N. 182 SENTENZA 12 - 20 maggio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Indagini preliminari - Richiesta  di  proroga  del
 termine  -  Requisiti  -  Indicazione delle norme sostanziali violate
 senza  altresi' prevedere la comunicazione delle iscrizioni  previste
 dall'art.  335  c.p.p. - Erroneita' dei presupposti interpretativi da
 parte del giudice rimettente - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 406, comma 1).
 
 (Cost., artt. 3 e 24, secondo comma).
 
(GU n.21 del 26-5-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
 Fernando  SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo  ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 406, comma 1,
 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa  il  12
 dicembre  1997  dal  giudice  per  le  indagini preliminari presso il
 Tribunale di Roma, iscritta al n. 270 del registro ordinanze  1998  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 17, prima
 serie speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  10  marzo 1999 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Chiamato a decidere sulla richiesta  di  proroga  dei  termini
 delle  indagini  preliminari  avanzata  dal  pubblico  ministero,  il
 giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, di  fronte
 ad  una  memoria del difensore di uno dei tre indagati il quale aveva
 riferito della assoluta impossibilita' di esercitare qualunque difesa
 per non essere stato notiziato ne' del tempus ne' del locus  commissi
 delicti  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3 e 24, secondo
 comma, della Costituzione, questione di legittimita'  dell'art.  406,
 comma  1, del codice di procedura penale, "nella parte in cui prevede
 che la richiesta del p.m. contiene solo ''l'indicazione della notizia
 di  reato''   (tenuto   conto   della   restrittiva   interpretazione
 comunemente  data  a  tale  accezione  da  intendersi alla stregua di
 ''diritto vivente'') e non anche le comunicazioni sulle iscrizioni di
 cui all'art. 335 del codice di procedura penale".
   2. - Osserva il giudice a quo  che,  alla  stregua  dell'art.  406,
 comma 1, il pubblico ministero puo', prima della scadenza, domandare,
 per giusta causa, la proroga del termine per le indagini preliminari,
 corredando  la  richiesta  con l'indicazione della notizia di reato e
 con l'esposizione dei motivi che giustificano la  proroga  e  che  la
 richiesta  stessa,  a  norma del comma 3 dell'art. 406, e' notificata
 alla persona  sottoposta  alle  indagini  la  quale  ha  facolta'  di
 presentare memoria nei cinque giorni dalla detta notificazione.
   Senonche'  il  contraddittorio  assicurato dalle disposizioni sopra
 ricordate  si  rivela  solo  apparente,  perche'  la   giurisprudenza
 consolidata   della   Corte   di   cassazione   persegue   la   linea
 interpretativa che ritiene  sufficiente,  ai  fini  dell'"indicazione
 della notizia di reato", "l'indicazione delle ipotesi di reato per le
 quali  vengono  svolte  le  indagini,  senza che siano indispensabili
 altre indicazioni spaziali e temporali del fatto"  previste,  invece,
 per l'informazione di garanzia.
   Con  la  conseguenza  di  rendere la dialettica cartolare del tutto
 fittizia, oltre tutto considerando i brevi termini a disposizione per
 presentare memorie e la impossibilita' per il giudice  di  rilasciare
 qualsivoglia  informazione sulla natura e le ragioni del procedimento
 per cui e' richiesta la  proroga.  Una  situazione  che  risulterebbe
 superata  solo  imponendo  al  pubblico  ministero  di  indicare  gli
 elementi previsti dall'art. 369 del codice di  procedura  penale  per
 l'informazione di garanzia.
   Sarebbe  vulnerato  anche  l'art.  3  della  Costituzione,  sia per
 l'intrinseca incoerenza di un regime che prevede  un  contraddittorio
 privo   di  ogni  concreta  effettivita',  sia  per  l'ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  ravvisabile  tra  chi,  avendo  ricevuto
 l'informazione   di   garanzia,   e'  gia'  a  conoscenza  del  fatto
 addebitatogli cosi' da poter spiegare  una  adeguata  difesa  e  chi,
 invece,  ricevendo  come  primo atto del procedimento la richiesta di
 proroga,  usufruisce  di  spazi  estremamente  piu'   ristretti   per
 l'esercizio di tale diritto.
