N. 12 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 1 aprile 1999

                                 N. 12
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale  depositato  in
 cancelleria il 1 aprile 1999 (della regione Lombardia)
 Imposte  e  tasse  in  genere  -  Ritenute  a  titolo d'imposta sugli
    interessi e sui redditi di capitale - Applicabilita' nei confronti
    dei  soggetti  esclusi  dall'imposta  sul  reddito  delle  persone
    giuridiche  -  Previsione con norma di interpretazione autentica -
    Conseguente retroattivo assoggettamento  delle  regioni  (e  degli
    altri  enti  territoriali) alle suddette ritenute - Violazione dei
    principi della legislazione tributaria - Contrasto con i  principi
    affermati  dalla giurisprudenza costituzionale in materia di leggi
    interpretative  -  Attribuzione  alla  norma  interpretata  di  un
    significato   ad   essa   non   ragionevolmente   riconducibile  -
    Irragionevole sottoposizione  a  ritenuta  di  enti  non  soggetti
    all'Irpeg - Interferenza sui giudizi pendenti, con incidenza sulle
    funzioni riservate al potere giurisdizionale.
 (Legge 18 febbraio 1999, n. 28, art. 14).
 (Cost.,  artt.  53,  combinato  disposto,  76,  114,  115  e  119, in
    relazione al d.P.R. 22 dicembre 1986, n.  917,  artt.  88  e  101,
    secondo comma, Cost.).
(GU n.22 del 2-6-1999 )
   Ricorso  della  regione  Lombardia, in persona del presidente della
 giunta regionale pro-tempore, on. Roberto Formigoni, autorizzato  con
 delibera   di   giunta   regionale   n.  41979  del  29  marzo  1999,
 rappresentato e difeso, come da mandato a margine del  presente  atto
 dal  prof. avv.  Beniamino Caravita di Toritto e presso il suo studio
 elettivamente domiciliato in Roma, via di Porta Pinciana, 6;
   Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per  la
 dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 14 della
 legge 18 febbraio 1999,  n.  28,  recante  "Disposizioni  in  materia
 tributaria,  di  funzionamento dell'amministrazione finanziaria, e di
 revisione generale del catasto", pubblicata  in  Gazzetta  Ufficiale,
 Serie generale, n. 43 del 22 febbraio 1999.
                               F a t t o
   L'art.   14   della   legge   18  febbraio  1999,  n.  28,  recante
 "Interpretazione autentica della disciplina concernente  le  ritenute
 sugli  interessi  e  sui  redditi  di  capitale", stabilisce che: "La
 disposizione di cui all'art. 26, comma 4, terzo periodo del d.P.R. 29
 settembre 1973, n. 600, riguardante l'applicazione della  ritenuta  a
 titolo  d'imposta  sugli  interessi,  premi  ed  altri  frutti  delle
 obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti, deve  intendersi
 nel  senso  che  tale  ritenuta  si  applica  anche nei confronti dei
 soggetti esclusi dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche".
   A  sua  volta,  il  d.P.R.  29  settembre  1973,  n.  600,  recante
 "Disposizioni  comuni  in  materia  di accertamento delle imposte sui
 redditi", all'art.  26 disciplina le ritenute sugli interessi  e  sui
 redditi di capitale.
   I commi 1, 2, 3 e 3-bis di tale articolo stabiliscono:
     1)  i  soggetti  indicati nel primo comma dell'art. 23, che hanno
 emesso obbligazioni e titoli similari operano una ritenuta del 27 per
 cento, con obbligo di rivalsa,  sugli  interessi  ed  altri  proventi
 corrisposti  ai  possessori.  L'aliquota della ritenuta e' ridotta al
 12,50 per cento per le obbligazioni e titoli similari,  con  scadenza
 non  inferiore  a  diciotto  mesi,  e  per  le  cambiali finanziarie.
 Tuttavia, se i titoli indicati nel precedente periodo sono emessi  da
 societa'   od   enti,  diversi  dalle  banche,  il  cui  capitale  e'
 rappresentato  da  azioni  non  negoziate  in  mercati  regolamentati
 italiani ovvero da quote, l'aliquota del 12,50 per cento si applica a
 condizione  che,  al  momento  di  emissione,  il tasso di rendimento
 effettivo non sia superiore al tasso ufficiale di sconto aumentato di
 due terzi, per le obbligazioni ed  i  titoli  similari  negoziati  in
 mercati  regolamentati  italiani  o  collocati  mediante  offerta  al
 pubblico ai sensi della disciplina vigente al momento  di  emissione,
 ovvero di un terzo, per le obbligazioni e titoli similari diversi dai
 precedenti.  Qualora  il  rimborso  delle  obbligazioni  e dei titoli
 similari con scadenza non inferiore  a  diciotto  mesi,  abbia  luogo
 prima  di  tale  scadenza,  sugli interessi e altri proventi maturati
 fino al momento dell'anticipato rimborso e' dovuta dall'emittente una
 somma pari al 20 per cento".
     "2) l'Ente poste italiane e le banche operano una ritenuta del 27
 per  cento, con obbligo di rivalsa, sugli interessi ed altri proventi
 corrisposti ai titolari di conti correnti e  di  depositi,  anche  se
 rappresentati  da  certificati. La predetta ritenuta e' operata dalle
 banche anche sui buoni fruttiferi da esse emessi. Non  sono  soggetti
 alla  ritenuta:  a) gli interessi e gli altri proventi corrisposti da
 banche italiane o da filiali italiane di banche estere a  banche  con
 sede  all'estero  o  a  filiali  estere  di  banche  italiane; b) gli
 interessi derivanti da depositi e conti correnti intrattenuti tra  le
 banche ovvero tra le banche e l'Ente poste italiane: c) gli interessi
 a  favore  del  Tesoro  sui  depositi  e  conti correnti intestati al
 Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione  economica,
 nonche' gli interessi sul "Fondo di ammortamento dei titoli di Stato"
 di  cui  al comma 1 dell'art. 2 della legge 27 ottobre 1993, n. 43, e
 sugli altri fondi finalizzati alla gestione del debito pubblico".
