N. 148 SENTENZA 26 - 30 aprile 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Occupazione  per causa di pubblica utilita' - Liquidazione del danno
 - Criteri di determinazione - Ambito di  applicazione  -  Riferimento
 alla  giurisprudenza  della Corte di cassazione (v. Cass., sez. I, n.
 6515  del  16  luglio  1991,  n.  7998)  -   Carenza   di   copertura
 costituzionale   della   regola  generale  della  integralita'  della
 riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio arrecato  al
 danneggiato  (cfr.  sentenze nn. 369/1996 e 132/1985) - Temporaneita'
 della norma denunciata - Ragionevolezza  -  Possibilita'  di  diversi
 regimi  espropriativi  e di calcolo dell'indennizzo in relazione alle
 differenti  categorie  di   beni   -   Esclusione   di   esoneri   di
 responsabilita'   per  i  pubblici  funzionari  -  Non  fondatezza  -
 Manifesta inammissibilita'.
 
 (D.-L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma  7-bis,  convertito,
 con  modificazioni,  nella  legge  8  agosto 1992, n. 359, introdotto
 dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 602).
 
 (Cost., artt. 3, 28, 42, terzo comma, 3,  primo  comma,  42,  secondo
 comma,  97,  3,  primo comma, e 97, primo comma, 10, primo comma, 24,
 primo comma, 53, 71, primo comma, 113, primo e secondo comma).
 
(GU n.18 del 5-5-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 5-bis comma
 7-bis del d.-l. 11  luglio  1992,  n.  333  (Misure  urgenti  per  il
 risanamento  della  finanza pubblica), convertito, con modificazioni,
 in legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto  dall'art.  3,  comma  65,
 della  legge  23  dicembre  1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
 della finanza pubblica), promossi con ordinanze emesse il 19 febbraio
 1997 dal giudice istruttore del Tribunale di  Lecce,  il  24  gennaio
 1997  dalla Corte d'appello di Torino, il 16 gennaio 1997 dalla Corte
 d'appello di Reggio Calabria, il 25 febbraio 1997  dal  Tribunale  di
 Latina,  il  21  marzo  1997 dalla Corte d'appello di Cagliari, il 27
 febbraio 1997 (n. 4 ordinanze) dal Tribunale di Lamezia Terme, il  26
 maggio  1997  dal  giudice  istruttore del Tribunale di Torino, il 26
 gennaio 1997 dal  Tribunale  di  Santa  Maria  Capua  Vetere,  il  27
 febbraio  1997  dal  Tribunale  di  Potenza,  il 22 aprile 1997 (n. 2
 ordinanze) dalla Corte d'appello di Firenze, il  21  ottobre  1997  e
 l'11  aprile  1997  dal  Tribunale  di  Bari,  il 20 gennaio 1998 dal
 Tribunale di Lagonegro, il 13 febbraio 1998 dal Tribunale di Potenza,
 il 19 febbraio 1998 dal Tribunale di Udine, rispettivamente  iscritte
 ai nn. 189, 191, 292, 414, 417, da 423 a 426, 571, 573, 735, 788, 789
 e  889  del  registro ordinanze 1997 e ai nn. 154, 225, 408 e 414 del
 registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica  nn.  16,  17,  23, 28, 38, 44 e 47, prima serie speciale,
 dell'anno 1997 e nn.  2, 12, 14 e 24, prima serie speciale, dell'anno
 1998.
   Visti gli atti di costituzione di Martelli Lorenzo ed altra,  Cauli
 Giovannino  e  Siciliani  Teresa  nonche'  gli atti di intervento del
 Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 13 ottobre 1998 il giudice relatore
 Riccardo Chieppa;
   Uditi gli avvocati Ercole Romano per  Martelli  Lorenzo  ed  altra,
 Giorgio  Piras  jr.  per  Cauli  Giovannino,  Costantino  Ventura per
 Siciliani Teresa e l'Avvocato  dello  Stato  Sergio  Laporta  per  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Il giudice istruttore del Tribunale di Lecce, nel corso di un
 procedimento civile avente ad oggetto il risarcimento  dei  danni  da
 occupazione  appropriativa,  con ordinanza del 19 febbraio 1997 (r.o.
 n.  189  del  1997),   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996,
 n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) -  recte:
 dell'art.  5-bis comma 7-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure
 urgenti per il risanamento della finanza pubblica),  convertito,  con
 modificazioni,   nella  legge  8  agosto  1992,  n.  359,  introdotto
 dall'art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 1996 - che testualmente
 prevede che "in caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di
 pubblica utilita', intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si
 applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione
 dell'indennita'  di  cui  al  comma  1  (quelli  cioe'  relativi alla
 indennita' di esproprio), con esclusione della riduzione del 40%.  In
 tal  caso,  l'importo del risarcimento e' altresi' aumentato del 10%.
 Le disposizioni di cui  al  presente  comma  si  applicano  anche  ai
 procedimenti   in   corso   non  definiti  con  sentenza  passata  in
 giudicato".
   La norma impugnata, osserva il rimettente, ha avuto  origine  dalla
 sentenza  della Corte costituzionale n. 369 del 1996, con la quale e'
 stata  dichiarata  la  illegittimita'  costituzionale  del  comma   6
 dell'art.  5-bis  del  d.-l.  11 luglio 1992, n. 333, convertito, con
 modificazioni, nella legge 8 agosto 1992,  n.  359,  come  sostituito
 dall'art.  1,  comma  65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, nella
 parte in cui applicava  al  risarcimento  del  danno  da  occupazione
 appropriativa  i criteri di determinazione stabiliti per l'indennizzo
 in caso di espropriazione per  pubblica  utilita'.  Con  la  predetta
 sentenza   si  e'  ritenuta,  infatti,  abnorme  la  riduzione  della
 riparazione in favore del proprietario, in caso di  c.d.  "accessione
 invertita",  fino alla coincidenza con l'indennita' di esproprio, pur
 considerando   astrattamente   possibile,   in   tale   ipotesi,   la
 quantificazione  del  danno  risarcibile in misura inferiore a quello
 reale, ai fini di un "equilibrato componimento" tra l'interesse della
 pubblica amministrazione alla conservazione  dell'opera  di  pubblica
 utilita'  e al contenimento della relativa spesa e quello del privato
 alla riparazione per l'illecito subito.
   Ma,  ad  avviso  del   giudice   a   quo,   siffatto   "equilibrato
 componimento"  non  deve  comprendere  anche l'interesse della p.a. a
 contenere la spesa per il risarcimento, ne' le  esigenze  di  finanza
 pubblica.  Cio' posto, il rimettente ravvisa il contrasto della norma
 censurata con l'art. 42, terzo comma, della  Costituzione,  rilevando
 che  l'indennizzo di cui alla predetta norma costituzionale, previsto
 in caso di espropriazione, presuppone una procedura legittima, mentre
 il risarcimento del danno non potrebbe che essere integrale in quanto
 correlato ad un'attivita' illecita.
