N. 304 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 febbraio 1999

                                N. 304
  Ordinanza  emessa  il  10  febbraio  1999  dalla Corte di appello di
 Milano nel procedimento civile vertente tra Consolini Luigia e comune
 di Malgrate ed altra.
 Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione
    delle indennita' espropriative per la realizzazione  di  opere  da
    parte  o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra
    il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con  la
    riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) -
    Mancata    previsione   della   subordinazione   dell'applicazione
    dell'abbattimento  del  quaranta  per  cento  dell'indennita'   di
    espropriazione,  nel  giudizio  di  determinazione instaurato dopo
    l'espropriazione, all'accertamento  che  l'indennita'  provvisoria
    offerta al privato fosse conforme ai criteri di legge - Disparita'
    di trattamento degli espropriati a seconda dei comportamenti della
    pubblica  amministrazione  -  Incidenza sui diritti di difesa e di
    proprieta' e sui principi di imparzialita', buon  andamento  della
    pubblica amministrazione e di tutela giurisdizionale.
 (D.-L.   11   luglio  1992,  n.  333,  art.  5-bis,  convertito,  con
    modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359).
 (Cost., artt. 3, 24, 42, 97 e 113).
(GU n.22 del 2-6-1999 )
                          LA CORTE DI APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa  civile  in  unico
 grado  iscritta  al  numero  di  ruolo  sopra  riportato  promossa da
 Consonni Luigi rappresentata e  difesa  dall'avv.  Ercole  Romano  ed
 elettivanente  domiciliata  presso  il suo studio in corso Magenta n.
 63, Milano, attrice;
   Contro il comune di Malgrate in persona del sindaco  pro-tempore  e
 la  comunita'  montana  del Lario orientale in persona del presidente
 pro-tempore ambedue  rappresentati  e  difesi  dagli  avv.ti  Alberto
 Bonaiti  e  Alessandra Noli Calvi ed elettivamente domiciliati presso
 quest'ultima in via Caradosso n. 11, Milano, convenuti;
   Il Collegio, letti gli atti del procedimento;
   Premesso:
     che il comune di Malgrate, con  provvedimento  26  gennaio  1994,
 decretava  l'occupazione d'urgenza di alcune aree - fra cui quella di
 proprieta' dell'attrice - in vista dell'espropriazione  delle  stesse
 per  l'attuazione  del  Piano di edilizia economica e popolare (PEEP)
 approvato dallo stesso comune con delibera  n.  66  del  21  novembre
 1992;
     che  in  data 25 marzo 1996 era notificato all'attrice il decreto
 del presidente della comunita' montana del Lario orientale che  aveva
 determinato l'indennita' di esproprio (a titolo provvisorio) in lire.
 55.000 il mq;
     che con raccomandata in data 10 giugno 1996 diretta al presidente
 della comunita' montana e al sindaco del comune l'attrice dichiarava:
      di  cedere  bonariamente al comune di Malgrate il terreno di sua
 proprieta';
      di  accettare  sin  d'ora  la   determinazione   dell'indennita'
 nell'entita'  che  sara'  individuata  dalla  Commissione provinciale
 espropri di Lecco, rinunciando a qualsiasi impugnativa in merito alla
 determinazione stessa.
   Cio' considerato:
     fa  presente  che,  a  seguito  della  prestazione  del  presente
 assenso,    non   potra'   essere   legittimamente   adottato   alcun
 provvedimento di esproprio e, pertanto, invita la comunita' montana a
 soprassedere in attesa  di  poter  formalizzare  l'atto  di  cessione
 bonaria al valore definito dalla Commissione provinciale esropri;
     si  permette  di sollecitare l'esame della pratica da parte della
 Commissione provinciale espropri.
   E concludeva come segue;
   La presente dichiarazione di cessione bonaria consegue  anche  (al)
 la  non  disponibilita'  del  comune  di  Malgrate  a pervenire ad un
 accordo diretto tra le parti cosi' come suggerito dalla  lettera  del
 13 giugno 1996 della comunita' montana:
     che  il  comune  di  Malgrate,  il  5  novembre  1996, rispondeva
 invitando l'attrice a voler "meglio precisare se con la  raccomandata
 sopra   indicata,   in   cui   si  dichiara  l'intenzione  di  cedere
 bonariamente i terreni di proprieta' oggetto di esproprio, si intende
 anche accettare l'indennita' indicata nel decreto n. 17 emesso  dalla
 comunita' montana del Lario orientale in data 25 marzo 1996, prot. n.
