N. 138 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 dicembre 1998

                                N. 138
  Ordinanza  emessa  il  16  dicembre  1998  dal  Consiglio  nazionale
 ragionieri  e  periti  commerciali  di  Roma  sul ricorso proposto da
 Barbieri Elio
 Professioni - Ragionieri e periti commerciali - Radiazione di diritto
    dall'albo professionale, a seguito  di  condanna  penale  o  della
    interdizione  perpetua  dai pubblici uffici o dall'esercizio della
    professione - Mancata previsione dell'esperimento del procedimento
    disciplinare per la graduazione della sanzione in  relazione  alla
    gravita'  del  reato - Irragionevolezza - Incidenza sul diritto di
    difesa, nonche' sui principi di  imparzialita'  e  buon  andamento
    della p.a.
 (D.P.R.  27  ottobre 1953, n. 1068, art. 38, secondo e quarantunesimo
    comma, 1 alinea).
 (Cost., artt. 2, 3, 24, secondo comma, e 97).
(GU n.11 del 17-3-1999 )
                   IL CONSIGLIO NAZIONALE RAGIONIERI
   Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso proposto dal rag.  Elio
 Barbieri,  residente  in  Brindisi  in via A. Grandi n. 72 avverso la
 delibera del Consiglio del collegio dei ragionieri di Brindisi del 13
 marzo 1998;
                               F a t t o
   Con ricorso a  questo  Consiglio  nazionale  depositato  presso  il
 collegio  dei  ragionieri di Brindisi in data 30 aprile 1998, il rag.
 Elio Barbieri ha impugnato la delibera del Consiglio del collegio  di
 Brindisi del 13 marzo 1998, notificata il 2 aprile 1998, con la quale
 era  stata  disposta la radiazione con effetto immediato dell'odierno
 ricorrente, ai sensi dell'art. 38 dell'ordinamento professionale.
   Il ricorso fu gia' posto all'ordine del giorno per la seduta del  4
 novembre  1998  e  rinviato  a  successiva  seduta  in  quanto l'avv.
 Masiello, in nome e per conto del rag. Barbieri, in data  3  novembre
 1998  (giorno  antecedente  all'udienza di trattazione del ricorso in
 esame) rappresentava al Consiglio  nazionale  comprovati  motivi  che
 impedivano   al  ricorrente  la  presenza  in  seduta.  Il  Consiglio
 nazionale, in accoglimento della predetta istanza del  difensore  del
 ricorrente, rinviava ad altra data la trattazione del ricorso.
   Successivamente,  in  data 15 dicembre 1998, perveniva al Consiglio
 nazionale la richiesta dell'avv. Masiello di ulteriore  rinvio  della
 seduta  fissata  per  il  16  dicembre  1998.  Peraltro, il Consiglio
 nazionale rigettava la richiesta ed il ricorso veniva trattato.
   Quanto alle vicende sottese al ricorso si rappresenta quanto segue.
    Nella riunione del Consiglio del collegio di Brindisi del 13 marzo
 1998,  il  vice  presidente dott. rag. Nicola Savoia, che, assente il
 presidente dott. rag. Carluccio,  aveva  assunto  la  presidenza  del
 Consiglio,   riferiva  essere  stato  acquisito  il  certificato  del
 casellario giudiziale del rag.  Barbieri,  dal  quale  risultava  che
 quest'ultimo  era  stato  condannato  dal  pretore  di  Brindisi, con
 sentenza n. 918 del 31 ottobre 1995, per i  reati  di  appropriazione
 indebita,  falsita'  materiale  e  truffa continuata ad una pena di 8
 mesi di reclusione e di L. 800.000 di multa (pena sospesa).
   Pertanto, il Consiglio del collegio, ritenendo che gli  elementi  a
 carico   del   Barbieri   avessero   gravemente  compromesso  la  sua
 reputazione nonche' la dignita' della  professione,  deliberava,  con
 decorrenza immediata, la radiazione dello stesso.
   Con il ricorso de quo il rag. Barbieri chiede:
     1) annullamento della delibera impugnata;
     2)  in  subordine, la modifica del provvedimento impugnato con la
 irrogazione della sospensione  dell'esercizio  professionale  per  un
 periodo estremamente limitato.
