N. 111 SENTENZA 24 marzo - 2 aprile 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Finanza  pubblica  -  Regione  Sicilia  -  Entrate   finanziarie   -
 Partecipazione alla iniziativa legislativa del Governo - Esclusione -
 Istruzione  elementare  - Attribuzioni statali in materia di pubblica
 istruzione devolute alla regione - Mancata esclusione  della  regione
 dall'applicazione  delle  nuove norme - Riserva all'erario di entrate
 per  la copertura degli oneri per il servizio del debito  pubblico  -
 IRAP  - Addizionale Irpef - Limitazioni all'attuazione dei decreti in
 materia  -  Riferimento  alla  sentenza  della  Corte  n.  92/1999  -
 Insussistenza  di lesioni dell'autonomia regionale - Inammissibilita'
 - Non fondatezza - Riserva, da parte della Corte, circa la decisione
 sulle questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 2,  comma
 154, e 3, comma 216, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
 
 (Legge  23 dicembre 1996, n. 662, artt. 1, comma 85, 2, comma 154, 3,
 commi 158, e 216; legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1,  comma  85,
 art.    3,  comma 158; legge 23 dicembre 1996, n. 662, artt. 2, comma
 154, e 3, comma 216).
 
 (Statuto speciale  regione  siciliana,  artt.  14,  lettera  r),  17,
 lettera  d),  20,  21 terzo comma, 36; d.P.R. 14 maggio 1985, n. 246;
 d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074; d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074,  art.
 2).
 
(GU n.15 del 14-4-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv.
 Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.
 Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE,
 avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 85,
 2, comma 154, 3, commi 158 e 216, della legge 23  dicembre  1996,  n.
 662,  recante  "Misure  di razionalizzazione della finanza pubblica",
 promosso con  ricorso  della  regione  siciliana,  notificato  il  27
 gennaio  1997, depositato in Cancelleria il 30 successivo ed iscritto
 al n.  18 del registro ricorsi 1997;
   Visto l'atto di  costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1999 il giudice relatore
 Valerio Onida;
   Uditi  gli  avvocati  Francesco  Castaldi  e Giovanni Lo Bue per la
 regione siciliana e l'avvocato dello Stato Francesco  Guicciardi  per
 il Presidente del Consiglio dei Ministri;
                            Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso  notificato  il  27  gennaio e depositato il 30
 gennaio 1997 (Reg. ric. n. 18 del  1997),  la  regione  siciliana  ha
 impugnato,  in riferimento agli artt. 14, lettera r), 17, lettera d),
 20, 21, terzo comma, e 36 dello   statuto speciale  e  alle  relative
 norme  di  attuazione  in materia di pubblica istruzione e in materia
 finanziaria, gli artt. 1, comma 85, 2, comma 154 e  3,  commi  158  e
 216,   della   legge   23   dicembre   1996,   n.   662   (Misure  di
 razionalizzazione della finanza pubblica).
   Nel  primo  motivo  del  ricorso  la  regione   sostiene   che   le
 disposizioni  impugnate  sono  viziate  per  violazione dell'art. 21,
 terzo comma, dello statuto speciale, ai cui sensi il presidente della
 regione partecipa col rango di Ministro e con  voto  deliberativo  al
 Consiglio  dei  Ministri  nelle  materie  che interessano la regione.
 Infatti il procedimento legislativo che ha  portato  alla  formazione
 delle  disposizioni  impugnate  sarebbe  stato  iniziato e completato
 senza che il presidente della regione  abbia  potuto  prendere  parte
 alla fase dell'iniziativa legislativa del Governo.
   Premesso   che   tale  partecipazione  rientra  nella  sfera  delle
 attribuzioni regionali costituzionalmente  garantite,  la  ricorrente
 sostiene che l'interesse regionale che giustifica tale partecipazione
 sussiste nei confronti delle norme impugnate in quanto esse producono
 i  loro  effetti  in materie nelle quali alla regione sono attribuiti
 poteri che caratterizzano la sua speciale autonomia, e  che  solo  da
 una partecipazione del presidente regionale alla seduta del Consiglio
 dei  Ministri avrebbe potuto scaturire il "leale coordinamento" degli
 interessi della regione con quelli  dello  Stato,  coordinamento  cui
 mira  l'art.  21  dello  statuto.   Ricorda inoltre di avere proposto
 ricorso per conflitto di attribuzioni in relazione  alle  limitazioni
 poste  alla  partecipazione del Presidente regionale al Consiglio dei
 Ministri nella seduta del 27 settembre 1996,  convocata  per  l'esame
 del   disegno   di   legge   finanziaria   per   il  1997,  chiedendo
 l'annullamento della deliberazione con cui il  disegno  di  legge  fu
 approvato.
   2.  - Col secondo motivo del ricorso si censura l'art. 1, comma 85,
 della legge - che dichiara non applicabili le disposizioni dei  commi
 da  70  ad 80 dello stesso articolo alla regione Valle d'Aosta e alle
 province autonome di Trento e di Bolzano, le  quali  disciplinano  la
 materia  nell'ambito dei rispettivi statuti e delle relative norme di
 attuazione  -  nella  parte  in  cui   non   prevede   di   escludere
 dall'applicazione   delle  predette  disposizioni  anche  la  regione
 siciliana.  In  tal  modo  infatti,   secondo   la   ricorrente,   si
 violerebbero  i  principi  discendenti  dall'art.  14,  lettera r), e
 dall'art. 17, lettera  d),  dello  statuto,  che  attribuiscono  alla
 regione, rispettivamente, competenza legislativa esclusiva in materia
 di  istruzione  elementare  e  competenza  legislativa concorrente in
 materia di istruzione media e universitaria; si violerebbe l'art.  20
 dello  statuto,  che  attribuisce  al  presidente  e  agli  assessori
 regionali le funzioni esecutive ed amministrative anche nelle materie
 di cui agli artt. 14, 15 e 17; si violerebbero le norme di attuazione
 dello statuto in materia di pubblica  istruzione  (d.P.R.  14  maggio
 1985, n. 246, art. 1), che devolvono espressamente alla regione tutte
 le  attribuzioni  statali  in  materia  di pubblica istruzione, salvo
 quelle enumerate, che restano di competenza statale.