 741.
   In  attesa  di riscontro entro giorni 15 (quindici) dal ricevimento
 della presente, trascorso il quale si riterra', per il  momento,  non
 accettata l'indennita' proposta per la cessione volontaria, ...";
     che   il   25  novembre  1996,  l'attrice  notificava  agli  enti
 interessati un atto stragiudiziale col quale riconfermava il  proprio
 diritto  all'esercizio  della  facolta'  di  accedere  alla  cessione
 bonaria di cui all'art.  5-bis,  della  legge  n.  359/1992,  con  lo
 specifico   invito   a   notificare   l'indennita'  definitiva  quale
 determinata dalla CPE prima di emettere il decreto di espropriazione;
     che la Commissione provinciale espropri, con provvedimento n.  28
 del  10  giugno  1997,  determinava  l'indennita'  definitiva  in  L.
 190.086.866,  e  cioe'  in  misura superiore di oltre il 30% rispetto
 all'indennita' provvisoria;
     che gli enti interessati notificavano tale indennita' all'attrice
 in data 25 giugno 1997 ma, dopo soli otto giorni, il 3  luglio  1997,
 facevano  seguire la notifica del decreto di espropriazione, peraltro
 emesso in data 24 giugno 1997.
   Conseguentemente l'attrice, con citazione  notificata  in  data  10
 luglio  1997,  chiedeva alla Corte d'appello di Milano, di verificare
 se, nella specie, gli enti evocati in giudizio (comune di Malgrate  e
 Comunita'   montana   del   Lario   orientale)   avevano   tenuto  un
 comportamento non consono alle  regole  del  giusto  procedimento  ai
 sensi  dell'art.  97 della Costituzione e dell'art. 2, della legge n.
 241/1990 (applicabile  in  via  analogica)  non  avendo  concesso  il
 previsto  termine  di  giorni  trenta  impedendo  cosi' al privato di
 manifestare la propria volonta' in ordine al diritto  potestativo  di
 accettare  l'indennita'  ai  fini della cessione volontaria, facolta'
 esercitabile fino alla data del trasferimento coattivo;
     che  anzi,  ricollegandosi gli effetti traslativi alla data della
 emanazione del decreto (atto non ricettizio), appariva  evidente  che
 gli  enti interessati avevano tenuto un comportamento deliberatamente
 inteso a  danneggiare  il  privato,  reso  edotto  del  provvedimento
 ablativo a cose fatte e cioe' il succesivo 25 giugno 1996.
   Assumeva inoltre l'espropriata che l'indennita' rispetto alla quale
 puo'  essere  manifestata  la  volonta'  utile ai fini della cessione
 volontaria non e' quella provvisoria ma quella definitiva determinata
 dalla CPE (organo terzo) e che, pertanto,  le  spettava  quest'ultima
 indennita',  non  decurtata del 40%, dovendosi ritenere idonea, quale
 dichiarazione  potestativa  per  gli  effetti  della   cessione,   la
 sottoscrizione dell'atto di citazione.
   Gli  enti  pubblici  convenuti  eccepivano l'inammissibilita' della
 domanda non essendo la questione relativa  all'abbattimento  del  40%
 materia  di  opposizione  alla  stima  in  quanto  effetto automatico
 stabilito dalla legge  e,  nel  merito,  obiettavano  che  -  essendo
 intervenuto  il  decreto di esproprio - non ricorrevano i presupposti
 per la cessione volontaria poiche', a tal fine, l'espropriata avrebbe
 potuto e dovuto  accettare  l'indennita'  provvisoria,  a  suo  tempo
 regolarmente    notificata,    evitando    cosi'    la   decurtazione
 dell'indennizzo; affermavano, inoltre, che la legge  non  prevede  la
 determinazione  dell'indennita' di esproprio da parte della CPE (e la
 sua  offerta   da   parte   dell'espropriante)   come   pregiudiziale
 all'emissione   del   decreto  di  espropriazione;  che,  infine,  la
 manifestazione  di  volonta'  dell'espropriando  per  accedere   alla
 cessione  bonaria  del  bene, va fatta con riferimento all'indennita'
 provvisoria, preordinata dalla  legge  allo  scopo  di  prevenire  le
 vertenze  e  ridurre  il  contenzioso;  che,  in ogni caso, emesso il
 provvedimento ablatorio, non c'e' piu' alcun spazio per  la  cessione
 volontaria  per  cui all'indennita' di esproprio deve necessariamente
 applicarsi la decurtazione del 40% prevista  dall'art.  5-bis,  della
 legge n.  359/1992.