   Il  ricorrente  chiede  inoltre  e  comunque  che  nelle  more  del
 procedimento venga sospesa l'efficacia della  delibera  impugnata  ex
 art.  44 d.P.R.  n. 1068/1953, in considerazione del gravissimo danno
 che gli deriverebbe  dalla  immediata  decorrenza  del  provvedimento
 impugnato.
   I  motivi  addotti  dal ricorrente a sostegno delle proprie domande
 sono i seguenti:
     1) nullita' del provvedimento impugnato per violazione  dell'art.
 41  d.P.R.  n.  1068/53.  La  delibera  del Consiglio del collegio di
 Brindisi  sarebbe  affetta  da  nullita'  insanabile  in  quanto   il
 ricorrente   non  sarebbe  stato  invitato  a  comparire  innanzi  al
 Consiglio per  chiarire  la  propria  posizione  ne'  avrebbe  potuto
 presentare  memorie difensive ai sensi dell'art. 41 dell'o.p. Secondo
 il ricorrente non sarebbe, inoltre, applicabile l'art. 38  d.P.R.  n.
 1068/1953,  2  e 3 comma - in base al quale la radiazione puo' essere
 dichiarata di  diritto  dal  Consiglio  nel  caso  di  violazione  di
 specifiche  norme di legge, sentito, ove lo creda, l'interessato - in
 quanto non  sarebbe  specificatamente  menzionato  nella  motivazione
 della delibera impugnata la sussistenza di tali circostanze;
     2)  nullita'  della  delibera per errore di diritto. Il Consiglio
 del  collegio  di  Brindisi  avrebbe  disposto  la   radiazione   del
 ricorrente  considerando  la sentenza irrogata al rag. Barbieri, come
 una  ordinaria  sentenza  di  condanna  laddove  detto  provvedimento
 assunto  dal  pretore  di  Brindisi ai sensi dell'art. 444 c.p.p. non
 avrebbe tale connotazione.
   Eccessivita' della sanzione irrogata. Il rag. Barbieri rileva  che,
 nonostante  la mancanza di dolo nei fatti contestati, avrebbe chiesto
 l'applicazione della pena su richiesta a  causa  delle  sue  precarie
 condizioni  di  salute che non gli avrebbero consentito di reggere al
 lunghissimo decorso del procedimento penale relativo a fatti accaduti
 nel 1990. Detta circostanza, unitamente all'assenza di altri  episodi
 lesivi della sua reputazione, avrebbe dovuto indurre il Consiglio del
 collegio  di Brindisi ad irrogare, al massimo, la misura disciplinare
 della  censura  o  della  sospensione  dall'esercizio  dell'attivita'
 professionale.
   Al   presente   ricorso   sono,   altresi',  allegate  le  seguenti
 controdeduzioni  del  dott.  rag.  Fortunato  Carluccio,  nella   sua
 qualita' di presidente del collegio dei ragionieri di Brindisi:
     1)  sulla  nullita' del procedimento disciplinare per istruttoria
 difettosa. L'avvenuta radiazione del rag. Barbieri, senza l'audizione
 dello stesso, sarebbe stata motivata dalla particolare  gravita'  dei
 reati  contestati  e  sarebbe  stata  adottata  sulla  base di quanto
 disposto dall'art. 38 ultimo comma o.p. Infatti. la locuzione "ove lo
 creda" contenuta nella predetta disposizione,  consente al Consiglio,
 in presenza di una sentenza di condanna per i reati di cui agli artt.
 81, 646, 61c, 7 e 11, 477, 482 e 640 c.p., di disporre la  radiazione
 senza sentire l'interessato;
     2) sulla nullita' del procedimento perche' non in presenza di una
 sentenza  di condanna. Laddove si ritenesse che la sentenza emessa ai
 sensi dell'art. 444 c.p.p. non  possa  essere  configurata  come  una
 sentenza  di  condanna,  ci si troverebbe, comunque, di fronte ad una
 ipotesi di responsabilita' del ricorrente tale da dover escludere  la
 prova della sua innocenza e da giustificare l'adozione della sanzione
 ai  sensi  dell'art.  38  ultimo  comma  o.p. Il collegio si rimette,
 comunque, all'interpretazione del Consiglio  nazionale  relativamente
 alla  contestazione  sollevata, rilevando, inoltre, che la scelta del
 rag.  Barbieri  di  "patteggiare"  la  pena  potrebbe  essere   stata
 meramente  dettata  dal  pericolo  di  incorrere in sanzioni ben piu'
 gravi.