   La norma de  qua  recherebbe,  inoltre,  vulnus  all'art.  3  della
 Costituzione,  riconoscendo  in  linea  di  principio  al  privato il
 diritto all'integrale risarcimento,  salvo  che  per  le  occupazioni
 illegittime  "intervenute"  anteriormente  alla data del 30 settembre
 1996, locuzione  tra  l'altro  ambigua,  potendosi  considerare  come
 "intervenute"  sia  le  occupazioni materialmente eseguite attraverso
 l'apprensione del bene, entro il 30 settembre 1996,  quanto  le  sole
 occupazioni  divenute  illegittime  entro la stessa data per scadenza
 del termine. In ogni caso, la entita' del risarcimento previsto dalla
 norma  censurata  sarebbe  eccessivamente   diminuita   rispetto   al
 risarcimento   ordinario  e  maggiorata  in  misura  esigua  rispetto
 all'indennita'  di  esproprio.  Ed  infatti,  la   esclusione   della
 possibilita'  di  riduzione del 40% non avrebbe creato una situazione
 di favore per il danneggiato, ma solo parificato la situazione  della
 occupazione appropriativa a quella della cessione volontaria del bene
 di cui all'art. 5-bis cpv. del d.-l. n. 333 del 1992, convertito, con
 modificazioni,  nella  legge n. 359 del 1992, evitando un trattamento
 addirittura deteriore per chi  sia  sottoposto  alla  prima.  D'altra
 parte, nella ipotesi in esame, ancorando la liquidazione del danno al
 criterio  utilizzato per le indennita' di esproprio, si finirebbe per
 negare  l'applicazione  del  valore  di  mercato  del  bene   oggetto
 dell'occupazione,   sia   pure   ridotto  attraverso  un'applicazione
 aggiornata della legge per il risanamento di Napoli, in  quanto  tale
 criterio  funge da parametro per la liquidazione dell'indennita' solo
 nei  casi  di  edificabilita'  legale  ed  effettiva,  i  quali   non
 costituirebbero  la maggioranza, mentre nelle altre ipotesi, ai sensi
 dell'art. 5-bis comma 4, del d.-l. n. 333 del 1992,  convertito,  con
 modificazioni,  nella  legge  n.  359  del 1992, si fa riferimento al
 valore agricolo.
   Irrisoria, sarebbe,  poi,  la  maggiorazione  del  10%,  la  quale,
 mediata aritmeticamente col reddito dominicale rivalutato, ammonta al
 5% circa del valore reale del bene.
   La norma impugnata si porrebbe, infine, in contrasto con l'art.  28
 della   Costituzione,  risolvendosi  in  un  sostanziale  esonero  da
 responsabilita'  contabile  dei  pubblici  funzionari  ai  quali  non
 potrebbe  addebitarsi a titolo di colpa grave - apparendo eccezionali
 le ipotesi di dolo - la causazione di un danno aggiuntivo  alla  p.a.
 in  termini  reali  del  5%  circa,  bilanciato  dal  soddisfacimento
 dell'interesse alla conservazione dell'opera pubblica.
   2. - Analoghe questioni di legittimita' costituzionale  sono  state
 sollevate,   sia   pure   in  riferimento  a  parametri  parzialmente
 differenti, sulla base di argomentazioni non dissimili da quelle gia'
 riferite.  Alcune di esse introducono, inoltre, peculiari rilievi.
   2.1. - In particolare, la Corte d'appello di Torino, con  ordinanza
 del  24  gennaio  1997 (r.o. n. 191 del 1997), ha impugnato il citato
 comma 7-bis in riferimento agli artt. 3, primo comma, e  42,  secondo
 comma,  della  Costituzione,  sottolineando la quasi totale identita'
 tra tale norma e quella dichiarata costituzionalmente illegittima con
 la citata sentenza n. 369 del 1996,  rispetto  alla  quale  la  prima
 prevede  solo  una  differenza contenuta nella misura del 10% in piu'
 della indennita' dovuta in  conseguenza  di  esproprio  per  pubblica
 utilita',  per  l'ipotesi,  radicalmente diversa, di risarcimento del
 danno da occupazione acquisitiva, misura ritenuta dal giudice  a  quo
 del tutto inadeguata a tutelare il diritto di proprieta'.
   2.2.  -  Alle  predette ordinanze del giudice istruttore di Lecce e
 della Corte d'appello di Torino si e' richiamata la  Corte  d'appello
 di Firenze, che, con due ordinanze emesse il 22 aprile 1997 (r.o.  n.
 788  e  n.  789  del  1997),  ha  sollevato  la medesima questione di
 legittimita' costituzionale del comma  7-bis  citato  in  riferimento
 agli  artt.  3,  primo  comma,  42,  secondo  comma,  28  e  97 della
 Costituzione.
   2.3. - Alla denunciata violazione dei  predetti  parametri  di  cui
 agli  artt.  3, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione,
 anche la Corte d'appello di Reggio  Calabria,  che  ha  sollevato  la
 questione  con  ordinanza del 16 gennaio 1997 (r.o. n. 292 del 1997),
 ha aggiunto il rilievo di incostituzionalita' in riferimento all'art.
 97, primo comma, della Costituzione, per violazione dei principi  del
 buon andamento e della legalita' dell'azione amministrativa.
   Il  giudice  a  quo  ravvisa, inoltre, nella norma in questione, un
 profilo di irragionevolezza intrinseca, con  i  conseguenti  riflessi
 sul   piano   della   violazione   dell'art.  3  della  Costituzione,
 rappresentato dall'assunzione di un limite temporale, il 30 settembre
 1996, alla operativita'  della  disciplina  di  cui  si  tratta,  che
 determinerebbe, altresi', una disparita' di trattamento rispetto alle
 occupazioni illegittime successive a tale data, le quali, in mancanza
 di una nuova disciplina, sarebbero soggette all'integrale ristoro. In
 tal  modo,  tra  l'altro,  il  legislatore dimostrerebbe l'intento di
 regolare in termini diversi  gli  effetti  economici  dell'accessione
 invertita  a  seconda  delle  disponibilita' di bilancio alla fine di
 ciascun esercizio finanziario, cio' che, se puo' avere una sua logica
 in  relazione  alla  indennita'  di   esproprio,   sarebbe,   invece,
 irrazionale in una prospettiva meramente risarcitoria, tanto piu' ove
 si   consideri   che  la  procedura  espropriativa  e'  assistita  da
 specifiche garanzie per il privato, ovviamente carenti  nel  caso  di
 occupazione acquisitiva.
   La  Corte d'appello di Reggio Calabria ravvisa, ancora, nella norma
 de qua un profilo di irragionevolezza estrinseca per la disparita' di
 trattamento cui essa darebbe luogo  rispetto  alla  disciplina  delle
 occupazioni  illegittime  destinate  al  soddisfacimento  di esigenze
 abitative, di cui all'art. 3 della legge 27 ottobre 1988, n. 458,  in
 relazione   alle   quali   la   tutela   risarcitoria   e'  garantita
 integralmente.
