N. 310 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 febbraio 1999

                                N. 310
  Ordinanza emessa il 25 febbraio 1999  dal  Tribunale  amministrativo
 regionale  sul  ricorso  proposto da Carleo Giuseppe contro Ministero
 della difesa
 Impiego pubblico - Militari - Perdita  del  grado  e  cessazione  dal
    servizio   per   effetto   di   condanna   penale  -  Procedimento
    disciplinare  per  l'irrogazione  del  provvedimento   -   Mancata
    previsione  di  un  termine  di  decadenza per l'instaurazione del
    procedimento  stesso,  a  decorrere  dalla   pubblicazione   della
    sentenza  definitiva di condanna penale - Ingiustificato deteriore
    trattamento dei  militari  rispetto  ai  dipendenti  civili  dello
    Stato, per i quali e' prevista, a pena di decadenza, il termine di
    centottanta  giorni  dalla pubblicazione della sentenza definitiva
    di condanna penale per la  contestazione  degli  addebiti  -  Mera
    indicazione numerica degli altri due parametri costituzionali.
 (Legge 18 ottobre 1961, n. 1168, art. 38).
 (Cost., artt. 2, 3 e 52).
(GU n.22 del 2-6-1999 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 635/1997
 proposto da Carleo Giuseppe,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.ti
 Alessandro Sciolla e Sergio Viale ed elettivamente domiciliato presso
 lo  studio  dell'avv.  prof.  Claudio  Dal  Piaz  in  Torino,  via S.
 Agostino, 12, come da mandato a margine del ricorso;
   Contro il Ministero  della  difesa,  in  persona  del  Ministro  in
 carica,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura distrettuale dello
 Stato, legale domiciliataria in Torino, corso Stati  Uniti,  45,  per
 l'annullamento   del  provvedimento  del  Direttore  generale  per  i
 sottufficiali  e  i  militari  di  truppa  dell'Esercito  presso   il
 Ministero  della difesa in data 16 gennaio 1997, prot. n. 70133/94-D,
 con cui e' stata irrogata nei confronti del  ricorrente  la  sanzione
 disciplinare  della  perdita  del  grado  ed e' stata disposta la sua
 conseguente  cessazione  dal  servizio  attivo  presso   l'Arma   dei
 Carabinieri,  nonche'  degli  atti  tutti  antecedenti,  preordinati,
 conseguenziali e comunque connessi del relativo procedimento,  e  per
 ogni ulteriore conseguenziale statuizione;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'Amministrazione
 intimata;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore il referendario Bernardo  Baglietto;  uditi  inoltre  alla
 pubblica  udienza  del 25 febbraio 1999 l'avv. Alessandro Sciolla per
 il ricorrente e  l'Avvocato  dello  Stato  Guido  Carotenuto  per  il
 Ministero della difesa;
                           Ritenuto in fatto
   Il  ricorrente,  gia'  carabiniere  in  servizio  presso il Comando
 regione Piemonte e Valle d'Aosta, impugna il  provvedimento  con  cui
 l'Amministrazione  della  difesa  ha  irrogato  nei suoi confronti la
 sanzione disciplinare di stato della perdita del grado, disponendo la
 sua conseguente cessazione dal servizio permanente.
   Il provvedimento e' stato  adottato  a  seguito  del  passaggio  in
 giudicato  della sentenza penale di condanna alla pena di tre mesi di
 reclusione e della multa di L. 300.000 per il reato di  cui  all'art.
 482  cod.    pen.  in  relazione  al precedente art. 477, per aver il
 ricorrente contraffatto una dichiarazione di servizio nella quale  si
 certificava  che  lo  stesso,  in  data 11 settembre 1990, quando era
 stato sorpreso dai vigili urbani di Volvera a guidare un'auto oltre i
 limiti di velocita', si stava  recando  presso  la  stazione  in  cui
 prestava  servizio  per svolgere urgenti indagini di p.g. e per aver,
 con abuso dei poteri inerenti la  qualifica  di  pubblico  ufficiale,
 apposto  alla  certificazione  di  cui  sopra il timbro lineare della
 stazione.
   La  sentenza  pretorile  di  condanna,  confermata  in  appello  e'
 divenuta definitiva a seguito di ordinanza  26  marzo  1996  della  V
 sezione   penale   della  Corte  di  cassazione,  che  ha  dichiarato
 inammissibile l'impugnazione proposta dinanzi ad essa.
   Il  procedimento  disciplinare  e'  stato   quindi   promosso   con
 contestazione  di  addebiti  notificata  il  7  novembre 1996 e si e'
 concluso con l'atto gravato nel presente giudizio.
