N. 394 SENTENZA 25 novembre - 4 dicembre 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale -  Ufficiali  e  agenti  di  polizia  giudiziaria  -
 Trasgressioni   relative   all'esercizio   delle   loro   funzioni  -
 Procedimento  disciplinare  -  Norme  di  attuazione  del  codice  di
 procedura  penale  -  Presunta  istituzione  di un giudice speciale -
 Commissioni  per  i  procedimenti  disciplinari  -   Composizione   -
 Impossibilita'  di considerarle quali sezioni specializzate di organi
 giudiziari ordinari perche'  in alcun modo incardinate in  un  organo
 giudiziario  ordinario  -  Contrasto con il divieto costituzionale di
 istituire giudici speciali - Illegittimita' costituzionale.
 
 (D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 18, quinto comma).
 
(GU n.49 del 9-12-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,    avv.  Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI,  prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 16, 17  e  18
 del  decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione,
 di coordinamento e  transitorie  del  codice  di  procedura  penale),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il 24 settembre 1997 dalla Corte di
 cassazione sul ricorso proposto da Angelo Siciliano, iscritta  al  n.
 877 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  6  maggio 1998 il giudice
 relatore Cesare Mirabelli.
                           Ritenuto in fatto
   Nel  corso  di  un  giudizio  promosso  da  un  sottufficiale   dei
 carabinieri,  il  quale  aveva  proposto  ricorso contro la decisione
 della commissione di disciplina di secondo grado per gli ufficiali  e
 gli  agenti di polizia giudiziaria che lo aveva ritenuto responsabile
 di illecito disciplinare applicando la  sanzione  della  censura,  la
 Corte  di  cassazione,  con ordinanza emessa il 24 settembre 1997, ha
 sollevato,  in  riferimento  all'art.  102,  secondo   comma,   della
 Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale degli artt.
 16, 17 e 18 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme  di
 attuazione,  di  coordinamento  e transitorie del codice di procedura
 penale).
   Le disposizioni denunciate, inserite  nel  capo  che  raccoglie  le
 disposizioni  relative  alla  polizia  giudiziaria,  regolamentano le
 sanzioni, il procedimento ed i ricorsi disciplinari per gli ufficiali
 e gli agenti di polizia giudiziaria relativamente alle  trasgressioni
 che si riferiscono all'esercizio di tali loro funzioni. L'omissione o
 il  ritardo,  senza  giustificato  motivo, nel riferire all'autorita'
 giudiziaria la notizia del reato, ovvero nell'esecuzione di un ordine
 della stessa, le negligenze o le violazioni di altre disposizioni  di
 legge   relative   alle   funzioni   di   polizia  giudiziaria,  sono
 comportamenti sanzionati con la censura e, nei casi piu'  gravi,  con
 la  sospensione dall'impiego per un tempo non eccedente sei mesi; per
 le  altre  trasgressioni  gli  ufficiali  e  gli  agenti  di  polizia
 giudiziaria  rimangono  soggetti alle sanzioni disciplinari stabilite
 dai propri ordinamenti (art.  16). L'azione disciplinare e'  promossa
 dal  procuratore generale presso la corte d'appello nel cui distretto
 l'ufficiale o l'agente presta servizio; competente a giudicare e' una
 commissione  composta  da  due  magistrati,  nominati  dal  consiglio
 giudiziario,  e  da  un  ufficiale  di  polizia giudiziaria, nominato
 dall'amministrazione di appartenenza dell'incolpato (art. 17). Contro
 la decisione della commissione puo' essere  proposto  ricorso  a  una
 commissione  di  secondo  grado,  che  ha sede presso il ministero di
 grazia e giustizia, composta anch'essa da  due  magistrati,  nominati
 dal  Consiglio  superiore  della  magistratura,  e da un ufficiale di
 polizia giudiziaria,  della  stessa  amministrazione  dell'incolpato;
 contro  le  decisioni  di  secondo  grado  puo'  essere  direttamente
 proposto ricorso per cassazione per violazione di legge (art. 18).