   La ricorrente osserva che il comma 70 dell'art. 1  della  legge  n.
 662  del  1996  prevede  che  i  provveditori agli studi adottino con
 propri  decreti  i   piani   organici   di   aggregazione,   fusione,
 soppressione di scuole e istituti di istruzione, con cio' modificando
 l'ordine   delle   competenze   per   la  definizione  del  piano  di
 razionalizzazione  della  rete  scolastica  cosi'  come  disciplinato
 dall'art.  51  del  d.lgs. n.   297 del 1994, secondo cui il piano e'
 adottato con provvedimento  del  Ministro  e,  nel  territorio  della
 regione  siciliana, con provvedimento dell'assessore regionale previa
 intesa col Ministero. Sarebbe dunque illegittimo  non  avere  escluso
 dall'applicazione  delle nuove norme la regione siciliana, tanto piu'
 che essa e' titolare di competenza addirittura esclusiva  in  materia
 di  istruzione  elementare,  mentre  la  Valle  d'Aosta,  che da tale
 applicabilita'  viene  invece   esclusa,   ha   solo   una   potesta'
 concorrente.
   3.  -  Col  terzo  motivo  del  ricorso  si  lamenta  la violazione
 dell'art.  36 dello statuto e delle norme di  attuazione  in  materia
 finanziaria,  nonche' dei principi di certezza del diritto e di leale
 cooperazione, da parte dell'art. 2, comma 154, e dell'art.  3,  comma
 216,  della  legge  n. 662 del 1996. Si tratta di due disposizioni di
 tenore simile, che riservano all'erario, rispettivamente, le  entrate
 derivanti  dai commi da 133 a 165 dell'art. 2, e le entrate derivanti
 dalla legge n. 662 nella sua  totalita',  destinandole  a  concorrere
 "alla  copertura  degli  oneri  per  il servizio del debito pubblico,
 nonche' alla  realizzazione  delle  linee  di  politica  economica  e
 finanziaria  in  funzione  degli impegni di riequilibrio del bilancio
 assunti in sede  comunitaria",  e  dispongono  che  con  decreto  del
 Ministro  delle finanze "sono definite, ove necessarie, le modalita'"
 di attuazione di quanto previsto dagli stessi commi in  questione.
   La ricorrente osserva che la legge n. 662 contiene, oltre a diverse
 disposizioni che istituiscono nuovi  tributi,  sostituiscono  imposte
 esistenti  con  altro  tipo  di  imposizioni,  ed elevano aliquote di
 tributi, interventi  molteplici  e  di  varia  natura  caratterizzati
 dall'apparente  intento  di ridisegnare fattispecie tributarie, cause
 di detrazione o di deduzione, o di allargare la base  imponibile  (ad
 esempio   attraverso   l'aumento   delle   rendite   catastali),   ma
 sostanzialmente rivolti a procurare, in  "forme  trasversali",  delle
 maggiori entrate.
   Tali  interventi  sulla  base  imponibile di tributi esistenti, che
 consentono l'acquisizione di maggiori entrate,  non  darebbero  luogo
 pero'  a  "nuove  entrate tributarie" ai sensi dell'art. 2 del d.P.R.
 26 luglio  1965,  n.  1074,  che,  nell'attribuire  alla  regione  la
 spettanza  di  tutte  le  entrate  tributarie  erariali (salvo alcune
 espressamente  nominate)  riscosse  nel  suo  territorio,  dirette  o
 indirette,  comunque  denominate, eccettua soltanto le "nuove entrate
 tributarie il cui gettito  sia  destinato  con  apposite  leggi  alla
 copertura   di  oneri  diretti  a  soddisfare  particolari  finalita'
 contingenti  o  continuative  dello  Stato  specificate  nelle  leggi
 medesime".
   Nuove  entrate  tributarie,  a  questi  fini, sarebbero solo quelle
 derivanti dalla istituzione di nuove imposte o dall'incremento  delle
 aliquote  di  imposte preesistenti: nella specie, non ricorrendo tali
 ipotesi, la devoluzione allo  Stato  dei  maggiori  proventi  sarebbe
 illegittima.
   Nelle norme impugnate non vi sarebbe, secondo la ricorrente, alcuna
 indicazione  dei  criteri  per distinguere i proventi nuovi da quelli
 che  non  lo  sono,  limitandosi  esse  a  rinviare  ad  un   decreto
 ministeriale  la  indicazione  dei  criteri selettivi: si impedirebbe
 cosi' il controllo sul corretto esercizio della  deroga,  e  verrebbe
 meno la prevedibilita' delle relative decisioni, con violazione della
 certezza del diritto.
   Il  vulnus  al  principio  di leale cooperazione sarebbe ancor piu'
 grave per non essersi  prevista  alcuna  forma  di  partecipazione  e
 consultazione   della   regione  nella  determinazione  dei  maggiori
 proventi derivanti dagli interventi in  parola.  La  regione  sarebbe
 stata  totalmente ignorata, in quanto il presidente della regione non
 e' stato invitato al Consiglio dei Ministri in cui si e'  discussa  e
 approvata  la  normativa  in  questione,  e  il Ministro determinera'
 discrezionalmente, senza  alcuna  partecipazione  della  regione,  il
 quantum dei maggiori proventi riservati allo Stato.
   4.  -  Il quarto motivo del ricorso concerne il comma 158 dell'art.
 3, secondo il quale la regione siciliana "provvede con propria  legge
 alla attuazione dei decreti di cui ai commi da 143 a 149" - cioe' dei
 decreti  legislativi  delegati  in  tema  di istituzione e disciplina
 della nuova imposta regionale sulle attivita' produttive  -  "con  le
 limitazioni    richieste   dalla   speciale   autonomia   finanziaria
 preordinata dall'art. 36 dello Statuto  regionale  e  dalle  relative
 norme di attuazione".
