N. 65 SENTENZA 8 - 12 marzo 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro - Collocamento - Lavoratori disoccupati o in cerca  di  prima
 occupazione  e  quelli  occupati  a  tempo  parziale  con  orario non
 superiore a venti ore settimanali  e  che  aspirino  ad  una  diversa
 occupazione   -   Inclusione   nella  prima  classe  -  Conservazione
 dell'iscrizione anche dei lavoratori avviati con  contratti  a  tempo
 determinato  con  durata  complessiva  non  superiore  a quattro mesi
 nell'anno solare - Riferimento alla  giurisprudenza  della  Corte  in
 materia   (vedi   sentenza   n.  356/1996)  -  Ragionevolezza  -  Non
 fondatezza.
 
 (Legge 28 febbraio 1987, n. 56, art. 10, comma 1, lettera a)).
 
 (Cost., artt. 3 e 4).
 
(GU n.11 del 17-3-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
 NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 1,
 lettera  a),  della  legge   28   febbraio   1987,   n.   56   (Norme
 sull'organizzazione  del  mercato del lavoro), promosso con ordinanza
 emessa il 16 luglio 1997 dal Tribunale amministrativo  regionale  per
 la  Puglia, sezione staccata di Lecce, sul ricorso proposto da Ancona
 Salvatore contro il comune di Ostuni ed altro, iscritta al n. 54  del
 registro  ordinanze  1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 6, prima serie speciale dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di consiglio dell'11 novembre 1998 il giudice
 relatore Massimo Vari.
                           Ritenuto in fatto
   1. -   Nel corso del giudizio promosso  da  Ancona  Salvatore,  per
 ottenere l'annullamento della delibera comunale (n. 810 del 12 giugno
 1997)  con  la  quale  era  stata  revocata  la  sua  assunzione alle
 dipendenze  del  comune  di  Ostuni,  il   Tribunale   amministrativo
 regionale  per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con ordinanza in
 data 16 luglio 1997 (r.o. n. 54 del 1998) - emessa in sede cautelare,
 previo accoglimento, in via interinale e provvisoria, dell'istanza di
 sospensione dell'esecuzione dell'atto -  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 10, comma 1, lettera a), della
 legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull'organizzazione del  mercato
 del lavoro), per contrasto con gli artt. 3 e 4 della Costituzione.
   Premette   il   giudice  a  quo  che  il  menzionato  comune  aveva
 provveduto, a seguito di richiesta di avviamento a selezione  rivolta
 al  competente  Ufficio  circoscrizionale  del lavoro e della massima
 occupazione,   all'assunzione    (provvisoria    e    con    salvezza
 dell'accertamento   del   possesso   dei   richiesti  requisiti)  del
 ricorrente (delibera n. 197 dell'11 febbraio 1997).
   Dopo la stipula del contratto di lavoro, l'Ufficio del lavoro aveva
 comunicato  al  comune  (con  nota  del  3  aprile  1997)  l'avvenuta
 cancellazione  dell'Ancona  dalla  prima  classe   delle   liste   di
 collocamento  nonche'  la revoca dell'avviamento a selezione, essendo
 l'interessato risultato titolare di partita  I.V.A.,  con  iscrizione
 alla C.C.I.A.A. sin dall'11 dicembre 1986, ed avendo svolto attivita'
 di  rappresentante  di commercio nel periodo 2 gennaio 1989/16 maggio
 1996,  "con  regolare  presentazione  delle  dichiarazioni  II.DD.  e
 I.V.A.".  Di  qui  la  conseguente  revoca  anche  dell'assunzione in
 servizio, oggetto di impugnazione, insieme alla nota dell'Ufficio del
 lavoro, innanzi al rimettente.
   2. - Il giudice a quo  nel  rammentare  che  l'art.  10,  comma  1,
 lettera  a),  della  legge n. 56 del 1987, prevede l'iscrizione nella
 prima classe delle liste di collocamento, fra  gli  altri,  anche  di
 coloro  che  siano  "...occupati  a  tempo  parziale  con  orario non
 superiore a  20  ore  settimanali  e  che  aspirino  ad  una  diversa
 occupazione...",  esclude  che,  in  detta  previsione, possano farsi
 rientrare, in via interpretativa, anche i  lavoratori  autonomi,  sia
 pure  dotati  di  reddito  o  volume  di affari modesti. Una siffatta
 scelta ermeneutica richiederebbe, secondo l'ordinanza, "una attivita'
 di inammissibile integrazione  del  dato  normativo",  ponendosi  "in
 chiaro  e stridente contrasto con il dato letterale della norma", che
 si riferisce, in modo univoco, "a posizioni di lavoro dipendente".
