N. 91 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 1998- 8 febbraio 1999
N. 91 Ordinanza emessa il 4 febbraio 1998 (pervenuta alla Corte costituzionale l'8 febbraio 1999) dalla Commissione tributaria provinciale di Torino sul ricorso proposto da Grosso Giovanni contro l'ufficio II.DD. di Cirie' Imposta sui redditi delle persone fisiche (I.R.PE.F.) - Liquidazione delle imposte dovute, in base alle dichiarazioni dei contribuenti - Termine posto all'Amministrazione finanziaria per l'attivazione della relativa procedura - Qualificazione di tale termine, mediante norma interpretativa, come ordinatorio, non comportante decadenza - Irragionevolezza - Lesione del principio di eguaglianza - Violazione del diritto di azione - Incidenza sul principio della capacita' contributiva - Violazione del principio di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione e dei principi posti per l'esercizio della funzione giurisdizionale. (Legge 27 dicembre 1997, n. 449, art. 28). (Cost., artt. 3, 24, 53, 97 e 101).(GU n.9 del 3-3-1999 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 5098/97 depositato il 17 ottobre 1997, avverso Car Esattoriale n. 218406 - Irpef, 90 contro imposte dirette di Cirie' da Grosso Giovanni residente a Rocca Canavese (Torino) in via Case Gara, 43/B, difeso da Ronchi Riccardo e Borgnino Riccardo c/o studio Bronzo residente a Torino in via Palmieri, 29; F a t t o L'ufficio II.DD. di Cirie', a seguito di riliquidazione della D.U. dei redditi per l'anno 1990 prodotta dal contribuente sig. Grosso Giovanni, emetteva l'epigrafata cartella esattoriale con la quale richiedeva il pagamento della somma complessiva di lire 211.000 per omesso versamento di acconto Irpef. Il sig. Grosso, con tempestivo ricorso, contestava la pretesa dell'Ufficio finanziario e chiedeva l'annullamento dell'atto impugnato per "utilizzo improprio dell'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973" con conseguente condanna dell'Amministrazione al rimborso delle somme versate e con vittoria delle spese di giudizio. A conforto della propria tesi, richiamava la sentenza della Corte di Cassazione - Sez. I civ., n. 7088 del 9 maggio/29 luglio 1997, evidenziando che la Corte regolatrice del diritto aveva stabilito che il primo comma dell'art. 36-bis succitato, a norma del quale la liquidazione dell'imposta risultante dalla dichiarazione deve essere effettuata entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione, deve essere riferito alla iscrizione a ruolo che non puo' essere effettuata (come nella fattispecie in esame) entro il piu' esteso arco temporale previsto dal primo comma dell'art. 17 d.P.R. n. 602/1973. Nel corso dell'udienza dibattimentale del 4 febbraio 1998, il difensore del contribuente, ribadendo le gia' tolte conclusioni, sottoponeva al collegio questione di legittimita' costituzionale in ordine alla natura di norma di "interpretazione autentica" ovvero di norma modificativa della normativa precedente (art. 36-bis) dell'art. 28 della legge finanziaria 27 dicembre 1997, n. 449. Infatti, detto art. 28 - Titolo I, capo III - sotto il titolo "Norma interpretativa" stabilisce che il primo comma dell'art. 36-bis... deve essere interpretato nel senso che il termine in esso indicato, avendo carattere "ordinatorio" non e' stabilito a pena di decadenza. All'udienza del 4 febbraio 1998 si procedeva alla discussione del reclamo. Al termine la Commissione si riservava la decisione che viene ora sciolta con la presente. Il ricorrente, tramite il proprio difensore, ha sollevato eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 28, legge 27 dicembre 1997, n. 449 che questo Collegio ritiene non manifestamente infondata in quanto e' configurabile un contrasto tra la stessa e gli artt. 3, 24, 53, 97 e 101 della Costituzione. Si deve in proposito premettere che la Corte costituzionale ha gia' avuto modo di pronunziarsi piu' volte in tema di norme recanti interpretazione autentica di leggi preesistenti. La censura che viene comunemente mossa e' quella di uso irragionevole del potere di interpretazione autentica (Corte cost. 30 marzo 1995, n. 94), censura che a parere del collegio dovrebbe piu' esattamente identificarsi come contrasto con gli artt. 3, comma 2, Cost. - in quanto il comportamento eventualmente irragionevole del legislatore e' in contrasto con i principi di buona gestione da tale norma enunziati - e con l'art. 24 in quanto l'uso non corretto dell'interpretazione autentica di fatto vanifica la