   Tale   disposizione   contrasterebbe   con  la  speciale  autonomia
 finanziaria garantita alla regione siciliana dallo Statuto (art.  36)
 e   dalle  norme  di  attuazione  (d.P.R.  n.  1074  del  1965),  che
 attribuiscono ad essa il  potere  di  istituire  tributi  propri  nei
 limiti dei principi del sistema tributario dello Stato.
   5.  -  Si  e'  costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri,
 chiedendo la reiezione del ricorso.
   Quanto al primo  motivo,  nell'atto  di  costituzione  l'Avvocatura
 erariale osserva che il presidente della regione era stato invitato a
 partecipare  alla  seduta  del  Consiglio dei Ministri con telegramma
 urgentissimo del 26 settembre 1996: a nulla rileverebbe che  l'invito
 fosse  limitato  all'esame  di  una  sola parte del disegno di legge,
 poiche' il presidente della regione, se avesse scelto di intervenire,
 lo avrebbe fatto quale "Ministro fra i Ministri" e  in  quella  sede,
 senza  alcuna  limitazione,  avrebbe  potuto sollevare il problema di
 altre questioni di  interesse  regionale;  ove  fosse  stato  escluso
 indebitamente  dalla discussione di parti del testo sulle quali aveva
 diritto  di  pronunciarsi,  avrebbe  potuto  sollevare  conflitto  di
 attribuzioni.    Decidendo  di  non partecipare alla riunione egli si
 sarebbe invece precluso la possibilita' di intervenire e votare sulle
 questioni di sua competenza.   Il  telegramma  di  convocazione,  che
 faceva  esplicito riferimento all'art. 16 del disegno di legge, sulla
 partecipazione della regione siciliana alla spesa sanitaria,  avrebbe
 avuto unicamente la funzione di richiamare l'attenzione della regione
 su  di  esso  come  argomento che interessava direttamente la regione
 stessa, ma non avrebbe impedito al Presidente di porre  l'accento  in
 sede  di  Consiglio  su  altre  parti del disegno di legge: l'atto di
 convocazione non potrebbe avere alcun valore precettivo o vincolante.
 Peraltro la normativa finanziaria censurata dalla regione  ricorrente
 non   presenterebbe,  ad  avviso  dell'Avvocatura,  alcuna  peculiare
 attinenza diversificata alla regione siciliana, valendo uniformemente
 per  tutto  il  territorio  nazionale.    Nella  successiva   memoria
 presentata  in  vista  dell'udienza,  la  difesa  del  Presidente del
 Consiglio precisa  che  il  telegramma  di  convocazione,  che  viene
 prodotto,  non  recava  alcuna  limitazione  ed era diretto a tutti i
 presidenti delle regioni a statuto speciale: l'art.  16  allegato  al
 telegramma   avrebbe  avuto  unicamente  la  funzione  di  richiamare
 l'attenzione della regione su un argomento che interessava la regione
 stessa.  Quanto alle modalita' di convocazione, afferma  l'Avvocatura
 nella  memoria  che  il  disegno  di  legge  finanziaria,  per prassi
 costante, viene completato solo nel giorno antecedente la discussione
 in Consiglio dei Ministri ed e' distribuito ai ministri nella  stessa
 mattina del giorno della seduta. La convocazione del presidente della
 regione  sarebbe  stata effettuata con tempi e modi identici a quelli
 praticati per i ministri e  gli  altri  presidenti  regionali,  nelle
 forme  compatibili  con  i  caratteri  della delibera di approvazione
 della legge finanziaria e con l'urgenza ad essa collegata.
   6.  -  In  relazione  al  secondo  motivo del ricorso, l'Avvocatura
 erariale osserva che  le  norme  di  legge  ordinaria  devono  essere
 interpretate  in  modo conforme alle norme dello statuto, che sono di
 rango costituzionale:   il fatto che non  sia  espressamente  sancita
 l'esclusione  della  regione  siciliana  dall'applicazione  di alcune
 norme  non  comporterebbe  affatto  che  tale  esclusione   non   sia
 implicita.    Nella  successiva  memoria  si  precisa  che l'espressa
 menzione delle province autonome di  Trento  e  di  Bolzano  e  della
 regione  Valle  d'Aosta  e'  giustificata  dalla particolarita' della
 disciplina cola' in vigore,  in  quanto  la  gestione  del  personale
 scolastico   e'   trasferita  o  delegata  a  detti  enti.    Secondo
 l'Avvocatura, il comma 70 dell'art. 1  della  legge,  concernente  la
 riorganizzazione   della  rete  scolastica,  e'  norma  di  carattere
 generale che trova applicazione su tutto il territorio nazionale,  ma
 in  Sicilia  tale  applicazione avviene in conformita' allo statuto e
 alle norme di attuazione, come e' esplicitamente  previsto  nell'art.
 12   dello   schema  di  decreto  interministeriale  predisposto  dal
 Ministero della pubblica  istruzione.  Nella  memoria  successiva  si
 aggiunge  che  in  effetti  la regione ha prospettato al Ministero il
 piano  di  riorganizzazione  della  rete  scolastica,  sul  quale  il
 Ministero, con nota in data 2 luglio 1997, ha espresso l'intesa.
   7.  -  Sul  terzo  motivo  del ricorso la difesa del Presidente del
 Consiglio osserva che questa Corte, nella sentenza n. 429  del  1996,
 ha  giudicato  infondato il dubbio di legittimita' costituzionale che
 investiva una clausola legislativa (art. 3, comma 241, della legge n.
