N. 131 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 aprile 1998- 23 febbraio 1999

                                N. 131
  Ordinanza  emessa  il  22  aprile   1998   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale   il   23   febbraio  1999)  Tribunale  amministrativo
 regionale per la Campania sul ricorso proposto da  Bechere  Benedetto
 contro Ministero della Difesa
 Impiego  pubblico  - Sospensione automatica dal servizio dei pubblici
    dipendenti  rinviati  a   giudizio   per   determinati   reati   -
    Irrazionalita'  della  norma  impugnata  in  considerazione  della
    impossibilita' della p.a. di  valutazione,  mediante  procedimento
    disciplinare,  della  gravita'  del reato e della corrispondenza o
    meno al  pubblico  interesse  del  mantenimento  in  servizio  del
    dipendente  sottoposto  a  procedimento  penale  -  Incidenza  sul
    diritto  al  lavoro,  nonche'  sui  principi  di  eguaglianza,  di
    presunzione  d'innocenza,  di imparzialita' e buon andamento della
    p.a. - Riferimento alla sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
    184/1994   di   non   fondatezza  di  analoga  questione  ritenuta
    superabile dal giudice rimettente alla  stregua  della  successiva
    giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 239/1996).
 (Legge  18  gennaio  1992, n. 16, art. 1, comma 4-septies, modificata
    dalla legge 19 marzo 1990, n. 55, art. 15).
 (Cost., artt. 3, 4, 5, 24, 27 e 97).
(GU n.11 del 17-3-1999 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel ricorso n.  r.g.  3188/98,
 proposto  da Bechere Benedetto, rappresentato e difeso dagli avvocati
 Mario Riviezzo e Salomone Antonio, presso quest'ultimo elett.te  dom.
 in Marigliano alla via Napoli 6;
   Contro   il   Ministero  della  difesa,  in  persona  del  Ministro
 pro-tempore, e vice direttore generale del Ministero della difesa per
 i sottufficiali e  militari  di  truppa,  entrambi,  rappresentato  e
 difeso  ope-legis  dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli
 presso  cui  dom.    alla  via  Diaz  11,  per   l'annullamento   del
 provvedimendo  del  Ministero  della  difesa,  7031/97 del 29 gennaio
 1988, comunicato il 26 febbraio 1998, e della relativa  comunicazione
 del 26 giugno 1997, con il quale il ricorrente viene sospeso sine die
 dall'impiego  ai  sensi  dell'art.    1,  comma  4-septies,  legge n.
 16/1992; di ogni altro atto preordinato, connesso e conseguenziale;
   Visto il ricorso e gli atti allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 intimata;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti di causa;
   Uditi gli avvocati di cui al verbale di udienza;
   Relatore all'udienza del 22 aprile 1998  il  I  Referendario  dott.
 Anna Pappalardo;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
                            Fatto e diritto
   Con  il  ricorso  in  esame,  notificato  in data 20 marzo 1998, il
 Bechere insorge contro il provvedimento in epigrafe che  ha  disposto
 la   sua  sospensione  dall'impiego  per  effetto  della  intervenuta
 ordinanza di rinvio a giudizio emessa nei suoi confronti  dal  g.i.p.
 di  Ferrara  in data 19 febbraio 1997, in ordine fra l'altro al reato
 di cui all'art.  73 d.P.R. n. 309/1990.
   Lamenta in particolare il Bechere che ai sensi della norma in esame
 e'  stata  applicata  la  misura  cautelare  della  sospensione   dal
 servizio,  prevista come effetto automatico ex lege dall'art. 1 comma
 4, septies legge n. 16/1992.
   In base  a  tale  disposizione  il  Ministero,  per  effetto  della
 comunicazione della avvenuta sottoposizione del ricorrente a giudizio
 penale,   ha   adottato  come  atto  vincolato  il  provvedimento  di
 sospensione sine die dal servizio.
   Il  Bechere  lamente  la  illegittimita'  costituzionale  di   tale
 disposizione con riferimento agli artt. 3, 27, 97 della costituzione,
 questione  che  il  Collegio ritiene non manifestatamente infondata e
 che ritiene di dover sollevare anche con riguardo a  profili  diversi
 da quelli dedotti.
   La questione e' rilevante anche nella presente fase cautelare.