     "3) quando gli interessi e gli altri proventi di cui ai commi 1 e
 2 sono dovuti da soggetti non residenti,  le  ritenute  ivi  previste
 sono  operate  dai soggetti indicati nel primo comma dell'art. 23 che
 intervengono nella loro riscossione, con l'aliquota del 27 ovvero del
 12,50 per cento, sugli interessi e gli altri proventi di cui al comma
 1, secondo che la scadenza dei titoli sia o meno inferiore a diciotto
 mesi, nonche' con l'aliquota del 27 per  cento,  sugli  interessi  ed
 altri  proventi  di cui al comma 2, indipendentemente dalla scadenza.
 Qualora il rimborso delle obbligazioni e titoli similari con scadenza
 non inferiore a diciotto mesi, abbia luogo prima di tale scadenza, e'
 dovuta dai percipienti una somma pari al 20 per cento degli interessi
 e degli altri  proventi  maturati  fino  al  momento  dell'anticipato
 rimborso.  Tale somma e' prelevata dai soggetti di cui al primo comma
 dell'art.    23 che intervengono nella riscossione degli interessi ed
 altri  proventi  ovvero  nel  rimborso  nei  confronti  di   soggetti
 residenti.  Quando  i  soggetti  di  cui  al primo comma dell'art. 23
 intervengono nelle cessioni di obbligazioni o titoli similari  emessi
 da  soggetti  non residenti la ritenuta e' operata sugli interessi ed
 altri proventi riconosciuti al cedente nel corrispettivo. Il  cedente
 od  il  possessore  del titolo rendono noti gli interessi e gli altri
 proventi maturati durante il periodo di possesso. La ritenuta non  e'
 operata  quando il percipiente certifichi la sua qualita' di soggetto
 non residente ed attesti  il  periodo  di  possesso  dei  titoli.  La
 ritenuta  del  presente comma e' operata con l'aliquota del 12,50 per
 cento anche sugli interessi ed altri proventi  delle  obbligazioni  e
 degli  altri  titoli  di  cui  all'art.  31 del decreto del d.P.R. 29
 settembre  1973,  n.  601,  nonche'  di  quelli  con  regime  fiscale
 equiparato,  emessi  all'estero  a  decorrere  dal 10 settembre 1992,
 indipendentemente dalla scadenza".
     "3-bis) i soggetti indicati nel primo  comma  dell'art.  23,  che
 corrispondono  i  proventi  di  cui  alle lettere g-bis) e g-ter) del
 comma 1 dell'art. 41  del  testo  unico  delle  imposte  sui  redditi
 approvato  con  d.P.R.  22 dicembre 1986, n. 917, ovvero intervengono
 nella loro riscossione operano sui predetti proventi una ritenuta con
 l'aliquota del 12,50 per cento ovvero con la maggiore aliquota a  cui
 sarebbero  assoggettabili  gli interessi ed altri proventi dei titoli
 sottostanti  nei  confronti  dei  soggetti  cui  siano  imputabili  i
 proventi  derivanti  dai rapporti ivi indicati. Nel caso dei rapporti
 indicati nella lettera g-bis), la predetta ritenuta  e'  operata,  in
 luogo  della  ritenuta di cui al comma 3, anche sugli interessi e gli
 altri  proventi  dei  titoli  ivi  indicati,  maturati nel periodo di
 durata dei predetti rapporti".
   Il comma 4 individua i soggetti  nei  cui  confronti  le  ritenute,
 previste  nei commi da 1 a 3-bis, devono essere applicate a titolo di
 acconto, quelli nei cui confronti devono essere applicate a titolo di
 imposta e quelli nei cui confronti esse non devono essere applicate.
   Nell'individuare i soggetti nei cui confronti le suddette  ritenute
 devono  applicarsi  a titolo d'imposta, il terzo periodo del comma 4,
 cui si riferisce la norma interpretativa impugnata,  stabilisce  che:
 "Le predette ritenute sono applicate a titolo d'imposta nei confronti
 dei soggetti esenti dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche
 ed in ogni altro caso".
   In   ordine   all'applicabilita'  dell'Irpeg  nei  confronti  delle
 regioni, il d.P.R. 22 dicembre 1986, n.  917,  recante  "Approvazione
 del  testo  unico  delle  imposte  sui  redditi",  all'art.  88, come
 sostituito dal d.-l. n. 310/1990, stabilisce che  "Gli  organi  e  le
 amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo,
 anche  se  dotati di personalita' giuridica, i comuni, i consorzi tra
 enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demani collettivi,
 le comunita' montane, le province e  le  regioni  non  sono  soggetti
 all'imposta".
   Le  regioni,  dunque,  ai sensi di tale disposizione, sono soggetti
 esclusi dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche.
   A seguito della sostituzione dell'art. 88 del d.P.R.  n.  917/1986,
 l'amministrazione  finanziaria,  in un primo momento, con risoluzione
 ministeriale n. 8/645 dell'8 gennaio 1993, aveva  chiarito  che  "per
 effetto  delle modifiche apportate all'art. 88 del T.U. delle imposte
 sui redditi, approvato con d.P.R. n. 917/1986, dall'art. 4 del  d.-l.
 31  marzo  1990,  n. 310, convertito con modificazioni dalla legge 22
 dicembre 1990 n. 403, i comuni, le province, le comunita'  montane  e
 le  regioni,  non  essendo  piu'  soggetti  all'Irpeg e all'Ilor, non
 debbono subire ritenute per tali imposte,  fermo  restando  l'obbligo
 per  essi  di  operare  le  ritenute,  sui  contributi  corrisposti a
 soggetti diversi, ai sensi dell'art. 28 del d.P.R. 29 settembre 1973,
 n. 602".