   Di qui la prospettata violazione, in primo luogo, del "principio di
 uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, in  relazione  al
 diverso   ed   ingiustificato  trattamento  riservato  ai  lavoratori
 autonomi,  occupati  solo  parzialmente,   rispetto   ai   lavoratori
 dipendenti nelle medesime condizioni"; e, in secondo luogo, dell'art.
 4   della  Costituzione,  apparendo  la  disposizione  "ingiustamente
 preclusiva", per  il  lavoratore  non  dipendente  occupato  a  tempo
 parziale,  "della  facolta' di scelta e di cambiamento dell'attivita'
 lavorativa secondo le proprie  possibilita',  le  proprie  scelte  ed
 aspirazioni".
   3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  per
 sentir  dichiarare  "inammissibile e comunque infondata" la sollevata
 questione di costituzionalita'.
   Secondo la difesa erariale non sussiste, anzitutto,  la  denunciata
 "violazione  dei  canoni  di  eguaglianza  formale e ragionevolezza",
 posto che la legge n. 56 del 1987  regolamenta  l'organizzazione  del
 mercato  del  lavoro  con  esclusivo  riguardo al "lavoro salariato",
 dettando una disciplina del tutto coerente con siffatto obiettivo.
   Rilevato poi che "il lavoratore autonomo, a tempo pieno o  a  tempo
 parziale, non costituisce ne' economicamente ne' socialmente "offerta
 di  lavoro in atto" ma mera potenzialita' di una mobilita' civile tra
 diverse  forme   di   occupazione",   l'interveniente   osserva   che
 "l'iscrizione  in  classi  dei lavoratori nelle liste di collocamento
 risponde all'esigenza di dare priorita' alle  diverse  condizioni  di
 bisogno  di  lavoro,  comparabili  solo  per  posizioni  omogenee dei
 lavoratori dipendenti", tra le quali va ricompresa la  posizione  del
 lavoratore occupato a tempo parziale.
   Ne'  puo'  essere  assecondabile  il tentativo del giudice a quo di
 introdurre, nel mercato del lavoro, la figura del lavoratore autonomo
 a tempo parziale, attraverso l'utilizzo di un parametro,  quello  del
 reddito,  "la  cui  entita'  deriva  da  una  pluralita'  di elementi
 soggettivi    ed    oggettivi   di   difficile   codificabilita'   ed
 accertamento".
   Secondo l'Avvocatura, non va, infine, trascurata -  quale  "profilo
 che afferisce alla stessa ammissibilita' della questione sollevata" -
 la  circostanza  dello  svolgimento,  da  parte  del  ricorrente  nel
 giudizio a quo di attivita' di rappresentante di commercio, come tale
 presupponente, in base alla legge 3 maggio 1985, n. 204, l'iscrizione
 nel ruolo degli agenti, alla quale consegue  "l'incompatibilita'  con
 la   qualifica   di   lavoratore   dipendente,  cui  e'  propedeutica
 l'iscrizione nelle liste di collocamento".
                         Considerato in diritto
   1. -  Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia,  sezione
 staccata di Lecce, dubita della legittimita' costituzionale dell'art.
 10,  comma  1, lettera a), della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme
 sull'organizzazione del mercato del lavoro),  il  quale  prevede  che
 possano   essere  inclusi,  nella  "1a  classe"  degli  aspiranti  al
 collocamento, oltre ai "lavoratori disoccupati o in  cerca  di  prima
 occupazione",  quelli  "occupati  a  tempo  parziale  con  orario non
 superiore a venti ore settimanali  e  che  aspirino  ad  una  diversa
 occupazione",  consentendo, inoltre, la conservazione dell'iscrizione
 in favore  anche  dei  "lavoratori  avviati  con  contratti  a  tempo
 determinato,  la  cui  durata  complessiva  non superi i quattro mesi
 nell'anno solare".
   2. - Il giudice a quo,  nell'escludere  che  in  tale  disposizione
 possano  ricomprendersi anche i lavoratori autonomi con occupazione a
 tempo parziale, reputa la stessa in contrasto:
     con  l'art.  3  della  Costituzione,  sotto  il   profilo   della
 violazione   del   principio  di  uguaglianza,  per  l'ingiustificato
 trattamento  riservato  a  questi  ultimi  "rispetto  ai   lavoratori
 dipendenti nelle medesime condizioni";
     con  l'art.  4  della  Costituzione,  per  la  preclusione  che i
 medesimi "ingiustamente" subiscono in ordine alla "facolta' di scelta
 e  di  cambiamento  dell'attivita'  lavorativa  secondo  le   proprie
 possibilita', le proprie scelte ed aspirazioni".
