N. 83 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 dicembre 1998
N. 83 Ordinanza emessa il 4 dicembre 1998 dal g.i. del tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Fracasso Rosella Clementina e Montanaro Graziano, in proprio e n.q. Procedimento civile - Astensione e ricusazione del giudice - Giudice istrutture che, esaurita l'istruzione, abbia deciso sull'istanza di parte, ex art. 186-quater cod. proc. civ. (nella specie: abbia condannato il resistente al pagamento, in favore della controparte, di una somma di denaro e delle spese processuali) - Obbligo di astensione - Mancata previsione - Lesione del diritto di azione e di difesa - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale numeri 326/1997 e 341/1998. (C.P.C., art. 51, comma 1, n. 4). (Cost., art. 24).(GU n.9 del 3-3-1999 )
IL TRIBUNALE Nella causa n. 1121/97 r.g. promossa da Fracasso Rosella Clementina, con l'avv. Fermo Benussi, attrice; Contro Montanaro Graziano in proprio e nella sua qualita' di titolare della ditta Bar Grattacielo di Montanaro Graziano, con l'avv. Rocco Oddone, convenuto; Ha pronunciato la seguente ordinanza: F a t t o Espletata l'istruttoria, l'attrice chiedeva fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni e formulava istanza ex art. 186-quater c.p.c.; questo giudice, con ordinanza, condannava il convenuto al risarcimento del danno subito dall'attrice per complessive L. 10.950.000, oltre interessi, ed alla refusione delle spese processuali. Proposta da questo giudice istanza di astensione al presidente del tribunale per "gravi ragioni di convenienza" (art. 51, cpv., c.p.c.), la medesima veniva rigettata. Diritto e rilevanza della questione Questo giudice solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 51, primo comma, n. 4, c.p.c., nella parte in cui non prevede l'obbligo di astensione del giudice che abbia, con ordinanza, deciso sull'istanza ex art. 186-quater c.p.c. e, nella specie, abbia condannato il resistente al pagamento, in favore dell'altra parte, di una somma di denaro e delle spese processuali. Ritiene, infatti, il giudicante di non poter procedere alla fase decisoria della causa ed alla pronuncia della sentenza - in funzione dl giudice unico ex art. 190-bis c.p.c. - indipendentemente dalla deliberazione della questione di legittimita' costituzionale della norma enunciata, derivando dalla stessa l'obbligatorieta' o meno per questo giudice di astenersi dal giudizio. Infatti, nella fattispecie concreta, il g.i. ha accolto l'istanza ex art. 186-quater c.p.c. formulata dall'attrice, condannando il convenuto al risarcimento del danno ed alla refusione delle spese processuali. Consegue che, ove ne ricorra l'obbligo, questo giudice ha il dovere di astenersi facendone espressa dichiarazione e dandone immediata notizia al capo dell'ufficio competente (art. 78, secondo comma, disp. att.). Qualora invece non ricorra tale obbligo, deve proseguire nella fase decisoria della causa e pronunciarsi con sentenza per il caso che questa non venga rinunciata o il processo non si estingua. Non manifesta infondatezza La questione di legittimita' costituzionale della norma in esame deve essere valutata come non manifestamente infondata con riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Contrasto con l'art. 24 della Costituzione. 1. - L'art. 51, n. 4 c.p.c., prevede l'obbligo del giudice di astenersi se ha avuto conoscenza della causa in altro grado del processo. La norma enunciata "e' funzionale al principio di imparzialita'-terzieta' della giurisdizione, che ha pieno valore costituzionale con riferimento a qualunque tipo di processo, in relazione specifica al quale, peraltro, puo' e deve trovare attuazione (Corte cost., sentenza 27 ottobre-7 novembre 1997, n. 326). Tale principio risponde all'esigenza di proteggere il giudizio del merito della causa dal pregiudizio effettivo o anche solo potenziale derivante da valutazioni emesse in occasione di provvedimenti adottati in un momento precedente. Il pericolo della compromissione dell'imparzialita' del giudice sussiste in concreto ove questi, "sia costretto, nel decidere, a ripercorrere l'identico itinerario logico precedentemente seguito" (Corte cost., sentenza 14-24 luglio 1998, n. 341). Cio' si verifica, in particolare, quando preesistono valutazioni di contenuto che cadono sulla stessa res iudicanda ossia quando vi sia la duplicazione di giudizi, non meramente formali, della medesima natura, presso lo stesso giudice (Corte cost., sentenza 24 aprile 1996, n. 131). In questo caso sussiste infatti il rischio di un effettivo condizionamento del giudice in quanto "l'ambito della precedente cognizione e quello della successiva sono il medesimo" (Corte cost., n. 326/97, citata). 