 549 del 1995) testualmente identica a quella contenuta nell'art.   3,
 comma  216,  della  legge  impugnata, e ha precisato che il requisito
 della novita'  dell'entrata  puo'  ritenersi  soddisfatto  anche  con
 riferimento  a  entrate  derivanti  dall'aumento  delle  aliquote  di
 imposte preesistenti.  Le norme qui censurate, inoltre, solo in parte
 determinerebbero entrate aggiuntive relative a tributi  preesistenti,
 mediante la rimodulazione di una serie di imposte erariali attraverso
 l'accorpamento  delle  aliquote;  per  il  resto prevederebbero anche
 nuovi tributi strutturalmente destinati alle regioni, come  l'IRAP  e
 l'addizionale  regionale  all'IRPEF,  ovvero  nuovi  tributi erariali
 specificamente destinati al perseguimento  delle  linee  di  politica
 economica  e  finanziaria  in  vista della partecipazione dell'Italia
 all'unione monetaria europea (c.d. contributo per l'Europa).
   8. - In  relazione  al  quarto  motivo  del  ricorso,  l'Avvocatura
 erariale  osserva  che il comma 158 dell'art. 3 della legge impugnata
 fa espresso riferimento alle "limitazioni  richieste  dalla  speciale
 autonomia   finanziaria   preordinata   dall'art.  36  dello  Statuto
 regionale e dalle relative norme di attuazione". Dall'art.  2,  primo
 comma,  del  d.P.R.    n.  1074  del 1965 si ricaverebbe che le norme
 tributarie dello Stato dispongono  in  modo  unitario  per  tutto  il
 territorio   nazionale   e   sono  applicabili  anche  nella  regione
 siciliana, la quale potra'  e  dovra'  legiferare  in  via  attuativa
 facendo  uso  dei  suoi ordinari poteri legislativi.  Le disposizioni
 richiamate in tema di imposta regionale sulle attivita' produttive  -
 conclude  l'Avvocatura  -  non invadono il campo dell'autonomo potere
 regionale di istituzione di nuovi tributi.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Le  questioni  di  legittimita'  costituzionale proposte col
 ricorso  della   regione   siciliana   concernono   quattro   diverse
 disposizioni  contenute  nella legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
 di razionalizzazione della finanza pubblica).
   Si tratta del comma 85 dell'art. 1, impugnato nella  parte  in  cui
 non esclude la regione siciliana dall'applicazione delle disposizioni
 dei  commi  da 70 a 80 dello stesso articolo; del comma 154 dell'art.
 2, che riserva all'erario le entrate derivanti dai commi da 133 a 165
 dello stesso  articolo;  del  comma  158  dell'art.  3,  che  prevede
 l'attuazione da parte della regione siciliana, con propria legge, dei
 decreti  legislativi  delegati  emanati in base ai commi da 143 a 149
 dello stesso articolo; infine del comma 216 del medesimo art.  3, che
 riserva all'erario le entrate derivanti dall'insieme della  legge  n.
 662 del 1996.
   Con  ordinanza  in  data  11-22  febbraio  1999  questa  Corte,  in
 relazione alle questioni di legittimita' costituzionale proposte  nei
 confronti  dell'art.  2,  comma  154,  e  dell'art.  3, comma 216, ha
 disposto  in  via  istruttoria  l'acquisizione  di   informazioni   e
 documenti, riservata ogni altra decisione sul ricorso.
   In  questa  sede,  stralciate  tali  questioni,  la Corte e' dunque
 chiamata a decidere sulle rimanenti due, concernenti  rispettivamente
 il  comma  85  dell'art.  1 e il comma 158 dell'art. 3, oltre che sul
 profilo comune di illegittimita' sollevato nei confronti di tutte  le
 disposizioni  impugnate,  per  violazione  dell'art. 21, terzo comma,
 dello statuto speciale, profilo  a  sua  volta  estraneo  all'oggetto
 della disposta istruttoria.
   2.  -  Col primo motivo del ricorso la regione siciliana censura le
 quattro disposizioni impugnate in quanto il procedimento  legislativo
 che  ha portato alla formazione delle stesse sarebbe stato iniziato e
 completato  senza  che  il  presidente  della  regione  abbia  potuto
 prendere  parte  alla  fase della iniziativa legislativa del Governo,
 intervenendo al Consiglio dei Ministri secondo quanto prevede  l'art.
 21,  terzo comma, dello statuto, ai cui sensi il presidente regionale
 "col rango di Ministro partecipa al Consiglio dei Ministri  con  voto
 deliberativo  nelle  materie che interessano la regione". L'interesse
 regionale sarebbe da ritenere sussistente nei confronti  delle  norme
 impugnate,  in  quanto esse producono i loro effetti in materie nelle
 quali alla regione sono attribuiti poteri che caratterizzano  la  sua
 speciale autonomia.
   3. - La censura e' inammissibile.
   La  sua  proposizione  nel presente ricorso, come ricorda la stessa
 regione  ricorrente,  fa  seguito  al  ricorso   per   conflitto   di
 attribuzioni,   proposto   ritualmente   dalla   stessa   regione  in
 riferimento alla delibera del Consiglio  dei  Ministri,  in  data  27
 settembre  1996, di approvazione del disegno di legge poi divenuto la
 legge n. 662 del 1996 (erroneamente indicato come  disegno  di  legge
 finanziaria  per  il  1997),  ricorso  nel  quale si lamentava che la
 partecipazione del Presidente regionale - necessaria, ad avviso della
 ricorrente, sull'intero disegno di legge, per  l'interesse  regionale
 che  avrebbe caratterizzato la materia in esso trattata - fosse stata
 invece limitata alla sola  disposizione  dell'art.  16,  in  tema  di
 partecipazione della regione al finanziamento della spesa sanitaria.
   Questa  Corte,  con sentenza n. 92 del 1999, ha respinto nel merito
 detto ricorso,  ribadendo  che  la  partecipazione,  garantita  dallo
 statuto,  del  presidente  della regione al Consiglio dei Ministri e'
 limitata  agli  oggetti  riguardo  ai  quali  sussista  un  interesse
 differenziato  della  singola  regione;  chiarendo  che il disegno di
 legge in questione non presentava nel suo complesso  tale  carattere,
 avendo  contenuti  assai vari, unificati solo dall'essere finalizzati
 alla manovra di bilancio; e osservando che la regione ricorrente  non
 aveva indicato altre specifiche disposizioni del disegno di legge che
 presentassero    il   requisito   richiesto   per   giustificare   la
 partecipazione del presidente della regione.
