N. 167 SENTENZA 29 aprile - 10 maggio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Handicap (Portatori di) - Adeguato  accesso  alla  via  pubblica  per
 mutilati  e  invalidi con difficolta' di deambulazione - Costituzione
 di servitu' in favore di edifici di civile abitazione - Preclusione -
 Esigenza di indefettibile  tutela  di  interessi  fondamentali  della
 persona  -  Riferimento  alla  giurisprudenza  della Corte in materia
 (vedi sentenza n. 215/1987) - Lesione del  fondamentale  diritto  dei
 soggetti   alla   salute  comprensiva  anche  di  quella  psichica  -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (C.C., art. 1052, secondo comma).
 
(GU n.20 del 19-5-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, avv. Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1052, secondo
 comma,  del  codice  civile  promosso  con  ordinanza  emessa  il  19
 settembre  1997  dal  pretore  di  La  Spezia sul ricorso proposto da
 Sturlese Giorgio contro Ferrando Santino ed altri, iscritta al n. 532
 del registro ordinanze 1998 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 24  febbraio  1999  il  giudice
 relatore Annibale Marini.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un  procedimento  ex art. 700 del codice di
 procedura civile promosso da un portatore di handicap invalido civile
 al 100%, proprietario di un appartamento in condominio,  al  fine  di
 ottenere   l'autorizzazione  ad  esercitare,  in  via  d'urgenza,  il
 passaggio sino alla via pubblica su un orto confinante con lo stabile
 condominiale, il pretore di La Spezia ha sollevato -  sospendendo  il
 procedimento  cautelare  -  questione  di legittimita' costituzionale
 dell'art. 1052, secondo comma, del codice civile, in riferimento agli
 artt.  2,  3,  secondo  comma,  32  e  42,   secondo   comma,   della
 Costituzione,  "nella  parte  in  cui  non  consente di costituire la
 servitu' di cui al  primo  comma  in  favore  di  edifici  di  civile
 abitazione,  al  fine  di  garantire  un  adeguato  accesso  alla via
 pubblica per mutilati ed invalidi con difficolta' di deambulazione".
   Deduce  il  giudice  rimettente  -  quanto  alla  rilevanza   della
 questione  -  che  il  ricorrente  agisce  in  via  d'urgenza,  quale
 proprietario di un appartamento facente parte di un condominio avente
 accesso alla via  pubblica  solamente  attraverso  una  scalinata  di
 settantacinque  gradini,  al  fine  di ottenere l'anticipazione degli
 effetti di una sentenza costitutiva di servitu' coattiva di passaggio
 su di un orto di proprieta' di taluni condomini dell'edificio stesso,
 posto sul retro dello stabile, attraverso il quale sarebbe  possibile
 raggiungere  agevolmente  la  via  pubblica  con  percorso  in piano.
 Ritiene   il   rimettente  che  la  proposta  domanda  cautelare  sia
 ammissibile e che sussista, nella  fattispecie,  il  presupposto  del
 pericolo  nel ritardo, in quanto la tutela invocata dal ricorrente e'
 strettamente connessa al suo interesse ad  una  accettabile  vita  di
 relazione,  nelle  more  pregiudicato,  stante  la  sua condizione di
 invalido totale, dalla situazione di difficoltoso  accesso  alla  via
 pubblica, non adeguabile se non con eccessivo dispendio e disagio.
   Osserva  tuttavia  lo  stesso  rimettente  che,  poiche' il fondo a
 favore del  quale  dovrebbe  chiedersi  nel  giudizio  di  merito  la
 costituzione  di  servitu' non e' intercluso, la norma da prendere in
 considerazione ai fini della valutazione del fumus boni iuris risulta
 quella di cui all'art. 1052 cod. civ. (Passaggio coattivo a favore di
 fondo non intercluso), secondo la quale la servitu'  di  passaggio  a
 favore  di  un  fondo  avente  un  accesso  alla via pubblica che sia
 inadatto o insufficiente ai  bisogni  del  fondo  stesso  e  non  sia
 ampliabile  puo'  essere  concessa  dall'autorita'  giudiziaria "solo
 quando  questa  riconosce  che  la  domanda  risponde  alle  esigenze
 dell'agricoltura  o dell'industria". Ne dovrebbe dunque conseguire il
 rigetto della domanda cautelare, non ricorrendo nella fattispecie  le
 esigenze di tipo produttivo considerate in via esclusiva dalla norma.
