N. 12 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 1 aprile 1999
N. 12 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 1 aprile 1999 (della regione Lombardia) Imposte e tasse in genere - Ritenute a titolo d'imposta sugli interessi e sui redditi di capitale - Applicabilita' nei confronti dei soggetti esclusi dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche - Previsione con norma di interpretazione autentica - Conseguente retroattivo assoggettamento delle regioni (e degli altri enti territoriali) alle suddette ritenute - Violazione dei principi della legislazione tributaria - Contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di leggi interpretative - Attribuzione alla norma interpretata di un significato ad essa non ragionevolmente riconducibile - Irragionevole sottoposizione a ritenuta di enti non soggetti all'Irpeg - Interferenza sui giudizi pendenti, con incidenza sulle funzioni riservate al potere giurisdizionale. (Legge 18 febbraio 1999, n. 28, art. 14). (Cost., artt. 53, combinato disposto, 76, 114, 115 e 119, in relazione al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 88 e 101, secondo comma, Cost.).(GU n.22 del 2-6-1999 )
Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore, on. Roberto Formigoni, autorizzato con delibera di giunta regionale n. 41979 del 29 marzo 1999, rappresentato e difeso, come da mandato a margine del presente atto dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso il suo studio elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana, 6; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, recante "Disposizioni in materia tributaria, di funzionamento dell'amministrazione finanziaria, e di revisione generale del catasto", pubblicata in Gazzetta Ufficiale, Serie generale, n. 43 del 22 febbraio 1999. F a t t o L'art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, recante "Interpretazione autentica della disciplina concernente le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale", stabilisce che: "La disposizione di cui all'art. 26, comma 4, terzo periodo del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, riguardante l'applicazione della ritenuta a titolo d'imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti, deve intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche". A sua volta, il d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, recante "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi", all'art. 26 disciplina le ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale. I commi 1, 2, 3 e 3-bis di tale articolo stabiliscono: 1) i soggetti indicati nel primo comma dell'art. 23, che hanno emesso obbligazioni e titoli similari operano una ritenuta del 27 per cento, con obbligo di rivalsa, sugli interessi ed altri proventi corrisposti ai possessori. L'aliquota della ritenuta e' ridotta al 12,50 per cento per le obbligazioni e titoli similari, con scadenza non inferiore a diciotto mesi, e per le cambiali finanziarie. Tuttavia, se i titoli indicati nel precedente periodo sono emessi da societa' od enti, diversi dalle banche, il cui capitale e' rappresentato da azioni non negoziate in mercati regolamentati italiani ovvero da quote, l'aliquota del 12,50 per cento si applica a condizione che, al momento di emissione, il tasso di rendimento effettivo non sia superiore al tasso ufficiale di sconto aumentato di due terzi, per le obbligazioni ed i titoli similari negoziati in mercati regolamentati italiani o collocati mediante offerta al pubblico ai sensi della disciplina vigente al momento di emissione, ovvero di un terzo, per le obbligazioni e titoli similari diversi dai precedenti. Qualora il rimborso delle obbligazioni e dei titoli similari con scadenza non inferiore a diciotto mesi, abbia luogo prima di tale scadenza, sugli interessi e altri proventi maturati fino al momento dell'anticipato rimborso e' dovuta dall'emittente una somma pari al 20 per cento". "2) l'Ente poste italiane e le banche operano una ritenuta del 27 per cento, con obbligo di rivalsa, sugli interessi ed altri proventi corrisposti ai titolari di conti correnti e di depositi, anche se rappresentati da certificati. La predetta ritenuta e' operata dalle banche anche sui buoni fruttiferi da esse emessi. Non sono soggetti alla ritenuta: a) gli interessi e gli altri proventi corrisposti da banche italiane o da filiali italiane di banche estere a banche con sede all'estero o a filiali estere di banche italiane; b) gli interessi derivanti da depositi e conti correnti intrattenuti tra le banche ovvero tra le banche e l'Ente poste italiane: c) gli interessi a favore del Tesoro sui depositi e conti correnti intestati al Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, nonche' gli interessi sul "Fondo di ammortamento dei titoli di Stato" di cui al comma 1 dell'art. 2 della legge 27 ottobre 1993, n. 43, e sugli altri fondi finalizzati alla gestione del debito pubblico". "3) quando gli interessi e gli altri proventi di cui