   Non e' necessario, in questa sede, affrontare  il  problema  se  la
 mancata  partecipazione  del  presidente  regionale  al Consiglio dei
 Ministri che ha deliberato di adottare l'iniziativa legislativa possa
 essere fatta valere come vizio di legittimita'  costituzionale  della
 legge,  una volta che questa sia stata approvata dal Parlamento, o se
 essa possa invece essere denunciata solo  in  sede  di  conflitto  di
 attribuzioni  nei  riguardi  della  deliberazione governativa, al cui
 esito di accoglimento dovrebbero valutarsi gli eventuali effetti  sul
 procedimento   parlamentare.  Nella  specie  sussistono  infatti  due
 decisive ragioni che impediscono comunque l'esame  nel  merito  della
 censura.
   Da  un  lato,  sta  di  fatto  che  tre  delle quattro disposizioni
 denunciate, e cioe' il comma 85 dell'art. 1, il comma 154 dell'art. 2
 e il comma 158 dell'art.  3,  non  erano  incluse,  ne'  nella  forma
 attuale,  ne'  in  altra  forma,  nel  disegno di legge approvato dal
 Governo il 27  settembre  1996:  esse  traggono  infatti  origine  da
 emendamenti    aggiuntivi    proposti    nella   sede   parlamentare.
 Precisamente, il comma 85 dell'art.    1  deriva  da  un  emendamento
 Zeller  e  altri  approvato  dalla  V  Commissione  della  Camera dei
 deputati (Atti Camera, Commissione V, seduta  del  27  ottobre  1996,
 pagg.  8  e  29);  il comma 154 dell'art. 2 deriva dal comma 22 di un
 articolo aggiuntivo (42-bis) presentato alla Camera come  emendamento
 del  Governo  (cfr.  Atti  Camera, seduta del 14 novembre 1996, pagg.
 2705 e 2710);  il  comma  158  dell'art.  3  deriva  da  un  articolo
 aggiuntivo  (64-bis)  proposto  come  emendamento D'Ali' e accolto in
 Commissione al Senato (cfr. Atti Senato, Commissioni V e VI  riunite,
 seduta antimeridiana del 6 dicembre 1996, pagg. 31 e 110).
   E'  evidente che in relazione a queste disposizioni non e' in alcun
 caso proponibile una censura riferita alla mancata partecipazione del
 presidente  regionale  al  Consiglio  dei   Ministri   in   sede   di
 deliberazione dell'iniziativa legislativa.
   Dall'altro   lato,  per  quanto  riguarda  la  quarta  disposizione
 impugnata, cioe' il comma 216 dell'art. 3, si tratta  bensi'  di  una
 disposizione  gia'  presente  nel  disegno  di  legge  deliberato dal
 Governo (all'art.   82). Ma la censura in  esame  non  puo'  comunque
 avere  ingresso  in questa sede, dopo che il ricorso per conflitto di
 attribuzioni, proposto dalla regione siciliana  avverso  la  delibera
 governativa,   per   rivendicare  la  partecipazione  necessaria  del
 presidente regionale in relazione all'intero disegno di legge - senza
 peraltro, nemmeno in via subordinata, indicare l'art. 82 del  disegno
 di  legge  (cui  corrisponde  l'art.  3, comma 216, della legge) come
 oggetto  di  uno  specifico  interesse  regionale   suscettibile   di
 giustificare  detta  partecipazione - e' stato respinto nel merito da
 questa Corte, con la  citata sentenza n. 92 del 1999.  Una  ulteriore
 decisione  di  merito si configurerebbe infatti come un inammissibile
 bis in idem.
   4.  -  Con  il  secondo  motivo  del ricorso si censura il comma 85
 dell'art.  1 della legge impugnata, nella parte in cui non prevede di
 escludere anche la regione siciliana - come esclude la regione  Valle
 d'Aosta   e  le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  che
 disciplinano la materia nell'ambito delle competenze derivanti  dalle
 rispettive norme statutarie e di attuazione - dall'applicazione delle
 disposizioni  dei  commi  da 70 a 80 dello stesso articolo. Si tratta
 delle disposizioni che hanno ad oggetto la definizione di  criteri  e
 parametri   per   la   riorganizzazione  della  rete  scolastica;  la
 rideterminazione degli organici del personale della  scuola  e  delle
 dotazioni  organiche  delle  singole  scuole,  nonche'  dell'organico
 funzionale di ciascun circolo didattico; le assunzioni  di  personale
 docente, i termini per la presentazione e la revoca delle dimissioni,
 la   riconversione   del   personale   in   esubero,   l'insegnamento
 dell'educazione fisica, le supplenze, le spese per  gli  accertamenti
 ai  fini  del riconoscimento legale o del pareggiamento di scuole, la
 spesa per i compensi relativi agli esami di maturita'.
   Secondo la ricorrente la mancata esclusione della regione siciliana
 dall'applicazione di tali disposizioni lederebbe le norme  statutarie
 e  di  attuazione  che attribuiscono ad essa competenza legislativa e
 amministrativa  in  materia  di  istruzione,  contrastando   con   la
 disciplina dell'art. 51 del d.lgs. n. 297 del 1994, che comporterebbe
 l'adozione  del piano di razionalizzazione della rete scolastica, per
 il territorio siciliano, con provvedimenti  dell'Assessore  regionale
 previa intesa con il Ministero della pubblica istruzione.
   5. - La questione e' infondata.
   Essa  investe  il  comma  85  dell'art.  1, lamentando che esso non
 estenda alla regione siciliana la norma che esclude  l'applicabilita'
 delle  disposizioni  precedenti  ad altri enti ad autonomia speciale.