   Infine, la Corte rimettente segnala la  disparita'  di  trattamento
 della fattispecie in esame rispetto a quella di occupazione ab initio
 illegittima da parte della p.a. in quanto non assistita neppure dalla
 dichiarazione  di  pubblica  utilita',  o  a  quella  di  occupazione
 inizialmente presidiata da dichiarazione di  pubblica  utilita',  poi
 venuta meno perche' illegittima, ipotesi ritenuta estranea alla nuova
 previsione   normativa,   e   nella   quale   il   privato   potrebbe
 legittimamente aspirare all'integrale risarcimento del danno.
   2.4. - Il Tribunale di Latina, con ordinanza del 25  febbraio  1997
 (r.o. n. 414 del 1997), ha ritenuto la non manifesta infondatezza, in
 riferimento  agli artt. 3 e 42 della Costituzione, della questione di
 legittimita'    costituzionale    della     medesima     disposizione
 sottolineando,  in  particolare, che l'intervento normativo di cui si
 tratta  non  appare,  come  richiesto  dalla  sentenza  della   Corte
 costituzionale  n.  369  del  1996,  ragionevolmente  riduttivo della
 misura della riparazione dovuta in caso  di  occupazione  illegittima
 della  p.a.,  in  quanto  la  liquidazione  del  danno effettuata con
 attribuzione del solo valore mediato  del  suolo  aumentato  del  10%
 sarebbe  l'effetto  di  una  preponderante  valutazione  del concorso
 dell'interesse pubblico, gia' tenuto  presente  nella  determinazione
 dell'effetto  acquisitivo  della  proprieta'  e, pertanto, meritevole
 solo di una ridotta considerazione in sede di risarcimento del danno.
   La norma impugnata, inoltre,  osserva  il  giudice  a  quo,  avendo
 vigore  solo  per  situazioni  gia'  determinatesi  alla  data del 30
 settembre  1996  -  termine,  peraltro,  che  appare  al   rimettente
 incomprensibile   in  quanto  non  correlato  neppure  alla  data  di
 emanazione della legge - si atteggerebbe come  una  tipica  sanatoria
 finanziaria.
   2.5. - Numerosi parametri ulteriori sono stati invocati dalla Corte
 di    appello   di   Cagliari   nel   sottoporre   a   scrutinio   di
 costituzionalita', con ordinanza del 21 marzo 1997 (r.o. n.  417  del
 1997), la norma di cui si tratta.
   Ed  infatti, essa ha ritenuto violati, oltre agli artt. 3 (invocato
 anche sotto  il  profilo  della  disparita'  di  trattamento  tra  le
 situazioni  non  definite  con  sentenza passata in giudicato, cui si
 applica la nuova disciplina, e quelle ormai  non  piu'  contestabili,
 che  sfuggono  alla  stessa),  28, 42 e 97 della Costituzione, per le
 ragioni gia' evidenziate, l'art. 10, primo comma, della Costituzione,
 in  quanto la grave limitazione alla risarcibilita' delle occupazioni
 illegittime  si  porrebbe  in  contrasto  con  gli  artt.  13   della
 convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
 liberta',  e  con  gli artt. 7, 8 e 17 della dichiarazione universale
 dei diritti dell'uomo, che sanciscono il diritto di ogni  persona  al
 rispetto della sua proprieta'.
   E,  se  e' vero che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 369
 del 1996,  ha  affermato  che  la  regola  generale  della  integrale
 riparazione  del  danno  non  gode  di  copertura  costituzionale, il
 collegio  a  quo  ritiene  che  la  riduzione   della   entita'   del
 risarcimento  del  danno  da  fatto  illecito  costituisca una palese
 violazione della effettivita' della tutela giurisdizionale  garantita
 dall'art.  24,  primo  comma,  della Costituzione, a differenza della
 limitazione di  responsabilita'  in  campo  contrattuale,  che  va  a
 costituire  parte  integrante  della  disciplina  legale del rapporto
 contrattuale.
   La Corte rimettente denuncia ancora  il  contrasto  con  l'art.  53
 della Costituzione, atteso che la limitazione del risarcimento al 55%
 del  valore  venale del bene finisce per porre una notevole parte del
 costo dell'opera pubblica a carico del proprietario  dell'area  sulla
 quale  l'opera  deve  essere  costruita,  in violazione del principio
 costituzionale della commisurazione del  concorso  di  ciascuno  alle
 spese pubbliche in ragione della propria capacita' contributiva.
   La  norma esaminata violerebbe, inoltre, gli artt. 71, primo comma,
 e 72, primo comma, della Costituzione, essendo inserita in una  legge
 che  raccoglie  in soli tre articoli un coacervo eterogeneo di norme,
 con il risultato di evitare la presentazione  di  emendamenti,  anche
 attraverso  il  sistema  della fiducia, all'epoca posta su ognuno dei
 tre articoli, in tal modo impedendo che ciascun parlamentare  potesse
 manifestare la propria opinione in ognuno degli articoli.
   Infine,  si sospetta il vulnus all'art. 113, primo e secondo comma,
 della Costituzione, in  quanto  la  norma  impugnata  limiterebbe  la
 pienezza  della  tutela  giurisdizionale  nei confronti di atti della
 p.a.
   2.6. - Anche il Tribunale di Lamezia Terme, con  quattro  ordinanze
 emesse  in  data  27  febbraio  1997  (r.o.  nn. 423-426 del 1997) ha
 invocato i parametri di cui agli artt. 3, 28,  42,  secondo  e  terzo
 comma,   e   97,   primo   comma,   della   Costituzione,   adducendo
 argomentazioni analoghe a quelle gia' riferite.
   2.7. - Le medesime censure riferite agli artt. 3, primo  comma,  42
 secondo  comma,  e  97,  primo  comma,  della Costituzione sono state
 proposte dal Tribunale di  Potenza  nei  confronti  dell'art.  5-bis,
 comma   7-bis,   del   d.-l.   n.  333  del  1992,  (convertito,  con
 modificazioni, nella legge n. 359 del 1992) e dal giudice  istruttore
 del  Tribunale  di Torino (r.o. n. 571 del 1997), da quest'ultimo con
 la  esclusione,  per  quanto  riguarda  gli  artt.  3  e  97,   della
 limitazione al primo comma.