   Il  mutato  quadro  normativo  descritto,  nonche'   l'orientamento
 assunto  dall'amministrazione  finanziaria con la risoluzione citata,
 hanno indotto la regione Lombardia, a partire dal 1991, ad instaurare
 una serie di  controversie  contro  la  Direzione  regionale  per  le
 entrate,  allo  scopo  di  ottenere  il rimborso delle ritenute Irpeg
 operate sugli interessi bancari e postali.
   Di fronte alle richieste della regione  Lombardia,  la  Commissione
 tributaria  provinciale  di  primo grado si e' orientata nel senso di
 riconoscere il diritto della stessa al rimborso delle ritenute  Irpeg
 subite.
   A  tal  proposito,  con  sentenza  n.  333 del 28 dicembre 1994, la
 Commissione tributaria di primo grado, Milano, sez.  34,  accogliendo
 il  ricorso  presentato dalla regione Lombardia per il rimborso delle
 ritenute effettuate  negli  anni  1991-1992,  ha  cosi'  motivato  la
 propria  decisione:   "Preliminarmente questa Commissione osserva che
 il comma  1  dell'art.    88  del  d.P.R.  n.  917/1986,  cosi'  come
 modificato  dall'art.  4 del d.-l. 31 marzo 1990, n. 310, convertito,
 con modificazioni, dalla legge  22  dicembre  1990,  n.  403,  e  con
 effetto   dal   1   gennaio  1991,  statuisce  la  non  soggettivita'
 all'imposizione  diretta  degli  organi  delle  amministrazioni dello
 Stato comprese le  regioni.  Tale  esclusione,  di  sicuro  carattere
 innovativo in quanto statuente l'esenzione dall'Irpeg e dall'Ilor dei
 redditi prodotti dalle regioni, definisce, cosi' come ricordato dalla
 ricorrente   in   memoria  difensiva,  un'esclusione  soggettiva  che
 prescinde da qualsiasi condizione oggettiva quale ne sia la natura  o
 la  provenienza.  In tal senso si e' pronunciata anche la Commissione
 tributaria di 1 di Roma, sez. 15, circa il rimborso  di  ritenute  su
 proventi   da   titoli   del  debito  pubblico  operate  dall'Azienda
 municipale  Nettezza  urbana  di  Roma;  ed  a  tale  deciso,  questa
 Commissione si uniforma ...".
   Dello  stesso tenore e' la successiva sentenza n. 146/1/1995 del 13
 febbraio 1996, con la quale la Commissione tributaria di primo grado,
 Milano, sez.  1,  accoglieva  il  ricorso  presentato  dalla  regione
 Lombardia  ai  fini  del rimborso delle ritenute su interessi e altri
 redditi operate nell'anno 1993.
   Quanto alle ritenute effettuate nel 1994,  a  seguito  del  ricorso
 presentato   dalla   regione  Lombardia  ai  fini  del  rimborso,  la
 Commissione tributaria di primo grado, Milano, sez. I,  con  sentenza
 40/1/97  del  4  febbraio  1997,  ribadiva che: "L'imposizione cui la
 regione Lombardia e' stata assoggettata e' illegittima  e  violatrice
 dell'art.  88 del d.P.R. n. 917/1986 che, al primo comma, stabilisce,
 in deroga ai principi generali, l'esclusione  soggettiva  degli  enti
 pubblici  territoriali;  l'esclusione e' soggettiva e indipendente da
 qualsiasi condizione oggettiva del reddito. Di uguale avviso e' altra
 sentenza pronunciata da altra sezione di  questa  Commissione  di  1,
 sentenza  passata  in  cosa  giudicata  non avendo l'ufficio proposto
 appello".
   Con sentenza n. 215/1/1998, infine, la  Commissione  tributaria  di
 primo  grado,  Milano, sez. I, ha accolto il ricorso presentato dalla
 regione Lombardia per il rimborso delle ritenute effettuate nel 1995,
 con motivazione analoga a quelle precedenti.
   Sono inoltre, ancora in corso, i giudizi instaurati  dalla  regione
 Lombardia  allo  scopo di ottenere il rimborso delle ritenute operate
 negli anni successivi.
   Non va, inoltre, sottovalutato che, in data 28  dicembre  1993,  il
 Ministero  delle  finanze,  di  fronte  alle  numerose  richieste  di
 rimborso avanzate dagli enti locali  -  e  con  l'evidente  scopo  di
 sottrarsi   all'obbligo  di  ulteriori  rimborsi  -  ha  adottato  la
 risoluzione 5/846, nella quale ha  affermato  che  nella  risoluzione
 8/645  "si era fatto generico riferimento ai redditi di capitale e ai
 dividendi, senza fornire alcun particolare chiarimento in  ordine  al
 regime  applicabile  agli  interessi  derivanti  da  depositi e conti
 correnti bancari e postali intestati  agli  enti  in  oggetto".    In
 sostanza,  secondo  tale  risoluzione  ministeriale,  il  legislatore
 avrebbe inteso assoggettare al prelievo alla fonte gli interessi  non
 solo  nel  caso in cui il percettore sia un soggetto esente, ma anche
 nel caso in cui sia escluso dall'ambito soggettivo  dell'applicazione
 delle  imposte  sui redditi, "in quanto l'espressione della norma 'in
 ogni altro caso' vale evidentemente anche per i  casi  di  esclusione
 dall'ambito soggettivo di applicazione dell'imposta sui redditi".
   L'interpretazione   ministeriale,   tuttavia,  non  ha  minimamente
 intaccato  l'orientamento   ormai   costante   della   giurisprudenza
 tributaria,  la  quale,  come  documentato dalle decisioni citate, ha
 continuato a sostenere la tesi dell'inapplicabilita' della ritenuta a
 titolo  d'imposta  sugli  interessi  ed  altri  frutti dei redditi di
 soggetti esclusi dall'imposta stessa.  Successivamente, e in coerenza
 con il nuovo orientamento assunto dal  Ministero  delle  finanze,  e'
 intervenuta  la  legge  18  febbraio 1999, n. 28, che all'art. 14, ha
 disposto che il terzo periodo del comma 4 dell'art. 26 del d.P.R.  n.