   A sostegno dell'impugnazione sono dedotte  le  censure  di  seguito
 riassunte:
     1)  Illegittimita'  derivata  per  illegittimita'  costituzionale
 degli artt. 38, ss. legge 18 ottobre 1961, n. 1168, recanti norme sul
 procedimento disciplinare a carico dei vice brigadieri e dei militari
 di truppa dell'Arma dei Carabinieri in relazione agli artt.   2, 3  e
 52  della Costituzione per mancata previsione di termini decadenziali
 per l'attivazione  del  procedimento  disciplinare  a  seguito  della
 formazione  del  giudicato  penale  e  per  irragionevole e manifesta
 disparita' di trattamento rispetto agli impiegati civili dello Stato.
   La norma dell'art. 38, legge 18 ottobre 1961, n. 1168  non  prevede
 alcun  termine  decadenziale  per  il  promuovimento del procedimento
 disciplinare dopo il passaggio in giudicato della sentenza penale  di
 condanna;    cio'   determinerebbe   un'illegittima   disparita'   di
 trattamento ai danni  dei  militari  dell'Arma  rispetto  alle  norme
 applicabili  nei  confronti  degli  impiegati civili dello Stato, che
 fissano a tale scopo il termine  di  centottanta  giorni,  decorrente
 dalla  pubblicazione del provvedimento che determina la definitivita'
 della condanna.
   Questione analoga e' gia'  stata  dichiarata  fondata  dalla  Corte
 costituzionale  con  sentenza  11  marzo  1991,  n.  104,  in tema di
 procedimeto disciplinare a carico  dei  sottufficiali  dell'Esercito,
 della Marina e dell'Aeronautica.
   Nel  caso  in  esame il lungo lasso di tempo intercorso non sarebbe
 neppure   giustificato   dall'esigenza   di   compiere    particolari
 accertamenti istruttori.
     2)  Violazione di legge, sotto altro profilo con riferimento agli
 artt. 38 ss. legge 18 ottobre 1961, n. 1168, nonche' con  riferimento
 all'art.  3,  legge  7  agosto  1990,  n.  241; eccesso di potere per
 travisamento  dei  fatti  ed  erronea  valutazione  dei  presupposti;
 difetto  e/o  carenza di istruttoria e/o di motivazione; illogicita';
 contraddittorieta'; perplessita'; ingiustizia grave e manifesta.
   L'atto di contestazione  di  addebiti  non  recherebbe  sufficienti
 indicazioni   circa   la  natura  e  la  consistenza  dell'infrazione
 contestata.
   La motivazione del provvedimento sanzionatorio  sarebbe  carente  e
 non consentirebbe di comprendere se il suo presupposto sia costituito
 dalla  sentenza  penale  di  condanna,  ovvero da altri comportamenti
 ritenuti "contrari alle finalita' dell'Arma".
     3) Violazione di legge,  sotto  altro  profilo,  con  riferimento
 all'art.  3,  legge  7  agosto  1990,  n.  241. Eccesso di potere per
 disparita' di  trattamento  e  per  difetto  di  istruttoria  e/o  di
 motivazione.
   In   un   altro   caso   l'Amministrazione  avrebbe  sanzionato  il
 responsabile di un analoga infrazione con  la  sola  sospensione  dal
 servizio per mesi quattro.
   Il Ministero della difesa, costituendosi in giudizio, ha chiesto la
 reiezione del ricorso.
   Alla  pubblica  udienza  del  25  febbraio 1999 il ricorso e' stato
 trattenuto in decisione.  Motivi della decisione
   1. - Il ricorrente, carabiniere colpito dalla sanzione disciplinare
 di stato della perdita del grado e dalla conseguente  cessazione  dal
 servizio  permanente  a seguito dell'intervenuta definitivita' di una
 sentenza penale di condanna a suo carico, denuncia  il  provvedimento
 sanzionatorio    innanzi    tutto    per    illegittimita'   derivata
 dell'affermata incostituzionalita' dell'art.  38,  legge  18  ottobre
 1961,  in  tema di stato giuridico dei vice brigadieri e dei militari
 di truppa dell'Arma dei Carabinieri, nella  parte  in  cui  esso  non
 prevede  alcun  termine di decadenza per il promuovimento dell'azione
 disciplinare.
   Secondo il ricorrente, tale omissione normativa contrasterebbe  con
 gli artt. 2, 3 e 52 Cost., in quanto determinerebbe un'ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  ai  danni  del personale militare di cui
 sopra rispetto alla regola posta per gli impiegati civili dello Stato
 dal secondo comma dell'art. 9, legge 7 febbraio 1990, n. 19, in  base
 al  quale il procedimento disciplinare (...) deve essere proseguito o
 promosso entro centottanta giorni dalla data in cui l'Amministrazione
 ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna.