2. - Ritiene questo giudice che, alla stregua dei principi enunciati, non sia manifestamente infondato il dubbio circa la costituzionalita' dell'art. 51, comma 1, n. 4 c.p.c. nella parte in cui non prevede l'obbligo del giudice che abbia emesso un'ordinanza ex art. 186-quater c.p.c. di astenersi dall'ulteriore trattazione e decisione della causa. L'ordinanza successiva al'istruzione e infatti un provvedimento a cognizione piena - dal contenuto decisorio ed esecutivo - potenzialmente idoneo ad acquistare l'efficacia di sentenza. In particolare, la decisione in ordine all'istanza e' assunta quando il contraddittorio si e' sviluppato pienamente; inoltre, il giudice ha l'obbligo di valutare l'istruzione eventualmente svolta, tutti i documenti e le eccezioni sollevate dalle parti. L'art. 186-quater, comma 3, c.p.c. stabilisce poi che l'ordinanza "e revocabile con la sentenza che definisce il giudizio"; quindi, per il caso che il processo non si estingua e la pronuncia della sentenza non sia rinunciata, il giudice e' tenuto ad esaminare nuovamente gli atti delle parti ed il materiale probatorio in base al quale ha emesso l'ordinanza. Cio' comporta la duplicazione di un giudizio contenutistico, della stessa natura, da parte del medesimo giudice. L'ordinanza, infatti, e' funzionale alla soluzione anticipata - rispetto alla sentenza - della controversia, quindi la valutazione del giudice e' operata sulla medesima res judicanda. Appare quindi logico presumere che possa esservi una naturale tendenza a mantenere, in sede di redazione della sentenza, il giudizio gia' espresso in altro momento decisionale - a cognizione piena - del medesimo procedimento, cosi' compromettendo il principio dell'imparzialita' del giudice e con pregiudizio del diritto inviolabile alla difesa in ogni stato e grado del processo. Ne' puo' ritenersi che l'eventuale successiva precisazione delle conclusioni ed il deposito di comparse conclusionali, espressione dell'impulso paritario delle parti, possano efficacemente condizionare la conclusione del giudizio ed influire sul meccanismo psicologico che presiede alla formazione del convincimento del giudice. A parere di questo giudice, nel caso in esame, ricorrono pertanto tutte le condizioni necessarie per dover ritenere un'incompatibilita' endoprocessuale tale da rendere doverosa l'astensione. 3. - L'art. 51, capoverso, c.p.c. prevede invero l'obbligo del giudice di richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi in ogni caso in cui "esistano gravi ragioni di convenienza". Tale rimedio, peraltro, se ben si attaglia a tutti i casi in cui la sovrapposizione di giudizi e' meramente eventuale, non puo' trovare applicazione quando cio' avvenga, come nella fattispecie in esame, in via generale. 4. - Questo giudice, infine, e' consapevole che l'eventuale accoglimento della questione di costituzionalita' in esame potrebbe comportare notevoli difficolta' nella organizzazione degli uffici giudiziari: un giudice decidera' sull'istanza ex art. 186-quater c.p.c.; un diverso giudice redigera' la sentenza (salve le residuali ipotesi in cui l'ordinanza acquisti efficacia di sentenza). Il legislatore, nell'esercizio della sua insindacabile discrezionalita', con il d.-l. 21 dicembre 1995, n. 238 (convertito con legge 20 dicembre 1995, n. 534), tra le varie ipotesi normative, ha optato per un'ordinanza che solo eccezionalmente acquista efficacia di sentenza. E' appena il caso di ricordare che il C.S.M. - nel parere deliberato nella seduta del 23 novembre 1995, in relazione al disegno di legge di conversione (tra l'altro) del d.-l. 21 giugno 1995, n. 238 - aveva auspicato l'adozione di una diversa ordinanza: "esaurita l'istruzione, su istanza di parte, il g.i. definisce il giudizio con ordinanza avente efficacia di sentenza". Tuttavia il giudice e' soggetto soltanto alla legge ed ha l'obbligo di applicarla fino a che ritenga che non sia manifestamente infondato il dubbio del suo contrasto con una norma della Costituzione
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23, della legge n. 87/53, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza in relazione all'art. 24 della Costituzione, solleva d'ufficio la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 51, comma 1, n. 4 c.p.c., nella parte in cui non prevede l'obbligo di astensione del giudice che abbia, con ordinanza, deciso sull'istanza ex art. 186-quater c.p.c.; Sospende il presente giudizio; Manda alla cancelleria di provvedere alla immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri; Manda alla cancelleria di comunicare la presente ordinanza ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Milano, addi' 4 dicembre 1998 Il giudice istruttore: Spera 99C0130