ai commi 1 e 2 sono dovuti da soggetti non residenti, le ritenute ivi previste sono operate dai soggetti indicati nel primo comma dell'art. 23 che intervengono nella loro riscossione, con l'aliquota del 27 ovvero del 12,50 per cento, sugli interessi e gli altri proventi di cui al comma 1, secondo che la scadenza dei titoli sia o meno inferiore a diciotto mesi, nonche' con l'aliquota del 27 per cento, sugli interessi ed altri proventi di cui al comma 2, indipendentemente dalla scadenza. Qualora il rimborso delle obbligazioni e titoli similari con scadenza non inferiore a diciotto mesi, abbia luogo prima di tale scadenza, e' dovuta dai percipienti una somma pari al 20 per cento degli interessi e degli altri proventi maturati fino al momento dell'anticipato rimborso. Tale somma e' prelevata dai soggetti di cui al primo comma dell'art. 23 che intervengono nella riscossione degli interessi ed altri proventi ovvero nel rimborso nei confronti di soggetti residenti. Quando i soggetti di cui al primo comma dell'art. 23 intervengono nelle cessioni di obbligazioni o titoli similari emessi da soggetti non residenti la ritenuta e' operata sugli interessi ed altri proventi riconosciuti al cedente nel corrispettivo. Il cedente od il possessore del titolo rendono noti gli interessi e gli altri proventi maturati durante il periodo di possesso. La ritenuta non e' operata quando il percipiente certifichi la sua qualita' di soggetto non residente ed attesti il periodo di possesso dei titoli. La ritenuta del presente comma e' operata con l'aliquota del 12,50 per cento anche sugli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e degli altri titoli di cui all'art. 31 del decreto del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, nonche' di quelli con regime fiscale equiparato, emessi all'estero a decorrere dal 10 settembre 1992, indipendentemente dalla scadenza". "3-bis) i soggetti indicati nel primo comma dell'art. 23, che corrispondono i proventi di cui alle lettere g-bis) e g-ter) del comma 1 dell'art. 41 del testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero intervengono nella loro riscossione operano sui predetti proventi una ritenuta con l'aliquota del 12,50 per cento ovvero con la maggiore aliquota a cui sarebbero assoggettabili gli interessi ed altri proventi dei titoli sottostanti nei confronti dei soggetti cui siano imputabili i proventi derivanti dai rapporti ivi indicati. Nel caso dei rapporti indicati nella lettera g-bis), la predetta ritenuta e' operata, in luogo della ritenuta di cui al comma 3, anche sugli interessi e gli altri proventi dei titoli ivi indicati, maturati nel periodo di durata dei predetti rapporti". Il comma 4 individua i soggetti nei cui confronti le ritenute, previste nei commi da 1 a 3-bis, devono essere applicate a titolo di acconto, quelli nei cui confronti devono essere applicate a titolo di imposta e quelli nei cui confronti esse non devono essere applicate. Nell'individuare i soggetti nei cui confronti le suddette ritenute devono applicarsi a titolo d'imposta, il terzo periodo del comma 4, cui si riferisce la norma interpretativa impugnata, stabilisce che: "Le predette ritenute sono applicate a titolo d'imposta nei confronti dei soggetti esenti dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche ed in ogni altro caso". In ordine all'applicabilita' dell'Irpeg nei confronti delle regioni, il d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante "Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi", all'art. 88, come sostituito dal d.-l. n. 310/1990, stabilisce che "Gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalita' giuridica, i comuni, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demani collettivi, le comunita' montane, le province e le regioni non sono soggetti all'imposta". Le regioni, dunque, ai sensi di tale disposizione, sono soggetti esclusi dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche. A seguito della sostituzione dell'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986, l'amministrazione finanziaria, in un primo momento, con risoluzione ministeriale n. 8/645 dell'8 gennaio 1993, aveva chiarito che "per effetto delle modifiche apportate all'art. 88 del T.U. delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. n. 917/1986, dall'art. 4 del d.