   Il giudice rimettente ritiene che  il  sistema,  cosi'  congegnato,
 configuri  l'istituzione  di  un  giudice speciale, vietata dall'art.
 102, secondo  comma,  della  Costituzione.  Difatti  sarebbero  state
 create commissioni che, considerata la natura delle sanzioni che esse
 possono infliggere, avrebbero carattere amministrativo, ma che invece
 esercitano   funzioni   giurisdizionali,   giacche'  contro  le  loro
 decisioni puo' essere proposto ricorso solo alla Corte di  cassazione
 per  violazione  di legge. Quest'ultimo elemento caratterizzerebbe la
 natura giurisdizionale di un sistema che riguarda esclusivamente  una
 limitata   tipologia  di  violazioni  disciplinari:  quelle  inerenti
 all'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria.  Le  commissioni
 di  disciplina  sarebbero organi di giurisdizione speciale, in quanto
 istituiti per il giudizio  su  alcuni  tipi  di  controversie  e  nei
 confronti  di  determinate categorie di persone, mentre gli organi di
 giurisdizione ordinaria sarebbero competenti per la generalita' delle
 controversie.
   Il giudice rimettente sottolinea che  le  commissioni  disciplinari
 per  gli  ufficiali  ed  agenti di polizia giudiziaria sono organi di
 nuova istituzione, giacche' in precedenza  le  sanzioni  disciplinari
 nei confronti dello stesso personale erano applicate direttamente dal
 procuratore  generale presso la corte d'appello (art. 229 cod.  proc.
 pen. del 1930). Sicche' i dubbi di  legittimita'  costituzionale  non
 potrebbero essere superati richiamando la VI disposizione transitoria
 e  finale  della  Costituzione,  che consentirebbe il mantenimento di
 organi speciali di giurisdizione solo se preesistenti.
                        Considerato in diritto
   1. - La questione di legittimita' costituzionale,  sollevata  dalla
 Corte  di  cassazione,  investe  le norme di attuazione del codice di
 procedura  penale  che  regolano  il  procedimento  disciplinare  nei
 confronti  degli  ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria per
 le  trasgressioni  relative  all'esercizio  di  tali  loro  funzioni,
 distinte  dalle  altre  trasgressioni,  per  le  quali essi rimangono
 soggetti alle sanzioni disciplinari stabilite dagli ordinamenti delle
 amministrazioni di appartenenza. Gli artt. 16, 17 e  18  delle  norme
 approvate  con  decreto  legislativo  28  luglio  1989,  n.  271 (che
 disciplinano,   rispettivamente,   le   sanzioni   disciplinari,   il
 procedimento  ed  i  ricorsi contro le decisioni delle commissioni di
 disciplina), configurerebbero la istituzione di un giudice  speciale,
 in  contrasto  con  l'art. 102, secondo comma, della Costituzione. In
 particolare la possibilita'  di  proporre  direttamente  ricorso  per
 cassazione,  per  violazione  di  legge,  contro  le  decisioni della
 commissione di secondo  grado,  costituita  presso  il  ministero  di
 grazia  e  giustizia,  qualificherebbe come giurisdizionale (anziche'
 come amministrativa, nonostante la natura delle sanzioni) l'attivita'
 delle commissioni di disciplina.
   2. - La questione e' fondata, nei limiti di seguito precisati.
   2.1. - Le disposizioni denunciate  vanno  inquadrate  nel  contesto
 delle  norme  del  codice di procedura penale le quali, in attuazione
 del precetto costituzionale che attribuisce all'autorita' giudiziaria
 il potere di disporre direttamente della  polizia  giudiziaria  (art.
 109  Cost.), stabiliscono che le funzioni di polizia giudiziaria sono
 svolte alle dipendenze e sotto la direzione della  stessa  autorita':
 dalle  apposite  sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni
 procura  della  Repubblica,  dai  servizi  di   polizia   giudiziaria
 inquadrati  presso  le  diverse  amministrazioni cui tale compito sia
 rimesso, dagli  ufficiali  e  dagli  agenti  di  polizia  giudiziaria
 appartenenti  ad  altri  organi,  che  hanno  l'obbligo  di  compiere
 indagini a seguito di una notizia di reato (art. 56 cod. proc. pen.).