 600/1973,   riguardante   l'applicazione   della  ritenuta  a  titolo
 d'imposta sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e
 titoli similari e sui conti correnti, "deve intendersi nel senso  che
 tale  ritenuta  si  applica  anche nei confronti dei soggetti esclusi
 dall'imposta  sul  reddito   delle   persone   giuridiche".      Tale
 disposizione,  per le conseguenze che e' suscettibile di comportare a
 danno della regione  Lombardia,  anche  con  riferimento  ai  giudizi
 ancora  in  corso,  risulta  costituzionalmente  illegittima  nonche'
 lesiva dell'autonomia costituzionalmente riconosciuta  alle  regioni,
 per i seguenti motivi;
                             D i r i t t o
   1.  -  Violazione del combinato disposto degli artt. 114, 115, 119,
 53 e 76 della Costituzione, in relazione all'art. 88  del  d.P.R.  22
 dicembre  1986,  n.  917, recante "Approvazione del testo unico delle
 imposte sui redditi", ai principi della legislazione tributaria, e ai
 principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale in materia  di
 leggi interpretative.
   Dall'esame  della giurisprudenza costituzionale in materia di leggi
 interpretative, risulta che il giudizio di codesta  ecc.ma  Corte  e'
 stato  costantemente  incentrato,  in  primo luogo, sulla valutazione
 dell'astratta   riconducibilita'   del    contenuto    della    legge
 interpretativa   ad   uno   dei  possibili  significati  della  legge
 interpretata: dall'assenza di tali condizioni, codesta  ecc.ma  Corte
 ha  poi  fatto  conseguire  la pronuncia di incostituzionalita' delle
 leggi interpretative  impugnate  (cfr.  Corte  cost.  77/64;  175/74;
 187/81; 91/88).
   Il  giudizio sulle leggi interpretative e' stato, in secondo luogo,
 condotto da codesta ecc.ma Corte in ordine alla possibilita'  che  le
 disposizioni  introdotte da tali leggi potessero rivelarsi lesive, di
 per se', a prescindere dalla loro  natura  di  norme  interpretative,
 delle  disposizioni e dei principi costituzionali (cfr. sentt. 240/94
 e 321/98).
   Gli orientamenti assunti dalla giurisprudenza  costituzionale  sono
 stati  condivisi  anche  dalla dottrina, in base alla quale il potere
 del legislatore di utilizzare lo strumento della legge interpretativa
 non deve considerarsi illimitato: il legislatore, infatti, e'  tenuto
 a  rispettare  il  principio di affidabilita' o di ragionevolezza, di
 talche' sarebbero possibili  solo  quelle  leggi  interpretative  che
 diano   alla   disposizione   interpretata  un  significato  ad  essa
 ragionevolmente  riconducibile,  o  comunque  tale  da  poter  essere
 prospettato  dai  destinatari  della  disposizione  (cfr.  sentt.  n.
 175/74, ove si parla di "ragionevole interpretazione").
   A tal proposito, codesta ecc.ma Corte, con sentenza 3  marzo  1988,
 n.  233,  nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale di una legge
 della   regione   Puglia   che,   autoqualificandosi    come    legge
 interpretativa  e  formulata come una legge interpretativa, estendeva
 la decorrenza della progressione economica accelerata, gia'  prevista
 per  il  personale di ruolo che all'epoca era in posizione di comando
 presso  la  regione,  a  favore  dei dipendenti dei gruppi consiliari
 allora legati  alla  regione  da  un  rapporto  di  diritto  privato,
 affermava  in  motivazione  "la  legge impugnata - anziche' desumere,
 enucleare o  escludere  un  qualche  significato  gia'  insito  nella
 disposizione   interpretata   -  interviene  sul  testo  legislativo,
 aggiungendo una diversa  disposizione  altre  parole,  riferendosi  a
 soggetti sicuramente diversi da quelli contemplati nella disposizione
 che  si  asserisce "interpretata", la legge impugnata, sotto la veste
 surrettizia di una norma di interpretazione  autentica,  modifica  in
 realta'  la  precedente  disposizione, estendendo ad altri soggetti i
 benefici ivi previsti".
   A  tali  conclusioni  codesta  ecc.ma  Corte  perveniva  dopo  aver
 precisato  che  la  qualificazione  giuridica di legge interpretativa
 "spetta a quelle leggi o a quelle  disposizioni  che,  riferendosi  e
 saldandosi con altre disposizioni (quelle interpretate), intervengono
 esclusivamente  sul  significato  normativo  di  queste ultime (senza
 percio', intaccarne o integrarne il  dato  testuale),  chiarendone  o
 esplicitandone il senso (ove considerato oscuro), ovvero escludendone
 o  enucleandone  uno  dei  sensi ritenuti possibili, al fine, in ogni
 caso, di imporre all'interprete un determinato significato  normativo
 della disposizione interpretata" (sent. 3 marzo 1988, n. 233).
   Nella sentenza 4 aprile 1990, n. 155, inoltre, codesta ecc.ma Corte
 affermava:   "In  conformita'  ad  una  costante  giurisprudenza,  va
 riconosciuto carattere interpretativo  soltanto  ad  una  legge  che,
 fermo  il  tenore  testuale della norma interpretata, ne chiarisce il
 significato  normativo   ovvero   privilegia   una   tra   le   tante
 interpretazioni  possibili,  di  guisa che il contenuto precettivo e'
 espresso nella coesistenza  delle  due  norme  (quella  precedente  e
 l'altra successiva che ne esplica il significato), le quali rimangono
 entrambe   in   vigore   sono   anche  idonee  ad  essere  modificate
 separatamente".
   1.1. -  Alla  luce  dei  principi  elaborati  dalla  giurisprudenza
 costituzionale  in  materia,  va,  in  primo  luogo,  considerata  la
 conformita'  della  disciplina  asseritamente   interpretativa   alle
 disposizioni   costituzionali,   ivi   compreso   il   principio   di
 ragionevolezza.
