N. 150 ORDINANZA 26 - 30 aprile 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sicurezza  pubblica  -  Riciclaggio  finanziario  - Sospensione dalle
 funzioni di amministratore esercitate presso enti creditizi -  Misura
 interdittiva  provvisoria  di  natura  cautelare  -  Provvedimento di
 sospensione - Applicazione -  Criteri  -  Ius  superveniens:  decreto
 ministeriale   18  marzo  1998,  n.  161  -  Esigenza  di  una  nuova
 valutazione circa la rilevanza della questione da parte del giudice a
 quo - Restituzione degli atti al giudice rimettente.
 
 (D.-L. 3 maggio 1991, n. 143, art. 9, convertito in  legge  5  luglio
 1991, n. 197).
 
(GU n.18 del 5-5-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Cesare MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel   giudizio   di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  9,  del
 decreto-legge 3  maggio  1991,  n.  143  (Provvedimenti  urgenti  per
 limitare   l'uso  del  contante  e  dei  titoli  al  portatore  nelle
 transazioni e prevenire l'utilizzazione  del  sistema  finanziario  a
 scopo  di riciclaggio), convertito dalla legge 5 luglio 1991, n. 197,
 promosso con ordinanza emessa il 19  giugno  1997  dal  Tribunale  di
 Catania, iscritta al n.  733 del registro ordinanze 1997 e pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  44,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1997.
   Visto l'atto  di  costituzione  di  Giovanni  Finocchiaro,  nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica del 23 marzo 1999 il giudice relatore
 Valerio Onida;
   Udito l'Avvocato dello Stato Michele Di Pace per il Presidente  del
 Consiglio dei Ministri.
   Ritenuto  che,  con ordinanza emessa il 19 giugno 1997, pervenuta a
 questa Corte il  29  settembre  1997,  il  Tribunale  di  Catania  ha
 sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
 agli articoli 3, 4, 27 e  35  della  Costituzione,  dell'art.  9  del
 decreto-legge  3  maggio  1991,  n.  143  (Provvedimenti  urgenti per
 limitare  l'uso  del  contante  e  dei  titoli  al  portatore   nelle
 transazioni  e  prevenire  l'utilizzazione  del sistema finanziario a
 scopo di riciclaggio), convertito dalla legge 5 luglio 1991, n.  197,
 ai cui sensi la condanna con sentenza non definitiva per taluni reati
 comporta  la  sospensione dalle funzioni di amministratore esercitate
 presso  enti  creditizi,  sospensione  dichiarata  dal  consiglio  di
 amministrazione;  e  l'omessa  dichiarazione di sospensione e' punita
 penalmente;
     che  il  Tribunale  remittente  argomenta  anzitutto   sostenendo
 l'applicabilita'  della  norma  de qua alla fattispecie sottoposta al
 giudizio, pur relativa a reati commessi prima della  sua  entrata  in
 vigore,  in  quanto  la  sospensione si configurerebbe, a suo avviso,
 come una misura interdittiva provvisoria di natura cautelare, volta a
 preservare  i  requisiti  di  onorabilita'  per  l'espletamento delle
 funzioni di amministrazione, direzione e controllo delle banche;
     che, ad avviso del giudice remittente, la situazione normativa in
 esame sarebbe essenzialmente  diversa  da  quella  della  sospensione
 obbligatoria  di  dipendenti  e di amministratori pubblici condannati
 per taluni dei reati contemplati dalla legge n.  55  del  1990,  come
 modificata  dalla  legge  n.  16  del  1992,  sulla prevenzione della
 delinquenza di tipo mafioso (in ordine alla quale e'  stata  ritenuta
 non  fondata  una  questione  di  legittimita'  costituzionale con la
 sentenza n. 184 del  1994),  perche'  in  quel  caso  la  sospensione
 potrebbe  essere  oggetto  di  revoca  amministrativa,  mentre  nella
 presente  fattispecie  essa   sarebbe   atta   a   produrre   effetti
 irrevocabili,  se  non  altro  in  termini  di  danni non risarcibili
 nemmeno al sopravvenire di una successiva sentenza di assoluzione;
     che il giudice  a  quo  rilevando  che  nella  specie  la  misura
 cautelare  deriva  da una condanna, non definitiva, la cui esecuzione