   A parere del Collegio, la questione riveste carattere assorbente  e
 non appare manifestamente infondata.
   A  tale  proposito  e'  opportuno  ricordare  che  la  disposizione
 dell'art.  9, legge n. 19/1990 (riguardante il solo personale  civile
 e   percio'   inapplicabile   ai   militari)   e'   stata  introdotta
 nell'ordinamento   a   seguito   della   pronunciata   illegittimita'
 costituzionale  dell'art.    85,  d.P.R.  10  gennaio 1957, n. 3, che
 prevedeva alcune ipotesi di destituzione automatica di diritto (Corte
 costituzionale 12-14 ottobre 1988, n. 971, che peraltro  non  si  era
 minimamente  occupata  del  termine  per  l'inizio  del  procedimento
 disciplinare).
   Detta   ulteriore   questione   e'   stata   peraltro    affrontata
 successivamente,  quando  lo stesso giudice delle leggi ha dichiarato
 l'illegittimita' degli artt. 20, 64, 65, 72 e  74,  legge  31  luglio
 1956,  n.  599 sullo stato giuridico dei sottufficiali dell'Esercito,
 della Marina e dell'Aeronautica, che, come  la  norma  denunciata  in
 questo  giudizio, essi pure non prevedevano alcun termine per l'avvio
 del procedimento disciplinare a seguito  di  sentenza  definitiva  di
 condanna;  la  Corte  ha  infatti ritenuto ingiustificata - e percio'
 irrispettosa del principio di uguaglianza  posto  dall'art.  3  della
 Costituzione  -  la  disparita'  di  trattamento  di  detto personale
 militare rispetto alle gia' citate regole valevoli per gli  impiegati
 civili (Corte costituzionale, 27 febbraio-11 marzo 1991, n. 104).
   Identica questione si propone nel caso in esame, in cui l'art.  38,
 legge  18 ottobre 1961, n. 1168 non prevede appunto alcun termine per
 l'avvio del procedimento disciplinare ed in cui risulta che questo e'
 stato  promosso  ad  oltre   centottanta   giorni   dalla   data   di
 pubblicazione  dell'ordinanza  con  cui  la  Corte  di  cassazione ha
 dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza d'appello che
 aveva confermato la condanna inflitta al ricorrente in primo grado.
   In fatto, detta ordinanza e' stata pubblicata il 26 marzo 1996, per
 cui  il termine di centottanta giorni sarebbe scaduto il 22 settembre
 successivo, mentre la contestazione di addebiti risulta essere  stata
 notificata  al ricorrente solo il 7 novembre 1996, ossia a piu' di un
 mese di distanza dall'anzidetta scadenza.
   Nella gia' citata sentenza n. 104/1991,  la  Corte  costituzionale,
 richiamando  la  propria  precedente giurisprudenza, ha gia' chiarito
 che  "esigenze  di  civilta'  giuridica   richiedono   che   l'azione
 disciplinare  deve  essere  promossa  senza ritardi ingiustificati, o
 peggio arbitrari, rispetto al momento della conoscenza dei fatti  cui
 si  riferisce" e che cio' risponde alla necessita' di "evitare che il
 pubblico   dipendente   rimanga   indefinitivamente   esposto    alla
 irrogazione di sanzioni disciplinari".
   Tale  esigenza,  riconosciuta  per  gli impiegati civili dalla gia'
 menzionata legge n. 19/1990 ricorre negli stessi termini anche per  i
 militari,  non  potendosi  ravvisare,  a parere del Collegio, ragioni
 sufficienti che  giustifichino  la  differenziazione  dei  rispettivi
 stati giuridici sotto il profilo in esame.
   Una  conferma  di quanto precede puo' del resto essere tratta dalla
 stessa giurisprudenza  costituzionale,  che  ancora  recentemente  ha
 dichiarato l'illegittimita' degli artt. 12, lett. f) e 34, n. 7 della
 stessa legge n. 1168/1961 sullo stato giuridico dei vice brigadieri e
 dei  militari  dell'Arma  dei  Carabinieri, che, come gia' l'art. 85,
 d.P.R. n. 3/1957 (Corte costituzionale n. 971/1988) e gli artt. 20  e
 64,  ss.,  legge  n. 599/1956 sullo stato giuridico dei sottufficiali
 delle altre Armi  (Corte  costituzionale  n.  104/1991),  prevedevano
 ipotesi  di  cessazione  automatica  dal  servizio  conseguenti  alla
 definitivita' delle condanne  penali  per  determinati  reati  (Corte
 costituzionale, 17-30 novembre 1996, n. 363).