   Ritiene tuttavia il giudice a quo che la norma stessa, per la parte
 in  cui consente appunto la costituzione della servitu' solo in vista
 delle esigenze dell'agricoltura  e  dell'industria  e  non  anche  in
 considerazione  delle  esigenze  di  vita di mutilati ed invalidi con
 difficolta' di deambulazione, sia in contrasto con gli  artt.  2,  3,
 secondo comma, 32 e 42, secondo comma, della Costituzione.
   L'interesse  del disabile ad ottenere un passaggio sul fondo altrui
 al fine di accedere agevolmente alla  via  pubblica  sarebbe  infatti
 ricollegabile   al   diritto  inviolabile  ad  una  normale  vita  di
 relazione, tutelato dall'art. 2 Cost., ed al diritto  alla  salute  -
 inteso   come  interesse  del  singolo  e  della  collettivita'  alla
 eliminazione  delle  discriminazioni  dipendenti   dalle   situazioni
 invalidanti  - tutelato dall'art. 32 della Costituzione Il diritto di
 proprieta', ai sensi dell'art. 42, secondo comma, Cost., puo' d'altro
 canto subire limitazioni al fine di assicurarne la funzione sociale e
 cio' giustificherebbe la sua sottomissione ai doveri di  solidarieta'
 enunciati  dall'art.  2 Cost., anche in relazione all'esistenza di un
 principio  inteso   a   consentire   l'adeguato   svolgimento   della
 personalita'   rimuovendo   gli   ostacoli   che  si  frappongono  al
 superamento di situazioni di diseguaglianza (art. 3,  secondo  comma,
 Cost.).
   La  vigente  legislazione  in  tema  di eliminazione delle barriere
 architettoniche offrirebbe poi - ad avviso del rimettente - ulteriori
 elementi a sostegno del dubbio di legittimita', sia perche'  essa  ha
 gia' introdotto limitazioni speciali al diritto di proprieta' al fine
 di  garantire  l'accessibilita'  dei  disabili agli edifici (quali le
 deroghe al regime ordinario delle distanze ed a quello delle delibere
 condominiali) sia soprattutto in quanto l'intero  impianto  normativo
 dimostra  che  l'accessibilita' a fini abitativi costituisce non solo
 un interesse del disabile ma un'utilita' ed un  carattere  intrinseco
 dell'immobile,  non  diversamente  dalle possibilita' di sfruttamento
 agricolo ed industriale considerate dall'art. 1052 del codice civile.
   L'esistenza di una normativa intesa a favorire l'eliminazione delle
 barriere architettoniche non escluderebbe, d'altro canto, l'interesse
 alla  costituzione della servitu' coattiva di passaggio in tutti quei
 casi in cui - come nellafattispecie sottoposta all'esame del  giudice
 a  quo  -  il  passaggio  esistente  non  possa  adeguarsi se non con
 dispendio o disagio eccessivo o comunque  notevolmente  superiore  al
 pregiudizio  che, con l'imposizione della servitu', verrebbe arrecato
 al fondo limitrofo.
   2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo
 per l'inammissibilita' della questione.
   Secondo  quanto dedotto dall'Avvocatura la norma denunciata sarebbe
 inapplicabile alla fattispecie  oggetto  del  giudizio,  sia  perche'
 diretta  a  regolamentare  (secondo  la  tradizione romanistica delle
 servitu' prediali) situazioni inerenti alla qualitas dei  fondi  piu'
 che  alle  contingenti  e  soggettive  esigenze  dei proprietari, sia
 soprattutto perche' dal suo ambito di applicazione risultano escluse,
 in base al  disposto  dell'art.  1051,  ultimo  comma,  espressamente
 richiamato  dall'art.  1052,  primo  comma,  "le  case,  i cortili, i
 giardini e le aie" e tale esclusione dovrebbe estendersi,  sempre  ad
 avviso dell'Avvocatura, anche agli orti.
                         Considerato in diritto
   1.   -   Il   pretore   di  La  Spezia  dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1052, secondo comma, del codice  civile,  in
 riferimento  agli  artt. 2, 3, secondo comma, 32 e 42, secondo comma,
 della Costituzione, "nella parte in cui non consente di costituire la
 servitu' di cui al  primo  comma  in  favore  di  edifici  di  civile
 abitazione,  al  fine  di  garantire  un  adeguato  accesso  alla via
 pubblica per mutilati ed invalidi con difficolta' di deambulazione".