 e' stata sospesa dalla stessa sentenza che l'ha pronunciata,  ricorda
 la  giurisprudenza  di questa Corte che ha ritenuto illegittime norme
 le quali comportavano il perdurare della  sospensione  dall'esercizio
 di  determinate  professioni  anche  dopo  il venir meno della misura
 cautelare restrittiva che vi aveva dato origine,  osservando  che  in
 quei   casi  non  sarebbe  apparso  razionale  che  un  provvedimento
 amministrativo di sospensione obbligatoria, che ha la stessa natura e
 si  basa  sulle  stesse  situazioni  per  le  quali  e'  previsto  un
 provvedimento  giudiziario,  non  offra  al soggetto colpito analoghe
 garanzie quanto alla durata;
     che si  e'  costituito  uno  degli  attori  nel  giudizio  a  quo
 chiedendo  l'accoglimento  della  questione, e sostenendo fra l'altro
 che il dubbio di  costituzionalita'  potrebbe  essere  superato  solo
 intendendo  la norma nel senso che la sospensione non operi quando e'
 sospesa l'esecuzione della sentenza di condanna;
     che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  chiedendo  che  la questione sia dichiarata inammissibile,
 per insufficiente chiarezza della  motivazione  sulla  non  manifesta
 infondatezza, ovvero manifestamente infondata.
   Considerato  che  l'impugnato  art.  9 del decreto-legge n. 143 del
 1991 risulta abrogato dall'art. 161, comma 2, del decreto legislativo
 1 settembre 1993, n. 385, in  forza  del  quale  pero'  esso  restava
 applicabile,  al  pari  delle  altre disposizioni ivi indicate, "fino
 alla data di  entrata  in  vigore  dei  provvedimenti  emanati  dalle
 autorita'  creditizie"  ai  sensi dello stesso decreto legislativo n.
 385 del 1993;
     che nella materia de qua e' sopravvenuto, dopo l'emanazione della
 ordinanza  introduttiva  del  presente   giudizio,   il   regolamento
 approvato  con  il  decreto del Ministro del tesoro 18 marzo 1998, n.
 161 (Regolamento recante norme per l'individuazione dei requisiti  di
 onorabilita'  e  professionalita'  degli  esponenti  aziendali  delle
 banche e delle cause di sospensione), adottato in  base  all'art.  26
 del  d.lgs.  n.    385 del 1993, che a detto regolamento demandava il
 compito  di  stabilire  i  requisiti   di   professionalita'   e   di
 onorabilita'  dei  soggetti che svolgono funzioni di amministrazione,
 direzione e controllo presso  banche  (comma  1),  requisiti  il  cui
 difetto determina la decadenza dall'ufficio, dichiarata dal consiglio
 di  amministrazione  (comma  2),  nonche' il compito di stabilire "le
 cause che comportano la sospensione temporanea dalla carica e la  sua
 durata",   sospensione   dichiarata   anch'essa   dal   consiglio  di
 amministrazione (comma 3);
     che l'art. 6 del predetto regolamento disciplina  la  sospensione
 dalla carica degli amministratori, sindaci e direttori generali delle
 banche,  stabilendo  fra  l'altro  che  e'  causa  di  sospensione  -
 dichiarata dal  consiglio  di  amministrazione  -  la  condanna,  con
 sentenza  non  definitiva, per uno dei reati di cui all'art. 5, comma
 1,  lettera  c)  del  medesimo  regolamento,  reati  in  gran   parte
 corrispondenti  a  quelli  che  davano luogo alla sospensione in base
 alla previgente disposizione, impugnata in questa sede;
     che,  a  parte  ogni  altra  considerazione,  non   si   potrebbe
 prospettare  l'eventualita'  di un trasferimento della questione alla
 disposizione sopravvenuta, che e' contenuta in un atto privo di forza
 di legge;
     che pertanto si rende opportuno restituire gli atti al giudice  a
 quo  perche'  valuti  nuovamente la questione e la sua rilevanza alla
 luce  dello  ius  superveniens  rappresentato  dal   citato   decreto
 ministeriale 18 marzo 1998, n. 161.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Catania.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 aprile 1999.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 30 aprile 1999.
                       Il cancelliere: Fruscella
 99C0461