N. 170 SENTENZA 10 - 14 maggio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Filiazione - Paternita' - Azione di disconoscimento - Termine per la
 proposizione - Impotentia generandi - Decorrenza, per il marito,  dal
 giorno  in  cui  ne  abbia avuto consapevolezza - Omessa previsione -
 Decorrenza, per la moglie, dalla  data  in  cui  essa  sia  venuta  a
 conoscenza della impotenza di generare del marito - Omessa previsione
 -  Violazione  del  principio  di uguaglianza e di quello di agire in
 giudizio - Irragionevolezza - Riferimento alla sentenza  della  Corte
 n.  134/1985 - Insussistenza di conflitto tra favor veritatis e favor
 minoris -  Illegittimita' costituzionale.
 
 (C.C., art. 244, commi 1 e 2).
 
(GU n.20 del 19-5-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA,  prof.  Valerio  ONIDA,
 prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof. Guido NEPPI
 MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  244,  primo  e
 secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 15
 luglio 1997 dal Tribunale di Venezia nel procedimento civile vertente
 tra F. W. e P. S. ed altri, iscritta al n. 419 del registro ordinanze
 1998  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24,
 prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito nella camera di consiglio del 10  febbraio  1999  il  giudice
 relatore Fernanda Contri.
                           Ritenuto in fatto
   Nel  corso  di  un giudizio di disconoscimento della paternita', il
 Tribunale di Venezia, con ordinanza emessa  il  15  luglio  1997,  ha
 sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, primo comma, 29, primo
 comma,  e  30, terzo e quarto comma, della Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 244, primo e secondo comma, del
 codice civile, nella parte in cui non dispone, per il  caso  previsto
 dall'art.  235, numero 2), del medesimo codice, che il termine per la
 proposizione dell'azione di disconoscimento della paternita'  decorra
 dal  giorno  in  cui ciascuno dei due coniugi sia venuto a conoscenza
 dell'impotenza di generare del marito.
   Premette, in fatto, il Tribunale rimettente che l'attore, dopo aver
 appreso, sulla base di  esami  clinici,  la  propria  incapacita'  di
 procreare,  ha proposto azione di disconoscimento della paternita' di
 entrambi i figli minori, nati in costanza di matrimonio,  e  che  nel
 conseguente  giudizio  la  convenuta  ha  preliminarmente eccepito la
 decadenza dall'azione, per il mancato rispetto  del  termine  annuale
 dalla nascita dei figli, stabilito dall'art. 244 del codice civile.
   Il  giudice  a  quo ricorda anzitutto che la Corte, con sentenza n.
 134 del 1985, ebbe gia' a dichiarare la illegittimita' costituzionale
 del medesimo art. 244  cod.  civ.,  con  riferimento  all'ipotesi  di
 adulterio  di  cui al numero 3) dell'art. 235, nella parte in cui non
 dispone  che  il  termine  per  proporre  l'azione di disconoscimento
 decorra  dal  giorno  in  cui  il  marito  sia  venuto  a  conoscenza
 dell'adulterio  della  moglie;  in  tale  occasione la Corte, benche'
 richiesta  di  estendere  tale  declaratoria  anche  alla  previsione
 dell'impotenza,  ritenne  tuttavia di non potersi pronunciare oltre i
 limiti della rilevanza, attesa la non totale identita' dei casi.
   La specifica questione della decorrenza del termine dell'azione  di
 disconoscimento basata sull'impotenza fu invece esaminata dalla Corte
 -  come  precisa il rimettente - con la sentenza n. 249 del 1974, che
 ne dichiaro' l'infondatezza, in quanto la norma, nel testo  anteriore
 alla  riforma del diritto di famiglia, era inserita in un sistema nel
 quale assumeva particolare rilievo il favor legitimitatis.
   Osserva tuttavia il rimettente che gli elementi posti a sostegno di
 quest'ultima pronuncia  sono  ormai  mutati,  poiche'  sia  sotto  il
 profilo    normativo   che   nella   coscienza   collettiva   si   e'
 progressivamente attribuita prevalenza al favor veritatis rispetto al
 favor legitimitatis e contemporaneamente le  cognizioni  scientifiche
 acquisite  nel  settore delle indagini ematologiche e genetiche hanno
 determinato  l'idoneita'  probatoria  di  tali  mezzi  a  fondare  la
 dimostrazione del rapporto di filiazione.