                             O s s e r v a
   Oggetto  di  controversia  nel  presente  giudizio e', fra l'altro,
 l'applicabilita' o meno della falcidia del  40%,  prevista  dall'art.
 5-bis,  della  legge  n.  359/1992,  all'indennita'  dovuta  per  una
 espropriazione disposta successivamente alla entrata in vigore  della
 legge  predetta,  avendo  l'espropriata  rifiutato  di  convenire  la
 cessione   volontaria   sulla   base   dell'indennita'    provvisoria
 determinata   dal   presidente  della  comunita'  montana  del  Lario
 orientale dichiarandosi invece disposta ad accettare quella stabilita
 dalla   Commissione   provinciale   espropri,   comunicata   peraltro
 all'interessata ad esproprio ormai avvenuto.
   L'espropriata    contesta   che   ricorrano   i   presupposti   per
 l'applicazione   dell'accennata   falcidia,   di   cui   invece   gli
 esproprianti  vorrebbero  beneficiare  a causa della mancata cessione
 prima del provvedimento ablatorio, e prospetta per tale evenienza  la
 lesione  del  suo  diritto soggettivo ad un congruo indennizzo per la
 perdita del bene perche' l'uso del  ricorso  giudiziario  porterebbe,
 anche nella fondatezza della ragione, ad un risultato peggiorativo.
   Benche' nel caso in esame il mancato consenso dell'espropriata alla
 cessione  volontaria  sulla  base  dell'indennita'  provvisoria fosse
 giustificata dalla insufficienza di  quest'ultima,  ritiene  tuttavia
 questa  Corte  d'appello  che,  nell'attuale  assetto normativo della
 materia,  la  determinazione  giudiziale  della  stima  non  potrebbe
 omettere l'abbattimento del 40% previsto dall'art. 5-bis, della legge
 8  agosto  1992,  n.  359.  Il  predetto  abbattimento,  infatti,  e'
 contemplato quale metodo ordinario di determinazione della stima, che
 puo'  essere  evitato  solo  dalla  convenzione  con  cui  le   parti
 addivengano  alla  cessione  volontaria del bene. Questa e' possibile
 "in  ogni  fase  del  procedimento  espropriativo",  ma   solo   fino
 all'emissione  del  decreto  di  espropriazione  (con  il  quale quel
 procedimento  termina),  giacche'  questo  provvedimento,  procurando
 all'ente   espropriante   l'acquisto   della   proprieta',  ne  priva
 l'espropriato, il quale  non  potrebbe  pertanto  piu'  disporne  per
 cederlo alla pubblica amministrazione. Secondo l'interpretazione piu'
 accreditata,  scopo del legislatore e' quello di offrire un incentivo
 alla composizione non contenziosa  della  vertenza;  ma  appunto  per
 questa  ragione  il beneficio, costituito da un significativo aumento
 dell'indennita' di espropriazione rispetto a quello previsto  in  via
 ordinaria  e  che  sconta  l'abbattimento del 40%, e' necessariamente
 subordinato alla conclusione di una cessione volontaria.
   In questa cessione deve ravvisarsi una convenzione che,  quantunque
 inserita   in   un   procedimento   amministrativo,  conserva  natura
 privatistica, e nella sua  fase  di  perfezionamento  si  sottrae  al
 sindacato  del  giudice.    Vero  e'  che  la  consistenza di diritto
 soggettivo della posizione del privato che subisce  il  provvedimento
 ablatorio,  e la conseguente necessita' di dare compiuta applicazione
 alla riserva di legge  contenuta  nell'art.  42,  terzo  comma  della
 Costituzione,   imporrebbero   di  limitare  l'area  di  esplicazione
 dell'autonomia negoziale  dell'ente  espropriante  sotto  un  duplice
 profilo.