                             D i r i t t o
   Esaminata la documentazione agli atti e considerate le eccezioni ed
 osservazioni  emergenti  dal  ricorso  e  dalle  controdeduzioni  del
 presidente  del  Consiglio  del  collegio  di  Brindisi, il Consiglio
 nazionale osserva quanto segue:
     a) il pretore di Brindisi, con sentenza n.  918  del  31  ottobre
 1995,  emessa  ai  sensi  dell'art. 444 c.p.p., ha condannato il rag.
 Barbieri alla pena di mesi otto di reclusione e di  lire  800.000  di
 multa  per  i  reati  di  cui  agli artt. 646, 477, 482 e 640 c.p. In
 particolare, al  rag.  Barbieri  e'  stato  contestato  il  reato  di
 appropriazione  indebita  (art.  646  c.p.)  continuata, aggravata ai
 sensi dell'art. 61 numeri 7  e  11,  per  essersi,  con  piu'  azioni
 esecutive  del  medesimo  disegno  criminoso  e  abusando  della  sua
 qualita' di commercialista  depositario  delle  scritture  contabili,
 impossessato  delle  somme  ricevute  per  effettuare versamenti IVA,
 IRPEF e ILOR, arrecando alla  parte  offesa  un  danno  di  rilevante
 gravita'.  Al  ricorrente  e'  stato  inoltre  contestato il reato di
 truffa (art. 640 c.p.) aggravata ai sensi dell'art.  61  n.  11,  per
 avere  falsificato  un'autenticazione di pagamento di acconto IRPEF e
 ILOR, facendo apparire versata all'ufficio competente a riceverla  la
 somma   di  lire  1.115.000  con  abuso  di  prestazione  d'opera  di
 commercialista.  Infine il rag. Barbieri e' stato imputato dei  reati
 di  falsita' materiale in certificati o autorizzazioni amministrative
 (art. 477 c.p.) e falsita' materiale commessa da  privato  (art.  482
 c.p.),  per  aver  apposto  una  falsa  firma  in calce alla suddetta
 attestazione di pagamento di acconto ILOR e  IRPEF.  Cio'  posto,  su
 richiesta  dell'imputato  e  del  P.M.,  e'  stata  applicata al rag.
 Barbieri. ai sensi dell'art.  444 c.p. una pena pari a mesi  otto  di
 reclusione e lire 800.000 di multa, pena sospesa essendo quest'ultimo
 incensurato;
     b)  i  reati  di  cui  agli  artt. 477 e 482 c.p. rientrano tra i
 delitti  contro  la  fede  pubblica  ed,  in  particolare,   tra   le
 fattispecie  criminose  della  falsita'  in atti e vengono puniti, il
 primo, con la reclusione da sei mesi a tre anni, il secondo,  con  la
 stessa  pena  ridotta di un terzo. I reati di appropriazione indebita
 (art. 646)  e  truffa  (art.  640)  sono  invece  delitti  contro  il
 patrimonio,  puniti,  rispettivamente,  con  la pena della reclusione
 fino a tre anni e della multa fino a lire due milioni, nonche' con la
 reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da lire centomila  a
 due milioni.
   Cio'  posto, il d.P.R. 27 ottobre 1953 n. 1068 all'art. 38, secondo
 comma prevede: "La condanna per delitto... contro la fede pubblica...
 contro il patrimonio... importa la radiazione di diritto dall'albo  o
 dall'elenco".  Ed  ancora,  al  comma 4, sancisce: "La radiazione nei
 casi previsti dai commi secondo e  terzo  del  presente  articolo  e'
 dichiarata  dal  Consiglio  del  collegio,  sentito,  ove  lo  creda,
 l'interessato".  Pertanto, l'ultimo comma del summenzionato  art.  38
 consente al collegio, in particolari ipotesi di condanna per delitto,
 di  deliberare  la  radiazione, anche senza sentire l'interessato: in
 tal senso la locuzione "ove lo creda" contenuta nella disposizione de
 qua. Ora, nella fattispecie in esame,  il  collegio  di  Brindisi  ha
 legittimamente  applicato  l'art.    38,  comma 4,   dell'ordinamento
 professionale, avendo il Barbieri riportato una sentenza di  condanna
 per  delitti  contro la fede pubblica e contro il patrimonio, tale da
 consentire l'applicazione ipso iure della sanzione della radiazione.