   Ad  avviso  del  giudice  a  quo  la norma impugnata si porrebbe in
 contrasto con gli artt. 24, primo comma,  e  3,  primo  comma,  della
 Costituzione, in quanto irragionevolmente non attribuisce ad entrambi
 i  coniugi il diritto di provare la impotenza di generare del marito,
 anche successivamente al decorso rispettivamente di un  anno  per  il
 padre  e  di sei mesi per la madre dalla nascita del figlio legittimo
 ed entro il termine, rispettivamente, di un anno per il  padre  e  di
 sei  mesi  per  la  madre  dal  momento  in  cui  essi siano venuti a
 conoscenza della predetta impotenza; la  medesima  norma  violerebbe,
 inoltre,  gli  artt.  2,  3,  primo comma, 24, primo comma, 29, primo
 comma, e 30,  terzo  e  quarto  comma,  della  Costituzione,  poiche'
 impedendo ad entrambi i coniugi, in modo irragionevole, di far valere
 l'impotenza  di  generare  del  marito, contrasta con il loro diritto
 inviolabile all'accertamento giudiziale  del  rapporto  biologico  di
 paternita' nei confronti del figlio legittimo.
   Il rimettente richiama poi le argomentazioni che indussero la Corte
 a  dichiarare  la  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 244 cod.
 civ. - per l'accertata lesione del diritto di azione del marito,  ove
 non  fosse  al  medesimo  consentito  di promuovere il giudizio entro
 l'anno dalla scoperta  dell'adulterio  -  per  applicare  i  medesimi
 principi   alla  ipotesi  della  incapacita'  di  generare.  Osserva,
 infatti, il giudice a  quo  che  la  conoscenza  della  impotenza  di
 generare   all'epoca   del  concepimento  potrebbe  acquisirsi  anche
 successivamente al termine di un anno dalla nascita dei figli, con la
 conseguente impossibilita' per il  marito  di  esperire  l'azione  di
 disconoscimento  di cui all'art.  235, numero 2), cod. civ.; ne' tale
 azione potrebbe essere surrogata da quella di cui al  numero  3)  del
 medesimo  art.  235,  poiche'  l'attribuzione  in via autonoma di una
 determinata  azione  deve  necessariamente  essere   correlata   alla
 possibilita'   del   suo   concreto   esercizio  ed  inoltre  per  la
 considerazione  che  il   termine   di   esercizio   dell'azione   di
 disconoscimento per adulterio potrebbe essere gia' decorso al momento
 della scoperta dell'impotenza.
   Occorre  al  riguardo  osservare  -  continua  il  rimettente - che
 l'adulterio non esclude di per se' la paternita' del marito, si'  che
 puo'  sussistere  un  interesse  da  parte di entrambi i coniugi alla
 proposizione dell'azione di disconoscimento fondata sull'impotenza.
   La sussistenza del predetto interesse anche della moglie a proporre
 l'azione in esame induce il giudice a  quo  a  chiedere  l'estensione
 della  eventuale declaratoria di illegittimita' costituzionale, sulla
 base dei medesimi parametri costituzionali, al primo comma  dell'art.
 244 cod. civ., stabilendo che il termine assegnato alla moglie per il
 promovimento   dell'azione   decorra,  in  caso  questa  sia  fondata
 sull'art.   235, numero 2), cod. civ., dalla  data  in  cui  essa  e'
 venuta a conoscenza dell'impotenza di generare del coniuge.
                        Considerato in diritto
   1.   -   Il   Tribunale   di   Venezia  dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 244,  primo  e  secondo  comma,  del  codice
 civile,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  il  termine per la
 proposizione dell'azione di  disconoscimento  della  paternita',  nel
 caso  di  impotenza  di generare, decorra per il marito dal giorno in
 cui il medesimo sia venuto a conoscenza della propria incapacita'  di
 procreare;  il  giudice  a quo chiede inoltre che la Corte estenda la
 eventuale declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale  al  primo
 comma  della  medesima  norma,  nella parte in cui non prevede che il
 termine assegnato alla moglie decorra dalla  data  in  cui  essa  sia
 venuta a conoscenza della impotenza di generare del marito.