   In  particolare, il Tribunale di Potenza ha posto in evidenza (r.o.
 n. 735 del 1997 e n. 408 del 1998) la disparita' di  trattamento  che
 la  norma  impugnata  determinerebbe tra le ipotesi di espropriazione
 legittima dei suoli agricoli o non edificabili -  rispetto  ai  quali
 l'indennizzo  viene commisurato, ai sensi del comma 4 dell'art. 5-bis
 del d.-l. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, nella legge
 8  agosto  n.  359  del  1992,  al  valore agricolo medio, e, quindi,
 secondo un  criterio  prossimo  a  quello  venale  -  ed  i  casi  di
 occupazione   illegittima   degli  stessi,  in  cui  l'ammontare  del
 risarcimento dovuto sarebbe quantificato ad un livello  inferiore  al
 valore venale del bene.
   2.8.   -   Il   Tribunale   di   Bari,  con  due  ordinanze  emesse
 rispettivamente l'11 aprile e il 21 ottobre 1997 (r.o. nn. 154 e  889
 del  1997),  ha sollevato la questione di legittimita' costituzionale
 del comma 7-bis,
  in riferimento ai soli artt. 3, primo comma, e  42,  secondo  comma,
 della  Costituzione,  come  il  Tribunale  di Udine (ordinanza del 19
 febbraio 1998, r.o. n. 414 del 1998) ed  il  Tribunale  di  Lagonegro
 (che  ha  impugnato l'art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 1996),
 con la esclusione da  parte  di  quest'ultimo,  per  quanto  riguarda
 l'art.    3  della  Costituzione,  della  limitazione  al primo comma
 (ordinanza del 20 gennaio 1998, r.o. n. 225 del 1998).
   2.9. - Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere (r.o. n. 573 del 1998)
 ha impugnato la norma di cui all'art. 5-bis comma 7-bis del d.-l.  n.
 333 del 1992, in riferimento agli artt. 3 e 42,  terzo  comma,  della
 Costituzione, sottolineando, in particolare, il rischio di ricorso ad
 una  forma  anomala  di  espropriazione svincolata dall'osservanza di
 garanzie procedimentali.
   3. - In tutti i giudizi introdotti con le ordinanze alle  quali  si
 e'   fatto  sopra  riferimento,  e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri con  il  patrocinio  dell'Avvocatura  generale
 dello  Stato,  che  in alcuni casi (r.o. n. 571 e n. 573 del 1997) ha
 concluso per la inammissibilita' delle  questioni  per  l'assenza  di
 ogni  scrutinio  sulla  natura  edificatoria  dei suoli occupati. Nel
 giudizio introdotto con ordinanza n. 292 del 1997, l'inammissibilita'
 e'  fatta  valere  sotto  il  profilo  della  inapplicabilita'   alla
 fattispecie,  relativa  a  danni  da  occupazione  appropriativa,  di
 terreni privati trasformati da un Iacp per la costruzione di  alloggi
 popolari,  della norma denunciata, in quanto la regula iuris del caso
 concreto va individuata nella legge n. 458 del 1988.
   Nel  giudizio  introdotto  con  la  ordinanza  n.  191  l'autorita'
 intervenuta  ha  concluso per la inammissibilita' della questione per
 difetto di rilevanza a causa della non esplicitata  correlazione  tra
 l'accessione   invertita  e  l'annullamento  della  dichiarazione  di
 pubblica utilita' verificatosi nella fattispecie.
   Nel merito, l'Avvocatura ha  concluso  per  la  infondatezza  delle
 questioni  sollevate.  Al riguardo, la predetta autorita' ha ritenuto
 apprezzabile  e  congrua  la  differenza,   stabilita   dalla   norma
 impugnata, della entita' del ristoro patrimoniale previsto in caso di
 accessione  invertita - tra l'altro non avulso dalla stima di mercato
 del bene - rispetto alla ipotesi  di  indennita'  di  espropriazione,
 ponendo  l'accento anche sulla destinazione delle opere realizzate al
 soddisfacimento di interessi pubblici.
   Quanto alla  individuazione  della  data  del  30  settembre  1996,
 coincidente  con  quella  di presentazione alle Camere del disegno di
 legge collegato alla finanziaria per il 1997, essa sarebbe frutto  di
 una  scelta legislativa non arbitraria, la quale troverebbe, infatti,
 giustificazione nella esigenza di non sconvolgere le  linee  generali
 della  manovra  finanziaria,  a  quella  data  gia'  delineata per il
 risanamento del deficit pubblico cui lo Stato si  era  impegnato  nei
 confronti degli altri Paesi dell'Unione Europea.
   L'Avvocatura    ha    infine   sottolineato   che   la   conservata
 qualificazione di illecito alla  occupazione  acquisitiva  da'  luogo
 comunque  alla  personale  responsabilita'  del funzionario, anche se
 limitata.
   4. - Nei giudizi introdotti con le ordinanze r.o. nn.  191,  417  e
 889 del 1997, si sono costituite le parti private, che hanno concluso
 per  l'accoglimento  delle  questioni  sollevate,  con argomentazioni
 adesive a quelle contenute nelle citate ordinanze.
   5. - Nell'imminenza della data fissata  per  la  udienza  pubblica,
 ciascuna  delle  dette  parti ha depositato una memoria, con la quale
 ribadisce  le  proprie  conclusioni  in  ordine  alla  illegittimita'
 costituzionale della normativa impugnata.
   In  particolare,  la  parte  privata nel giudizio che ha dato luogo
 alla ordinanza r.o. n. 191 ha sottolineato la distinzione tra il caso
 di occupazioni illegittime, pur se originate  da  causa  di  pubblica
 utilita',  e  quelle in cui la dichiarazione di pubblica utilita' sia
 venuta   meno   retroattivamente   per   effetto   di    annullamento
 giurisdizionale  (come  nel caso di specie). In tale seconda ipotesi,
 si verificherebbe un ripristino del diritto di proprieta' nel  regime
 giuridico  suo  proprio,  e  non vi sarebbe spazio per un regime solo
 compensativo, e non risarcitorio, del danno.
   Nella memoria della parte costituita nel  giudizio  introdotto  con
 ordinanza  r.o.  n.  417 del 1997, si fa richiamo a tutti i parametri
 gia' invocati,  e,  con  particolare  riferimento  alla  censura  per
 violazione  dell'art. 72 della Costituzione, si osserva che il quarto
 comma di tale articolo impone la procedura normale (non  seguita  per
 la  emanazione  della normativa impugnata), per i disegni di legge di
 delegazione legislativa, e che la legge  n.  662  del  1996  contiene
 appunto numerose deleghe al Governo.
   La  parte privata nel giudizio introdotto con la ordinanza r.o.  n.
 889  del  1997,  ha  posto  l'accento,  in  particolare,  sulla   non
 ragionevolezza   della  riduzione  della  consistenza  economica  del
 diritto risarcitorio operata dalla legge n. 662 del 1996,  oltre  che
 della   limitazione   di   essa  alle  sole  occupazioni  illegittime
 intervenute anteriormente al 30 settembre 1996.
   Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha presentato una  memoria,
 con  la quale ha ribadito le conclusioni gia' rassegnate, insistendo,
 altresi',  per  la  inammissibilita'  delle  questioni  di  cui  alle
 ordinanze  r.o.  nn.  191,  571  e 573 del 1997; la prima perche' non
 inscrivibile in una fattispecie di occupazione appropriativa,  atteso
 l'annullamento   in   sede  giurisdizionale  della  dichiarazione  di
 pubblica utilita'; le altre due, in quanto la n.  571  del  1997  non
 contiene  neppure  un accenno alla natura dei terreni, e la n. 573 fa
 riferimento all'occupazione in un terreno destinato a verde  pubblico
 attrezzato  o  verde  di rispetto, cio' che farebbe propendere per la
 natura non edificatoria dell'area.
                         Considerato in diritto
   1. - Le  questioni  sottoposte  all'esame  della  Corte  riguardano
 l'art.    5-bis  comma 7-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure
 urgenti per il risanamento della finanza pubblica),  convertito,  con
 modificazioni,   nella  legge  8  agosto  1992,  n.  359,  introdotto
 dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n.  662  (Misure
 di  razionalizzazione  della  finanza pubblica), il quale prevede che
 "in  caso  di  occupazione illegittima di suoli per causa di pubblica
 utilita',  intervenute  anteriormente  al  30  settembre   1996,   si
 applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione
 dell'indennita'  di  cui  al comma 1" (quella, cioe', prevista per la
 espropriazione dei suoli edificatori: semisomma tra valore di mercato
 e reddito catastale rivalutato, decurtata  del  40%)  con  esclusione
 della  riduzione  del  40  per  cento, che "in tal caso l'importo del
 risarcimento e' altresi' aumentato del 10  per  cento",  e  che  tale
 disposizione  si  applica anche ai procedimenti in corso non definiti
 con sentenza passata in  giudicato.    Si  assume  la  illegittimita'
 costituzionale della disposizione denunciata per violazione:
     a) dell'art. 3 della Costituzione (invocato, in alcune ordinanze,
 limitatamente  al  primo  comma, in altre nel suo complesso), sotto i
 diversi profili:
     a.1) del deteriore trattamento riservato a chi subisce  danno  da
 occupazione  appropriativa, che non ottiene l'integrale ristoro dello
 stesso, rispetto a tutti gli altri soggetti ai quali  viene  arrecato
 danno  da  fatto illecito altrui e che, ai sensi dell'art.  2043 cod.
 civ., hanno diritto al risarcimento integrale del danno stesso;
     a.2) della sostanziale identita'  di  trattamento  di  situazioni
 diversificate,  quali quella del soggetto sottoposto ad una legittima
 procedura espropriativa, e di quello illegittimamente  privato  della
 proprieta'  del  suolo  in  virtu' di c.d. occupazione acquisitiva da
 parte della p.a.: identita' sostanziale di  trattamento  che  risulta
 dalla circostanza che, nel secondo caso, l'indennita' viene aumentata
 del solo 10 per cento, mentre la esclusione della decurtazione del 40
 per cento, decurtazione prevista nei casi di espropriazione, viene in
 tali  ipotesi  ottenuta  ugualmente attraverso la cessione volontaria
 dei beni, che non e' possibile in caso di occupazione acquisitiva;
     a.3)  della  irragionevole  disparita'  di  trattamento   tra   i
 proprietari  assoggettati  alla  occupazione  illegittima entro il 30
 settembre 1996, cui si applicano,  per  il  risarcimento  del  danno,
 criteri   sostanzialmente   uguali  a  quelli  previsti  in  caso  di
 espropriazione, e quelli che  subiscono  tale  occupazione  in  epoca
 successiva  a  quella  data,  i  quali  hanno  diritto  all'integrale
 risarcimento; nonche' tra coloro che non hanno visto ancora  definiti
 i  relativi  rapporti  al  momento  della  entrata  in  vigore  della
 disciplina di cui si  tratta,  che  e'  ad  essi  applicabile,  ed  i
 titolari  di  situazioni  ormai  definite  con  sentenza  passata  in
 giudicato, che sfuggono alla disciplina stessa;
     a.4) della irragionevole disparita' di trattamento cui da'  luogo
 la disciplina censurata rispetto a quella prevista per le occupazioni
 appropriative  destinate al soddisfacimento di esigenze abitative, di
 cui all'art. 3 della legge n. 458 del 1988 (come ampliato  nella  sua
 sfera  oggettiva  dalla pronuncia additiva della Corte costituzionale
 n. 486 del 1991), che  prevede  l'integrale  risarcimento  del  danno
 subito  (rilievo svolto dalla sola Corte d'appello di Reggio Calabria
 con ordinanza r.o. n. 292 del 1977);
     a.5)  della  irragionevole  disparita'  di  trattamento  rispetto
 all'ipotesi  di  occupazione  ab  initio  illegittima,  in quanto non
 assistita da dichiarazione di pubblica utilita' ovvero presidiata  da
 dichiarazione  poi  venuta meno perche' illegittima, ipotesi estranee
 alla previsione normativa censurata,  e  nelle  quali,  pertanto,  il
 privato  potrebbe  legittimamente aspirare all'integrale risarcimento
 del  danno  (rilievo  svolto  dalla  sola  Corte  d'appello di Reggio
 Calabria con l'ordinanza sopra citata);
     a.6) della irragionevolezza della  scelta  del  legislatore,  che
 avrebbe  ridotto  in  misura  eccessiva, nelle ipotesi di occupazione
 illegittima della p.a., il risarcimento rispetto al ristoro integrale
 del danno, ed in misura esigua rispetto all'indennita' di  esproprio,
 per   una   preponderante  valutazione  del  concorso  dell'interesse
 pubblico, gia' considerato ampiamente ai  fini  della  determinazione
 dell'effetto estintivo-acquisitivo della proprieta', e che, pertanto,
 in  sede  di liquidazione del danno, avrebbe dovuto essere oggetto di
 una minore valutazione;
     a.7) della disparita' di trattamento che la norma  determinerebbe
 tra  le  ipotesi di espropriazione legittima dei suoli agricoli o non
 edificabili - rispetto ai quali l'indennizzo  viene  commisurato,  ai
 sensi  del  comma 4 dell'art. 5-bis del d.-l. n. 333, convertito, con
 modificazioni, nella legge n. 359 del 1992, al valore agricolo medio,
 e, quindi, secondo un criterio prossimo a quello del valore venale  -
 ed i casi di occupazione illegittima degli stessi, in cui l'ammontare
 del  risarcimento dovuto sarebbe quantificato ad un livello inferiore
 al valore venale del bene (rilievo svolto dal  Tribunale  di  Potenza
 con le ordinanze nn. 735 del 1997 e 408 del 1998).
     b)  dell'art.  42  della Costituzione (invocato da alcuni giudici
 limitatamente al secondo ovvero al terzo  comma,  da  altri  nel  suo
 complesso),   in   quanto   la  esigua  misura  riconosciuta  per  il
 risarcimento  non  costituirebbe  adeguata  tutela  del  diritto   di
 proprieta',   ed   inoltre   perche'   l'indennizzo   previsto  dalla
 Costituzione in caso di esproprio presuppone una procedura  legittima
 laddove   un   comportamento   illegittimo   sarebbe   sempre   fonte
 dell'obbligazione di ripristinare lo status quo ante  direttamente  o
 per  equivalente;  infine,  in quanto la norma impugnata creerebbe il
 rischio di ricorso ad una forma anomala di espropriazione, svincolata
 dall'osservanza di garanzie procedurali (rilievo del Tribunale di  S.