possibilita' del cittadino di ottenere tutela avanti gli Organi giurisdizionali; ottenendosi attraverso un provvedimento presentato come interpretazione autentica una modifica iniquamente retroattiva di una norma procedimentale. Questi concetti valgono in generale; tuttavia nel caso particolare vengono in rilievo anche l'art. 53, in quanto le conseguenze di una modifica di fatto iniquamente retroattiva nel campo impositivo - sempre in quanto presentata come interpretazione autentica - non puo' non ledere il principio dell'equita' fiscale previsto dalla norma costituzionale citata. Ed ancora, sempre nel caso particolare, viene in rilievo l'art. 97 in quanto il termine perentorio di cui all'art. 36-bis - che concede all'Amministrazione poteri straordinari di riscossione evitando di fatto la fase dell'accertamento - mira appunto ad evitare che detto potere straordinario si protragga eccessivamente nel tempo e che quindi gli uffici possano disporre illimitatamente di tali facolta'; la qualifica del termine - pacificamente perentorio - quale ordinatorio non puo' non porsi in tal modo in contrasto con l'obbligo di imparzialita' e di buon funzionamento della pubblica amministrazione da detta norma costituzionale garantito. Infine si evidenzia il contrasto con l'art. 101; non si tratta nel caso particolare di attribuire un significato piuttosto che un altro alle parole, una volta tanto di grande chiarezza, ma di attribuire ad un termine il carattere di ordinatorieta' o di perentorieta': il che e' funzione precipua della magistratura. Il legislatore puo' farlo, ovviamente, ma non retroattivamente, che' altrimenti si vanifica appunto la funzione giurisdizionale. Tutto cio' evidentemente vale se vale la premessa, e cioe' che il legislatore abbia fatto uso scorretto del potere di emanare norme di interpretazione autentica; ed e' la sussistenza di tale circostanza che va attentamente esaminata. I limiti di tale potere sono stati dalla Corte costituzionale definiti con la sentenza 12 luglio 1995 n. 311 (con richiamo alla n. 163 del 1991 e 413 del 1998), con cui il collegio ha precisato che la legge di interpretazione autentica deve rispondere alla funzione che le e' propria; quella di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di imporre una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale, sia al fine di eliminare eventuali incertezze interpretative, sia per rimediare ad interpretazioni giurisprudenziali divergenti con la linea di politica del diritto seguita dal legislatore. Occorre ora esaminare il disposto dell'art. 36-bis, per verificare se il medesimo possa dar luogo a qualsiasi dubbio interpretativo. Ecco il testo della norma come vigente al 31 dicembre 1997: "gli uffici delle imposte, avvalendosi di procedure automatizzate, sulla base di programmi stabiliti annualmente dal Ministro delle finanze, procedono entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione alla liquidazione delle imposte dovute nonche' ad effettuare rimborsi eventualmente spettanti in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dei sostituti di imposta, sulla scorta dei dati e degli elementi desumibili dalle dichiarazioni stesse e dai relativi allegati ovvero sulla base dei dati dichiarati o comunicati all'Amministrazione finanziaria dai soggetti che hanno effettuato le ritenute". La norma come tale, come si vede, non abbisogna di interpretazioni di sorta. Si deve pero' rilevare che nella sua formulazione originaria l'art. 36-bis (introdotto dall'art. 2 del d.P.R. n. 920/1976) non stabiliva termine alcuno, per cui si riteneva operante il termine fissato dall'art. 17, comma 1, d.P.R. n. 600/1973 (dodici mesi dalla fine dell'esercizio cui la dichiarazione si riferisce). Dal 1 gennaio 1999 la disciplina sara' ancora diversa, ma cio' e' irrilevante per il problema odierno, mentre, per quanto concerne il caso particolare, va rilevato che lo stesso termine, al fine della irrogazione delle soprattasse, e' rilevabile nell'art. 98, terzo comma, del d.P.R. n. 602/1973. Il problema quindi che la giurisprudenza si e' posto, visto che l'amministrazione non rispettava abitualmente il termine nella norma indicato, non era interpretativo, ma di perentorieta' o meno; e cio' appunto non inerisce l'interpretazione della norma, bensi' il principio generale del carattere perentorio o meno dei termini apposti alle norme che prevedono poteri da parte degli uffici. Per pervenire al risultato sin qui generalmente accettato, i giudici hanno tenuto