   La misura della reintegrezione in servizio che il ricorrente invoca
 in  accoglimento  della  domanda  di  sospensione  degli  effetti del
 provvedimento  impugnato,  non  appare  invero  possibile   a   causa
 dell'automatismo  cui  la normativa applicata ricollega la sospesione
 cautelare, sicche'  la  caducazione  delle  norme  che  prevedono  il
 potere-dovere  dell'amministrazione  di adottare l'allontanamento dal
 servizio  del  dipendente  e'  l'unico  mezzo  idoneo  a   soddisfare
 l'interesse fatto valere in giudizio.
   La questione non e' manifestamente infondata.
   Il  ricorrente  e'  stato  sospeso  cautelativamente  dal servizio,
 unicamente in base alla informativa del g.i.p. presso il tribunale di
 Ferrara, che ha comunicato al comando da cui lo stesso e'  dipendente
 la  avvenuta  emanazione  di  ordinanza  di  rinvio a giudizio per il
 reato, fra l'altro, di traffico di sostanze stupefacenti.
   La normativa applicata (legge n. 16/1992), che ha  inteso  tutelare
 sia  gli  organi  elettivi  degli  enti  pubblici,  sia  le pubbliche
 amministrazioni, dal pericolo di infiltrazioni  di  stampo  criminale
 per le quali certamente il reato di traffico di sostanze stupefacenti
 costituisce  una delle principali manifestazioni, non gradua invero e
 non rende possibile in  concreto  effettuare  alcuna  graduazione  in
 ordine   al   concreto   disvalore   giuridico   del  fatto,  sicche'
 l'amministrazione,   attraverso   una   attivita'   vincolata,   deve
 sospendere il rapporto di pubblico impiego in atto sussistente.
   E   cio'   anche  qualora  l'astratto  titolo  del  reato,  in  se'
 considerato, sia manifestazione di disvalore sociale diverso rispetto
 a quello  normalmente  ricollegato  al  nomen  edittale,  e  peraltro
 mancanze   tutte   ancora  da  provare  nel  pieno  dell'accertamento
 dibattimentale.
   La norma censurata e' stata gia' in parte oggetto di intervento  da
 parte delle Corte costituzionale, che ha avuto modo di dichiararne la
 illegittimita'  nella  parte  in  cui  ricollegava  alla condanna per
 talune ipotesi di reato, ovvero in una linea di  difesa  ancora  piu'
 avanzata delle istitutizioni, alla mera sottoposizione a procedimento
 penale per ipotesi particolarmente gravi e destanti rilevante allarme
 sociale,  la  destituzione  automatica del pubblico dipendente, senza
 possibilita' alcuna  dell'amministrazione  di  graduare  la  sanzione
 disciplinare  in ordine al concreto disvalore giuridico del fatto, ed
 alle sue conseguenze sul rapporto di servizio.
   La Corte ha quindi ritenuto che ogni valutazione al  riguardo  vada
 riportata  alla  sede  propria e naturale, che e' quella del giudizio
 disciplinare,  sicche'  ha  estrapolato   dall'ordinamento,   perche'
 contrarie a fondamentali principi costituzionali, tutte le ipotesi di
 destituzione  automatica  del  dipendente,  comunque  denominate, per
 effetto di intervenuta condanna penale.
   Il giudizio non ha peraltro investito il comma 4-septies  dell'art.
 1,  legge  n.  16/1992,  ovvero la norma nella parte in cui ricollega
 agli stessi fatti la sospensione automatica dal  servizio,  beninteso
 ove si tratti di sospensione cd. facoltativa, anche in tal caso senza
 alcuna  possibilita'  di  graduare  la  concreta  responsabilita' del
 dipendente ed il reale disvalore giuridico del fatto.
   La situazione appare in tale caso egualmente lesiva di fondamentali
 garanzie  costituzionali, atteso che sia pure nella non definitivita'
 del provvedimento, che lascia in  vita  ma  sospeso  il  rapporto  di
 servizio,  sono  insite  analoghe  violazioni  della Costituzione per
 effetto  dell'automatismo  operativo  della  misura,  senza  che  sia
 possibile  valutare  la ricorrenza dei presupposti per l'applicazione
 della stessa.
   Ne' appare rilevante che non si  tratti  di  sanzione  disciplinare
 massima, o meglio che non si tratta affatto di sanzione disciplinare,
 poiche'  e'  in  ogni  caso  necessaria  una valutazione modulare del
 fatto.
   Deve rilevarsi che la ratio della norma  non  e'  tanto  quella  di
 reagire  alla  gravita'  della pena, o dell'accusa, bensi' l'essere i
 reati in  esame  espressione  sintomatica  di  una  personalita'  che
 esclude  nell'individuo, secondo la valutazione tipica effettuata dal
 legislatore,  l'ulteriore  idoenita'   all'esercizio   del   pubblico
 ufficio.