   3.  - Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilita',
 sollevata dall'Avvocatura generale dello Stato,  la  quale  deduce  -
 quale   "profilo  che  afferisce  alla  stessa  ammissibilita'  della
 questione" - lo svolgimento da parte dell'interessato  dell'attivita'
 di  rappresentante di commercio, presupponente come tale l'iscrizione
 nel ruolo degli agenti previsto dalla legge 3 maggio  1985,  n.  204,
 incompatibile  con  "la  qualifica  di  lavoratore dipendente, cui e'
 propedeutica l'iscrizione nelle liste di collocamento".
   Tale eccezione, da riferire, con ogni evidenza, pur in mancanza  di
 una  puntuale  esplicitazione,  ad  un  presunto difetto di rilevanza
 della questione,  non  e'  fondata.  Come  la  Corte  ha  avuto  gia'
 occasione  di  affermare,  il nesso di pregiudizialita' richiesto, al
 fine  di  rendere  rilevante  (e  quindi  ammissibile)  la  questione
 incidentale  di  legittimita'  costituzionale,  deve consistere in un
 rapporto di strumentalita' necessaria fra la risoluzione della stessa
 e la decisione  del  giudizio  principale.  La  sollevata  questione,
 investendo  la  disciplina applicabile alla prima delle classi in cui
 possono  essere  iscritti  gli  aspiranti  al  collocamento,   appare
 certamente  pregiudiziale  in ordine alla decisione che il rimettente
 e' chiamato a rendere sulla pretesa del ricorrente a mantenere il suo
 rapporto  di  impiego  alle  dipendenze  del  comune di Ostuni. Fuori
 dall'ambito del giudizio resta, invece, il problema di compatibilita'
 posto dall'Avvocatura dello Stato, che non appare atto ad influire in
 nessun caso sul vaglio di rilevanza concernente la questione  portata
 all'esame della Corte.
   4.  -  Nel  merito,  la  questione  non  e' fondata, nei termini in
 appresso precisati.
   5. - Onde valutarne la  portata,  occorre  ricordare  che  uno  dei
 principi fondamentali sul quale il sistema del collocamento e' venuto
 tradizionalmente a fondarsi e' quello dell'ordine di priorita' che va
 seguito  nell'avviamento  al  lavoro,  tenendo conto delle condizioni
 soggettive degli aspiranti.
   A tal  fine  l'art.  10  della  legge  28  febbraio  1987,  n.  56,
 modificando la previsione gia' contenuta nell'art. 10, secondo comma,
 della  legge  29  aprile 1949, n. 264, prevede che gli iscritti nelle
 liste di collocamento siano suddivisi  in  tre  classi,  nelle  quali
 vanno   inseriti  -  rispettivamente  e  per  quanto  interessa  -  i
 lavoratori  disoccupati  o  con  occupazione  a  tempo  parziale,   i
 lavoratori  occupati che aspirino ad altra occupazione, i titolari di
 trattamenti  pensionistici.  Tali  classi,   per   espresso   dettato
 legislativo,  "costituiscono  ordine di precedenza nell'avviamento al
 lavoro", a fronte delle  richieste  di  personale  formulate  in  via
 numerica dai datori di lavoro.
   Trattasi di una disciplina che - pressoche' superata per i rapporti
 di  lavoro  privato,  a  seguito  di  riforme che hanno comportato (a
 partire dall'art. 25 della legge 23 luglio 1991,  n.  223)  la  quasi
 completa  generalizzazione  del  sistema  della assunzione diretta e,
 piu' di recente, l'eliminazione del monopolio pubblico nella gestione
 del servizio  (decreto  legislativo  23  dicembre  1997,  n.  469)  -
 permane, invece, per i rapporti quali quello in contestazione innanzi
 al  giudice  a  quo,  e  cioe'  per  le  assunzioni  nelle  pubbliche
 amministrazioni, essendo queste ultime tenute a reclutare, tuttora, i
 "lavoratori da inquadrare nei livelli  retributivi-funzionali  per  i
 quali  non  e' richiesto il titolo di studio superiore a quello della
 scuola dell'obbligo" attraverso selezioni effettuate fra gli iscritti
 nelle liste di collocamento (art. 16 della legge n. 56  del  1987,  e
 successive disposizioni modificative ed integrative).
   Dette  selezioni  (come  risulta  anche  dall'art.  23 del d.P.R. 9
 maggio 1994, n. 487, cui rinvia l'art.  45,  comma  11,  del  decreto
 legislativo   n.   80  del  1998)  avvengono  fra  aspiranti  avviati
 numericamente, "secondo  l'ordine  di  graduatoria  risultante  dalle
 liste  delle  sezioni circoscrizionali per l'impiego territorialmente
 competenti".
