N. 427 ORDINANZA 14 - 23 dicembre 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Reati  in genere - Abuso d'ufficio - Presunta indeterminatezza della
 fattispecie - Inapplicabilita' di parte  della  norma  incriminatrice
 oggetto   di   censura   perche'  non  piu'  in  vigore  -  Manifesta
 inammissibilita'.
 
 (C.P.,  art. 323 nel testo anteriore alla modifica recata dall'art. 1
 della legge 16 luglio 1997, n. 234).
 
 (Cost., artt. 25, 24, secondo comma, e 97).
 
(GU n.52 del 30-12-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof. Fernando   SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
 NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  323  cod.  pen.
 nel  testo  vigente  prima della modifica apportata dall'art. 1 della
 legge 16 luglio 1997, n. 234 (Modifica dell'articolo 323  del  codice
 penale in materia di abuso d'ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555
 del codice di procedura penale), promossi: 1) con ordinanze emesse il
 5  febbraio  1998  e  il  7  maggio  1998 dal giudice per le indagini
 preliminari presso il Tribunale di Sondrio, iscritte ai nn. 206 e 454
 del registro ordinanze 1998 e  pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della  Repubblica  nn. 14 e 26, prima serie speciale, dell'anno 1998;
 2) con ordinanze emesse il 13  gennaio  1998,  2  dicembre  1997,  27
 gennaio  1998,  23  gennaio 1998, 27 febbraio 1998 e 24 febbraio 1998
 dal Tribunale di Sondrio, iscritte ai nn. 249, 250, 251, 252,  409  e
 410 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica nn. 16 e 24, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 14 ottobre 1998 il giudice
 relatore Valerio Onida.
   Ritenuto che, con cinque ordinanze emanate fra il 2 dicembre 1997 e
 il 27 febbraio 1998 (r.o. nn. da 249  a  252  e  409  del  1998),  il
 Tribunale   di   Sondrio   ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 323 cod. pen. (Abuso d'ufficio),  nel  testo
 vigente  prima della novella recata dall'art. 1 della legge 16 luglio
 1997, n. 234 (Modifica dell'articolo 323 del codice penale in materia
 di abuso d'ufficio, e degli articoli 289, 416 e  555  del  codice  di
 procedura  penale), per contrasto con l'art. 25, secondo comma, della
 Costituzione;
     che analoga questione, in riferimento,  oltre  che  all'art.  25,
 secondo  comma, anche all'art. 24, secondo comma, della Costituzione,
 e' stata  sollevata  dal  Tribunale  di  Sondrio  con  una  ulteriore
 ordinanza emessa il 24 febbraio 1998 (r.o. n. 410 del 1998);
     che,  a  sua volta, il giudice per le indagini preliminari presso
 il Tribunale di Sondrio, con due ordinanze emesse rispettivamente  il
 5  febbraio  e  il  7  maggio  1998 (r.o. nn. 206 e 454 del 1998), ha
 sollevato  analoga  questione  di  legittimita'  costituzionale   del
 medesimo  art.  323  cod.  pen., nel testo previgente, in riferimento
 agli  artt.    24,  secondo  comma,  25,  secondo  comma,  nonche'  -
 nell'ordinanza  iscritta  al  n.  454  del  1998  - all'art. 97 della
 Costituzione;
     che la rilevanza della questione e' ritenuta dai remittenti sulla
 base della considerazione che i fatti di cui  e'  giudizio,  commessi
 all'epoca  in  cui  era  in  vigore  la  norma  denunciata,  appaiono
 astrattamente sussumibili anche nella fattispecie dell'art. 323  cod.
 pen.  come  sostituito  dall'art. 1 della legge n. 234 del 1997, onde
 non potrebbe pervenirsi ad una pronuncia  di  non  doversi  procedere
 perche'  il  fatto  non  e'  piu' previsto dalla legge come reato, ai
 sensi dell'art. 2, secondo comma, del codice penale;  e  che  d'altra
 parte  la  soluzione  del  dubbio  di legittimita' costituzionale del
 precedente testo dell'art.  323 e' necessaria, a giudizio dei giudici
 a quibus  dovendosi,  in  caso  di  dichiarazione  di  illegittimita'
 costituzionale della predetta norma, cui conseguirebbe la caducazione
 ex tunc della medesima, pervenire ad una pronuncia di proscioglimento
 perche'  il  fatto non costituiva reato all'epoca in cui fu commesso,
 ai sensi dell'art. 2, primo comma, del codice penale;
     che,  quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  le   ordinanze
 richiamano  il principio di tassativita' delle norme incriminatrici -
 derivante dall'art. 25,  secondo  comma,  della  Costituzione  -  che
 esprimerebbe    l'esigenza    di    evitare    la    genericita'    e
 l'indeterminatezza della fattispecie, in modo che sia  assicurata  al
 giudice  la  possibilita' di individuare, a mezzo degli usuali metodi
 ermeneutici, la condotta penalmente rilevante,  nonche'  (secondo  le
 ordinanze  nn. 206, 410 e 454 del 1998) in modo che sia consentito ai
 consociati di conoscere preventivamente cio' che e' reato e cio'  che
 non lo e';
     che,   cio'   premesso,   i  remittenti  osservano  che,  secondo
 l'interpretazione  corrente  dell'art.  323  cod.  pen.   nel   testo
 previgente,  venivano  ricompresi  nella  condotta  incriminata  ogni
 violazione del parametro di doverosita' quale  risulta  dalle  regole
 normative  improntate  ai principi di legalita', imparzialita' e buon
 andamento  della   pubblica   amministrazione,   ogni   comportamento