   Per  un  verso,  infatti, la determinazione del corrispettivo della
 cessione non sembra liberamente negoziabile, ma, piuttosto, correlata
 a parametri di liquidazione predeterminati  dalla  legge;  per  altro
 verso, dovrebbe escludersi per l'ente espropriante la possibilita' di
 sottrarsi  ad una cessione volontaria offerta dal privato, al fine di
 conseguire il bene attraverso un provvedimento di espropriazione e il
 pagamento di  una  indennita'  inferiore  (gia'  la  formula  ambigua
 dell'art.  12,  della  legge  n.  865/1971,  la  quale  prevedeva per
 l'espropriato la facolta' di accettare,  entro  trenta  giorni  dalla
 notifica, l'indennita' provvisoria offerta dall'espropriante, con una
 consistente  maggiorazione  dell'indennita'  provvisoria  medesima  -
 formula che lasciava  sussistere  il  dubbio  se  l'accettazione  del
 privato  fosse vincolante per l'espropriante - era stata chiarita dal
 successivo art. 14 della legge n. 10/1977 nel senso che si tratta  di
 un vero e proprio diritto del privato).
   Queste  considerazioni non bastano tuttavia, ad avviso della Corte,
 ad assicurare un meccanismo di liquidazione dell'indennita', nel caso
 di   cessione   volontaria,   che   vada   esente   da    dubbi    di
 costituzionalita'.     Occorre  a  questo  riguardo  muovere  da  due
 premesse. Innanzi tutto, sebbene  l'indennita'  determinata  a  norma
 dell'art.   5-bis,   della   legge   n.   359   del  1992,  al  netto
 dell'abbattimento del 40 per  cento,  sia  stata  ritenuta  un  serio
 indennizzo,  tale da soddisfare il precetto dell'art. 42, terzo comma
 della Costituzione, non si  puo'  dubitare  del  fatto  che  l'intero
 corrispettivo  della  cessione volontaria concordata tra il privato e
 la pubblica amministrazione debba  considerarsi  (anche  nella  parte
 corrispondente  alla  mancata applicazione dell'abbattimento) oggetto
 per  il  privato  di  un diritto soggettivo pieno, tutelato dall'art.
 42, terzo comma della Costituzione, in quanto diretto appunto,  nella
 sostanza,  ad  indennizzare  il sacrificio del diritto di proprieta',
 ancorche' maggiorato in funzione del comune interesse delle parti  ad
 una  composizione  rapida  e  convenzionale del conflitto. In secondo
 luogo, tuttavia, la realizzazione di  questo  diritto  soggettivo  e'
 stata  dal  legislatore  subordinata  ad un meccanismo negoziale, che
 dipende dall'autonomia delle parti e non puo'  essere  sindacato  dal
 giudice.
   La  tutela  giurisdizionale  del diritto sarebbe garantita qualora,
 nell'ambito del procedimento  di  determinazione  dell'indennita'  di
 espropriazione,   la   determinazione   amministrativa  della  giusta
 indennita'  dovuta  per   legge   costituisse   un   presupposto   di
 legittimita'  della  cessione  volontaria  convenuta  tra le parti, e
 qualora poi la possi-bilita'  offerta  al  privato  di  convenire  la
 cessione  volontaria  su  tale  base fosse essa stessa presupposto di
 legittimita' dell'abbattimento del  40%  dell'indennita'  nella  sede
 dell'accertamento  giurisdizionale.    La  determinazione  giudiziale
 dell'indennita' comporterebbe allora l'abbattimento del 40% solo  sul
 presupposto  di  un accertamento dell'indennita' dovuta in una misura
 corrispondente  -  o  inferiore  -   a   quella   offerta   dall'ente
 espropriante  (e  della  conseguente  infondatezza  del  rifiuto  del
 privato di convenire la cessione volontaria).
   In  tale  quadro   l'attivita'   della   pubblica   amministrazione
 risulterebbe  interamente vincolata. Lo stesso giudice ordinario, una
 volta accertata  l'indennita'  dovuta  in  una  misura  eventualmente
 maggiore    di   quella   offerta,   dovrebbe   disapplicare   l'atto
 amministrativo  illegittimo,   e,   non   essendosi   verificato   il
 presupposto di legittimita' per la applicazione dell'abbattimento del
 40%,  dovrebbe  determinare l'indennita' dovuta in misura conforme ai
 parametri di legge ma senza falcidiarla del 40%.