   Il collegio, inoltre, ha evidenziato la  particolare  gravita'  dei
 reati commessi dal Barbieri, specie in quanto riferiti a soggetto che
 esercita  una  professione a carattere intellettuale. In particolare,
 dette  violazioni  di  legge   costituiscono   altresi'   un'evidente
 inosservanza  della  deontologia  professionale, e vanno a ledere non
 solo la reputazione del reo, bensi' la stessa onorabilita'  e  decoro
 della professione svolta dagli altri collegiati;
     c) cio' posto, contrariamente a quanto rilevato dal rag. Barbieri
 nel  primo  motivo  di ricorso, nella fattispecie de qua non viene in
 rilievo  alcuna  violazione  di  legge,  dal   momento   che   l'iter
 procedurale  seguito  dal  Consiglio  del  collegio  di  Brindisi  e'
 conforme al disposto dell'art. 38 ultimo comma del d.P.R. citato. Ne'
 potrebbe ritenersi  prevalente  su  quest'ultima  norma  il  disposto
 dell'art.  41  d.P.R.    cit., che recita: "nessuna pena disciplinare
 puo' essere inflitta senza  che  l'incolpato  sia  stato  invitato  a
 comparire  avanti  il  Consiglio con l'assegnazione di un termine non
 superiore a giorni dieci  per  essere  sentito  nelle  sue  discolpe.
 L'incolpato ha facolta' di presentare documenti e memorie difensive".
   Quest'ultima  norma,  infatti,  fa  salva  proprio l'ipotesi di cui
 all'art. 38 ultimo comma nonche' quanto previsto dall'art. 39 secondo
 comma. D'altronde, anche se si dovesse ritenere, come prospettato dal
 rag.  Barbieri,  che  il  combinato   disposto   delle   disposizioni
 dell'ordinamento  professionale  in  esame  non garantisca appieno il
 rispetto del principio costituzionale contenuto nell'art. 24  secondo
 comma della Costituzione, e cioe' il "diritto di difesa", non sarebbe
 comunque   possibile,   attraverso  un  processo  interpretativo  sui
 generis, stravolgere il significato delle predette norme, pur se  con
 lo scopo di tutelare l'inviolabilita' del diritto alla difesa.
   Cio' in quanto le suddette norme sono inequivocabili e non lasciano
 alcuno spazio a dubbi interpretativi. Inoltre, sempre con riferimento
 al   primo   motivo   di   ricorso,  ed  in  ordine  al  diritto  del
 professionista di presentare memorie difensive,  deve  ritenersi  che
 anche   tale  diritto,  al  pari  del  diritto  di  audizione,  trovi
 un'espressa  deroga  nell'art.    38  ultimo  comma  dell'ordinamento
 professionale;
     d)  peraltro,  il  Consiglio  nazionale  dei  ragionieri e periti
 commerciali, che, nell'esercizio della funzione de qua, ha natura  di
 organo  giurisdizionale ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953 n.
 87 (cfr. Corte costituzionale, ord. n.  387  del  1990),  ritiene  di
 dover  sollevare  d'ufficio  questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 38 comma quarto d.P.R. 27 ottobre  1953  n.  1068,  nonche'
 dell'art.  41  primo  alinea  dello stesso decreto, per contrasto con
 l'art.  24  comma  secondo  della  Carta  costituzionale,  anche   in
 riferimento agli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione.