   Sembra  percio'  evidente  che se le esigenze di allineamento degli
 stati giuridici dei diversi dipendenti pubblici sussistono in  ordine
 all'eliminazione  di  ogni  ipotesi  di destituzione di diritto, esse
 hanno pari valenza anche in ordine all'esigenza che  il  procedimento
 disciplinare venga iniziato e concluso entro termini prestabiliti.
   Per   le   esposte   ragioni,   il   Collegio  ritiene  quindi  non
 manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3 e 52 Cost., la
 questione di legittimita' dell'art. 38, legge  18  ottobre  1961,  n.
 1168,  nella  parte in cui, nel regolare il procedimento disciplinare
 per  i  vice  brigadieri  e  i  militari  di  truppa  dell'Arma   dei
 Carabinieri,  non  fissa  alcun  termine decadenziale per il relativo
 promuovimento, nel caso che questo faccia seguito alla  pubblicazione
 della  pronuncia  che  determina  l'irrevocabilita'  di  una condanna
 penale a carico dell'incolpato.
   2. - Per quanto riguarda la  rilevanza  della  questione  medesima,
 occorre  ribadire  che nel caso in esame la contestazione di addebiti
 e' stata notificata oltre il termine di centottanta giorni dalla data
 della pubblicazione di detta  pronuncia:  termine  che  a  norma  del
 citato  art.  9,  legge  7 febbraio 1990, n. 19 comporta la decadenza
 dall'azione disciplinare a carico degli impiegati civili.
   La detta rilevanza  non  e'  smentita  neppure  dal  fatto  che  la
 notifica  dell'atto  di  contestazione  di  addebiti e' avvenuta il 7
 novembre 1996, giorno successivo  a  quello  di  pubblicazione  della
 sentenza   Corte   costituzionale  n.  363/1996,  che  ha  dichiarato
 l'illegittimita' degli artt. 12 e 34 della stessa legge n. 1168/1961,
 nella parte in cui prevedevano  ipotesi  di  perdita  automatica  del
 grado e di conseguente automatica cessazione dal servizio permanente.
   Da  tale  atto  risulta  infatti che il comportamento contestato e'
 stato ritenuto "inficiante la figura morale dell'incolpato, contrario
 alle finalita' dell'Arma e lesivo  del  prestigio  dell'Istituzione",
 ossia  sanzionabile  a norma del n. 6 del citato art. 34, che prevede
 espressamente il "previo giudizio della commissione di disciplina".
   Non trattandosi di una contestazione di un addebito  per  il  quale
 era  originariamente  prevista  la  perdita del grado automatica, non
 puo'  percio'  sostenersi  che  il  termine   per   la   proposizione
 dell'azione  disciplinare debba decorrere dalla data di pubblicazione
 della sentenza costituzionale che la ha resa obbligatoria.
   Infatti, se per l'addebito contestato il procedimento  disciplinare
 era  previsto  anche  prima della pubblicazione della sentenza di cui
 sopra, e' evidente che quest'ultima non ha  di  per  se'  determinato
 nessuna modificazione della normativa applicabile nel caso di specie,
 ne'  puo'  a maggior ragione aver inciso sulla decorrenza del termine
 per l'avvio dell'azione disciplinare.
    La questione come sopra prospettata  appare  quindi  rilevante  ai
 fini della definizione del giudizio.
                               P. Q. M.
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 38, legge 18 ottobre  1961,  n.
 1168 in relazione agli artt. 2, 3 e 52 Cost., nella parte in cui, nel
 regolare  il  procedimento  disciplinare  per  i  vice brigadieri e i
 militari di truppa dell'Arma dei Carabinieri, non fissa alcun termine
 decadenziale per il  relativo  promuovimento,  nel  caso  che  questo
 faccia  seguito  alla  pubblicazione  della  pronuncia  che determina
 l'irrevocabilita' di una condanna penale a carico dell'incolpato;
   Dispone la sospensione del giudizio a sensi dell'art. 23, legge  11
 marzo1953, n. 87;
   Ordina  alla  segreteria  di  trasmettere gli atti alla cancelleria
 della Corte costituzionale;
   Ordina alla segreteria di notificare copia della presente ordinanza
 alle parti in causa ed al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 nonche' di comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso in Torino, il 25 febbraio 1999.
                     Il presidente: Gomez de Ayala
                                  Il referendario estensore: Baglietto
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