   La  norma  denunciata  contrasterebbe  infatti,   ad   avviso   del
 rimettente,  con  il  principio di eguaglianza in senso sostanziale e
 sarebbe altresi' lesiva, nei confronti dei portatori di handicap  sia
 del  diritto  inviolabile  ad  una normale vita di relazione, sia del
 diritto alla salute,  inteso  come  interesse  del  singolo  e  della
 collettivita'  alla  eliminazione  delle  discriminazioni  dipendenti
 dalle  situazioni   invalidanti.   Essa   inoltre,   consentendo   la
 costituzione  di servitu' coattiva di passaggio a favore di fondo non
 intercluso solo per finalita' produttive e  non  anche  in  relazione
 alle esigenze di vita degli invalidi, si porrebbe in contrasto con la
 funzione sociale del diritto di proprieta'.
   2.  -  Va  preliminarmente  disattesa l'eccezione di irrilevanza e,
 quindi, di inammissibilita' della questione sollevata dall'Avvocatura
 generale in base all'assunto che l'orto, su cui dovrebbe nella specie
 costituirsi la servitu'  coattiva  di  passaggio,  sarebbe,  come  le
 "case,  i  cortili,  i  giardini e le aie ad esse attinenti", un bene
 esente da siffatta servitu' ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1051
 cod.  civ.
   Contrariamente  a  quanto  ritenuto  dall'Avvocatura,   l'esenzione
 stabilita  da  tale  norma,  essendo  intesa  ad  evitare l'eccessiva
 onerosita' che, avuto  riguardo  alla  destinazione  abitativa  degli
 immobili,  deriverebbe  dall'imposizione  del  passaggio  a carico di
 essi, va, infatti, rigorosamente circoscritta alle case  e  a  quegli
 immobili,  come appunto i cortili, i giardini e le aie, che alle case
 sono legati da un vincolo pertinenziale.  Mentre del  tutto  estranei
 allo  scopo  ed  alla  previsione della norma devono considerarsi gli
 orti,  intendendosi  per  tali,  secondo  il  significato  comune del
 termine, quei fondi agricoli,  di  modeste  dimensioni,  destinati  a
 soddisfare   le  esigenze  alimentari  del  coltivatore  e  dei  suoi
 familiari e privi,  in  relazione  alla  loro  vocazione  tipicamente
 agricola, del carattere di accessorieta' alla casa di abitazione.
   La  qualificazione  in  concreto  del  fondo  come  orto  nel senso
 precisato,  piuttosto  che  come  giardino  o  aia,  costituisce  poi
 questione  di  fatto rimessa alla esclusiva valutazione del giudice a
 quo.    Sicche',    anche    sotto    tale    aspetto,    l'eccezione
 d'inammissibilita' della questione risulta priva di fondamento.
   3. - Nel merito, la questione e' fondata.
   4.  - L'art. 1052 cod. civ. disciplina l'ipotesi di costituzione di
 passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso, che cioe'  abbia
 un   proprio   accesso   alla   via  pubblica,  tuttavia  inadatto  o
 insufficiente ai bisogni del fondo e non ampliabile.
   Va premesso che l'"ampliabilita'" di cui alla  citata  disposizione
 deve essere intesa, secondo la giurisprudenza di legittimita', non in
 senso  letterale,  cioe'  con  riferimento  alla  sola  larghezza del
 passaggio, ma nel piu' ampio e generico significato di  riducibilita'
 a  sufficienza e adeguatezza. L'accesso alla pubblica via va, d'altro
 canto,  considerato  non  ampliabile  non  soltanto  quando  il   suo
 adeguamento  sia  materialmente  impossibile, ma anche quando risulti
 eccessivamente oneroso o difficoltoso, secondo la disposizione di cui
 al  primo  comma   dell'art.   1051   cod.   civ.,   ritenuta   dalla
 giurisprudenza  applicabile  alla  fattispecie disciplinata dall'art.
 1052 in virtu' dell'espresso richiamo contenuto in quest'ultima norma
 e della evidente identita' di situazione e di ratio giustificatrice.
   La concessione del passaggio coattivo e' subordinata,  dalla  norma
 denunciata,   non  solo  alla  inadeguatezza  dell'accesso  alla  via
 pubblica e alla sua non ampliabilita', ma anche alla  sussistenza  di
 una  ulteriore  condizione,  rappresentata  dalla  circostanza che la
 domanda risponda "alle esigenze della agricoltura o dell'industria".
   Con tale disposizione - ignota al codice  civile  previgente  -  il
 legislatore,   per  il  caso  di  fondo  non  intercluso,  ha  inteso
 ricollegare la costituzione della servitu' coattiva di passaggio  non
 soltanto  alle necessita' del fondo (come nel caso di costituzione di
 servitu' a favore di fondo intercluso), ma anche alla sussistenza  in
 concreto  di  un  interesse  generale,  all'epoca  identificato nelle
 esigenze dell'agricoltura  o  dell'industria.  Mentre  estranee  alla
 previsione  della  norma  e  prive, pertanto, di ogni rilievo ai fini
 della costituzione  del  passaggio  coattivo  risultano  le  esigenze
 abitative,  pur  se  riferibili a quegli interessi fondamentali della
 persona la cui tutela e' indefettibile.