   La questione, infatti, per i motivi sopra esposti, risulta:
      1) rilevante ai fini del decidere;
      2) non manifestamente infondata;
     e)  quanto alla rilevanza della questione ai fini della decisione
 del presente giudizio, essa, per i motivi in precedenza indicati,  e'
 in  re ipsa. Inoltre, pare ragionevole e non manifestamente infondato
 ritenere che le suddette disposizioni dell'ordinamento  professionale
 violino  il  disposto  dell'art. 24 secondo comma della Costituzione,
 che recita: "La difesa e' diritto inviolabile in ogni  fase  e  stato
 del   procedimento".   D'altronde,   come   evidenziato  dalla  Corte
 costituzionale,  quest'ultima  disposizione   costituisce   uno   dei
 principi  cardine  del  nostro  ordinamento  giuridico  e  del nostro
 sistema costituzionale, posto a tutela di  una  situazione  giuridica
 soggettiva   espressamente   qualificata   dal   nostro   legislatore
 costituente come "inviolabile" e tale da  rientrare  nel  novero  dei
 diritti  assoluti  della  personalita' riconosciuti e garantiti dalla
 Repubblica ai  sensi  dell'art.  2  della  Costituzione  (cfr.  Corte
 costituzionale,  sent.  n.  18  del 1982). Il diritto di difesa deve,
 pertanto, trovare piena  attuazione  ogni  qualvolta  siano  pendenti
 procedimenti  e  controversie  in  materia  di  diritti soggettivi ed
 interessi  legittimi  ed  il  termine  "procedimento"  adottato   dal
 Costituente  nell'art.  24  deve  essere  interpretato nel senso piu'
 ampio,   fino   a   ricomprendere   i   procedimenti   amministrativi
 giustiziali,   come   quello   di   specie.   Inoltre,   il  contesto
 para-giurisdizionale de quo impone che i principi  costituzionali  in
 materia di giurisdizione trovino la piu' completa applicazione, anche
 in  forza  del  principio  di  ragionevolezza di cui all'art. 3 della
 Costituzione e del principio di buon  andamento  della  p.a.  di  cui
 all'art. 97 della Carta costituzionale.
   Pertanto,  anche  nella  prima  fase del procedimento disciplinare,
 avente natura amministrativa, l'interessato deve essere sempre  posto
 nella  condizione di difendersi. D'altronde, la stessa legge 7 agosto
 1990, n. 241, garantisce ai soggetti interessati la  possibilita'  di
 partecipare al procedimento amministrativo (cfr. artt. 7 e seguenti e
 10,  lett.  b).  Dunque  le  suddette  disposizioni  dell'ordinamento
 professionale determinano un'irragionevole disparita' di  trattamento
 in  senso  peggiorativo,  del  tutto illegittima ai sensi dell'art. 3
 della  Costituzione.  Inoltre,  poiche'  la  sopra  citata  legge  n.
 241/1990 ha sancito i criteri generali dell'attivita' amministrativa,
 sviluppando  il principio fondamentale di cui all'art. 97 primo comma
 della Costituzione, risulta ancor piu' evidente  il  contrasto  delle
 disposizioni  oggetto della presente questione di legittimita' con il
 principio  del  buon  andamento  della  p.a.  sancito   dalla   Carta
 costituzionale.    Ne'   si   potrebbe   ritenere   che   l'Autorita'
 amministrativa   sia   legittimata   ad    emettere    la    sanzione
 automaticamente,  sulla base del solo fatto che il soggetto sia stato
 gia' condannato in sede penale. Gli e' che 1, o si ritiene del  tutto
 autosufficiente  la  condanna in sede penale ai fini dell'irrogazione
 della sanzione disciplinare 2, oppure si ritiene che il principio  di
 autonomia  tra  procedimento  penale  e procedimento disciplinare sia
 destinato a mantenere una certa valenza, sia pur residuale.
   Qualora  si  seguisse  la  prima  strada,  si  avrebbe   un'inutile
 duplicazione  di procedimenti, con conseguente irragionevolezza della
 previsione del procedimento disciplinare e conseguente contrasto  con
 gli  artt.  3 e 97 della Costituzione. In realta' soltanto la seconda
 ipotesi deve ritenersi compatibile con l'attuale sistema. Peraltro, i
 termini della questione non cambiano: infatti anche in questo caso si
 concreta  una  violazione  del  principio  di  ragionevolezza  e  del
 principio  di  buon  andamento  della  p.a.,  a causa di una serie di
 disposizioni che pongono l'Autorita' decidente in condizione di poter
 irrogare  una  sanzione  senza  sentire   l'interessato,   con   cio'
 privandolo del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito;
                               P. Q. M.
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 38 secondo comma e 41,  primo
 alinea  d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, per contrasto con l'art.  24
 secondo comma della Costituzione, anche in riferimento agli artt.  2,
 3 e 97 della Costituzione;
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina la trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale  e  la
 notificazione   della  presente  ordinanza  alle  parti,  nonche'  al
 presidente del Consiglio  dei  Ministri,  e  la  comunicazione  della
 stessa  al  Presidente  della Camera dei deputati e al Presidente del
 Senato della Repubblica.
   Cosi' deciso in Roma, il 16 dicembre 1998.
                       Il presidente: Santorelli
                                                  Il relatore: Nardini
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