   Va, cosi', ricordato che l'art.  88  del  T.U.  delle  Imposte  sui
 redditi, cosi' come sostituito dall'art. 4 del d.-l. 31 marzo1990, n.
 310,  ha  stabilito  che gli organi e le amministrazioni dello Stato,
 compresi  quelli  ad  ordinamento  autonomo,  anche  se   dotati   di
 personalita'  giuridica,  i  comuni,  i  consorzi tra enti locali, le
 associazioni e gli enti gestori di demani  collettivi,  le  comunita'
 montane, le province e le regioni "non sono soggetti all'imposta".
   Si  tratta,  come risulta anche dalla lettera di tale disposizione,
 di  una  chiara  ipotesi  di  esclusione  dei   soggetti   menzionati
 dall'applicazione  dell'Irpeg: in ragione della loro natura giuridica
 e allo scopo di snellire i rapporti tra lo Stato e gli  enti  locali,
 il  legislatore,  come  confermato  dalla dottrina prevalente e dalla
 giurisprudenza tributaria, ha privato totalmente della  soggettivita'
 tributaria ai fini Irpeg tali enti, i quali, al pari dello Stato, non
 integrano   piu'   alcun   presupposto   soggettivo  di  applicazione
 dell'imposta.
   Va,  a  tal  proposito  ricordato che, mentre le norme di esenzione
 rientrano nella piu' ampia categoria delle norme agevolative, potendo
 il  beneficio  consistere,  anziche'  nella  totale  sottrazione   al
 prelievo, nell'assoggettamento a quest'ultimo in misura ridotta o con
 modalita'  meno  gravose  in  punto  di attuazione del corrispondente
 rapporto obbligatorio, le norme che prevedono le esclusioni assolvono
 al diverso compito di concorrere con la norma  base  a  delimitare  i
 confini della fattispecie impositiva; ne discende che tali norme sono
 prive  di una reale autonomia e, lungi dall'essere giustificate da un
 intento   agevolativo,   esprimono   la   scelta   concretamente    e
 complessivamente  operata  dal  legislatore,  al  fine  della  esatta
 individuazione dei  fatti  che  il  medesimo  vuole  colpire  con  un
 determinato tributo.
   Quanto  alla  possibilita'  dell'applicazione nei confronti di tali
 soggetti della ritenuta alla fonte, va sottolineato che, in  base  ai
 principi  propri  della  legislazione  tributaria,  la  posizione  di
 "contribuente sostituito", postula necessariamente  la  soggettivita'
 ai  fini  dell'imposta: se ne deduce che, in difetto, la ritenuta non
 puo' essere applicata (cfr. a tal  proposito  A.  Fantozzi,  "Diritto
 tributario", 1991; R. Lupi, "Diritto tributario", 1992).
   L'esclusione  deriva,  quindi,  dalla natura di ente politico ed e'
 pertanto direttamente collegata con il grado di autonomia finanziaria
 degli enti considerati: autonomia  finanziaria  che  nel  caso  delle
 regioni ha chiaramente rango costituzionale. Ne risulta cosi' violato
 l'art. 119 della Costituzione.
   1.2.  -  Non  va, peraltro, sottovalutata la circostanza che l'art.
 26 del d.P.R. n. 600/1973, vale a dire  la  disposizione  oggetto  di
 interpretazione  autentica,  deve dettare esclusivamente disposizioni
 in ordine  all'applicazione  dell'imposta,  non  potendo  attrarre  a
 tassazione cio' che la disciplina istitutiva esclude; e cio' non solo
 perche'  esplicitamente  reca  "Disposizioni  comuni  in  materia  di
 accertamento delle imposte sui redditi", ma anche perche'  il  d.P.R.
 n.  600/1973 e' stato emanato in attuazione di una delega relativa al
 solo accertamento e non anche alla potesta' impositiva.
   Al contrario, per effetto  dell'interpretazione  dettata  dall'art.
 14 della legge n. 28/1999, l'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 assume il
 carattere di norma impositiva.
   L'intrinseca   contraddittorieta'   del   sistema   risultante  dal
 combinato disposto dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 e dell'art. 14
 della legge n. 28/1999 non puo' sfuggire: attraverso una disposizione
 in materia di  riscossione  si  viene,  infatti,  a  determinare  una
 sostanziale  reviviscenza  della  soggettivita' tributaria esclusa da
 una norma di diritto sostanziale.
   1.3. - Con riferimento  al  generale  tema  della  riconducibilita'
 della  norma  interpretativa alla norma interpretata, essa va esclusa
 per le ragioni qui di seguito esposte.
   L'art. 26, comma 4, terzo periodo, del d.P.R. n.  600/1973  dispone
 testualmente: "Le predette ritenute sono applicate a titolo d'imposta
 nei  confronti  dei  soggetti  esenti  dall'imposta sul reddito delle
 persone giuridiche ed in ogni altro caso".
     Una lettura non approfondita del disposto dell'art. 26,  che  non
 tenga  conto  dei  principi  della legge di delega, nonche' di quelli
 della legislazione tributaria - in particolare della distinzione  tra
 esenzioni  ed  esclusioni,  nonche'  del  concetto  di  soggettivita'
 tributaria -, potrebbe far  pensare  che  nell'espressione  "in  ogni
 altro  caso",  di  cui  all'art. 26, si possano far rientrare anche i
 soggetti esclusi dall'imposta.
    Va, a  tal  proposito,  preliminarmente  ricordato  che  la  legge
 delega,  nel  prevedere  la ritenuta (a titolo d'acconto o d'imposta)
 sui redditi di capitale corrisposti esclusivamente a soggetti Irpeg o
 a soggetti esenti, aveva  dimostrato  la  chiara  intenzione  di  non
 assoggettare al prelievo alla fonte i soggetti esclusi dal tributo.