   Ed e' in relazione a quest'ultimo aspetto che  la  norma  si  pone,
 come  si  vedra',  in contrasto con i principi costituzionali evocati
 dal rimettente.
   5. - Va in proposito ricordato che  la  piu'  recente  legislazione
 relativa ai portatori di handicap - in particolare la legge 9 gennaio
 1989,   n.   13   (Disposizioni   per   favorire   il  superamento  e
 l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati),
 e la legge 5 febbraio 1992, n. 104  (Legge-quadro  per  l'assistenza,
 l'integrazione  sociale e i diritti delle persone handicappate) - non
 si e' limitata ad innalzare il livello di tutela in  favore  di  tali
 soggetti,  ma  ha  segnato,  come  la  dottrina  non  ha  mancato  di
 sottolineare,  un  radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo
 stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidita',
 considerati ora quali problemi non solo individuali, ma tali da dover
 essere assunti dall'intera collettivita'.
   Di tale mutamento di prospettiva e' segno  evidente  l'introduzione
 di  disposizioni  generali per la costruzione degli edifici privati e
 per  la  ristrutturazione  di  quelli   preesistenti,   intese   alla
 eliminazione  delle barriere architettoniche, indipendentemente dalla
 effettiva utilizzazione degli edifici stessi da parte  delle  persone
 handicappate.
   Risulta,  allora, chiaro come la tutela di queste ultime sia potuta
 divenire uno dei motivi di fondo della vigente legislazione abitativa
 attraverso  anche  (ma  non  esclusivamente)  la   fissazione   delle
 caratteristiche  necessarie  all'edificio abitativo considerato nella
 sua oggettivita' ed astraendo dalla condizione personale del  singolo
 utilizzatore.
   Cosi',  l'accessibilita' - che l'art. 2 del d.m. 14 giugno 1989, n.
 236 (Prescrizioni tecniche necessarie a  garantire  l'accessibilita',
 l'adattabilita'  e  la  visitabilita'  degli  edifici  privati  e  di
 edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del
 superamento e della  eliminazione  delle  barriere  architettoniche),
 definisce  come  "la  possibilita',  anche  per persone con ridotta o
 impedita capacita' motoria o sensoriale, di raggiungere l'edificio  e
 le   sue   singole  unita'  immobiliari  e  ambientali,  di  entrarvi
 agevolmente e di  fruirne  spazi  e  attrezzature  in  condizioni  di
 adeguata sicurezza e autonomia" - e' divenuta una qualitas essenziale
 degli   edifici  privati  di  nuova  costruzione  ad  uso  di  civile
 abitazione,  quale  conseguenza  dell'affermarsi,   nella   coscienza
 sociale,  del  dovere  collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni
 possibile ostacolo alla esplicazione dei diritti  fondamentali  delle
 persone affette da handicap fisici.
   Per quanto riguarda poi gli edifici privati gia' esistenti, vengono
 in   considerazione,   come   espressione   dello   stesso  indirizzo
 legislativo, gli interventi previsti dall'art. 2 della  citata  legge
 n.   13  del  1989,  in  virtu'  dei  quali  e'  possibile  apportare
 all'immobile condominiale,  a  spese  dell'interessato  ed  anche  in
 deroga   alle  norme  sul  condominio  negli  edifici,  le  modifiche
 necessarie per renderlo piu' comodamente accessibile.
   E' peraltro evidente come la citata  normativa  possa  in  concreto
 risultare del tutto insufficiente rispetto al fine perseguito, ove le
 innovazioni   necessarie   alla  piena  accessibilita'  dell'immobile
 risultino   in   concreto   impossibili   o,   come   nella   specie,
 eccessivamente onerose o comunque di difficile realizzazione.
   Ed  e'  appunto  in  relazione a tali ipotesi che la non inclusione
 della accessibilita' dell'immobile tra  le  esigenze  che,  ai  sensi
 dell'art.  1052,  secondo  comma,  cod.  civ., possono legittimare la
 costituzione della servitu' coattiva di passaggio, risulta lesiva  di
 quei   principi   costituzionali   che,   come   si   e'   accennato,
 l'accessibilita' dell'abitazione e' intesa a realizzare.