   6. - Il rimettente muove dall'assunto che il comma 1,  lettera  a),
 dell'art.  10  della  legge  28 febbraio 1987, n. 56, nell'annoverare
 nella prima classe degli aspiranti, oltre  ai  disoccupati,  anche  i
 lavoratori   a   tempo  parziale,  operi  un  "univoco  ed  esclusivo
 riferimento a posizioni di lavoro dipendente". Dubita, percio', della
 costituzionalita'  della  norma,  ritenendo  che  la  situazione  del
 lavoratore  autonomo  che svolga attivita' di carattere marginale sia
 altrettanto meritevole di considerazione, alla luce degli artt. 3 e 4
 della Costituzione, quanto  quella  di  colui  che  svolge  attivita'
 lavorativa subordinata a tempo parziale.
   7.  - I parametri cosi' evocati inducono la Corte a rammentare come
 obiettivo precipuo della disciplina del collocamento,  in  base  alle
 modalita'  tuttora  in  vigore  per le amministrazioni pubbliche, sia
 quello dell'equa ripartizione  delle  insufficienti  opportunita'  di
 lavoro,  nel rispetto del principio di eguaglianza e secondo l'ordine
 di priorita' discrezionalmente stabilito dal legislatore.
   Un siffatto obiettivo, che,  come  chiarito  gia'  da  tempo  dalla
 giurisprudenza  costituzionale (sentenza n. 248 del 1986), si risolve
 nell'attuare,  senza  irragionevoli  discriminazioni  (art.  3  della
 Costituzione),  un'efficace  promozione  della  domanda ed offerta di
 lavoro, a tutela dal rischio sociale  della  disoccupazione  (art.  4
 della  Costituzione),  va  ovviamente  rapportato  agli  ambiti  (non
 suscettibili di cristallizzazione, a  fronte  dei  mutamenti,  sempre
 piu'  rapidi,  della  societa'  civile  in  rapporto  all'evoluzione,
 complessa e  diversificata,  delle  condizioni  economicosociali)  di
 effettiva marginalizzazione dal lavoro, per la cui individuazione non
 puo'  non risultare indifferente - come sostanzialmente avverte anche
 il giudice a quo - la qualificazione giuridica  dell'attivita'.  Cio'
 comporta  che,  proprio  per  non  infrangere i principi di cui si e'
 fatto cenno, il diritto ad  essere  annoverati  nella  classe  avente
 precedenza  nell'avviamento  al  lavoro  debba risultare garantito ai
 lavoratori autonomi non meno che a quelli subordinati.
   8. - Quanto sopra non implica, tuttavia, la necessita' di pervenire
 alla declaratoria di incostituzionalita' sollecitata dal  rimettente,
 avendo   la  Corte  piu'  volte  precisato  che,  a  fronte  di  piu'
 significati  possibili  della   stessa   disposizione,   e'   compito
 dell'interprete  escludere quello che difetti di coerenza rispetto ai
 dettami della Costituzione, giacche' "in linea di principio, le leggi
 non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile
 darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga  di
 darne),    ma    perche'   e'   impossibile   darne   interpretazioni
 costituzionali" (cosi', tra le altre, sentenza n.  356 del 1996).
   Alla luce di tali canoni, la Corte ritiene che  sia  ben  possibile
 una   lettura  della  disposizione  tale  da  ricomprendere  anche  i
 lavoratori  autonomi  occupati  in  attivita'  lavorativa  "a   tempo
 parziale"  (o  meglio,  il  cui svolgimento abbia assunto i caratteri
 della occasionalita' o marginalita'),  alla  stregua  di  un'esigenza
 gia'  avvertita  in  taluni  precedenti  della  stessa giurisprudenza
 amministrativa, sia pure in un quadro di soluzioni diverse da  quella
 di seguito indicata.
   9.  -  A  sostegno  di  tali  conclusioni,  puo'  osservarsi che il
 criterio selettivo che fornisce primaria giustificazione e fondamento
 al  sistema  della  distinzione  in  classi  nella   disciplina   del
 collocamento  e'  dato,  essenzialmente,  dalla  contrapposizione tra
 stato di disoccupazione e stato  di  occupazione,  entrambi  concetti
 neutri   rispetto   alla   qualificazione   giuridica  dell'attivita'
 lavorativa, tanto che, nella stessa prassi amministrativa  (cfr.,  in
 particolare,  la circolare del Ministro del lavoro e della previdenza
 sociale n. 74 del 21 luglio 1988), non si dubita  -  sul  presupposto
 evidentemente che le relative attivita' valgano a concretare, ai fini
 del  collocamento,  una  situazione  definibile come di occupazione -
 della  inclusione  dei  lavoratori  autonomi  nel  novero  di  quelli
 iscrivibili  nella  seconda  classe, e cioe' in quella dei lavoratori
 occupati che aspirino a diversa occupazione.