   Nella  specie,  rileva  il  Collegio  che  il  ricorrente  e' stato
 coinvolto nel procedimento penale, a seguito delle rivelazioni di una
 pregiudicata,  che  lo  accusa  di  aver  ricevuto   delle   sostanze
 stupefacenti,  al  fine di provocare l'arresto di personaggi ritenuti
 malavitosi, e sostanzialmente quindi senza il dolo  specifico  (anche
 se  non  inteso in senso tecnico) del fine di lucro, o di traffico in
 senso stretto di dette sostanze.
   Al riguardo deve rilevarsi che l'automatismo della misura cautelare
 si presenta  di  per  se'  lesivo  del  principio  costituzionale  di
 eguaglianza di cui all'art. 3 prima comma, della Costituzione, che si
 esprime   anche  nella  necessita'  di  differenziare  la  disciplina
 normativa di situazioni tra  loro  non  assimilabili.  In  tal  modo,
 considerando    l'automatismo   normativo   cosi'   predisposto,   si
 sottopongono  indiscriminatamente  alla  sospensione   dal   servizio
 comportamenti  di  assai diversa gravita', con violazione dei criteri
 di coerenza e ragionevolezza di cui all'art.   3 della  Costituzione,
 senza  che sia possibile valutare, come normalmente deve accadere, la
 gravita' specifica dell'accusa, la rilevanza del  fatto  in  rapporto
 con   l'attivita'   svolta   dal   dipendente,   il   vantaggio   che
 l'amministrazione puo' ricavare dal suo mantenimento in servizio.
   La situazione appare ulteriormente lesiva  del  diritto  al  lavoro
 garantito  dagli  artt.  4  e 35 della Costituzione, e dei criteri di
 imparzialita' e buon andamento di cui all'art. 27 della Costituzione,
 per la sproporzione che puo' determinarsi  tra  la  misura,  peraltro
 sine die ovvero con termine incertus quando, creantesi nella notevole
 riduzione dei mezzi di sussistenza del pubblico dipendente.
   E'  ben  vero  che la legge n. 16/1992 si inscrive nel filone della
 cd.  legislazione  antimafia,   perseguendo   gli   obiettivi   della
 salvaguardia   dell'ordine  e  della  sicurezza  pubblica,  del  buon
 andamento e della trasparenza della amministrazioni  pubbliche,  allo
 scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale.
   Tuttavia, a prescindere dalla considerazione che tali finalita' non
 valgono  a superare i dubbi di legittimita' costituzionale, specie in
 ipotesi limite come quella in  esame,  ma  egualmente  meritevoli  di
 considerazioni,  va  rilevato  che  non  si  giustifica  una deroga a
 principi che devono rappresentare essi stessi  espressione  del  buon
 andamento  dell'amministrazione:  ossia che la gravita' del fatto non
 puo' desumersi intrinsecamente dal solo titolo di reato ed egualmente
 il  venir meno della fiducia per l'esercizio delle funzioni derivanti
 dalla qualifica rivestita non puo' essere dedotto dalla sola astratta
 natura degli illeciti contestati, senza  alcun  riferimento  concreto
 alla vicenda in cui il dipendente e' stato coinvolto.
   Sotto  un  aspetto  ancor  piu'  pregnante,  deve  rilevarsi che il
 Collegio dubita della legittimita' costituzionale della normativa  in
 esame  ove  ricollega  la  sospensione  al mero rinvio a giudizio del
 dipendente per fatti astrattamente  qualificati  attraverso  il  solo
 nome  iuris,  poiche'  i  fatti  stessi  sono ancora basati su di una
 ipotesi accusatoria, sia pure qualificata dal vaglio del  g.i.p.,  ma
 non ancora verificata attraverso la pienezza del dibattimento.
   Prescindere  in  tal caso da una sentenza di condanna, sia pure non
 definitiva, appare una violazione delle garanzie  costituzionali,  ed
 in  particolare  dell'art.  27  della  Costituzione, non giustificata
 dalle esigenze di tutela dell'ordinamento nel suo complesso,  che  in
 tale  ipotesi possiede adeguati mezzi di reazione, proprio attraverso
 i normali mezzi del corretto esercizio del  potere  discrezionale  di
 sospensione.