-l. 31 marzo 1990, n. 310, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 1990 n. 403, i comuni, le province, le comunita' montane e le regioni, non essendo piu' soggetti all'Irpeg e all'Ilor, non debbono subire ritenute per tali imposte, fermo restando l'obbligo per essi di operare le ritenute, sui contributi corrisposti a soggetti diversi, ai sensi dell'art. 28 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602". Il mutato quadro normativo descritto, nonche' l'orientamento assunto dall'amministrazione finanziaria con la risoluzione citata, hanno indotto la regione Lombardia, a partire dal 1991, ad instaurare una serie di controversie contro la Direzione regionale per le entrate, allo scopo di ottenere il rimborso delle ritenute Irpeg operate sugli interessi bancari e postali. Di fronte alle richieste della regione Lombardia, la Commissione tributaria provinciale di primo grado si e' orientata nel senso di riconoscere il diritto della stessa al rimborso delle ritenute Irpeg subite. A tal proposito, con sentenza n. 333 del 28 dicembre 1994, la Commissione tributaria di primo grado, Milano, sez. 34, accogliendo il ricorso presentato dalla regione Lombardia per il rimborso delle ritenute effettuate negli anni 1991-1992, ha cosi' motivato la propria decisione: "Preliminarmente questa Commissione osserva che il comma 1 dell'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986, cosi' come modificato dall'art. 4 del d.-l. 31 marzo 1990, n. 310, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403, e con effetto dal 1 gennaio 1991, statuisce la non soggettivita' all'imposizione diretta degli organi delle amministrazioni dello Stato comprese le regioni. Tale esclusione, di sicuro carattere innovativo in quanto statuente l'esenzione dall'Irpeg e dall'Ilor dei redditi prodotti dalle regioni, definisce, cosi' come ricordato dalla ricorrente in memoria difensiva, un'esclusione soggettiva che prescinde da qualsiasi condizione oggettiva quale ne sia la natura o la provenienza. In tal senso si e' pronunciata anche la Commissione tributaria di 1 di Roma, sez. 15, circa il rimborso di ritenute su proventi da titoli del debito pubblico operate dall'Azienda municipale Nettezza urbana di Roma; ed a tale deciso, questa Commissione si uniforma ...". Dello stesso tenore e' la successiva sentenza n. 146/1/1995 del 13 febbraio 1996, con la quale la Commissione tributaria di primo grado, Milano, sez. 1, accoglieva il ricorso presentato dalla regione Lombardia ai fini del rimborso delle ritenute su interessi e altri redditi operate nell'anno 1993. Quanto alle ritenute effettuate nel 1994, a seguito del ricorso presentato dalla regione Lombardia ai fini del rimborso, la Commissione tributaria di primo grado, Milano, sez. I, con sentenza 40/1/97 del 4 febbraio 1997, ribadiva che: "L'imposizione cui la regione Lombardia e' stata assoggettata e' illegittima e violatrice dell'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986 che, al primo comma, stabilisce, in deroga ai principi generali, l'esclusione soggettiva degli enti pubblici territoriali; l'esclusione e' soggettiva e indipendente da qualsiasi condizione oggettiva del reddito. Di uguale avviso e' altra sentenza pronunciata da altra sezione di questa Commissione di 1, sentenza passata in cosa giudicata non avendo l'ufficio proposto appello". Con sentenza n. 215/1/1998, infine, la Commissione tributaria di primo grado, Milano, sez. I, ha accolto il ricorso presentato dalla regione Lombardia per il rimborso delle ritenute effettuate nel 1995, con motivazione analoga a quelle precedenti. Sono inoltre, ancora in corso, i giudizi instaurati dalla regione Lombardia allo scopo di ottenere il rimborso delle ritenute operate negli anni successivi. Non va, inoltre, sottovalutato che, in data 28 dicembre 1993, il Ministero delle finanze, di fronte alle numerose richieste di rimborso avanzate dagli enti locali - e con l'evidente scopo di sottrarsi all'obbligo di ulteriori rimborsi - ha adottato la risoluzione 5/846, nella quale ha affermato che nella risoluzione 8/645 "si era fatto generico riferimento ai redditi di capitale e ai dividendi, senza fornire alcun particolare chiarimento in ordine al regime applicabile agli interessi derivanti da depositi e conti correnti bancari e postali intestati agli enti in oggetto". In sostanza, secondo tale risoluzione ministeriale, il legislatore avrebbe inteso assoggettare al prelievo alla fonte gli interessi non solo nel caso in cui il percettore sia un soggetto esente, ma anche nel caso in cui sia escluso dall'ambito soggettivo dell'applicazione delle imposte sui redditi, "in quanto l'espressione della norma 'in ogni altro caso' vale evidentemente anche per i casi di esclusione dall'ambito soggettivo di applicazione dell'imposta sui redditi". L'interpretazione ministeriale, tuttavia, non ha minimamente intaccato l'orientamento ormai costante della giurisprudenza tributaria, la quale, come documentato dalle decisioni citate, ha continuato a sostenere la tesi dell'inapplicabilita' della ritenuta a titolo d'imposta sugli interessi ed altri frutti dei redditi di soggetti esclusi dall'imposta stessa. Successivamente, e in coerenza con il nuovo orientamento assunto dal Ministero delle finanze, e' intervenuta la legge 18 febbraio 1999, n. 28, che all'art. 14, ha disposto che il terzo periodo del comma 4 dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973, riguardante l'applicazione della ritenuta a titolo d'imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti, "deve intendersi nel senso che tale ritenuta si applica anche nei confronti dei soggetti esclusi dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche". Tale disposizione, per le conseguenze che e' suscettibile di comportare a danno della regione Lombardia, anche con riferimento ai giudizi ancora in corso, risulta costituzionalmente illegittima nonche' lesiva dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta alle regioni, per i seguenti motivi; D i r i t t o 1. - Violazione del combinato disposto degli artt. 114, 115, 119, 53 e 76 della Costituzione, in relazione all'art. 88 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, recante "Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi", ai principi della legislazione tributaria, e ai principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di leggi interpretative. Dall'esame della giurisprudenza costituzionale in materia di leggi interpretative, risulta che il giudizio di codesta ecc.ma Corte e' stato costantemente incentrato, in primo luogo, sulla valutazione dell'astratta riconducibilita' del contenuto della legge interpretativa ad uno dei possibili significati della legge interpretata: dall'assenza di tali condizioni, codesta ecc.ma Corte ha poi fatto conseguire la pronuncia di incostituzionalita' delle leggi interpretative impugnate (cfr. Corte cost. 77/64; 175/74; 187/81; 91/88). Il giudizio sulle leggi interpretative e' stato, in secondo luogo, condotto da codesta ecc.ma Corte in ordine alla possibilita' che le disposizioni introdotte da tali leggi potessero rivelarsi lesive, di per se', a prescindere dalla loro natura di norme interpretative, delle disposizioni e dei principi costituzionali (cfr. sentt. 240/94 e 321/98). Gli orientamenti assunti dalla giurisprudenza costituzionale sono stati condivisi anche dalla dottrina, in base alla quale il potere del legislatore di utilizzare lo strumento della legge interpretativa non deve considerarsi illimitato: il legislatore, infatti, e' tenuto a rispettare il principio di affidabilita' o di ragionevolezza, di talche' sarebbero possibili solo quelle leggi interpretative che diano alla disposizione interpretata un significato ad essa ragionevolmente riconducibile, o comunque tale da poter essere prospettato dai destinatari della disposizione (cfr. sentt. n. 175/74, ove si parla di "ragionevole interpretazione"). A tal proposito, codesta ecc.ma Corte, con sentenza 3 marzo 1988, n. 233, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale di una legge della regione Puglia che, autoqualificandosi come legge interpretativa e formulata come una legge interpretativa, estendeva la decorrenza della progressione economica accelerata, gia' prevista per il personale di ruolo che all'epoca era in posizione di comando presso la regione, a favore dei dipendenti dei gruppi consiliari allora legati alla regione da un rapporto di diritto privato, affermava in motivazione "la legge impugnata - anziche' desumere, enucleare o escludere un qualche significato gia' insito nella disposizione interpretata - interviene sul testo legislativo, aggiungendo una diversa disposizione altre parole, riferendosi a soggetti sicuramente diversi da quelli contemplati nella disposizione che si asserisce "interpretata", la legge impugnata, sotto la veste surrettizia di una norma di interpretazione autentica, modifica in realta' la precedente disposizione, estendendo ad altri soggetti i benefici ivi previsti". A tali conclusioni codesta ecc.ma Corte perveniva dopo aver precisato che la qualificazione giuridica di legge interpretativa "spetta a quelle leggi o a quelle disposizioni che, riferendosi e saldandosi con altre disposizioni (quelle interpretate), intervengono esclusivamente sul significato normativo di queste ultime (senza percio', intaccarne o integrarne il dato testuale), chiarendone o esplicitandone il senso (ove considerato oscuro), ovvero escludendone o enucleandone uno dei sensi ritenuti possibili, al fine, in ogni caso, di imporre all'interprete un determinato significato normativo della disposizione interpretata" (sent. 3 marzo 1988, n. 233). Nella sentenza 4 aprile 1990, n. 155, inoltre, codesta ecc.ma Corte affermava: "In conformita' ad una costante giurisprudenza, va riconosciuto carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo e' espresso nella coesistenza delle due norme (quella precedente e l'altra successiva che ne esplica il significato), le quali rimangono entrambe in vigore sono anche idonee ad essere modificate separatamente". 1.1. - Alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in materia, va, in primo luogo, considerata la conformita' della disciplina asseritamente interpretativa alle disposizioni costituzionali, ivi compreso il principio di ragionevolezza. Va, cosi', ricordato che l'art. 88 del T.U. delle Imposte sui redditi, cosi' come sostituito dall'art. 4 del d.