   Ad un simile risultato non sembra tuttavia consentito pervenire nel
 quadro della disciplina vigente.  La  formulazione  dell'art.  5-bis,
 della  legge  n.  359  del  1992  cit.  sembra  opporre  un  ostacolo
 insuperabile a quella ricostruzione, laddove  implicitamente  esclude
 la  possibilita'  stessa  che  in sede giurisdizionale (laddove cioe'
 l'omesso perfezionamento della  cessione  volontaria  e'  presupposto
 dell'azione) l'abbattimento del 40% possa essere mai omesso.
   Non  e'  infatti  consentito l'accertamento delle cause del mancato
 perfezionamento della cessione volontaria nell'ipotesi -  in  pratica
 assai  comune, e che si e' verificata nella fattispecie sottoposta al
 giudizio della Corte - di disaccordo  sull'ammontare  dell'indennita'
 dovuta  per  legge  (un  ostacolo  ad  assicurare  alla posizione del
 privato nella cessione volontaria effettiva  consistenza  di  diritto
 soggettivo  e'  costituito  dalla  circostanza  che la determinazione
 dell'indennita', nel sistema istituito dall'art. 5-bis,  della  legge
 n.  359  del  1992, non ha carattere meramente tabellare - come nella
 previsione dell'art.  12, della legge n. 865 del 1971  -  ma  include
 tra i presupposti del calcolo la determinazione del valore venale del
 bene,  e  cioe' un dato accertabile solo con il ricorso alle tecniche
 offerte  dalla  scienza  dell'estimo);  e  non  e'   conseguentemente
 prevista   neppure   la   possibilita'   di   sanzionare  l'eventuale
 responsabilita' della pubblica amministrazione,  che  (omettendo  una
 proposta  rigorosamente  conforme  ai  parametri di legge, ovvero non
 accettando una proposta conforme a tali parametri ma divergente dalla
 valutazione   espressa   in  sede  di  determinazione  di  indennita'
 provvisoria) non abbia consentito al privato  di  conseguire  con  il
 meccanismo  della  cessione  volontaria  quanto  effettivamente a lui
 dovuto, con l'esclusione dell'abbattimento del 40% (nella fattispecie
 perche' la misura dell'indennita' provvisoria appariva manifestamente
 insufficiente e l'esproprianda era  invece  pronta  ad  accettare  la
 stima  della  CPE - organo terzo - cui pero' l'espropriante non aveva
 alcun obbligo di adeguarsi facendone preventiva offerta al privato).
   La determinazione dell'indennita', secondo  i  rigorosi  critei  di
 legge  e'  infatti prevista nel sistema attuale solo come effetto del
 mancato  accordo  in  ordine  alla  cessione   volontaria,   con   la
 conseguenza    che    la    pubblica    amministrazione,    ancorche'
 nell'accertamento  dell'indennita'  provvisoria  sia   vincolata   ai
 parametri  di  legge, nel determinarsi alla cessione volontaria opera
 nella sfera della sua autonomia privata, e la sua  manifestazione  di
 volonta'  al  riguardo non costituisce un atto amministrativo, la cui
 legittimita' sia sindacabile in sede giurisdizionale.
   Nel meccanismo degli artt. 11 e 12 della legge 22 ottobre 1971,  n.
 865  (applicabile  propriamente e nella sua completezza solo nel caso
 di espropriazione di aree non edificabili, ma  che,  in  mancanza  di
 qualsiasi  altra  disciplina, offre tuttora il modello di base per la
 fase di determinazione dell'indennita' anteriore all'espropriazione),
 in effetti, la indennita' di espropriazione da corrispondere a titolo
 provvisorio deve essere determinata  in  base  ai  criteri  di  legge
 (oggi,  in  base  ai criteri indicati dall'art. 5-bis, della legge n.
 359/1992); tuttavia, la notifica  di  essa  non  ha  propriamente  il
 valore  di  una proposta di cessione volontaria, la cui iniziativa e'
 invece  chiaramente  riservata   al   privato   (e   da   esercitare,
 originariamente, in un termine perentorio).