   6. -  Piu'  specificamente,  la  impossibilita'  di  accedere  alla
 pubblica  via,  attraverso un passaggio coattivo sul fondo altrui, si
 traduce nella lesione del diritto del portatore di  handicap  ad  una
 normale  vita  di  relazione,  che  trova espressione e tutela in una
 molteplicita'  di  precetti  costituzionali:  evidente  essendo   che
 l'assenza   di  una  vita  di  relazione,  dovuta  alla  mancanza  di
 accessibilita'   abitativa,   non   puo'   non   determinare   quella
 disuguaglianza  di  fatto impeditiva dello sviluppo della persona che
 il legislatore deve, invece, rimuovere.
   L'omessa previsione della esigenza  di  accessibilita',  nel  senso
 gia'   precisato,   della  casa  di  abitazione,  accanto  a  quelle,
 produttivistiche, dell'agricoltura e dell'industria rende,  pertanto,
 la  norma  denunciata  in contrasto sia con l'art. 3 sia con l'art. 2
 della  Costituzione,  ledendo   piu'   in   generale   il   principio
 personalista  che ispira la Carta costituzionale e che pone come fine
 ultimo  dell'organizzazione  sociale  lo  sviluppo  di  ogni  singola
 persona umana.
   7. - Sotto un diverso aspetto, poi, questa Corte ha gia' avuto modo
 di affermare come debba ritenersi ormai superata la concezione di una
 radicale  irrecuperabilita'  dei  portatori  di  handicap  e  come la
 socializzazione debba essere considerata un elemento  essenziale  per
 la   salute   di   tali   soggetti   si'  da  assumere  una  funzione
 sostanzialmente terapeutica assimilabile  alle  pratiche  di  cura  e
 riabilitazione (sentenza n. 215 del 1987).
   S'intende allora come la norma denunciata, impedendo od ostacolando
 la   accessibilita'   dell'immobile   abitativo   e,  quale  riflesso
 necessario, la socializzazione degli handicappati comporti anche  una
 lesione  del  fondamentale  diritto  di  costoro  alla  salute intesa
 quest'ultima   nel   significato,   proprio   dell'art.   32    della
 Costituzione,  comprensivo  anche della salute psichica la cui tutela
 deve essere di grado pari a quello della salute fisica.
   8.  -   Avverso   l'affermata   incostituzionalita'   della   norma
 denunciata,   non   vale   opporre,   come   fa   l'Avvocatura,   che
 l'accessibilita' propria degli edifici abitativi farebbe  riferimento
 alla  persona  dei  proprietari  piu'  che ad una qualitas dei fondi,
 cosicche' difetterebbe, nella specie, il carattere della predialita',
 proprio  delle  servitu'.  Si  e'  gia'  visto,   infatti,   che   la
 legislazione  in  tema di eliminazione delle barriere architettoniche
 ha configurato la possibilita'  di  agevole  accesso  agli  immobili,
 anche  da  parte  di  persone  con  ridotta  capacita'  motoria, come
 requisito oggettivo quanto essenziale degli edifici privati di  nuova
 costruzione,   a  prescindere  dalla  loro  concreta  appartenenza  a
 soggetti portatori di  handicap.  Mentre  dottrina  e  giurisprudenza
 hanno,  per  altro  verso, chiarito come la predialita' non sia certo
 incompatibile con una nozione di utilitas che abbia riguardo - specie
 per gli edifici di  civile  abitazione  -  alle  condizioni  di  vita
 dell'uomo in un determinato contesto storico e sociale, purche' detta
 utilitas  sia  inerente  al bene cosi' da potersi trasmettere ad ogni
 successivo proprietario del fondo dominante.
   Ne', d'altronde,  la  previsione  della  servitu'  in  parola  puo'
 trovare  ostacolo  nella  garanzia accordata al diritto di proprieta'
 dall'art.   42 della Costituzione.  Come  osservato  dal  rimettente,
 infatti, il peso che in tal modo si viene ad imporre sul fondo altrui
 puo'  senz'altro  ricomprendersi  tra  quei  limiti  della proprieta'
 privata  determinati  dalla  legge,  ai  sensi  della  citata   norma
 costituzionale, allo scopo di assicurarne la funzione sociale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1052, secondo
 comma, del codice civile, nella parte  in  cui  non  prevede  che  il
 passaggio  coattivo  di  cui  al  primo  comma  possa essere concesso
 dall'autorita' giudiziaria quando questa  riconosca  che  la  domanda
 risponde  alle  esigenze di accessibilita' - di cui alla legislazione
 relativa ai portatori di handicap - degli edifici  destinati  ad  uso
 abitativo.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1999.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Marini
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 10 maggio 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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