 Ma,  nella  sostanza,   la      pretesa   violazione   dell'autonomia
 discenderebbe  non tanto dalla asserita "lacuna" nel comma 85, quanto
 dalle disposizioni dei commi da 70 ad 80, la cui efficacia si estende
 anche al territorio della regione ricorrente: onde e'  a  queste  che
 occorre riferirsi per individuare la portata della questione.
   Cosi'  precisato  l'oggetto  della censura, la Corte osserva che la
 disciplina contenuta nei commi da 70  a  80    dell'art.  1  concerne
 l'adozione  di  misure  pianificatorie di riorganizzazione della rete
 scolastica e di revisione degli organici  del  personale  scolastico,
 volte "al fine di garantire maggiore efficacia alla spesa complessiva
 per l'istruzione pubblica" (comma 70, primo periodo).
   La  ricorrente, pur lamentando la violazione delle norme statutarie
 che attribuiscono  alla  regione  competenza  legislativa,  in  parte
 primaria,  in  parte  concorrente, in materia di pubblica istruzione,
 motiva poi le proprie censure in relazione non tanto all'esercizio da
 parte dello Stato della  potesta'  normativa  nella  materia,  quanto
 all'attribuzione  ad  uffici  statali  (i  provveditorati agli studi)
 della competenza  ad  adottare  i  piani  di  aggregazione,  fusione,
 soppressione  di  scuole  e  istituti di istruzione (comma 70, quinto
 periodo), competenza che invece, ad avviso della medesima ricorrente,
 nel territorio siciliano dovrebbe essere esercitata, in  forza  dello
 statuto  e delle norme di attuazione in applicazione dell'art. 51 del
 d.lgs. n. 297 del 1994, dall'Assessore regionale, previa  intesa  col
 Ministero.
   L'efficacia  delle  norme  statali  anche nel territorio regionale,
 nella specie, si giustifica da un lato in forza dell'assenza  di  una
 legislazione  regionale  che  disciplini  la specifica materia (fermo
 restando il potere  della  regione  di  intervenire  con  la  propria
 legislazione,  nei limiti volta a volta stabiliti dallo statuto, alla
 lettera r) dell'art. 14 e alla lettera d) dell'art.  17),  dall'altro
 lato  in  base  alla  circostanza che l'amministrazione scolastica in
 Sicilia e'  tuttora, dal punto di vista strutturale,  amministrazione
 statale:    infatti, ai sensi dell'art. 9, primo comma, del d.P.R. n.
 246  del  1985,  per  l'esercizio  delle  funzioni  in   materia   di
 istruzione,  trasferite  alla  regione  o  ad  essa devolute ai sensi
 dell'art. 20, primo comma, seconda  parte,  dello  statuto  (funzioni
 cioe', queste ultime, che l'amministrazione regionale svolge "secondo
 le  direttive  del  Governo  dello  Stato":  art. 5, primo comma, del
 decreto),  questa si avvale degli organi e  degli  uffici  periferici
 del  Ministero  della  pubblica  istruzione  e  del  personale ivi in
 servizio; e, ai sensi dell'art.   4,  primo  comma,  lettera  f)  del
 medesimo  decreto,  restano  in  capo allo Stato le attribuzioni (e i
 relativi oneri) concernenti lo  stato  giuridico  ed  il  trattamento
 economico  del  personale  in  servizio  presso  gli  uffici  statali
 esistenti in  Sicilia,  nonche'  del  personale  delle  scuole  della
 regione.  A  sua  volta, l'art. 6 delle citate norme di attuazione di
 cui al d.P.R. n.  246  del  1985  prevede  che  le  variazioni  degli
 organici  del  personale  statale  vengano  effettuate dai competenti
 organi statali, anche se rese necessarie a seguito della  istituzione
 di  nuove  scuole  deliberata  "in  base  ai  piani predisposti dalla
 regione d'intesa con l'amministrazione statale".
   Ben si comprende dunque come la disciplina  statale  dei  piani  di
 riorganizzazione  delle  reti scolastiche, che vanno in definitiva ad
 incidere sugli organici del personale scolastico, si  applichi  anche
 in  Sicilia:  mentre  la  diversa  situazione esistente nella regione
 Valle d'Aosta (ove l'amministrazione scolastica e' regionalizzata,  e
 il  personale della scuola e' inserito in appositi ruoli amministrati
 dalla regione, con oneri finanziari a carico di questa: artt. 1  e  2
 del d.P.R. n. 861 del 1975), e nelle Province autonome di Trento e di
 Bolzano  (ove  pure  vi  e' stata una larga devoluzione alle Province
 stesse di funzioni e di relativi oneri in materia di personale  della
 scuola,  e  spetta  alle  province  la  formazione  dei  piani per la
 istituzione di scuole nel rispettivo territorio: cfr. artt. 2 e 5 del
 d.P.R.  15 luglio 1988, n. 405, come sostituiti dagli artt. 1 e 2 del
 d.lgs.  n. 433 del 1996; artt. 1 e 4 del d.P.R. 10 febbraio 1983,  n.
 89,  come  modificati dagli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 434 del 1996; e
 art.  15 del medesimo d.lgs. n. 434 del 1996)  spiega  la  esclusione
 espressa   delle   medesime  dalla  applicazione  delle  nuove  norme
 considerate, essendo cola' rimessa agli enti autonomi  la  disciplina
 della materia nell'ambito delle competenze derivanti dalle rispettive
 norme statutarie e di attuazione.
   6.  -  Cio'  non significa che non trovino comunque applicazione in
 Sicilia  le  norme  che   disciplinano   il   riparto   di   funzioni
 amministrative  fra  Stato  e  regione:  nella specie, l'adozione dei
 piani di aggregazione, fusione, soppressione di scuole e istituti  di
 istruzione,  pur  nel  silenzio dell'art. 1, comma 70, della legge n.