   Secondo la prospettazione del rimettente, la norma in esame sarebbe
 irragionevole  e  lesiva  del diritto di azione dei coniugi, ai quali
 non e' attribuito il diritto di provare l'impotenza del marito, anche
 successivamente al decorso rispettivamente di un anno per il padre  e
 di  sei mesi per la madre dalla nascita del figlio legittimo ed entro
 il termine, rispettivamente, di un anno per il padre e  di  sei  mesi
 per la madre dal momento in cui essi ne siano venuti a conoscenza; la
 citata  norma  contrasterebbe  inoltre con il diritto inviolabile dei
 medesimi coniugi all'accertamento giudiziale del  rapporto  biologico
 di paternita' nei confronti del figlio legittimo.
   2.  -  La norma in esame e' stata piu' volte sottoposta a scrutinio
 di legittimita' costituzionale da questa Corte, che ha avuto modo  di
 pronunciarsi  in relazione ad ognuna delle diverse formulazioni della
 disposizione impugnata che si sono succedute nel tempo.
   Anteriormente alla riforma del diritto di famiglia, la  Corte,  con
 sentenza  n.  249  del  1974,  dichiaro'  non fondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 244 cod.  civ.,  la  quale  era
 stata   prospettata,   in  termini  analoghi  a  quelli  dell'odierna
 ordinanza, con riferimento all'ipotesi di impotenza di  generare;  il
 rimettente  dell'epoca  lamentava  infatti la violazione dell'art. 24
 della Costituzione, poiche' la norma  non  consentiva  al  marito  di
 esercitare  l'azione,  qualora  egli  fosse  venuto  a conoscenza del
 proprio stato  di  impotenza  in  epoca  successiva  al  decorso  del
 termine, allora trimestrale, dalla nascita del figlio.
   La  Corte  affermo'  che la brevita' del termine e la decorrenza di
 esso  da  un  fatto  certo  ed  obiettivo,  quale  e'   la   nascita,
 rispondevano  all'esigenza  della  certezza  giuridica  dei  rapporti
 familiari, in funzione della quale assumeva  particolare  rilievo  il
 favor  legitimitatis;  al  contrario,  consentire  la  decorrenza del
 termine da un evento difficilmente controllabile sarebbe equivalso  a
 vanificare  il  termine  stesso  e  a rendere possibile l'esperimento
 dell'azione in qualsiasi momento.
   La questione della  decorrenza  del  termine  per  la  proposizione
 dell'azione  di  disconoscimento  fu  nuovamente affrontata da questa
 Corte e dichiarata non fondata con la sentenza n.  64  del  1982,  in
 relazione   all'ipotesi  dell'adulterio  e  sotto  il  profilo  della
 disparita' di trattamento tra il padre e il figlio.  La  infondatezza
 della   questione   fu   pronunciata   essenzialmente  in  base  alla
 considerazione del perdurante rilievo  del  favor  legitimitatis  che
 aveva  indotto il legislatore a differenziare, quanto alla decorrenza
 del termine, il trattamento del padre rispetto a quello  del  figlio,
 facendo  decorrere  per  quest'ultimo  l'azione  dal compimento della
 maggiore eta' o dal momento in cui il medesimo  figlio  fosse  venuto
 successivamente   a  conoscenza  dei  fatti.  Pur  rilevandosi  nella
 intervenuta riforma del diritto di famiglia uno spostamento d'accento
 dal favor legitimitatis al favor veritatis si ritenne tuttavia che il
 legislatore, lasciando il termine di decadenza dell'azione del  padre
 correlato alla conoscenza della nascita, avesse voluto porre al favor
 veritatis  un  limite giustificato dai pericoli e dagli inconvenienti
 di uno sconvolgimento di rapporti  familiari  protrattisi  per  lungo
 tempo, senza accordare ad esso il valore di un principio assoluto.