 Mentre lo stato  giuridico  del  personale  che  svolge  funzioni  di
 polizia  giudiziaria  rimane  disciplinato  dagli  ordinamenti  delle
 amministrazioni di appartenenza (art. 10 disp. att. cod. proc. pen.),
 anche quando  esso  e'  inquadrato  nell'organico  delle  sezioni  di
 polizia   giudiziaria,   vi   e'   sempre,   in   tutte  le  distinte
 configurazioni  organizzative,  un  diretto  legame  funzionale   con
 l'autorita'   giudiziaria,  che  si  riflette  in  vario  modo  sulle
 condizioni sia di stato che di impiego degli addetti.
   Questa duplice dipendenza (dall'amministrazione di appartenenza  e,
 per l'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, dall'autorita'
 giudiziaria)  determina  la  soggezione  alle  sanzioni  disciplinari
 stabilite dall'ordinamento proprio di ciascun ufficiale o  agente  ed
 applicate  dagli organi amministrativi competenti, e, ad un tempo, la
 soggezione  distinta  alle   sanzioni   disciplinari   specificamente
 previste  per  le  trasgressioni  relative  alle  funzioni di polizia
 giudiziaria, comminate da organi appositi (art. 16  disp.  att.  cod.
 proc.  pen.).  Per  queste ultime trasgressioni, difatti, le sanzioni
 disciplinari sono applicate da commissioni di disciplina nelle  quali
 e'  prevalente  la  presenza  di  magistrati rispetto a quella di una
 rappresentanza dell'amministrazione di appartenenza dell'incolpato.
   La struttura e la funzione di tali commissioni non  sono  dissimili
 da quelle di ogni altro organo collegiale cui sia rimesso il giudizio
 sulle  trasgressioni  disciplinari  e  l'applicazione  delle relative
 sanzioni. Ne' la disciplina del  procedimento  (art.  17  disp.  att.
 cod.   proc.   pen.)   vale   di   per  se'  a  caratterizzarlo  come
 giurisdizionale, giacche' le garanzie di contestazione  dell'addebito
 e  di  difesa e gli atti del procedimento, per il quale si osservano,
 in quanto applicabili, le disposizioni dell'art. 127 cod. proc. pen.,
 non  si  discostano  da  principi  comuni  ai  diversi   procedimenti
 disciplinari.
   Difatti  l'esercizio  della  funzione  disciplinare nell'ambito del
 pubblico  impiego,  della   magistratura,   come   pure   di   alcune
 professioni,  si  esprime con modalita' diverse ma affini. I relativi
 procedimenti sono  normalmente  caratterizzati  come  amministrativi;
 talvolta  come  giurisdizionali, non per una loro diversa struttura e
 funzione, ma in continuita' con una disciplina normativa radicata  in
 epoca  anteriore  alla Costituzione (sentenze n. 145 del 1976, n. 380
 del 1992 e n.   52 del  1998).  Anche  quando  tali  procedimenti  si
 svolgano  dinanzi  a  consigli  amministrativi  di  disciplina,  essi
 presentano  numerosi   punti   di   contatto   con   i   procedimenti
 giurisdizionali,   tanto  che  in  dottrina  non  si  e'  mancato  di
 sottolineare che essi, di regola, si conformano a questi ultimi.  Non
 senza  ragione:  il  carattere delle sanzioni disciplinari, idonee ad
 incidere sulla dignita' della persona nell'ambito della sua comunita'
 di lavoro, oltre che  sullo  stato  giuridico  nell'impiego  o  nella
 professione,  richiede che il relativo procedimento rispetti garanzie
 che,   nella   loro   espressione   essenziale,   caratterizzano   il
 procedimento  disciplinare,  sia  che esso abbia veste amministrativa
 sia che assuma quella giurisdizionale (sentenza n.  71 del 1995).