   3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
   E  cio'  perche'  il  contraddittorio previsto per la proroga delle
 indagini non concerne il merito, ma esclusivamente le ragioni addotte
 dal pubblico ministero per giustificare la sua richiesta.
                         Considerato in diritto
   1. - Il giudice a quo dubita, in riferimento  agli  artt.  3  e  24
 della  Costituzione,  della  legittimita' dell'art. 406, comma 1, del
 codice di procedura  penale,  nella  parte  in  cui  prevede  che  la
 richiesta di proroga del termine per le indagini preliminari (termine
 fissato  -  in  via  ordinaria - dall'art. 405, comma 2, dello stesso
 codice, in sei mesi dalla data in cui  il  nome  della  persona  alla
 quale  e'  attribuito un reato e' iscritto nel registro delle notizie
 di reato) debba contenere la mera indicazione delle norme sostanziali
 violate e non anche  la  comunicazione  delle  iscrizioni  prescritte
 dall'art.  335.
   Per   la   verita',  dal  contesto  complessivo  dell'ordinanza  di
 rimessione  e'  agevole  desumere  che  la  disposizione  da   ultimo
 ricordata  venga  richiamata  solo  in  via  indiretta,  dolendosi il
 rimettente di  un  regime  che  prescrive  che  le  iscrizioni  siano
 comunicate  alla persona alla quale il reato e' attribuito (oltre che
 alla persona offesa ed ai rispettivi  difensori)  ove  ne  faccia(no)
 richiesta.  Richiesta, il piu' delle volte, almeno per l'indagato (ed
 ancor piu' per  il  difensore  la  cui  nomina  e'  subordinata  alla
 conoscenza  del  procedimento  da  parte  del  diretto  interessato),
 assolutamente ipotetica,  potendo  costui  essere  del  tutto  ignaro
 dell'ufficio  che procede e dei fatti interlocutoriamente addebitati.
 Cio' sull'implicito presupposto che, poiche'  l'art.  335  impone  al
 pubblico   ministero   il   dovere   di   iscrivere   immediatamente,
 nell'apposito registro custodito presso l'ufficio,  ogni  notizia  di
 reato che gli perviene, nonche', contestualmente o dal momento in cui
 risulta,  il  nome  della  persona  alla  quale  il  reato  stesso e'
 attribuito (comma  1),  provvedendo,  se  nel  corso  delle  indagini
 preliminari  muti la qualificazione giuridica del fatto ovvero questo
 risulta  diversamente  circostanziato,  ad  apportare   i   necessari
 aggiornamenti (comma 2), tale registro debba contenere le indicazioni
 previste dall'art. 369 del codice di procedura penale.
   Donde  il rilievo che i dati contenuti nel registro di cui all'art.
 335  costituiscono  la  base  sulla  quale  e'  possibile  attribuire
 all'indagato  il diritto di utilmente interloquire, purche' tali dati
 vengano  comunicati  "in  maniera  compiuta  affinche'  il   soggetto
 sottoposto  alle  indagini  possa  soppesare effettivamente", e cioe'
 venendo a conoscenza - sia pure per sommi capi - di quale  accusa  e'
 contro  di lui rivolta, cosi' da poter contestare la fondatezza della
 richiesta di proroga il cui accoglimento e' subordinato all'esistenza
 di  una  "giusta causa"; una verifica che, certo, non puo' arrestarsi
 all'accertamento della mera osservanza del rispetto dei termini.
   Inevitabile, dunque, l'evocazione - solo apparentemente  scaturente
 dall'esigenza  di  sottolineare  il deteriore trattamento riservato a
 chi non si trovi nelle condizioni per ricevere  la  comunicazione  di
 garanzia prevista dall'art. 369 rispetto a chi versi nella situazione
 legittimante  l'invio di tale atto - al modello adesso ricordato, nel
 cui contenuto sembrano convergere, secondo  il  giudice  a  quo  quei
 minima  richiesti  per apprestare, in sede di proroga delle indagini,
 una difesa effettiva e non puramente formale.