    L'art.   10   della   legge  9  ottobre  1971,  n.  825,  infatti,
 nell'individuare, al comma 2, i principi della delega,  al  punto  5,
 attribuiva   al   legislatore   delegato  il  compito  di  stabilire:
 "l'estensione del sistema di ritenuta  alla  fonte,  con  obbligo  di
 rivalsa,  in  acconto  delle  imposte  sui  redditi.  La misura della
 ritenuta sara' adeguata, ove possibile, alla situazione personale del
 soggetto, anche ai fini dell'eventuale  esonero  dalla  dichiarazione
 annuale.  Per i redditi indicati al n.  3) dell'art. 9, corrisposti a
 soggetti diversi dalle persone fisiche, la ritenta sara' applicata, a
 titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche e
 dell'imposta locale sui redditi, nelle stesse ipotesi e con le stesse
 aliquote della ritenuta a titolo d'imposta stabilita per  le  persone
 fisiche.  Per  gli  stessi  redditi  corrisposti  a  soggetti  esenti
 dall'imposta sul reddito  delle  persone  giuridiche  e  dall'imposta
 locale  sui  redditi  la  ritenuta  sara'  invece  applicata a titolo
 d'imposta. Potranno essere previste particolari ritenute per  redditi
 corrisposti a non residenti".
   Va,  in  secondo luogo, sottolineato che ad una lettura sistematica
 dell'intero art. 26 non sfugge che esso, nel disporre in ordine  alle
 ritenute  sugli  interessi  e  sui redditi di capitale, presuppone la
 soggettivita' tributaria degli incisi.
    Dall'esame attento del quarto comma dell'art. 26, inoltre, risulta
 che tale disposizione mira a completare, all'interno del  novero  dei
 soggetti d'imposta, l'elenco delle tipologie di soggetti Irpeg fino a
 quel momento non espressamente menzionati.
   Se,  infatti,  l'intenzione  del  legislatore fosse stata quella di
 introdurre  con  l'espressione  "in  ogni  altro  caso"   presupposti
 "atipici"  dell'imposizione,  che giustificazione avrebbe la menzione
 espressa dei soggetti "esenti"?
   D'altro canto, appare illogico, nonche'  contradittorio,  escludere
 gli enti di cui all'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986 dall'Irpeg per poi
 sottoporli  di  nuovo  alla  ritenuta indubbiamente onerosa, prevista
 dall'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973.
   Ne  risulta   cosi'   dimostrata   la   violazione   dei   principi
 tradizionalmente  affermati  dalla  giurisprudenza  costituzionale in
 materia di leggi interpretative.
   Alla luce delle considerazioni esposte si puo'  allora  sicuramente
 ribadire  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14 della legge n.
 28/1999, per tre ordini di ragioni.
   In primo luogo in quanto tale disposizione pretende di interpretare
 l'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 in violazione del combinato disposto
 degli artt. 14, 115, 119 e 53 della Costituzione, cosi' come  attuati
 dall'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986.
   A  che  titolo,  infatti,  possono ritenersi applicabili ritenute a
 titolo  d'imposta  sugli  interessi,  premi  ed  altri  frutti  delle
 obbligazioni  e titoli similari e sui conti correnti nei confronti di
 soggetti esclusi dall'applicazione dell'imposta stessa?
   .Nel  caso  di  specie, infatti, il legislatore, non ha operato nei
 confronti dei soggetti di cui all'art. 88 del d.P.R. n.  617/1986  un
 trattamento  derogatorio,  quale  e'  istituzionalmente  l'esenzione,
 bensi' ha voluto porre tali enti, in ragione della loro natura, su un
 piano di irrilevanza soggettiva assoluta, al pari dello Stato.
   Se, dunque, l'art. 26,  comma  4,  terzo  periodo,  del  d.P.R.  n.
 600/1973,  nel prevedere la ritenuta Irpeg nei confronti dei soggetti
 esenti, dispone legittimamente in quanto l'esenzione puo' concretarsi
 anche nell'assoggettamento al prelievo in misura ridotta, altrettanto
 non puo' ritenersi in ordine all'interpretazione  autentica  di  tale
 disposizione  dettata  dall'art. 14 della legge n. 28/1999, in ordine
 ai soggetti esclusi.
   L'art. 14 della legge n. 28/1999, infatti, attribuisce al comma  4,
 terzo  periodo, dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973 un significato ad
 essa non  ragionevolmente  riconducibile,  che  non  rientra  tra  le
 possibili  interpretazioni  di  tale  norma,  in  quanto  escluso dal
 combinato disposto degli artt. 114,115, 119 e 53  della  Costituzione
 cosi' come attuati dalla legislazione tributaria.
   Sotto tale profilo, anzi, la norma impugnata appare intrinsecamente
 viziata  di  illegittimita'  costituzionale  a  prescindere dalla sua
 natura di norma interpretativa (cfr. a tal  proposito,  Corte  cost.,
 sentt. 10 giugno 1994, n. 240 e 24 luglio 1998, n. 321).
   In  secondo  luogo  non  e'  sostenibile la riconducibilita' di una
 norma  interpretativa  di  natura  impositiva  -  che  determina   la
 reviviscenza  della  soggettivita' tributaria esclusa da una norma di
 diritto sostanziale, ad una norma, quella interpretata,  che  dispone
 in materia di accertamento e riscossione.
   In  terzo  luogo  l'interpretazione  autentica dettata dall'art. 14
 della legge n. 28/1999 risulta esclusa dal  disposto  della  legge  9
 ottobre  1971,  n.  925,  nonche'  dall'interpretazione sistematica e
 letterale dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973.
   2. - Violazione dell'art.  101,  comma  2,  della  Costituzione  in
 relazione  ai  principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale
 in materia di leggi interpretative.
   L'interpretazione autentica dettata dall'art.  14  della  legge  n.
 28/1999   contrasta,   inoltre,   con  l'orientamento  assunto  dalla
 giurisprudenza tributaria sulla questione in oggetto.