   La formulazione letterale dell'art. 5-bis, cpv. della legge n.  359
 del  1992  cit.,  pur sostituendo all'aumento del 50% dell'indennita'
 provvisoria  la  esclusione  dell'abbattimento   del   40%,   e   pur
 modificando  il  termine di decadenza, conferma questa impostazione e
 vieta  di  vedere  nella  notifica  dell'indennita'  provvisoria  una
 proposta di cessione volontaria.
   D'altra parte, se nella notifica in questione volesse ravvisarsi un
 atto  che  ha  la  concorrente  funzione  di  consentire  al  privato
 l'esercizio del diritto soggettivo di cedere volontariamente il  bene
 per   un   prezzo  corrispondente  alla  indennita'  non  falcidiata,
 all'interessato non potrebbe comunque ritenersi preclusa, nel sistema
 delineato dalla norma, la possibilita' di dichiarare la  volonta'  di
 cedere volontariamente il bene per il diverso prezzo che a suo avviso
 deriva dalla applicazione dei criteri legali.
   In altre parole, la determinazione negoziale dell'ente espropriante
 alla  cessione  volontaria, sia essa per una indennita' pari a quella
 provvisoriamente  determinata  (e  non  falcidiata)  e  sia  per   il
 superiore  importo  eventualmente  indicato  dal privato, conserva in
 ogni caso la sua natura privatistica, e la  sua  autonomia  giuridica
 rispetto al decreto di determinazione dell'indennita' provvisoria.
   Ora,   la   determinazione   dell'ente   espropriante,   certamente
 insindacabile  nel  caso  della  cessione  volontaria  (non   essendo
 ipotizzabile  una  ripetizione di indebito nel caso di determinazione
 convenzionale del prezzo in misura superiore ai parametri di  legge),
 non  puo'  che  avere  identico  regime  nel  caso opposto, in cui la
 cessione volontaria non abbia luogo, non residuando alcuno spazio per
 un accertamento giudiziale delle  relative  responsabilita'  (vale  a
 dire,  del fatto che l'accordo sia mancato per le richieste eccessive
 del  privato   o   per   l'offerta   insufficiente   della   pubblica
 amministrazione).
   Di  qui  due  conseguenze  di rilievo. In primo luogo, nel presente
 giudizio,    l'impossibilita'    di    accogliere    le     richieste
 dell'espropriato,   che  quell'accertamento  giudiziale  in  sostanza
 chiede. In secondo luogo,  tuttavia,  il  dubbio  non  manifestamente
 infondato  circa  la  legittimita'  costituzionale  di un sistema che
 rende   possibile   una   consistente    variazione    dell'ammontare
 dell'indennita'  di  espropriazione,  in  ragione  anche soltanto del
 comportamento (privatistico negoziale,  e  come  tale)  insindacabile
 della  pubblica  amministrazione,  vale  a  dire della sua maggiore o
 minore disponibilita' ad accedere al punto di vista  del  privato  in
 ordine  alla  determinazione  di  uno  degli  elementi essenziali del
 calcolo dell'indennita', qual e' il valore venale del bene.
   Le conseguenze di una tale impostazione  diventano  particolarmente
 evidenti  nel  caso  in  cui, rifiutando una indennita' che a ragione
 ritiene inferiore al dovuto, il privato si veda costretto a  tutelare
 il suo buon diritto in un giudizio che, riconoscendone la fondatezza,
 lo  vanifichera'  di  fatto;  e  cio'  perche'  l'applicazione  della
 falcidia del  40%  sulla  maggiore  indennita'  accertata  ridurrebbe
 quest'ultima  al  di sotto di quella (gia' insufficiente) a suo tempo
 offerta dalla pubblica amministrazione.