-l. 31 marzo1990, n. 310, ha stabilito che gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalita' giuridica, i comuni, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demani collettivi, le comunita' montane, le province e le regioni "non sono soggetti all'imposta". Si tratta, come risulta anche dalla lettera di tale disposizione, di una chiara ipotesi di esclusione dei soggetti menzionati dall'applicazione dell'Irpeg: in ragione della loro natura giuridica e allo scopo di snellire i rapporti tra lo Stato e gli enti locali, il legislatore, come confermato dalla dottrina prevalente e dalla giurisprudenza tributaria, ha privato totalmente della soggettivita' tributaria ai fini Irpeg tali enti, i quali, al pari dello Stato, non integrano piu' alcun presupposto soggettivo di applicazione dell'imposta. Va, a tal proposito ricordato che, mentre le norme di esenzione rientrano nella piu' ampia categoria delle norme agevolative, potendo il beneficio consistere, anziche' nella totale sottrazione al prelievo, nell'assoggettamento a quest'ultimo in misura ridotta o con modalita' meno gravose in punto di attuazione del corrispondente rapporto obbligatorio, le norme che prevedono le esclusioni assolvono al diverso compito di concorrere con la norma base a delimitare i confini della fattispecie impositiva; ne discende che tali norme sono prive di una reale autonomia e, lungi dall'essere giustificate da un intento agevolativo, esprimono la scelta concretamente e complessivamente operata dal legislatore, al fine della esatta individuazione dei fatti che il medesimo vuole colpire con un determinato tributo. Quanto alla possibilita' dell'applicazione nei confronti di tali soggetti della ritenuta alla fonte, va sottolineato che, in base ai principi propri della legislazione tributaria, la posizione di "contribuente sostituito", postula necessariamente la soggettivita' ai fini dell'imposta: se ne deduce che, in difetto, la ritenuta non puo' essere applicata (cfr. a tal proposito A. Fantozzi, "Diritto tributario", 1991; R. Lupi, "Diritto tributario", 1992). L'esclusione deriva, quindi, dalla natura di ente politico ed e' pertanto direttamente collegata con il grado di autonomia finanziaria degli enti considerati: autonomia finanziaria che nel caso delle regioni ha chiaramente rango costituzionale. Ne risulta cosi' violato l'art. 119 della Costituzione. 1.2. - Non va, peraltro, sottovalutata la circostanza che l'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973, vale a dire la disposizione oggetto di interpretazione autentica, deve dettare esclusivamente disposizioni in ordine all'applicazione dell'imposta, non potendo attrarre a tassazione cio' che la disciplina istitutiva esclude; e cio' non solo perche' esplicitamente reca "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi", ma anche perche' il d.P.R. n. 600/1973 e' stato emanato in attuazione di una delega relativa al solo accertamento e non anche alla potesta' impositiva. Al contrario, per effetto dell'interpretazione dettata dall'art. 14 della legge n. 28/1999, l'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 assume il carattere di norma impositiva. L'intrinseca contraddittorieta' del sistema risultante dal combinato disposto dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 e dell'art. 14 della legge n. 28/1999 non puo' sfuggire: attraverso una disposizione in materia di riscossione si viene, infatti, a determinare una sostanziale reviviscenza della soggettivita' tributaria esclusa da una norma di diritto sostanziale. 1.3. - Con riferimento al generale tema della riconducibilita' della norma interpretativa alla norma interpretata, essa va esclusa per le ragioni qui di seguito esposte. L'art. 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. n. 600/1973 dispone testualmente: "Le predette ritenute sono applicate a titolo d'imposta nei confronti dei soggetti esenti dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche ed in ogni altro caso". Una lettura non approfondita del disposto dell'art. 26, che non tenga conto dei principi della legge di delega, nonche' di quelli della legislazione tributaria - in particolare della distinzione tra esenzioni ed esclusioni, nonche' del concetto di soggettivita' tributaria -, potrebbe far pensare che nell'espressione "in ogni altro caso", di cui all'art. 26, si possano far rientrare anche i soggetti esclusi dall'imposta. Va, a tal proposito, preliminarmente ricordato che la legge delega, nel prevedere la ritenuta (a titolo d'acconto o d'imposta) sui redditi di capitale corrisposti esclusivamente a soggetti Irpeg o a soggetti esenti, aveva dimostrato la chiara intenzione di non assoggettare al prelievo alla fonte i soggetti esclusi dal tributo. L'art. 10 della legge 9 ottobre 1971, n. 825, infatti, nell'individuare, al comma 2, i principi della delega, al punto 5, attribuiva al legislatore delegato il compito di stabilire: "l'estensione del sistema di ritenuta alla fonte, con obbligo di rivalsa, in acconto delle imposte sui redditi. La misura della ritenuta sara' adeguata, ove possibile, alla situazione personale del soggetto, anche ai fini dell'eventuale esonero dalla dichiarazione annuale. Per i redditi