 Maria Capua Vetere);
     c)   dell'art.  10,  primo  comma,  della  Costituzione,  per  il
 contrasto con gli artt. 7, 8 e 17, secondo comma, della dichiarazione
 universale dei diritti dell'uomo, e con l'art. 13  della  convenzione
 europea  per  la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta',
 che sanciscono il diritto di ogni persona al rispetto dei  suoi  beni
 (censura  proposta dalla Corte d'appello di Cagliari con ord. r.o. n.
 417 del 1977);
     d)  dell'art.  24,  primo  comma,  della  Costituzione,  per   il
 contrasto   con   il   principio   della  effettivita'  della  tutela
 giurisdizionale, che non  sarebbe  garantito  dalla  riduzione  della
 entita'   del   risarcimento  da  fatto  illecito  consistente  nella
 occupazione illegittima di un suolo  ad  opera  della  p.a.  (censura
 proposta  dalla  sola  Corte  d'appello  di Cagliari, con l'ordinanza
 sopra indicata);
     e) dell'art. 28 della Costituzione, per il sostanziale esonero da
 responsabilita' per il pubblico funzionario in  caso  di  occupazione
 illegittima,  non  potendo  la  causazione  di  un  danno  aggiuntivo
 limitato per la p.a.,  tra  l'altro  bilanciata  dal  soddisfacimento
 dell'interesse   alla  conservazione  dell'opera  pubblica,  essergli
 addebitata a titolo di colpa grave e configurandosi i  casi  di  dolo
 come  ipotesi  eccezionali (censura proposta dalla Corte d'appello di
 Cagliari  con  ord.  r.o.   n. 417 del 1997, dalla Corte d'appello di
 Firenze con ordinanze r.o.  nn. 788 e 789 del 1997, e  dal  Tribunale
 di Lamezia Terme con le ordinanze r.o. nn. 423-426 del 1997);
     f)  dell'art.  53  della  Costituzione,  in  quanto  porrebbe una
 notevole parte del costo dell'opera pubblica realizzata a seguito  di
 occupazione illegittima a carico del proprietario dell'area occupata,
 in  contrasto  con  il  principio  secondo  il  quale  il concorso di
 ciascuno alla  sfera  pubblica  e'  commisurato  alla  sua  capacita'
 contributiva  (censura proposta dalla Corte d'appello di Cagliari con
 l'ordinanza sopra menzionata);
     g) degli  artt.  71,  primo  comma,  e  72,  primo  comma,  della
 Costituzione  (invocati  dalla Corte d'appello di Cagliari) in quanto
 la norma in questione, essendo inserita in una legge che raccoglie in
 soli tre articoli (ciascuno dei quali consistente in una  lunghissima
 serie  di  commi)  disposizioni  del  tutto eterogenee, sarebbe stata
 approvata, avuto anche riguardo alla circostanza che sulla  legge  di
 cui  si  tratta  venne posta all'epoca la questione di fiducia, senza
 che ciascun parlamentare potesse liberamente manifestare,  su  ognuno
 degli articoli, la propria opinione e volonta';
     h)  dell'art.  97  della Costituzione (invocato da alcuni giudici
 con riferimento al solo primo comma, da altri nel suo complesso),  in
 quanto  la limitazione del risarcimento del danno arrecato dalla p.a.
 contrasterebbe con le finalita' di buon  andamento  ed  imparzialita'
 dell'azione  amministrativa  (censura proposta dalla Corte di appello
 di Reggio Calabria con ord. r.o.  n.  292  del  1997,  da  quella  di
 Cagliari  con  ord. r.o. n. 417 del 1997, da quella di Firenze con le
 ordinanze r.o. nn. 788 e 789 del 1997, dal Tribunale di Lamezia Terme
 con le ordinanze r.o. nn. 423 - 426 del 1997, da  quello  di  Potenza
 con  le  ordinanze  r.o. nn. 735 del 1997 e 408 del 1998, dal giudice
 istruttore del Tribunale di Torino con  ordinanza  r.o.  n.  571  del
 1997);
     i)  dell'art. 113, primo e secondo comma, della Costituzione, per
 la limitazione della tutela giurisdizione nei  confronti  degli  atti
 della  p.a.  (censura  proposta dalla Corte d'appello di Cagliari con
 ordinanza r.o. n. 417 del 1997).
   2. - Giudizi devono essere riuniti in quanto riguardano la medesima
 disposizione  di  legge  e  propongono  questioni  in   buona   parte
 coincidenti  o  connesse  per  cui si impone una trattazione unitaria
 delle censure dedotte.
   3. - Preliminarmente,  devono  essere  esaminate  le  eccezioni  di
 inammissibilita' proposte dall'Avvocatura generale dello Stato.
   Al  riguardo,  va  osservato  che quelle proposte in relazione alle
 ordinanze r.o.  nn.  292,  571  e  573  del  1997,  per  mancanza  di
 rilevanza,  sono  prive  di  fondamento,  in  quanto  le ordinanze di
 rimessione contengono una  motivazione  tutt'altro  che  implausibile
 sulla rilevanza delle questioni, che si impernia sulla considerazione
 che  i  giudici  a  quibus  debbono  fare  applicazione  della  norma
 denunciata, di cui e' evidente l'incidenza,  in  quanto  il  relativo
 giudizio  riguarda  il  risarcimento  e la liquidazione del danno per
 occupazione appropriativa.
   Cio' e' sufficiente per  respingere  le  eccezioni  anzidette,  non
 potendosi  procedere  in  questa  sede  ad  un sindacato (diverso dal
 controllo esterno) sul giudizio di rilevanza espresso  dall'ordinanza
 di rimessione in modo, come appena chiarito, non implausibile (v. per
 tutte,  sentenza  n.  286 del 1997), e con motivazione tutt'altro che
 carente (v. ordinanza n. 62 del 1997).