   Con  la  sentenza  n.  134  del  1985  si  e' invece pervenuti alla
 declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  244  cod.
 civ., nella parte in cui non dispone, per il caso previsto dal numero
 3)  dell'art.    235,  che  il termine dell'azione di disconoscimento
 decorra  dal  giorno  in  cui  il  marito  sia  venuto  a  conoscenza
 dell'adulterio  della  moglie;  l'iter  argomentativo di tale diversa
 pronuncia si fonda - oltre che su considerazioni di  ordine  generale
 relative  alla evoluzione della coscienza collettiva, nel senso della
 accordata   preminenza   del   fatto   della    procreazione    sulla
 qualificazione giuridica della filiazione e sulla constatazione della
 finalita',  voluta dal legislatore del 1975 e ulteriormente da quello
 del 1983, di favorire il perseguimento del  valore  verita'  -  sulla
 constatazione,  in  particolare,  della  irragionevole esclusione del
 diritto del padre di  agire  per  il  disconoscimento,  nel  caso  di
 scoperta  dell'adulterio  oltre  un  anno dopo la nascita del figlio,
 poiche', in  tale  ipotesi,  l'azione  sarebbe  inutiliter  data  con
 patente violazione del diritto di agire in giudizio.
   3. - La questione prospettata dall'odierno rimettente e' fondata.
   L'art.  235,  numero 2), del codice civile, nel consentire l'azione
 di disconoscimento se nel periodo compreso fra il trecentesimo ed  il
 centottantesimo  giorno  prima della nascita del figlio il marito era
 affetto da impotenza, anche solo di generare,  detta  una  disciplina
 comune  alle diverse forme nelle quali puo' manifestarsi l'impotenza,
 la cui distinzione assume  invece  importanza  fondamentale  ai  fini
 della  verifica di legittimita' costituzionale della norma impugnata.
 Ed  invero,  in  relazione  all'impotentia   coeundi   immediatamente
 conoscibile, appare razionale la scelta del legislatore di imporre il
 termine  di  un  anno  dalla  nascita  del figlio per la proposizione
 dell'azione di disconoscimento, non essendo ipotizzabile  l'ignoranza
 di tale forma di impotenza.
   L'impotenza di generare rappresenta, al contrario, uno stato fisico
 che  puo'  rimanere  per  lungo  tempo ignoto, poiche' in una elevata
 percentuale di casi consiste in un'affezione, che puo'  essere  priva
 di  sintomatologia  e di manifestazioni esteriori; inoltre tale stato
 e'  diagnosticabile  solo attraverso esami clinici cui non si ricorre
 usualmente.
   Dei  diversi  parametri  costituzionali  invocati  dal   rimettente
 risulta palese la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
   Per  un  verso  rispetto  a tale forma di impotenza la norma appare
 irragionevole,  in  quanto  preclude   l'esercizio   dell'azione   di
 disconoscimento  della  paternita',  decorso l'anno dalla nascita del
 figlio, se il marito non  sia  stato  a  conoscenza  di  un  elemento
 costitutivo   dell'azione   medesima  e  precisamente  della  propria
 incapacita' di generare.
   Per altro verso e' irrimediabilmente  leso  il  diritto  di  azione
 quando  si  consente  che  il  termine  per  il  suo  esercizio possa
 decorrere indipendentemente dalla conoscenza dei presupposti e  degli
 elementi   costitutivi  da  cui  sorge  il  diritto  stesso;  e  cio'
 soprattutto in ipotesi, come quella di specie,  in  cui  e'  dato  di
 comune    esperienza    che   l'elemento   costitutivo   dell'azione,
 rappresentato dall'impotenza di generare, puo' rimanere a lungo  e  a
 volte anche indefinitamente ignoto.
   Questa  Corte, nella richiamata sentenza n. 134 del 1985, ebbe gia'
 ad affermare, in relazione alla decorrenza del  termine  nell'ipotesi
 di  adulterio di cui all'art. 235, numero 3), cod. civ., la oggettiva
 irrazionalita' della disposizione impugnata, che impedisce al  marito
 di  proporre  il  disconoscimento  dopo  essere  venuto  a conoscenza
 dell'avvenimento da cui nasce il suo diritto di azione;  detta  norma
 si  ritenne  inoltre inconciliabile con il principio in base al quale
 "la garanzia di cui all'art. 24 della  Costituzione  deve  estendersi
 alla  conoscibilita'  del momento di decorrenza del termine stesso al
 fine  di  assicurarne  all'interessato  l'utilizzazione   nella   sua
 interezza".  Le  medesime  considerazioni  valgono  in relazione alla
 questione oggi in esame,  nella  quale  ancora  una  volta  viene  in
 rilievo  l'incolpevole ignoranza di un fatto costitutivo dell'azione;
 determinare in tale ipotesi la  decorrenza  del  termine  dall'evento
 nascita  puo'  in  concreto  vanificare  il diritto di azione, il che
 contrasta insanabilmente con i principi costituzionali che presiedono
 alla tutela giurisdizionale dei diritti.