   La  garanzia  costituzionale per cui "l'imputato non e' considerato
 colpevole  sino  alla  sentenza  definitiva",   comporta   che   tale
 presunzione  debba  operare non solo all'interno del processo penale,
 ma  anche  ad  ogni  altro  effetto  che  tale  condanna  logicamente
 presuppone.
   La  parificazione  tra  condannato  (in primo grado o definitivo) e
 semplice imputato puo' eventualmente avvenire  di  fatto,  a  seguito
 della  ponderata valutazione posta in essere dall'amministrazione con
 riferimento al pregiudizio che puo' derivare nel  caso  concreto  dal
 mantenimento  in  servizio  del  dipendente,  ma  non puo' porsi come
 effetto automatico e inderogabile imposto ex lege.
   E' pur vero, come e' stato osservato da codesta Corte (sentenza  16
 maggio   1994,   n.   184)   che  sospensione  cautelare  e  sanzione
 disciplinari sono figure non comparabili; tuttavia la  questione  era
 stata   proposta   sotto   il  diverso  profilo  della  irragionevole
 equiparazione dei pubblici dipendenti ai titolari di uffici elettivi,
 nonche' della violazione dell'art. 97 della Costituzione,  mentre  il
 collegio  remittente  richiama  nella  specie  diversi  parametri  di
 illegittimita' costituzionale; inoltre fa nella specie riferimento ad
 una diversa giurisprudenza della Corte, e segnatamente alla  sentenza
 n.  141  del  6  maggio  1996,  la quale ha dichiarato la illegimita'
 costituzionale dell'art. 15, comma 1, lett. e) legge n. 55/1990,  nel
 testo  modificato  dall'art.   1 legge n. 16/1992, nella parte in cui
 dispone la incandidabilita' alle elezioni amministrative  di  persone
 nei  confronti delle quali sia stata esperita l'azione penale per uno
 dei reati indicati nella lettera a) art.  15.  cit.  (e  segnatamente
 proprio  l'ipotesi  rilevante nel presente giudizio, di mero rinvio a
 giudizio per delitto di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990).
   La Corte costituzionale ha osservato (sia pure  relativamente  alla
 sola  ipotesi della incandidabilita') che la disposta ineleggibilita'
 assume in tal caso i caratteri di una sanzione  anticipata,  mancando
 una  sentenza di condanna irrevocabile e, nel caso di semplice rinvio
 a giudizio,  addirittura  prima  che  il  contenuto  dell'accusa  sia
 sottoposto alla verifica dibattimentale.
   Identica  ratio,  sia  pure  con violazione di norme costituzionali
 parzialmente differenti, invoca il Collegio remittente per il caso in
 esame, in quando il fondamento costituzionale del diritto  al  lavoro
 appare  egualmente  rilevante  di  quello  al  diritto  di elettorato
 passivo, ritenuto meritevole di tutela della Corte.
   In  conclusione  va  sollevata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale   dell'art.  1,  comma  4-septies  legge  n.  16/1992,
 modificativo dell'art.  15 della legge n. 55/1990, relativamente alla
 previsione della obbligatoria sospensione dal servizio del dipendente
 rinviato a giudizio per una delle ipotesi di  reato  contemplato  nel
 comma  1, lett. a), per contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 4, 35 e 97
 della Costituzione.
   Va  disposta  pertanto  la  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
 costituzionale  per  la  pronuncia  sulla legittimita' costituzionale
 della suindicata norma, rimanendo sospeso  il  presente  giudizio  ai
 sensi dell'art.  23, legge 11 marzo 1953, n. 87.
                                P. Q. M.
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 costituzionalita' dell'art. 1, comma  4-septies,  legge  n.  16/1992,
 modificativo  dell'art.  15,  legge  n.  55/1990,  relativamente alla
 previsione della obbligatoria sospensione del servizio del dipendente
 rinviato a giudizio per una delle ipotesi di reato di cui al comma 1,
 lett.  a), per contrasto con gli artt. 3, 24, 27, 4,  5  e  97  della
 Costituzione, per i profili indicati in motivazione;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale, rimanendo sospeso il presente giudizio;
   Ordina alla segreteria di notificare  la  presente  ordinanza  alle
 parti  in  causa,  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri e di
 comunicarla ai Presidenti delle due camere del Parlamento.
   Cosi' deciso in Napoli, nella camera di  consiglio  del  22  aprile
 1998.
                        Il presidente: Coraggio
                                               L'estensore: Pappalardo
 99C0213