dei deputati e al
 Presidente del Senato.
     Palermo, addi' 17 ottobre 1998
                    Il pretore: (firma illeggibile)
 98C1321