   Pertanto  la  regolamentazione  del   procedimento   dinanzi   alle
 commissioni  di  disciplina non vale, di per se', a qualificarle come
 organi di giurisdizione. E' invece, come ha sottolineato  il  giudice
 rimettente    nel    sollecitare    il   giudizio   di   legittimita'
 costituzionale, la prevista possibilita' di  impugnare  la  decisione
 disciplinare   proponendo  ricorso  alla  Corte  di  cassazione,  per
 violazione di legge (art. 18, comma 5, disp. att. cod. proc. pen.), a
 far pervenire a  tale  qualificazione.    Cio'  perche',  nel  nostro
 sistema,  il  ricorso  per  cassazione  e'  diretto  al  controllo su
 provvedimenti di natura giurisdizionale (sentenza n. 284  del  1986).
 Il  tipo  di  impugnazione  e  l'organo cui essa e' rivolta valgono a
 qualificare,  con  la  natura  della  decisione   impugnata,   quella
 dell'organo che l'ha emessa.
   2.2. - Nell'attribuire l'esercizio della funzione giurisdizionale a
 magistrati    ordinari,    istituiti    e    regolati   dalle   norme
 sull'ordinamento giudiziario,  la  Costituzione  (art.  102,  secondo
 comma)  vieta  la  istituzione  di  giudici  straordinari o speciali,
 consentendo soltanto  l'istituzione,  presso  gli  organi  giudiziari
 ordinari, di sezioni specializzate per determinate materie, anche con
 la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.
   Le  commissioni per i procedimenti disciplinari nei confronti degli
 ufficiali  ed  agenti  di  polizia  giudiziaria,   qualificate   come
 giurisdizionali   essenzialmente  in  ragione  del  tipo  di  gravame
 previsto per i loro provvedimenti,  non  possono  essere  considerate
 sezioni  specializzate di organi giudiziari ordinari. Composte da due
 magistrati nominati dal consiglio giudiziario (per le commissioni  di
 primo  grado)  o  dal  Consiglio superiore della magistratura (per la
 commissione di secondo grado che  ha  sede  presso  il  ministero  di
 grazia e giustizia) e da un ufficiale di polizia giudiziaria nominato
 dall'amministrazione  di  appartenenza  dell'incolpato (artt. 17 e 18
 disp. att. cod. proc.  pen.), esse non sono in alcun modo incardinate
 presso un  organo  giudiziario  ordinario,  cui  accedano  componenti
 estranei  alla  magistratura (cfr.   sentenza n. 83 del 1998). Ne' si
 tratta di organi disciplinari preesistenti alla Costituzione,  per  i
 quali, in ipotesi, si possa richiamare la VI disposizione transitoria
 e  finale  della  Costituzione  per  sostenerne la sopravvivenza come
 giudici speciali (cfr. sentenze n. 284 del 1986 e n. 380 del 1992).
   Il sistema disciplinare per gli ufficiali e gli agenti  di  polizia
 giudiziaria   si   pone,   dunque,   in   contrasto  con  il  divieto
 costituzionale  di  istituire  giudici  speciali.  La  illegittimita'
 costituzionale   non   si   estende   tuttavia  alla  disciplina  del
 procedimento  ed all'esistenza delle commissioni, ma e' limitata alla
 norma che, nelle disposizioni denunciate,  vale  a  configurare  come
 giurisdizionale  l'attivita' delle commissioni di disciplina e quindi
 a  connotare  le  stesse  come  giudice  speciale.  Dipendendo   tale
 qualificazione  dalla  prevista possibilita' di proporre direttamente
 ricorso per  cassazione  contro  le  pronunce  della  commissione  di
 secondo  grado  (art.  18,  comma 5, disp. att.  cod. proc. pen.), e'
 sufficiente dichiarare l'illegittimita' costituzionale di tale  norma
 per superare i vizi denunciati.
   Ne  segue  che  le commissioni assumono la configurazione di organi
 disciplinari  amministrativi,  nei  confronti  delle  cui   decisioni
 rimangono esperibili gli ordinari rimedi giurisdizionali.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 5, del
 decreto  legislativo  28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di
 coordinamento e transitorie del codice di procedura penale).
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 25 novembre 1998.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Mirabelli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 4 dicembre 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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