 esplicantesi   in  un'illecita  deviazione  dai  fini  istituzionali,
 nonche' gli atti viziati da eccesso di potere;
     che, ad avviso dei giudici a quibus siffatta interpretazione, che
 costituirebbe "diritto vivente", non consentirebbe di escludere dubbi
 sull'indeterminatezza  della  fattispecie  penale,  in  relazione  ad
 espressioni  quali "parametro di doverosita'" o "fini istituzionali",
 o alla figura normativamente non definita, e in costante  evoluzione,
 dell'eccesso di potere;
     che,  inoltre,  secondo le ordinanze nn. 206, 410 e 454 del 1998,
 la incertezza della norma non permetterebbe un efficace esercizio del
 diritto di  difesa  garantito  dall'art.  24,  secondo  comma,  della
 Costituzione;
     che,   infine,   secondo   l'ordinanza   n.   454  del  1998,  la
 insufficiente determinatezza della fattispecie, anche per  il  "ruolo
 centrale" del dolo specifico, che finirebbe per decidere della stessa
 illiceita'  di  una  condotta  di per se' neutra, comprometterebbe il
 buon andamento della pubblica amministrazione, poiche' "le incursioni
 del  giudice penale nella sfera amministrativa, in assenza di univoci
 criteri oggettivi idonei  a  delimitare  il  confine  fra  lecito  ed
 illecito",  rischierebbero  di  paralizzare  anche  le piu' ordinarie
 attivita' dei pubblici funzionari, dal che discenderebbe altresi'  la
 violazione dell'art. 97 della Costituzione;
     che  non vi e' stata ne' costituzione di parti ne' intervento del
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
   Considerato che i giudizi, aventi lo stesso oggetto, possono essere
 riuniti per essere decisi con unica pronunzia;
     che   la   questione   proposta   si   appalesa    manifestamente
 inammissibile per difetto di rilevanza;
     che, infatti, le censure mosse al testo previgente dell'art.  323
 cod. pen. attengono alla asserita indeterminatezza della fattispecie,
 a   cui   sono   riconducibili,  nella  prospettazione  degli  stessi
 remittenti, anche i profili sollevati di violazione degli  artt.  24,
 secondo comma, e 97 della Costituzione;
     che,  peraltro,  gli stessi remittenti premettono che i fatti sui
 quali sono chiamati a  giudicare  appaiono  sussumibili  anche  nella
 fattispecie  descritta  dal  nuovo  testo  dell'art.  323  cod. pen.,
 riguardo alla quale  non  sollevano  alcun  dubbio  di  insufficiente
 determinatezza,   ancorche'  si  tratti  di  norma  piu'  favorevole,
 destinata in ipotesi a trovare applicazione  ai  sensi  dell'art.  2,
 terzo comma, cod. pen;
     che  l'asserita  indeterminatezza  della preesistente fattispecie
 riguarderebbe dunque non gia' l'intera area delle condotte  punibili,
 ma  solo quelle connotate da elementi di incerta definizione, come la
 generica antidoverosita', il contrasto con i fini istituzionali e  il
 vizio  di  eccesso  di  potere,  non,  quindi,  le  condotte di abuso
 connotate da violazione di specifiche norme di legge o di regolamento
 e tali da causare intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale
 all'agente o ad altri, ovvero  un  danno  ingiusto  ad  altri,  quali
 quelle  descritte  nel  nuovo  testo  dell'art.  323  cod.  pen, come
 modificato dall'art. 1 della legge n. 234 del 1997;
     che, pertanto, il giudizio sui fatti sottoposti ai remittenti non
 verrebbe in alcun modo influenzato dalla eventuale  dichiarazione  di
 illegittimita' costituzionale del testo previgente dell'art. 323 cod.
 pen.  nella  parte  in  cui conteneva - in ipotesi - l'indicazione di
 ulteriori condotte  punibili  non  sufficientemente  determinate,  in
 quanto connotate dai predetti elementi di incerta definizione;
     che  ove, per converso, i fatti risultassero riconducibili a tale
 ultimo tipo di condotte, e non a  quelle  indicate  dal  nuovo  testo
 dell'art.   323,   la   questione   sollevata   apparirebbe  comunque
 irrilevante in quanto,  come  ammettono  gli  stessi  remittenti,  in
 questo  caso  la  norma  sopravvenuta imporrebbe di prosciogliere gli
 imputati perche' il fatto non  e'  piu'  previsto  dalla  legge  come
 reato;
     che  risulta dunque in ogni caso inapplicabile quella parte della
 norma incriminatrice - non piu' in vigore - sulla quale si  appuntano
 i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  sollevati  dai  giudici a
 quibus.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi, dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 323 del codice
 penale (Abuso d'ufficio), nel testo anteriore  alla  modifica  recata
 dall'art.   1   della   legge   16  luglio  1997,  n.  234  (Modifica
 dell'articolo 323 del codice penale in materia di abuso d'ufficio,  e
 degli  articoli  289,  416  e  555  del  codice di procedura penale),
 sollevata, in riferimento agli articoli 25, 24, secondo comma,  e  97
 della  Costituzione,  dal  Tribunale  di Sondrio e dal giudice per le
 indagini preliminari presso lo stesso  Tribunale,  con  le  ordinanze
 indicate in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1998.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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