   In tal modo risultano lesi dalla disciplina dell'art. 5-bis,  della
 legge  n.  359  del  1992  cit.,  al  tempo  stesso,  il principio di
 uguaglianza  dei  cittadini  davanti  alla  legge   (art.   3   della
 Costituzione),  posto che il loro trattamento in caso di procedimento
 di espropriazione varia in  ragione  di  comportamenti  insindacabili
 della  pubbblica  amministrazione,  e  quello  di imparzialita' della
 pubblica amministrazione (art.  97  della  Costituzione)  in  ragione
 della  diversa  disponibilita',  di  fatto  consentita  alla pubblica
 amministrazione, a negoziare la cessione volontaria. Ma la disciplina
 in esame sembra ledere anche il principio  di  legalita'  dell'azione
 della  pubblica amministrazione (ancora art.  97 della Costituzione):
 il  riferimento  ai   parametri   di   legge   nella   determinazione
 dell'indennita'  provvisoria,  infatti,  ancorche' sanzionabile nella
 sede della giurisdizione amministrativa,  non  condiziona  il  potere
 espropriativo  della pubblica amministrazione (l'art. 13, della legge
 22 ottobre 1971, n. 865 subordina il decreto di  espropriazione  solo
 alla  condizione  che  l'indennita'  provvisoria,  non accettata, sia
 stata  depositata  presso  la  Cassa  depositi  e  prestiti),  e  non
 garantisce  pertanto  una  tutela  adeguata  in  ordine alla cessione
 volontaria per un prezzo  corrispondente  a  quello  stabilito  dalla
 legge.
   Infine,   la  disciplina  in  esame  risulta  comunque  lesiva  del
 principio della tutela giurisdizionale dei  diritti  (art.  24  della
 Costituzione),  dal  momento  che  l'accertamento  del  diritto  leso
 metterebbe capo ad un regolamento punitivo per la parte che intendeva
 farlo valere.
   Per   le   stesse  ragioni  sopra  esposte  l'accennata  disciplina
 legislativa si pone in contrasto anche  col  principio  della  tutela
 giurisdizionale  dei  diritti nei confronti degli atti della pubblica
 amministrazione (art. 113 della Costituzione)  poiche',  come  si  e'
 visto,   la   proposizione  dell'azione  giudiziaria  (in  forza  del
 meccanismo  dell'art.  5-bis)  vanificherebbe  comunque  il   diritto
 dell'espropriato  in  seguito ad una scelta lasciata al mero arbitrio
 dell'espropriante.
   Con l'ulteriore conseguenza della violazione dello stesso art.   42
 della  Costituzione  privando  il  diritto  di  proprieta'  di quelle
 garanzie di legge che gli sono riconosciute anche  nell'ambito  della
 procedura  espopriativa,  perche'  nel  caso  in  esame  la  pubblica
 amministrazione e' del tutto libera di fare un'offerta di  indennizzo
 manifestamemte  insufficiente prima di procedere all'esproprio e, una
 volta emesso il provvediento  ablativo,  di  conseguire  comunque  lo
 stesso risultato ove convenuta in giudizio.
   La   decisione   del   presente  giudizio,  nel  punto  controverso
 concernente    l'applicabilita'     dell'abbattimento     del     40%
 dell'indennita'  previsto  dall'art.  5-bis,  della  legge n. 359 del
 1992, dipende in definitiva dalla decisione in ordine alla  questione
 di  costituzionalita'  della disciplina sotto i profili in precedenza
 considerati. Tale  questione  non  pare  manifestamente  infondata  e
 impone  pertanto  la  rimessione  alla  Corte costituzionale, a norma
 dell'art. 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87,  mentre  il  presente
 giudizio deve essere sospeso.
                               P. Q. M.
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale  per  il  giudizio  incidentale  sulla  questione  non
 manifestamente  infondata  di illegittimita' costituzionale dell'art.
 5-bis, secondo comma  del  decreto-legge  11  luglio  1992,  n.  333,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, per
 violazione  degli  articoli  3,  24, 42, 97 e 113 della Costituzione,
 nella parte in cui non subordina l'applicazione dell'abbattimento del
 40% dell'indennita' di espropriazione, nel giudizio di determinazione
 instaurato dopo l'espropriazione, all'accertamento  che  l'indennita'
 provvisoria offerta al privato fosse conforme ai criteri di legge;
   Ordina  che  a  cura  della cancelleria l'ordinanza di trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale sia  notificata  alle  parti  in
 causa,  nonche'  al presidente del Consiglio dei Ministri, e che essa
 sia comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento;
   Dichiara sospeso il presente giudizio  sino  alla  definizione  del
 giudizio incidentale di legittimita' costituzionale.
   Cosi'  deciso  a  Milano,  in  Camera  di  consiglio,  il giorno 10
 febbraio 1999
                         Il presidente: Novita'
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