   Se,  dunque,  la  distinzione  in  classi  e'  segnata, nel dettato
 legislativo, dalla contrapposizione, nei termini appena rilevati, tra
 disoccupazione ed occupazione, non sarebbe giustificato circoscrivere
 le ipotesi di occupazione "non  piena",  in  favore  delle  quali  il
 legislatore  ha  ritenuto  di  apprestare  la  piu' favorevole tutela
 corrispondente all'iscrizione nella prima classe,  a  quelle  che  si
 correlano esclusivamente a posizioni di lavoro subordinato.
   La  interpretazione della disposizione in esame, secondo canoni che
 ne  assicurino  la  conformita'   a   Costituzione,   porta   percio'
 ragionevolmente  a reputare inclusi nella prima classe delle liste di
 collocamento non solo i lavoratori con rapporto di  subordinazione  a
 tempo  parziale,  ma  anche quelli autonomi, la cui attivita' attinga
 alla medesima ratio del disposto di cui alla lettera a) del  comma  1
 dell'art.  10  della  legge  n.  56  del  1987:  e  cioe'  quella  di
 salvaguardare la posizione  di  coloro  che  svolgono  un  lavoro  di
 modesta  entita', cioe' un lavoro di carattere occasionale, saltuario
 e, in definitiva, marginale.
   Quanto alla corrispondente situazione, non va,  invero,  sottaciuto
 che  il parametro utilizzato dalla norma, e cioe' quello delle "venti
 ore  settimanali",  richiama  l'idea  di  un  collegamento   con   la
 prestazione  di  lavoro  subordinato,  anche se il dato temporale non
 costituisce, come e' noto, alla stregua del consolidato  orientamento
 della   giurisprudenza   di   legittimita',   elemento   direttamente
 qualificatorio  del  lavoro  dipendente,   bensi'   indice   soltanto
 sussidiario  ai  fini  della verifica del relativo tipo contrattuale.
 Peraltro, l'inidoneita' del suddetto  parametro  ad  identificare  la
 prestazione  lavorativa  autonoma  qualificabile  come  marginale non
 impedisce di rinvenire  nell'ordinamento,  ancorche'  in  un  diverso
 ambito  di  disciplina,  quale  quello  dei lavori socialmente utili,
 criteri di riferimento  che  possono  reputarsi  espressivi  di  piu'
 generali principi e che, proprio per questo, appaiono atti a definire
 il concetto di attivita' autonoma a tempo parziale.
   Nella  disciplina  da  ultimo  ricordata,  le  attivita'  di lavoro
 autonomo "occasionale" vengono individuate in "quelle svolte  per  il
 periodo  massimo  previsto  per il mantenimento dell'iscrizione nella
 prima classe delle  liste  di  collocamento  e  nei  limiti  di  lire
 7.200.000  lorde  percepite,  nell'arco  temporale di svolgimento del
 progetto" (art. 8, comma 4, del decreto legislativo 1 dicembre  1997,
 n.  468).    Da  tale  disposizione e' dato, dunque, desumere criteri
 valutativi in ordine alle prestazioni autonome  di  modesta  entita',
 tra  i quali appare segnatamente dirimente, per quanto qui interessa,
 il limite reddituale, da riferirsi all'anno  solare  (secondo  quella
 che,  nella  normalita'  dei casi, e' la durata dei progetti; art. 1,
 comma  2,  del  citato  decreto  legislativo);  limite   da   potersi
 congruamente   apprezzare   anche   in  modo  disgiunto  ed  autonomo
 dall'altro dato di  riferimento  contenuto  nel  menzionato  comma  4
 dell'art.  8  del  decreto  legislativo  n.  468 del 1997, proprio in
 virtu' della peculiare funzione di mero criterio parametrico  che  la
 disposizione  assume  in  relazione  alla fattispecie all'esame della
 Corte.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10, comma 1, lettera a),
 della legge 28 febbraio 1987, n. 56  (Norme  sull'organizzazione  del
 mercato del lavoro), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 4 della
 Costituzione,  dal  Tribunale amministrativo regionale per la Puglia,
 sezione staccata di Lecce, con l'ordinanza in epigrafe indicata.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 marzo 1999.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 12 marzo 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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