conto anche dell'eccezionalita' dei poteri di cui all'art. 36-bis, che prescindono dalla fase di accertamento, come si e' detto. Si deve aggiungere che anche con ordinanza della Corte costituzionale n. 430 del 24 marzo 1988 depositata il 7 aprile 1988 e' stato precisato che la liquidazione ex art. 36-bis, n. 600/1973 e' operata sulla base delle dichiarazioni presentate mediante un mero riscontro cartolare, nei casi eccezionali e tassativamente indicati dalla legge, vertenti su errori materiali e di calcolo immediatamente rilevabili (senza la necessita' quindi di alcuna istruttoria), che l'amministrazione finanziaria ha il potere-dovere di correggere anche a vantaggio del contribuente stesso; il che significa che la stessa Corte costituzionale nel respingere una questione sollevata a proposito dell'art. 36-bis ha ben tenuto presente l'eccezionalita' della fattispecie. La giurisprudenza di legittimita' e di merito dunque, disattendendo gli orientamenti dell'amministrazione finanziaria, sulla base di tali presupposti, ha sempre riconosciuto la perentorieta' del termine di cui all'art. 36-bis. Recentemente, la Suprema Corte, - Sez. I civ. - con sentenza n. 7088 del 9 maggio 1997, ha rammentato che la qualificazione del termine in questione come ordinatorio, anziche' come perentorio - del resto propria del diritto processuale piu' che di quello sostanziale - e' infatti tutt'altro che risolutiva, posto che i termini ordinatori possono essere prorogati solo prima della scadenza (art. 154 C.p.c.) e che, pertanto, il loro inutile decorso produce gli stessi effetti preclusivi di quelli perentori (Cassaz. 25 luglio 1992, n. 8976; 23 gennaio 1991, n. 651; 23 febbraio 1985, n. 1633). Ne' maggior rilievo assume la circostanza che la sua inosservanza non sia stata espressamente sanzionata dal legislatore con la decadenza. Invero, l'affermazione tradizionalmente ripetuta (ma non da tutti condivisa), secondo cui le norme che stabiliscono termini a pena di decadenza sono di stretta interpretazione e non possono quindi essere applicate analogicamente, si fonda sul convincimento che tali disposizioni abbiano carattere eccezionale, derogando al generale principio della liberta' di esercizio dei diritti soggettivi. E, appunto per questo, non si presta ad essere utilizzata nell'ambito del diritto pubblico, il quale e' caratterizzato dalla presenza di poteri, il cui esercizio da parte di chi ne e' titolare non e' libero, ma e' sottoposto dalla legge a limiti diretti a garantire il soddisfacimento di finalita' di carattere istituzionale. Il silenzio della legge non rappresenta quindi un argomento sufficiente ad escludere che il termine stabilito dal primo comma dell'art. 36-bis sia stabilito a pena di decadenza. Tanto piu' che le attivita' accertative (e di conseguente rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti) sono dalla legge vincolate al rispetto di rigorosi termini di decadenza, la cui esistenza e' da considerare pertanto connaturata al loro svolgimento, a tutela del buon andamento e dell'imparzialita' dell'amministrazione, oltre che degli interessi dei contribuenti. Dunque, nessun contrasto interpretativo della norma. L'attribuzione del carattere perentorio al termine ivi contenuto e' giurisprudenza costante a livello di legittimita' e di merito. L'intervento del legislatore non era quindi affatto necessario, se' non al celato fine di "salvare" una serie di accertamenti palesemente illegittimi, tra cui l'odierno, attraverso uno strumento non di modifica legislativa, che avrebbe appunto operato solo per il futuro, ma di "interpretazione autentica" che in tal modo opera, anche per il passato, prevaricando e vanificando l'operato, a tutela del contribuente, da parte della magistratura. Con tutte le conseguenze, sotto il profilo dell'illegittimita' costituzionale, dianzi esposte. In conclusione, questo collegio ritiene doveroso sottoporre al giudice delle leggi il controllo di costituzionalita' dell'art. 28 legge 27 dicembre 1997, n. 449, in relazione agli artt. 3, 24, 53, 97 e 101 Cost.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 28 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, per contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 97 e 101 Cost. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso fino alla definizione di quello costituzionale; Ordina che a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Torino, addi' 4 febbraio 1998 Il presidente: Tiseo Il relatore: Antoniono 99C0138