   E' invece fondata l'eccezione di inammissibilita'  proposta  sempre
 dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  in riferimento all'ordinanza
 r.o. n. 191 del 1997 sotto il  profilo  che  la  fattispecie  sarebbe
 palesemente non inscrivibile tra le occupazioni appropriative, atteso
 il  pacifico  intervenuto  annullamento in sede giurisdizionale della
 dichiarazione di pubblica utilita'. Infatti -  secondo  un  indirizzo
 giurisprudenziale  di  legittimita'  (Cass.,  sez.  I, n. 6515 del 16
 luglio 1997; n.  7998)  -  le  norme  sul  risarcimento  in  caso  di
 occupazione   appropriativa   si   applicano  alle  sole  occupazioni
 illegittime dei suoli per causa di  pubblica  utilita',  per  cui  in
 mancanza  di  valida  dichiarazione  di  pubblica utilita' (cui viene
 equiparata la dichiarazione annullata perche' illegittima) si  e'  al
 di  fuori  delle  ipotesi contemplate per il risarcimento dalla norma
 denunciata. La questione e', pertanto,  manifestamente  inammissibile
 sulla  base  degli  stessi  elementi  contenuti  nella  ordinanza  di
 rimessione.
   4. - Passando all'esame del merito delle questioni sollevate  nelle
 altre  ordinanze,  giova  premettere che con sentenza n. 369 del 1996
 questa Corte ha dichiarato la illegittimita' costituzionale del comma
 6 dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333,  convertito,  con
 modificazioni,  nella  legge  8  agosto 1992, n. 359, come sostituito
 dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n.  549  (Misure
 di  razionalizzazione  della  finanza  pubblica),  nella parte in cui
 applica al "risarcimento  del  danno"  i  criteri  di  determinazione
 stabiliti per "il prezzo, l'entita' dell'indennizzo".
   Il legislatore, con la norma denunciata, e' intervenuto modificando
 il  precedente  criterio applicato alle occupazioni acquisitive ed in
 particolare ha escluso, in caso di occupazioni illegittime dei  suoli
 per  causa  di  pubblica  utilita',  la decurtazione del 40 per cento
 prevista per l'indennita' di esproprio, aumentando inoltre  l'importo
 del risarcimento del 10 per cento, e con previsione di applicabilita'
 alle occupazioni illegittime di suoli intervenute anteriormente al 30
 settembre  1996,  anche  in  relazione  ai  procedimenti in corso non
 definiti con sentenza passata in giudicato.
   5. - Le questioni proposte sono prive di fondamento per  una  serie
 di ordini di considerazioni.
   Innanzitutto la regola generale di integralita' della riparazione e
 di  equivalenza  della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato
 non ha copertura costituzionale (sentenze n. 369 del 1996; n. 132 del
 1985).
   In casi eccezionali il legislatore puo' ritenere equa e conveniente
 una limitazione al risarcimento del danno: nel caso delle occupazioni
 appropriative "sussistono in astratto gli estremi  giustificativi  di
 un  intervento normativo ragionevolmente riduttivo della misura della
 riparazione dovuta dalla  pubblica  amministrazione  al  proprietario
 dell'immobile  che  sia venuto ad essere cosi' incorporato nell'opera
 pubblica" (sentenza n. 369 del 1996).
   L'eccezionalita' del caso  appare  giustificata  nella  fattispecie
 soprattutto  dal  carattere  temporaneo  della  norma denunciata, che
 rimane inserita in un testo normativo con le caratteristiche,  da  un
 lato,  della  dichiarata  temporaneita', collegata alla emanazione di
 una nuova disciplina organica per tutte le espropriazioni preordinate
 alla  realizzazione  di  opere  pubbliche  o  di  pubblica  utilita',
 dall'altro, della finalita' egualmente  temporanea  e  di  emergenza,
 rivolta a regolare situazioni passate.
   6. - Alla stregua dei criteri riconfermati dalla citata sentenza n.
 369  del  1996, deve ritenersi ragionevole la riduzione imposta dalla
 norma denunciata, essendosi realizzato  un  equilibrato  componimento
 dei   contrapposti  interessi  in  gioco,  con  l'eliminazione  della
 ingiustificata  coincidenza   della   entita'   dell'indennizzo   per
 l'illecito della pubblica amministrazione con quello relativo al caso
 di legittima procedura ablatoria.
   La   valutazione  dell'incremento  (non  irrisorio,  ne'  meramente
 apparente) a favore del privato danneggiato, risultante  nella  norma
 denunciata  -  nei  termini  sottolineati  - rispetto alla previsione
 largamente riduttiva della precedente norma colpita da  dichiarazione
 di   illegittimita'   costituzionale,   vale   ad   escludere  quella
 irragionevolezza ritenuta nella precedente formulazione normativa,  e
 fondata  essenzialmente sulla predetta coincidenza (ora eliminata con
 apprezzabile differenziazione) di indennita' in caso di illecito e di
 procedura legittima dell'amministrazione.
   Cio' soprattutto assume un significato, come sopra evidenziato,  in
 correlazione  alla  natura  e  al  carattere eccezionale e temporaneo
 della disposizione denunciata.
   Ne'  la  limitazione  temporale  della  operativita'   del   regime
 risarcitorio  in  questione alle occupazioni illegittime di suoli per
 causa di pubblica utilita' intervenute anteriormente al 30  settembre
 1996  -  limitazione  contenuta nell'art. 3, comma 65, della legge n.
 662 del 1996 - puo'  ritenersi  in  contrasto  con  il  principio  di
 ragionevolezza  e  con  quello  di  uguaglianza,  ove si consideri la
 coincidenza di detta data con quella di presentazione  in  Parlamento
 del  disegno  di  legge  collegato  alla finanziaria per il 1997 (dal
 quale sarebbe scaturita la citata  legge  n.  662  del  1996),  e  la
 esigenza,  che  se  ne inferisce, di salvaguardare una ineludibile, e
 limitata nel tempo, manovra di risanamento  della  finanza  pubblica,
 gia'  predisposta,  in  vista  -  come  sottolineato  dall'Avvocatura
 generale dello Stato - degli impegni assunti in sede comunitaria.
   Nemmeno puo' condividersi il rilievo in ordine alla  disparita'  di
 trattamento  cui  darebbe  luogo  la disposta applicazione del regime
 risarcitorio di cui si tratta anche ai giudizi pendenti. Al riguardo,
 la Corte ha ripetutamente affermato che il legislatore puo', salvo il
 limite previsto in materia penale dall'art.  25  della  Costituzione,
 nell'introdurre   una   nuova  disciplina,  prevederne  la  efficacia
 retroattiva, anche ove questa incida sfavorevolmente su posizioni  di
 diritto  soggettivo perfetto, purche' non risultino violati specifici
 canoni costituzionali, primo fra i quali quello della  ragionevolezza
 (v.,   tra  le  altre,  sentenze  nn.  283  e  39  del  1993).  Nella
 fattispecie, non  confligge  con  tale  principio  l'attribuzione  di
 carattere   retroattivo   al   criterio   risarcitorio  previsto  per
 l'occupazione  acquisitiva  dalla  norma   impugnata,   non   potendo
 costituire  limite  invalicabile  della  discrezionalita' legislativa
 l'aspettativa dei titolari delle aree occupate a vedersi liquidato il
 danno secondo un criterio piu' favorevole di  quello  ragionevolmente
 adottato dal legislatore nell'attuale momento storico (v. sentenza n.