   Cio' non comporta che la domanda del rimettente debba  considerarsi
 predisposta  in  forma  alternativa;  un simile parallelismo esprime,
 infatti, soltanto l'esigenza - costituzionalmente  presidiata  -  che
 identici siano gli attributi del fatto che occorre siano conoscibili,
 in  funzione  delle  finalita'  da  perseguire,  tra  quanto previsto
 dall'art.   335 e quanto previsto  dall'art.  369.  Un'alternativita'
 espressamente esclusa dal rilievo che, "ferma restando la facolta' di
 invio  della  informazione  di  garanzia", il pubblico ministero, nel
 richiedere la proroga, comunichi le iscrizioni di  cui  all'art.  335
 utilizzando  il  modello della informazione di garanzia; vale a dire,
 l'indicazione delle norme di legge che  si  assumono  violate,  della
 data  e  del  luogo  del  fatto.  Di  qui  la  conclusione,  pur essa
 implicita, che, non  corrispondendo  necessariamente  il  modello  di
 notizia    di   reato   alle   prescrizioni   dell'art.   335,   solo
 un'integrazione di tale norma con il precetto dell'art.  369  sarebbe
 in   grado  di  assicurare  all'indagato  un'effettiva  difesa  nella
 procedura incidentale.
   2. - La questione non e' fondata.
   Il rimettente muove, infatti, da una  nozione  di  contenuto  della
 notizia di reato, quale delineata dalla norma sottoposta al vaglio di
 legittimita', che non puo' essere condivisa.
   Vero  e'  che  tale  nozione  e'  la  risultante  di  un  indirizzo
 interpretativo, evocato dal giudice a  quo  come  "diritto  vivente",
 stando  al  quale  l'"indicazione  della  notizia di reato" richiesta
 dall'art. 406, comma 1, e' assolta con l'indicazione delle ipotesi di
 reato per le quali  vengono  svolte  le  indagini,  senza  che  siano
 necessarie  precisazioni  temporali  o  spaziali del fatto, che sono,
 invece,  prescritte  per  l'informazione  di  garanzia;  quest'ultimo
 istituto  -  si  afferma  -  e',  infatti,  finalizzato  a consentire
 all'indagato di apprestare le difese "di merito", mentre  la  notizia
 di  reato che deve essere indicata nella richiesta di proroga ex art.
 406 e' soltanto un  "punto  di  riferimento"  del  vero  oggetto  del
 contraddittorio,  che  riguarda  essenzialmente  i motivi addotti dal
 pubblico ministero per giustificare la sua richiesta.
   Ma, a parte una certa enfatizzazione di tale linea  interpretativa,
 le  premesse  a  base  dell'ordinanza di rimessione vanno decisamente
 contestate perche', pur nell'ambito di ragionevoli esigenze di tutela
 della segretezza delle indagini - esigenze, peraltro,  condivise  dal
 rimettente    -    che    giustificano    la    mancata    previsione
 dell'instaurazione di un pieno contraddittorio tra le parti  ai  fini
 di  contestare  la  giusta  causa  della proroga addotta dal pubblico
 ministero e, quindi, di poter utilmente interloquire,  e'  necessario
 che  l'indagato  venga  a  conoscenza di quei minima prescritti dalla
 legge per l'informazione di garanzia  e  cioe'  "l'indicazione  delle
 norme  di  legge  che si assumono violate, della data e del luogo dei
 fatti".
   Il tutto, del resto,  in  un  quadro  in  cui  il  contenuto  della
 "notizia  di  reato"  sembra  correttamente assumere una designazione
 polisemantica, corrispondente alle esigenze  teleologiche  perseguite
 dalla  norma  che,  di  volta  in volta, lo prevede in funzione delle
 specifiche  finalita'  procedimentali  che  impongono   al   pubblico
 ministero  di  esternare,  al  precipuo  scopo  di non trasformare il
 contraddittorio cartolare in una vuota formula destinata a  fare  del
 titolare  dell'azione  penale  l'effettivo arbitro della procedura, i
 circostanziati addebiti elevati nei confronti dell'inquisito.