 662 del 1996, seguira' le  regole  derivanti  da  tale  riparto,  che
 prevedono,  come  si  e'  visto,  "piani  predisposti  dalla  regione
 d'intesa con l'amministrazione statale" (art. 6 del d.P.R. n. 246 del
 1985).  Cosi'  del  resto,  a  quanto  ha  documentato  la difesa del
 Presidente del Consiglio, senza contestazione da parte della  regione
 ricorrente, e' gia' di fatto avvenuto.
   Questa essendo la portata delle norme oggetto dell'impugnazione, le
 censure della ricorrente risultano prive di fondamento.
   7.  -  Con il quarto motivo del ricorso la regione censura il comma
 158 dell'art. 3 della legge impugnata, ai cui sensi la regione stessa
 "provvede con propria legge all'attuazione" dei  decreti  legislativi
 emanati  sulla  base  delle  deleghe contenute nei commi da 143 a 149
 dello stesso articolo, in tema di  istituzione  della  nuova  imposta
 regionale  sulle  attivita'  produttive  e dell'addizionale regionale
 sull'IRPEF, di contestuale abolizione di tributi  erariali e  locali,
 di  revisione della disciplina dell'IRPEF e di alcuni tributi locali,
 "con le limitazioni richieste  dalla speciale  autonomia  finanziaria
 preordinata  dall'art.  36  dello  Statuto regionale e dalle relative
 norme di attuazione".
   Ad avviso  della  ricorrente,  tale  norma  contrasterebbe  con  la
 speciale  autonomia della regione siciliana, in quanto riconosce solo
 il potere di "attuare" le nuove disposizioni, mentre lo statuto e  le
 norme  di  attuazione  attribuirebbero ad essa il potere di istituire
 tributi propri nei limiti dei principi del sistema  tributario  dello
 Stato.
   8. - La questione e' infondata.
   Il  testo dell'art. 36 dello statuto della regione siciliana lascia
 trasparire una  originaria  concezione  dell'ordinamento  finanziario
 ispirata  ad  una  netta  separazione  fra  finanza statale e finanza
 regionale.  Esso infatti stabilisce che  "al  fabbisogno  finanziario
 della  regione si provvede con i redditi patrimoniali della regione a
 mezzo di tributi, deliberati  dalla  medesima",  e  che  "sono  pero'
 riservate  allo  Stato  le  imposte  di  produzione  e le entrate dei
 monopoli  dei  tabacchi  e  del  lotto",  come  pure,  ai  sensi  del
 successivo   art.   39,   i  tributi  doganali.  Queste  disposizioni
 sembrerebbero alludere ad un sistema in cui il potere di disporre  il
 prelievo  tributario  si esercita, quanto allo Stato, in un'"area" di
 materia imponibile ad esso riservata, e quanto alla regione in  tutta
 la   restante   area  o  per  tutte  le  restanti  possibili  materie
 imponibili, in base a scelte autonome della regione stessa: la quale,
 peraltro, dovrebbe  provvedere  con  i  propri  mezzi  al  fabbisogno
 finanziario  connesso  alle  sue  funzioni, salvo il trasferimento da
 parte dello Stato del fondo  di  "solidarieta'  nazionale",  previsto
 dall'art.  38  dello stesso statuto, tendente a "bilanciare il minore
 ammontare dei redditi di lavoro nella regione in confronto alla media
 nazionale".
    In  realta',  come  e'  ben  noto,  questo  disegno  abbozzato   o
 prospettato  nello  statuto  -  mai  coordinato  in  seguito  con  la
 Costituzione - non si e' sviluppato  nell'ordinamento.  Le  norme  di
 attuazione hanno delineato un assetto ben diverso.
   Il  d.P.R.  26  luglio  1965,  n.  1074,  ha tradotto la previsione
 statutaria in un  sistema  di  finanziamento  sostanzialmente  basato
 sulla  devoluzione  alla  regione  del  gettito  di  tributi erariali
 riscosso nel suo territorio.  Infatti l'art. 1 del decreto stabilisce
 che la regione provvede al  suo  fabbisogno  finanziario,  oltre  che
 mediante  le entrate derivanti dai suoi beni demaniali e patrimoniali
 o connesse all'attivita' amministrativa di sua competenza,  "mediante
 le  entrate  tributarie  ad essa spettanti".  Ma queste sono, secondo
 l'art. 2, che pure si rifa' all'art. 36, primo comma, dello  statuto,
 "oltre  le  entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte
 le  entrate  tributarie  erariali  riscosse   nell'ambito   del   suo
 territorio,  dirette  o  indirette, comunque denominate, ad eccezione
 delle nuove entrate tributarie  il  cui  gettito  sia  destinato  con
 apposite   leggi   alla  copertura  di  oneri  diretti  a  soddisfare
 particolari  finalita'  contingenti  o   continuative   dello   Stato
 specificate  nelle  leggi medesime": mentre "competono allo Stato" le
 entrate derivanti da determinate categorie di tributi nominativamente
 indicati. A sua volta l'art. 6  del  decreto  stabilisce  che  "salvo
 quanto   la  regione  disponga  nell'esercizio  e  nei  limiti  della
 competenza legislativa ad essa spettante, le disposizioni delle leggi
 tributarie  dello  Stato  hanno  vigore  e  si  applicano  anche  nel
 territorio della regione", e che "nei limiti dei principi del sistema
 tributario  dello  Stato  la  regione puo' istituire nuovi tributi in
 corrispondenza alle particolari esigenze della comunita' regionale".
   E' evidente come ad una ipotetica potesta'  tributaria  liberamente
 esercitabile  in  ogni  area,  ad  eccezione di quelle riservate allo
 Stato,  e  costituente  una  fonte  di  alimentazione  della  finanza
 regionale del tutto separata da quella statale, si sia sostituita una
 potesta'  residuale,  esercitabile  al margine, per cosi' dire, della
 potesta' tributaria dello Stato (nella  realta'  economica,  infatti,
 resta  ben  poco  spazio  per  l'esercizio di una potesta' impositiva
 autonoma aggiuntiva rispetto a quella esercitata dallo Stato,  e  per
 di  piu'  ristretta  nei  limiti  dei principi del sistema tributario
 dello Stato): mentre  la  fonte  principale  di  finanziamento  della
 regione  e'  divenuto il gettito, regionalmente riscosso, dei tributi
 istituiti e regolati dalle leggi dello Stato, pienamente  applicabili
 anche nel territorio della regione siciliana.