 283  del  1993);  cio'  in special modo quando si tratti di normativa
 diretta a sostituire una disciplina dichiarata incostituzionale ed  a
 regolare i rapporti pregressi in aderenza ai principi enunciati dalla
 Corte.
   Quanto  alla  lamentata disparita' di trattamento rispetto ad altri
 casi  relativi  a  suoli  agricoli  o  ad  occupazioni  destinate  al
 soddisfacimento  di  esigenze  abitative, e' sufficiente rilevare che
 sotto il profilo costituzionale non e' preclusa  la  possibilita'  di
 diversi   regimi   espropriativi  e  di  calcolo  dell'indennizzo  in
 relazione alle  differenti  categorie  di  beni  espropriati  e  alle
 diverse  finalita'  dell'intervento  pubblico,  che  puo'  esigere un
 diverso bilanciamento dei contrapposti interessi pubblici e privati.
   7. - Le osservazioni che precedono danno ragione della infondatezza
 delle censure sollevate in riferimento all'art. 3 della  Costituzione
 nelle  diverse  prospettazioni  sopra  riportate, e all'art. 42 della
 Costituzione, (rispetto al quale la denunciata  violazione  dell'art.
 10 della Costituzione nulla aggiunge).
   8.  - Deve escludersi, poi, che si possa profilare un contrasto con
 l'art. 53 della Costituzione in quanto il richiamo a  detto  precetto
 costituzionale  risulta  inconferente,  poiche'  alla  determinazione
 dell'indennizzo anche nel caso di occupazione  acquisitiva  non  puo'
 riconoscersi  alcun  connotato  tributario, per cui resta estraneo il
 principio della capacita' contributiva (cfr.  ordinanza  n.  395  del
 1996).
   9.  -  Quanto  alla  asserita  violazione  degli articoli 71, primo
 comma, e 72, primo comma, della  Costituzione,  va  rilevato  che  la
 censura   nulla   aggiunge   ai   profili   gia'   decisi  nel  senso
 dell'infondatezza dalla sentenza n. 391 del 1995.
   10. - Deve, altresi', essere esclusa  la  pertinenza  del  richiamo
 agli  artt.  24  e 113 della Costituzione essendo estranea la norma a
 profili di tutela giurisdizionale, per la quale non  sussiste  alcuna
 limitazione o restrizione rispetto ai generali mezzi di ricorso.
   11.  -  Egualmente  deve  essere escluso che dalla norma denunciata
 possano derivare esoneri  o  limitazioni  di  responsabilita'  per  i
 pubblici  funzionari,  i  quali continueranno a rispondere secondo le
 regole ordinarie per i  danni  che  abbiano  arrecato  alla  pubblica
 amministrazione  con  il  loro  comportamento  negligente  che  abbia
 determinato l'illegittimita' della procedura espropriativa, danno che
 non si esaurisce solo nelle somme maggiori che  l'amministrazione  e'
 tenuta a corrispondere per gli indennizzi, ma anche per i ritardi nel
 compimento  dell'opera  pubblica  e  per  l'aggravio di lavoro che il
 contenzioso arreca quasi sempre alla  pubblica  amministrazione.  Del
 resto  la  vastita'  del  fenomeno delle occupazioni acquisitive e la
 abnorme frequenza di mancata  conclusione  regolare  delle  procedure
 espropriative  in  alcune  zone  e  regioni  deve  indurre gli organi
 titolari delle azioni  di  responsabilita',  nelle  diverse  sedi,  a
 verificare la sussistenza di ipotesi di dolo.
   Cio'  induce  a  ritenere  infondati,  oltre  ai  profili  relativi
 all'art.  28 della Costituzione, anche quelli  riferiti  all'art.  97
 della   Costituzione,   in   quanto  non  sono  certamente  l'entita'
 dell'indennizzo, o la responsabilita' conseguente,  ad  incidere  sul
 buon  andamento  dell'amministrazione.   Questo non deriva, se non in
 misura marginale, dall'affermazione di  responsabilita'  patrimoniale
 piu'  o meno estesa a carico dei funzionari, ma piuttosto dai sistemi
 di   controlli   sulla  legalita'  dell'azione  dei  singoli  organi,
 dall'esercizio dei  poteri  disciplinari  di  fronte  alla  colpevole
 negligenza   nel   condurre   le   procedure   di   espropriazione  e
 nell'esercizio dei poteri-doveri di denuncia e di rapporto rispetto a
 comportamenti a carattere doloso, profili che nulla hanno  in  comune
 con la norma denunciata.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti i giudizi:
     dichiara  non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
 dell'art. 5-bis comma 7-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333  (Misure
 urgenti  per  il risanamento della finanza pubblica), convertito, con
 modificazioni,  nella  legge  8  agosto  1992,  n.  359,   introdotto
 dall'art.   3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure
 di  razionalizzazione   della   finanza   pubblica),   sollevate   in
 riferimento  agli  artt.  42, terzo comma, 3 e 28 della Costituzione,
 dal giudice istruttore del Tribunale di Lecce; agli  artt.  3,  primo
 comma,  42,  secondo  comma,  28 e 97 della Costituzione, dalla Corte
 d'appello di Firenze; agli artt. 42, secondo comma, 3, primo comma, e
 97, primo comma, della Costituzione, dalla Corte d'appello di  Reggio
 Calabria;  agli  artt.    3 e 42 della Costituzione, dal Tribunale di
 Latina; agli artt. 3, 28, 42, 97, 10, primo comma, 24,  primo  comma,
 53,  71,  primo  comma,  72, primo comma, 113, primo e secondo comma,
 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Cagliari; agli artt.  3,
 28, 42, secondo e terzo comma, e 97, primo comma, della Costituzione,
 dal  Tribunale  di  Lamezia  Terme;  agli  artt.  3, primo comma, 42,
 secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione,  dal  Tribunale
 di Potenza; agli artt. 3, 42, secondo comma, e 97 della Costituzione,
 dal  giudice  istruttore del Tribunale di Torino; agli artt. 3, primo
 comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, dai Tribunali di Bari
 e Udine; agli artt. 3 e 42, secondo comma,  della  Costituzione,  dal
 Tribunale  di  Lagonegro;  agli  artt.  3  e  42,  terzo comma, della
 Costituzione dal Tribunale  di  Santa  Maria  Capua  Vetere,  con  le
 ordinanze indicate in epigrafe;
     dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
 legittimita' costituzionale del predetto art. 5-bis comma  7-bis  del
 d.-l.  n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, nella legge n.
 359 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma,  e
 42,  secondo  comma,  della  Costituzione,  dalla  Corte d'appello di
 Torino con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 aprile 1999.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Chieppa
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 30 aprile 1999.
                       Il cancelliere: Fruscella
 99C0459