indicati al n. 3) dell'art. 9, corrisposti a soggetti diversi dalle persone fisiche, la ritenta sara' applicata, a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e dell'imposta locale sui redditi, nelle stesse ipotesi e con le stesse aliquote della ritenuta a titolo d'imposta stabilita per le persone fisiche. Per gli stessi redditi corrisposti a soggetti esenti dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche e dall'imposta locale sui redditi la ritenuta sara' invece applicata a titolo d'imposta. Potranno essere previste particolari ritenute per redditi corrisposti a non residenti". Va, in secondo luogo, sottolineato che ad una lettura sistematica dell'intero art. 26 non sfugge che esso, nel disporre in ordine alle ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale, presuppone la soggettivita' tributaria degli incisi. Dall'esame attento del quarto comma dell'art. 26, inoltre, risulta che tale disposizione mira a completare, all'interno del novero dei soggetti d'imposta, l'elenco delle tipologie di soggetti Irpeg fino a quel momento non espressamente menzionati. Se, infatti, l'intenzione del legislatore fosse stata quella di introdurre con l'espressione "in ogni altro caso" presupposti "atipici" dell'imposizione, che giustificazione avrebbe la menzione espressa dei soggetti "esenti"? D'altro canto, appare illogico, nonche' contradittorio, escludere gli enti di cui all'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986 dall'Irpeg per poi sottoporli di nuovo alla ritenuta indubbiamente onerosa, prevista dall'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973. Ne risulta cosi' dimostrata la violazione dei principi tradizionalmente affermati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di leggi interpretative. Alla luce delle considerazioni esposte si puo' allora sicuramente ribadire l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14 della legge n. 28/1999, per tre ordini di ragioni. In primo luogo in quanto tale disposizione pretende di interpretare l'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 in violazione del combinato disposto degli artt. 14, 115, 119 e 53 della Costituzione, cosi' come attuati dall'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986. A che titolo, infatti, possono ritenersi applicabili ritenute a titolo d'imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti nei confronti di soggetti esclusi dall'applicazione dell'imposta stessa? .Nel caso di specie, infatti, il legislatore, non ha operato nei confronti dei soggetti di cui all'art. 88 del d.P.R. n. 617/1986 un trattamento derogatorio, quale e' istituzionalmente l'esenzione, bensi' ha voluto porre tali enti, in ragione della loro natura, su un piano di irrilevanza soggettiva assoluta, al pari dello Stato. Se, dunque, l'art. 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. n. 600/1973, nel prevedere la ritenuta Irpeg nei confronti dei soggetti esenti, dispone legittimamente in quanto l'esenzione puo' concretarsi anche nell'assoggettamento al prelievo in misura ridotta, altrettanto non puo' ritenersi in ordine all'interpretazione autentica di tale disposizione dettata dall'art. 14 della legge n. 28/1999, in ordine ai soggetti esclusi. L'art. 14 della legge n. 28/1999, infatti, attribuisce al comma 4, terzo periodo, dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 un significato ad essa non ragionevolmente riconducibile, che non rientra tra le possibili interpretazioni di tale norma, in quanto escluso dal combinato disposto degli artt. 114,115, 119 e 53 della Costituzione cosi' come attuati dalla legislazione tributaria. Sotto tale profilo, anzi, la norma impugnata appare intrinsecamente viziata di illegittimita' costituzionale a prescindere dalla sua natura di norma interpretativa (cfr. a tal proposito, Corte cost., sentt. 10 giugno 1994, n. 240 e 24 luglio 1998, n. 321). In secondo luogo non e' sostenibile la riconducibilita' di una norma interpretativa di natura impositiva - che determina la reviviscenza della soggettivita' tributaria esclusa da una norma di diritto sostanziale, ad una norma, quella interpretata, che dispone in materia di accertamento e riscossione. In terzo luogo l'interpretazione autentica dettata dall'art. 14 della legge n. 28/1999 risulta esclusa dal disposto della legge 9 ottobre 1971, n. 925, nonche' dall'interpretazione sistematica e letterale dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973. 