   4. -  Ne'  potrebbe  obiettarsi  che  il  termine  per  l'esercizio
 dell'azione,   essendo   subordinato   alla   conoscenza   del  fatto
 costitutivo (il che potrebbe avvenire anche  dopo  molti  anni  dalla
 nascita  del  figlio),  puo'  esporre  il  medesimo  alla perdita del
 proprio status a distanza di tempo.
   Il legislatore della riforma del diritto di famiglia ha superato la
 impostazione  tradizionale  che  attribuiva   preminenza   al   favor
 legitimitatis attraverso la equiparazione della filiazione naturale a
 quella legittima ed ha di conseguenza reso omogenee le situazioni che
 discendono  dalla  conservazione  dello  stato ancorato alla certezza
 formale rispetto a quelle  che  si  acquisiscono  con  l'affermazione
 della  verita'  naturale;  anteriormente  alla  riforma,  infatti, la
 condizione  deteriore   del   figlio   naturale,   significativamente
 denominato   "illegittimo",   che  non  poteva  nemmeno  ottenere  il
 riconoscimento qualora uno dei genitori fosse coniugato,  costituiva,
 unitamente    alla    riprovazione    sociale,   una   forte   remora
 all'accertamento   della   verita'   biologica   della   procreazione
 contrastante con quella legale.
   L'attribuzione  di pari diritti ai figli naturali rispetto a quelli
 legittimi, ad  opera  del  riformato  art.  261  del  codice  civile,
 determinando  il  venir  meno della posizione di privilegio di questi
 ultimi, ha consentito l'acquisizione di status conformi alla  realta'
 della   procreazione,   senza   piu'   tema   di   gravi  conseguenze
 pregiudizievoli legate alla condizione di  sfavore  della  filiazione
 naturale. Contemporaneamente le ipotesi di accertamento della verita'
 biologica  sono  state  ampliate,  sia  mediante  l'eliminazione  del
 divieto di riconoscimento  dei  figli  "adulterini",  sia  attraverso
 l'estensione della categoria dei soggetti legittimati all'esperimento
 delle  diverse  azioni  di  stato, come si e' verificato nell'ipotesi
 dell'impugnazione del  riconoscimento  per  difetto  di  veridicita',
 consentita  anche all'autore in mala fede del falso riconoscimento, o
 in  quella  del  disconoscimento  di  paternita',   cui   sono   oggi
 legittimati  anche  la  madre,  il  figlio maggiorenne, il figlio che
 abbia compiuto i sedici anni e, con la modifica introdotta  dall'art.
 81   della   legge  n.  184  del  1983  (Disciplina  dell'adozione  e
 dell'affidamento dei minori), il pubblico ministero quando si  tratta
 di minori di eta' inferiore.
   Le   disposizioni   normative   che  consentono  di  verificare  la
 conformita' dello status alla realta' della procreazione hanno quindi
 comportato   l'affermazione   del   principio    della    tendenziale
 corrispondenza  tra  certezza  formale  e  verita'  naturale,  la cui
 ricerca risulta agevolata dalle  avanzate  acquisizioni  scientifiche
 nel  campo della genetica e dall'elevatissimo grado di attendibilita'
 dei risultati delle indagini.
   Nella crescente  considerazione  del  favor  veritatis  non  si  e'
 ravvisata una ragione di conflitto con il favor minoris, poiche' anzi
 la verita' biologica della procreazione si e' ritenuta una componente
 essenziale   dell'interesse   del   medesimo  minore,  riconoscendosi
 espressamente l'esigenza di  garantire  al  figlio  il  diritto  alla
 propria  identita'  e precisamente all'affermazione di un rapporto di
 filiazione veridico (sentenze nn. 216 e 112 del  1997),  rispetto  al
 quale  puo'  recedere  l'intangibilita'  dello status, allorche' esso
 risulti privato del fondamento  della  presunta  corrispondenza  alla
 verita'  biologica  e  quando  risulti  tempestivamente  azionato  il
 diritto.