   Resta  alla regione la possibilita' (espressamente riconosciuta dal
 primo inciso dell'art. 6 del d.P.R. n. 1074 del 1965) di  intervenire
 legislativamente  anche sulla disciplina dei tributi erariali, ma nei
 limiti segnati dai principi del  sistema  tributario  statale  e  dai
 principi  della legislazione statale per ogni singolo tributo, limiti
 che  la  giurisprudenza  di  questa   Corte   ha   ricondotto   anche
 all'"esigenza fondamentale" di unitarieta' del sistema tributario e a
 quella  del  coordinamento  con  la  finanza dello Stato e degli enti
 locali, "affinche' non derivi turbamento ai   rapporti tributari  nel
 resto del territorio nazionale" (sentenza n. 9 del 1957).
   Per  converso,  l'ordinamento  finanziario  instaurato nei riguardi
 della regione siciliana, fondato sulla devoluzione del gettito  della
 maggior  parte  dei  tributi  erariali,  mentre  ha  condotto  ad una
 sostanziale assenza di esercizio di potesta' impositiva autonoma,  ha
 visto  lo  Stato, da un lato, mantenere a carico del proprio bilancio
 oneri connessi, oltre che ad interventi straordinari di  sviluppo,  a
 settori   dell'amministrazione   pur   riconducibili   a   competenze
 statutariamente  attribuite  alla  regione  (come  nel  caso,   sopra
 esaminato  al  n. 5, dell'istruzione); dall'altro, far partecipare la
 regione al riparto di fondi nazionali istituiti per diverse finalita'
 (dal fondo per i programmi regionali di sviluppo, al fondo  sanitario
 nazionale,  al  fondo per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle
 aziende di  trasporto);  di  recente,  infine,  tendere  a  contenere
 l'espansione  della  finanza  regionale,  collegata  all'aumento  del
 prelievo  tributario su base nazionale, sia attraverso la riduzione o
 la esclusione della partecipazione regionale  al  riparto  dei  fondi
 nazionali (cfr., in proposito, sentenza n. 381 del 1990, in relazione
 agli  artt.  18,  19  e  20  del d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415), sia
 attraverso il ricorso a  clausole  di  riserva  all'erario  di  nuove
 entrate   tributarie  altrimenti  destinate  alla  regione  (cfr.  in
 proposito, ad esempio, sentenze n.  362 del 1993, n. 253 del 1996).
   In  questo  quadro,  non  puo'  ritenersi   lesivo   dell'autonomia
 regionale che la legge statale - nel contesto di una disciplina volta
 a  sostituire  con  nuovi  tributi  alcuni  tributi erariali e locali
 esistenti, e a rivedere alcuni aspetti del regime  di  altri  tributi
 erariali  e  locali  -  preveda  una  legislazione regionale volta ad
 "attuare" tale disciplina, nell'ambito e  nei  limiti,  espressamente
 richiamati,  della  "speciale  autonomia  finanziaria"  della regione
 siciliana, come delineata nello statuto e nelle norme di  attuazione,
 e  quindi  anche  con  i  margini  di  autonomia legislativa che alla
 regione si riconoscono. Anzi tale previsione si  configura  come  una
 clausola  di  salvaguardia della specialita' dell'autonomia siciliana
 in questa materia, introdotta  nel  momento  in  cui  il  legislatore
 statale apprestava una serie di misure nel campo tributario volte fra
 l'altro  proprio  ad  avviare,  in  tutto il territorio nazionale, un
 sistema di finanziamento delle regioni e degli enti locali fondato in
 maggior  misura  sull'utilizzo  della   "capacita'   fiscale"   delle
 rispettive  comunita', sia pure poi adottando misure di riequilibrio,
 e in minor misura sulla tradizionale finanza di trasferimento.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   a)   dichiara   inammissibili   le   questioni   di    legittimita'
 costituzionale  degli artt. 1, comma 85, 2, comma 154, 3, commi 158 e
 216,  della   legge   23   dicembre   1996,   n.   662   (Misure   di
 razionalizzazione  della finanza pubblica), sollevate, in riferimento
 all'art. 21, terzo  comma,  dello  statuto  speciale,  dalla  regione
 siciliana con il ricorso in epigrafe;
   b) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  1,  comma  85,  della  legge  23  dicembre  1996,  n. 662,
 sollevata, in riferimento agli artt. 14, lettera r) 17, lettera d)  e
 20 dello statuto speciale e alle norme di attuazione di cui al d.P.R.
 14  maggio  1985,  n.  246, dalla regione siciliana con il ricorso in
 epigrafe;
   c) dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 3, comma  158,  della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662,
 sollevata,  in  riferimento all'art. 36 dello statuto speciale e alle
 norme di attuazione di cui al d.P.R. 26 luglio 1965, n.  1074,  dalla
 regione siciliana con il ricorso in epigrafe;
   d)  si  riserva all'esito dell'istruttoria disposta con l'ordinanza
 11-22 febbraio 1999, ogni decisione sulle questioni  di  legittimita'
 costituzionale  degli artt. 2, comma 154, e 3, comma 216, della legge
 23 dicembre 1996, n. 662, sollevate, in riferimento all'art. 36 dello
 statuto speciale, all'art. 2 delle norme  di  attuazione  di  cui  al
 d.P.R.  26  luglio 1965, n. 1074, nonche' ai principi di certezza del
 diritto e di leale  cooperazione,  dalla  regione  siciliana  con  il
 ricorso in  epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1999.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 2 aprile 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 99C0350