2. - Violazione dell'art. 101, comma 2, della Costituzione in relazione ai principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di leggi interpretative. L'interpretazione autentica dettata dall'art. 14 della legge n. 28/1999 contrasta, inoltre, con l'orientamento assunto dalla giurisprudenza tributaria sulla questione in oggetto. A tal proposito, recentemente, la Commissione provinciale delle imposte di Roma ha stabilito che: "L'art. 88 del Tuir ha previsto una ipotesi di "esclusione" e non anche di semplice "esenzione" da ogni rilevanza Irpeg, dei soggetti ivi menzionati. Tale esclusione comporta quindi, necessariamente, l'illegittimita' delle ritenute eventualmente operate sugli interessi bancari spettanti alle aziende municipalizzate, non potendosi ammettere che una mera modalita' di riscossione dell'imposta (ritenuta del sostituto) possa alterare il presupposto originario del tributo a tal punto da modificare la soggettivita' impositiva del sostituito" (Comm. imp. prov.le sez. I, Roma, 16 febbraio 1996, n. 36; cfr. anche Comm. imp. prov.le sez. Il, Roma, 26 gennaio 1996). Anche nella giurisprudenza degli anni precedenti si legge: "nei confronti del comune, soggetto esente da Irpeg, ai sensi dell'art. 88 d.P.R. n. 917 del 1986, non vanno effettuate le ritenute d'imposta, di cui all'art. 26 d.P.R. n. 600 del 1973, sui redditi di capitale". (Comm. imp. prov.le sez. I, Bolzano, 6 novembre 1995, n. 298; cfr anche Comm. imp. prov.le sez. I, Bolzano, 6 novembre 1995, n. 297); e ancora che: "Non sono assoggettabili alla ritenuta alla fonte prevista dall'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 gli interessi sui depositi e sui conti correnti bancari e postali di regioni, province, comunita' montane, comuni e relative aziende municipalizzate. L'ambito soggettivo di tale ritenuta, contenuto nel comma 4 di detta disposizione, non comprende, infatti, anche i soggetti esclusi dall'ambito applicativo dell'Irpeg. Pertanto, le ritenute sui proventi finanziari degli enti locali e delle rispettive aziende municipalizzate debbono considerarsi illegittime." (Comm. imp. distr.le sez. XL, Roma, 5 novembre 1994, n. 661). Vanno, inoltre, ricordate le sentenze con le quali la Commissione tributaria di 1 della provincia di Milano ha riconosciuto la fondatezza delle richieste di rimborso avanzate dalla regione Lombardia, nelle quali e' stato sostanzialmente ribadito il principio in base al quale, prevedendo l'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986 per gli enti pubblici territoriali una forma di esclusione dalI'Irpeg di natura soggettiva e, in quanto tale indipendente da qualsiasi condizione oggettiva del reddito, l'applicazione nei confronti di tali enti della ritenuta di cui all'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 deve ritenersi illegittima e in violazione dell'art. 88 citato. Anche, sulla base del costante orientamento assunto dalla giurisprudenza tributaria, dunque, la non applicabilita' delle ritenute di cui all'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 nei confronti delle regioni discende direttamente dal disposto dell'art. 88 del T.U. delle Imposte sui redditi, che esclude dalla soggettivita' ai fini Irpeg gli enti ivi indicati. Alla luce delle affermazioni della giurisprudenza tributaria appare, quindi, evidente l'irragionevolezza della disposizione impugnata: e' palesemente contraddittorio, illogico, nonche' contrario ai principi del diritto tributario, infatti, assoggettare a ritenuta a titolo d'imposta gli interessi, i premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti spettanti a soggetti che sono esclusi dall'applicazione dell'imposta stessa. La disposizione dettata dall'art. 14 della legge n. 28/1999, pertanto, non trova alcun fondamento ragionevole ne' appare giustificata dalla necessita' di dover dare attuazione ad alcun principio costituzionale. Essa appare, al contrario, finalizzata a bloccare le numerose richieste di rimborso avanzate dagli enti locali a seguito della intervenuta esclusione degli stessi dall'applicazione dell'imposta sui redditi delle persone giuridiche e ad incidere, di conseguenza, sui giudizi ancora in corso. In quanto tale, la disposizione impugnata si pone in evidente contrasto con i principi affermati da codesta ecc.ma Corte in ordine alle leggi interpretative in quanto appare con evidenza finalizzata a ledere il giudicato formatosi in ordine all'interpretazione dell'art. 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. n. 600/1973 e ad interferire sui giudizi ancora in corso. A tal proposito va ricordato che codesta ecc.ma Corte, chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimita' costituzionale della legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana, recante "Interpretazione autentica dell'art. 1 della l.r. 8/56, concernente indennita' mensile e rimborso spese per missioni al presidente della regione ed agli assessori", che, con interpretazione autentica, estendeva al presidente e alla giunta regionale il trattamento tributario privilegiato per Irpef riservato ai consiglieri, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di tale legge, con la seguente motivazione: "Nell'ordinamento statale il trattamento tributario privilegiato per Irpef, secondo cui le indennita' percepite dai membri del Parlamento, dai consiglieri delle regioni a statuto speciale, nonche' degli investiti a cariche elettive, sono assimilati a redditi di lavoro dipendente e costituiscono reddito nella misura del 40% del loro ammontare