    A tal proposito, recentemente, la  Commissione  provinciale  delle
 imposte di Roma ha stabilito che: "L'art. 88 del Tuir ha previsto una
 ipotesi  di  "esclusione" e non anche di semplice "esenzione" da ogni
 rilevanza  Irpeg,  dei  soggetti  ivi  menzionati.  Tale   esclusione
 comporta  quindi,  necessariamente,  l'illegittimita'  delle ritenute
 eventualmente operate sugli interessi bancari spettanti alle  aziende
 municipalizzate,  non  potendosi  ammettere che una mera modalita' di
 riscossione dell'imposta (ritenuta del sostituto) possa  alterare  il
 presupposto  originario  del  tributo  a  tal  punto da modificare la
 soggettivita' impositiva del sostituito" (Comm. imp. prov.le sez.  I,
 Roma, 16 febbraio 1996, n. 36; cfr. anche  Comm.  imp.  prov.le  sez.
 Il, Roma, 26 gennaio 1996).
   Anche  nella  giurisprudenza  degli  anni precedenti si legge: "nei
 confronti del comune, soggetto esente da Irpeg,  ai  sensi  dell'art.
 88  d.P.R.  n.  917  del  1986,  non  vanno  effettuate  le  ritenute
 d'imposta, di cui all'art. 26 d.P.R. n. 600 del 1973, sui redditi  di
 capitale".   (Comm. imp. prov.le sez. I, Bolzano, 6 novembre 1995, n.
 298; cfr anche Comm. imp. prov.le sez. I, Bolzano, 6  novembre  1995,
 n.  297);  e  ancora che: "Non sono assoggettabili alla ritenuta alla
 fonte prevista dall'art. 26 del d.P.R. n. 600 del 1973 gli  interessi
 sui  depositi  e  sui  conti  correnti  bancari e postali di regioni,
 province,   comunita'   montane,   comuni    e    relative    aziende
 municipalizzate.  L'ambito soggettivo di tale ritenuta, contenuto nel
 comma 4 di  detta  disposizione,  non  comprende,  infatti,  anche  i
 soggetti  esclusi  dall'ambito  applicativo  dell'Irpeg. Pertanto, le
 ritenute sui proventi finanziari degli enti locali e delle rispettive
 aziende municipalizzate  debbono  considerarsi  illegittime."  (Comm.
 imp. distr.le sez. XL, Roma, 5 novembre 1994, n. 661).
   Vanno,  inoltre,  ricordate le sentenze con le quali la Commissione
 tributaria  di  1  della  provincia  di  Milano  ha  riconosciuto  la
 fondatezza   delle  richieste  di  rimborso  avanzate  dalla  regione
 Lombardia, nelle quali e' stato sostanzialmente ribadito il principio
 in base al quale, prevedendo l'art. 88 del d.P.R. n. 917/1986 per gli
 enti pubblici territoriali una  forma  di  esclusione  dalI'Irpeg  di
 natura  soggettiva  e,  in  quanto  tale  indipendente  da  qualsiasi
 condizione oggettiva del reddito,  l'applicazione  nei  confronti  di
 tali  enti  della  ritenuta di cui all'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973
 deve ritenersi illegittima e in violazione dell'art. 88 citato.
   Anche,  sulla  base  del  costante   orientamento   assunto   dalla
 giurisprudenza   tributaria,  dunque,  la  non  applicabilita'  delle
 ritenute di cui all'art.  26 del d.P.R. n. 600 del 1973 nei confronti
 delle regioni discende direttamente dal  disposto  dell'art.  88  del
 T.U.  delle  Imposte  sui redditi, che esclude dalla soggettivita' ai
 fini Irpeg gli enti ivi indicati.
   Alla  luce  delle  affermazioni  della  giurisprudenza   tributaria
 appare,   quindi,   evidente  l'irragionevolezza  della  disposizione
 impugnata:    e'  palesemente  contraddittorio,   illogico,   nonche'
 contrario ai principi del diritto tributario, infatti, assoggettare a
 ritenuta  a  titolo  d'imposta gli interessi, i premi ed altri frutti
 delle obbligazioni e titoli similari e sui conti correnti spettanti a
 soggetti che sono esclusi dall'applicazione dell'imposta stessa.
   La disposizione  dettata  dall'art.  14  della  legge  n.  28/1999,
 pertanto,   non   trova   alcun  fondamento  ragionevole  ne'  appare
 giustificata dalla necessita'  di  dover  dare  attuazione  ad  alcun
 principio costituzionale.
   Essa  appare,  al  contrario,  finalizzata  a  bloccare le numerose
 richieste di rimborso avanzate dagli  enti  locali  a  seguito  della
 intervenuta  esclusione  degli  stessi dall'applicazione dell'imposta
 sui redditi delle persone giuridiche e ad incidere,  di  conseguenza,
 sui giudizi ancora in corso.
   In  quanto  tale,  la  disposizione  impugnata  si pone in evidente
 contrasto con i principi affermati da codesta ecc.ma Corte in  ordine
 alle leggi interpretative in quanto appare con evidenza finalizzata a
 ledere il giudicato formatosi in ordine all'interpretazione dell'art.
 26,  comma  4, terzo periodo, del d.P.R. n. 600/1973 e ad interferire
 sui giudizi ancora in corso.
   A tal proposito va ricordato che codesta ecc.ma Corte,  chiamata  a
 pronunciarsi  in  ordine alla legittimita' costituzionale della legge
 approvata     dall'Assemblea     regionale     siciliana,     recante
 "Interpretazione  autentica  dell'art. 1 della l.r. 8/56, concernente
 indennita'  mensile e rimborso spese per missioni al presidente della
 regione ed  agli  assessori",  che,  con  interpretazione  autentica,
 estendeva  al  presidente  e  alla  giunta  regionale  il trattamento
 tributario  privilegiato  per  Irpef  riservato  ai  consiglieri,  ha
 dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  di  tale  legge, con la
 seguente  motivazione:  "Nell'ordinamento  statale   il   trattamento
 tributario   privilegiato   per  Irpef,  secondo  cui  le  indennita'
 percepite dai membri del Parlamento, dai consiglieri delle regioni  a
 statuto  speciale,  nonche'  degli investiti a cariche elettive, sono
 assimilati a redditi di lavoro  dipendente  e  costituiscono  reddito
 nella  misura  del  40%  del  loro  ammontare al netto dei contributi
 previdenziali, non riguarda i membri del Governo. La Corte dei conti,
 sez. controllo, con delibera 13 febbraio 1975, ha rifiutato il  visto
 e  registrazione  a  due  decreti  del  presidente della regione che,
 facendo  applicazione  dell'art.  1  della  l.r.  n.  8   del   1956,
 sottraevano al normale regime di tassazione le indennita' corrisposte
 ai  membri  della  giunta. La legge 21 dicembre 1977 risulta adottata
 proprio per superare tale ostacolo configurando, con palese sviamento
 di potere, la legge come interpretativa per sfuggire al  controllo...