   Le esigenze sopra  rilevate  vanno  cosi'  individuate  soprattutto
 nella possibilita', che risulterebbe preclusa dalla norma denunciata,
 di  poter  utilmente  contestare,  in  una  logica attenta ai profili
 essenziali del fatto addebitato a una determinata persona, i  "giusti
 motivi" della proroga addotti dal pubblico ministero.
   Se e' pur vero, allora, che il contenuto della notizia di reato non
 e'  sempre  uniformemente  determinato dal legislatore, e' anche vero
 che una simile relativita' e' funzionale alle  finalita',  definibili
 sulla  base  del necessario rispetto della parita' delle parti; in un
 regime in cui il dovere di compiere  ogni  attivita'  necessaria  per
 l'esercizio  dell'azione  penale  (cfr.  il  combinato disposto degli
 artt. 326 e 358 del codice di procedura penale) va  contemperato  con
 il  dovere,  gravante  sul pubblico ministero, di esercitare ogni sua
 iniziativa  -  che  direttamente  si  colleghi  all'esigenza  di   un
 effettivo  contraddittorio  - in modo tale da consentire all'indagato
 di  conoscere  le  ragioni  dell'iniziativa  medesima.  Solo   cosi',
 infatti,  sara' reso possibile all'interessato contraddire le ragioni
 addotte dal titolare dell'azione penale. Nel caso della richiesta  di
 proroga   del   termine  per  condurre  le  indagini  preliminari  e'
 inevitabile concludere che  la  stessa  apparente  genericita'  delle
 condizioni  richieste  per  la  proroga  presuppone  che  la  notitia
 criminis rechi quelle indicazioni di spazio  e  di  tempo  necessarie
 perche'  l'indagato  possa  effettivamente  esercitare  il diritto di
 difesa garantitogli dall'art. 406,  comma  3,  secondo  quel  modello
 "minimo"  che  e' indicato dall'art. 369, modello che, considerato il
 complessivo assetto  disciplinante  la  materia,  viene  a  risultare
 conforme alla Costituzione.
   D'altro  canto, che il contraddittorio nel procedimento incidentale
 in questione non sia articolato secondo le forme prescritte dall'art.
 127 del codice di procedura penale, ma in  forme  ben  piu'  ridotte,
 prevedendo  l'art.  406,  commi  3 e 4, che alla notifica, a cura del
 giudice, della richiesta di proroga, consegue, trascorso  il  termine
 per  la  presentazione di memorie, l'ordinanza di autorizzazione alla
 prosecuzione delle indagini, provvedimento pronunciato in  camera  di
 consiglio senza intervento del pubblico ministero e dei difensori, e'
 una  ulteriore  circostanza  che  influisce al fine di pervenire alla
 soluzione interpretativa qui individuata. Tanto  piu'  che  solo  nel
 caso  in  cui  il giudice ritenga di non accogliere, allo stato degli
 atti, la  richiesta  di  proroga  e,  dunque,  possa  pronunciare  un
 provvedimento,  in  via  di  massima,  "favorevole"  all'indagato  (e
 "sfavorevole" al pubblico ministero) e' prescritta una  procedura  da
 espletare  nelle  forme previste dall'art. 127; nel corso della quale
 la  libera  dialettica  delle  parti  che  contrassegna  tale  modulo
 procedimentale   potra'  proiettare  i  suoi  riverberi  anche  sulle
 cognizioni dell'indagato in  ordine  ai  termini  dell'accusa,  cosi'
 effettivamente   permettendo  di  formulare  addebiti  -  in  ipotesi
 dipendenti anche  dagli  elementi  di  cui  si  denuncia  la  mancata
 previsione  da  parte  della  norma  censurata - circa i reali motivi
 della richiesta di proroga,  sindacando  eventualmente  la  colpevole
 inerzia dell'ufficio.
   3.   -  Cosi'  interpretata,  la  norma  sottoposta  al  vaglio  di
 legittimita' si sottrae alle censure del rimettente, con  riferimento
 ad entrambi i parametri invocati.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 406, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in
 riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal
 giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Roma  con
 l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 12 maggio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Vassalli
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 20 maggio 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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