al netto dei contributi previdenziali, non riguarda i membri del Governo. La Corte dei conti, sez. controllo, con delibera 13 febbraio 1975, ha rifiutato il visto e registrazione a due decreti del presidente della regione che, facendo applicazione dell'art. 1 della l.r. n. 8 del 1956, sottraevano al normale regime di tassazione le indennita' corrisposte ai membri della giunta. La legge 21 dicembre 1977 risulta adottata proprio per superare tale ostacolo configurando, con palese sviamento di potere, la legge come interpretativa per sfuggire al controllo... Avendo la Corte dei conti negato l'equiparazione nel trattamento privilegiato ai membri del governo regionale, stante la peculiarita' derogatoria del regime di tassazione previsto per i parlamentari, si escogito' l'espediente della legge di interpretazione autentica per estendere l'ambito di detta deroga, sostituendo all'espressione "indennita' mensile lorda" quella "misura mensile netta". Difettano pertanto gli estremi della legge di interpretazione autentica: sia perche' sostantivamente la suddetta legge non interpreta, ma dispone; sia perche', essendo sempre stato pacifico il significato della norma non ricorrono i presupposti per provvedere al superamento di contrastanti applicazioni" (sentenza 10 dicembre 1981 n. 187). In particolare, codesta ecc.ma Corte, nell'escludere che la norma impugnata avesse carattere interpretativo, sosteneva in motivazione: "Ma non e' interpretativa anche per una considerazione di diverso ordine. Il legislatore puo' sempre riformare la disciplina vigente, modificando la legge anteriore... Non puo', pero', dirsi che faccia egualmente buon uso della potesta' il legislatore che si sostituisca al potere cui e' riservato il compito istituzionale di interpretare la legge, dichiarandone mediante altra legge l'autentico significato con valore obbligatorio per tutti e, quindi, vincolante anche per il giudice, quando non ricorrano quei casi in cui una legge anteriore riveli gravi ed insuperabili anfibologie o abbia dato luogo a contrastanti applicazioni specie in sede giurisprudenziale". Anche successivamente a tale decisione, codesta ecc.ma Corte, nel decidere in ordine alla legittimita' costituzionale di leggi interpretative, non ha mai sottovalutato, ai fini del proprio giudizio, l'eventualita' che la legge interpretativa fosse stata emanata con il fine specifico ed esclusivo di ledere il giudicato o comunque di interferire nei giudizi in corso. Nel 1990, chiamata a pronunciarsi in ordine alla legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 3, legge 25 febbraio 1987, n. 67, codesta ecc.ma Corte affermava: "la legge interpretativa, per vero, non viola di per se' gli artt. 101, 102 e 104 Cost., indicati nell'ordinanza di rimessione, a meno che essa non leda il giudicato gia' formatosi o non sia intenzionalmente diretta ad incidere sui giudizi in corso. Se queste circostanze, come nella specie, non ricorrono (per il vero il giudice a quo adombra il sospetto di una preordinata interferenza, ma esso non e' suffragato da elementi consistenti ed univoci), si deve escludere che le attribuzioni del potere giudiziario siano vulnerate, in quanto il legislatore e i giudici agiscono su due piani diversi (sent. 4 aprile 1990, n. 155). Nella sentenza 25 luglio 1995, n. 376, inoltre, si legge: "Le leggi interpretative devono rispondere ai principi di ragionevolezza, coerenza e certezza del diritto, non contrastare con il divieto di ingiustificata disparita' di trattamento, rispettare le funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario ed i principi costituzionali sul diritto di difesa; non puo' peraltro considerarsi in contrasto con i principi accennati una norma regionale interpretativa, in ordine alla portata dell'obbligo di corresponsione dell'indennita' di missione nei confronti di propri funzionari, la quale sia intervenuta prima della decisione su un ricorso straordinario inerente la materia". Nel caso di specie elementi consistenti ed univoci - quali l'orientamento assunto sulla questione dalla prevalente giurisprudenza tributaria, nonche' l'evidente discrepanza tra la risoluzione ministeriale dell'8 gennaio 1993 n. 8/645 e quella successiva del 28 dicembre 1993, la n. 5/846 - inducono a ritenere che l'introduzione nel nostro ordinamento dell'art. 14 della legge n. 28/1999 sia stata chiaramente finalizzata ad interferire sui giudizi instaurati dagli enti contemplati dall'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986 per il rimborso delle ritenute applicate a loro carico ai sensi dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973.
P. Q. M. La regione Lombardia, come sopra rappresentata e difesa, chiede a codesta ecc.ma Corte di dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, per violazione del combinato disposto degli artt. 114, 115, 119 e 53 e 76 nonche' dell'art. 101, comma 2, della Costituzione. Roma, addi' 23 marzo 1999 Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto 99C0363