   Certamente  il  perseguimento  del  valore  verita'  determina   il
 sacrificio  della  posizione  familiare,  affettiva e socio-economica
 acquisita medio tempore  dal  figlio;  tuttavia,  la  sofferenza  del
 figlio  legittimo consapevole dell'apparenza solo formale del proprio
 status  contro  la  quale  nessuno  dei  soggetti  legittimati  abbia
 reagito,  non  e'  meno grave e profonda rispetto a quella di chi sia
 posto innanzi alla verita' della procreazione.
   5. - La dichiarazione di illegittimita' costituzionale  va  estesa,
 in  applicazione  dell'art.  27  della legge n. 87 del 1953, all'art.
 244, primo comma, del codice civile, nella parte in cui  non  prevede
 che  anche  per  la  madre  il termine per l'esercizio dell'azione di
 disconoscimento della  paternita'  a  causa  dell'impotenza  solo  di
 generare  del  marito  decorra  dal  giorno  in cui essa sia venuta a
 conoscenza dell'anzidetta impotenza.
   Mentre  si giustifica la scelta del legislatore di far decorrere il
 termine semestrale dalla nascita del figlio  nelle  ipotesi  previste
 dai numeri 1) e 3) dell'art. 235 del codice civile, in considerazione
 della  ovvia  conoscenza,  da  parte  della  medesima  moglie,  delle
 circostanze della procreazione, non altrettanto puo' dirsi  nel  caso
 di  impotenza  di  generare  del  marito;  per  quanto gia' affermato
 riguardo alle  caratteristiche  di  tale  forma  di  impotenza,  deve
 riconoscersi  che  anche  la  moglie  puo'  ignorare l'incapacita' di
 procreare del marito, si' che in  questo  caso  le  sarebbe  precluso
 l'esercizio   dell'azione,   in   quanto   la   sola   consapevolezza
 dell'adulterio non e' elemento sufficiente ad escludere la paternita'
 del marito.
   Una volta riconosciuto a favore della moglie un interesse  autonomo
 all'esercizio  dell'azione  in  esame  per tutte le ipotesi contenute
 nell'art. 235, ciascuna delle quali, pur  presupponendo  l'adulterio,
 e'  tuttavia caratterizzata da una propria causa petendi, costituisce
 evidente lesione del diritto di azione correlare  la  decorrenza  del
 termine,  nell'ipotesi  prevista  dal  numero  2) dell'art. 235, alla
 nascita del figlio, anziche'  alla  conoscenza  della  impotenza  del
 marito.  Occorre  precisare  ancora  che  a  differenza della mancata
 coabitazione  dei  coniugi,  dell'adulterio  e  del  celamento  della
 gravidanza  e  della  nascita  - elementi costitutivi dell'azione nei
 casi rispettivamente previsti dai numeri 1) e 3) dell'art. 235 -,  di
 cui  la  moglie  ha  sempre  piena,  diretta  e  completa cognizione,
 l'impotenza di generare del marito e'  invece  circostanza  che  puo'
 rimanere  per  lungo  tempo  incognita,  onde  in tal caso il termine
 decorrerebbe nell'ignoranza, da parte del titolare dell'azione, di un
 elemento costitutivo di essa.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  244,  secondo
 comma,  del  codice  civile,  nella  parte  in cui non prevede che il
 termine per la  proposizione  dell'azione  di  disconoscimento  della
 paternita',  nell'ipotesi  di impotenza solo di generare, contemplata
 dal numero 2) dell'art. 235  dello  stesso  codice,  decorra  per  il
 marito  dal  giorno in cui esso sia venuto a conoscenza della propria
 impotenza di generare;
   Dichiara in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n.
 87, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 244, primo  comma,  del
 codice  civile,  nella parte in cui non prevede che il termine per la
 proposizione  dell'azione  di   disconoscimento   della   paternita',
 nell'ipotesi  di  impotenza  solo  di  generare  di  cui al numero 2)
 dell'art.  235 dello stesso codice, decorra per la moglie dal  giorno
 in  cui  essa  sia venuta a conoscenza dell'impotenza di generare del
 marito.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 maggio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Contri
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 14 maggio 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 99C0504