 Avendo  la  Corte  dei  conti  negato l'equiparazione nel trattamento
 privilegiato ai membri del governo regionale, stante la  peculiarita'
 derogatoria  del regime di tassazione previsto per i parlamentari, si
 escogito' l'espediente della legge di interpretazione  autentica  per
 estendere  l'ambito  di  detta  deroga,  sostituendo  all'espressione
 "indennita' mensile lorda" quella "misura mensile  netta".  Difettano
 pertanto  gli  estremi  della legge di interpretazione autentica: sia
 perche' sostantivamente la suddetta legge non interpreta, ma dispone;
 sia perche', essendo sempre stato pacifico il significato della norma
 non  ricorrono  i  presupposti  per  provvedere  al  superamento   di
 contrastanti applicazioni" (sentenza 10 dicembre 1981 n. 187).
   In  particolare,  codesta ecc.ma Corte, nell'escludere che la norma
 impugnata avesse carattere interpretativo, sosteneva in  motivazione:
 "Ma  non  e'  interpretativa  anche per una considerazione di diverso
 ordine. Il legislatore puo' sempre riformare la  disciplina  vigente,
 modificando  la  legge anteriore... Non puo', pero', dirsi che faccia
 egualmente buon uso della potesta' il legislatore che si  sostituisca
 al  potere  cui e' riservato il compito istituzionale di interpretare
 la legge, dichiarandone mediante altra legge l'autentico  significato
 con  valore obbligatorio per tutti e, quindi, vincolante anche per il
 giudice, quando non ricorrano quei casi in cui  una  legge  anteriore
 riveli  gravi  ed  insuperabili  anfibologie  o  abbia  dato  luogo a
 contrastanti applicazioni specie in sede giurisprudenziale".
   Anche successivamente a tale decisione, codesta ecc.ma  Corte,  nel
 decidere   in   ordine  alla  legittimita'  costituzionale  di  leggi
 interpretative,  non  ha  mai  sottovalutato,  ai  fini  del  proprio
 giudizio,  l'eventualita'  che  la  legge  interpretativa fosse stata
 emanata con il fine specifico ed esclusivo di ledere il  giudicato  o
 comunque di interferire nei giudizi in corso.
   Nel  1990,  chiamata  a  pronunciarsi  in  ordine alla legittimita'
 costituzionale dell'art. 3, comma 3, legge 25 febbraio 1987,  n.  67,
 codesta  ecc.ma  Corte affermava: "la legge interpretativa, per vero,
 non viola di per se'  gli  artt.  101,  102  e  104  Cost.,  indicati
 nell'ordinanza  di  rimessione, a meno che essa non leda il giudicato
 gia'  formatosi  o  non  sia intenzionalmente diretta ad incidere sui
 giudizi in corso.   Se queste circostanze,  come  nella  specie,  non
 ricorrono  (per  il  vero il giudice a quo adombra il sospetto di una
 preordinata interferenza, ma  esso  non  e'  suffragato  da  elementi
 consistenti  ed  univoci),  si deve escludere che le attribuzioni del
 potere giudiziario siano vulnerate, in  quanto  il  legislatore  e  i
 giudici agiscono su due piani diversi (sent. 4 aprile 1990, n. 155).
   Nella sentenza 25 luglio 1995, n. 376, inoltre, si legge: "Le leggi
 interpretative  devono  rispondere  ai  principi  di  ragionevolezza,
 coerenza e certezza del diritto, non contrastare con  il  divieto  di
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento,  rispettare  le funzioni
 costituzionalmente riservate al  potere  giudiziario  ed  i  principi
 costituzionali  sul diritto di difesa; non puo' peraltro considerarsi
 in  contrasto  con  i  principi   accennati   una   norma   regionale
 interpretativa, in ordine alla portata dell'obbligo di corresponsione
 dell'indennita'  di  missione  nei confronti di propri funzionari, la
 quale  sia  intervenuta  prima  della   decisione   su   un   ricorso
 straordinario inerente la materia".
   Nel  caso  di  specie  elementi  consistenti  ed  univoci  -  quali
 l'orientamento   assunto    sulla    questione    dalla    prevalente
 giurisprudenza  tributaria,  nonche'  l'evidente  discrepanza  tra la
 risoluzione ministeriale  dell'8  gennaio  1993  n.  8/645  e  quella
 successiva  del  28  dicembre 1993, la n. 5/846 - inducono a ritenere
 che l'introduzione nel nostro ordinamento dell'art. 14 della legge n.
 28/1999 sia stata chiaramente finalizzata ad interferire sui  giudizi
 instaurati  dagli  enti  contemplati  dall'art.    88  del  d.P.R. n.
 917/1986 per il rimborso delle ritenute applicate a  loro  carico  ai
 sensi dell'art. 26 del d.P.R. n. 600/1973.
                               P. Q. M.
   La  regione  Lombardia, come sopra rappresentata e difesa, chiede a
 codesta ecc.ma Corte di  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale
 dell'art.  14 della legge 18 febbraio 1999, n. 28, per violazione del
 combinato disposto degli artt. 114,  115,  119  e  53  e  76  nonche'
 dell'art. 101, comma 2, della Costituzione.
     Roma, addi' 23 marzo 1999
                Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto
 99C0363