N. 17 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 19 maggio 1999

                                N. 17
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il
 19 maggio 1999 (del tribunale di Bergamo)
 Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento  penale  a  carico
 dell'on.  Vittorio  Sgarbi,  per  il reato di diffamazione, per avere
 questi  offeso,  nel  corso  di  una  trasmissione   televisiva,   la
 reputazione del dott. Antonio Di Pietro - Deliberazione del 17 giugno
 1998,  con  cui  la Camera dei deputati ha dichiarato che i fatti per
 cui si procede  concernono  opinioni  espresse  nell'esercizio  delle
 funzioni  parlamentari,  ai  sensi del primo comma dell'art. 68 della
 Costituzione - Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello
 Stato sollevato dal tribunale  di  Bergamo  -  Dedotto  non  corretto
 esercizio del potere, conferito alla Camera dei deputati, di valutare
 i presupposti per la dichiarazione di insindacabilita' - Richiesta di
 annullamento della deliberazione impugnata.
 (Delibera della Camera dei deputati di Roma del 17 giugno 1998).
 (Cost., artt. 68, primo comma).
(GU n.33 del 19-8-1999 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sulla richiesta avanzata dal
 pubblico ministero e dalla parte civile diretta ad  ottenere  che  il
 tribunale  sollevi  dinanzi  alla  Corte  costituzionale conflitto di
 attribuzione nei confronti della Camera  dei  deputati  in  relazione
 alla  delibera adottata dalla assemblea in data 17 giugno 1998 che ha
 dichiarato non sindacabili, a norma dell'art. 68, primo comma,  della
 Costituzione,  le  opinioni  espresse dall'imputato che costituiscono
 oggetto del presente procedimento penale;
   Sentiti i difensori dell'imputato e del responsabile civile, che si
 sono  opposti  alla  richiesta  ed   hanno   formulato   istanza   di
 proscioglimento dell'imputato a norma dell'art. 129 cod. proc. pen.;
                             O s s e r v a
   Con   decreto  in  data  19  marzo  1997  il  giudice  dell'udienza
 preliminare disponeva il rinvio a giudizio dell'on. Vittorio  Sgarbi,
 dinanzi a questa sezione seconda penale del tribunale di Bergamo, per
 rispondere:    "...  del  reato e' previsto e punito dagli artt. 595,
 commi 1, 2 e 3, cod. pen. e 30, commi 4 e 5, legge 6 agosto 1990,  n.
 223, anche in relazione all'art. 13, legge 8 febbraio 1948, n. 47, in
 quanto,  nel  corso  del  programma  "Sgarbi quotidiani" trasmesso da
 "Canale 5", offendeva la reputazione del dottor Antonio Di  Pietro  -
 magistrato  gia'  in  servizio  presso la Procura della Repubblica di
 Milano - affermando tra l'altro: "non conta la  fonte.  Non  dobbiamo
 fare il processo alla fonte, accusando in tal modo un giornale che ha
 detto  solo una cosa, la verita'. Il problema e': pagava o non pagava
 Di Pietro 240 mila lire di affitto per un appartamento  in  centro  a
 Milano?  Ed  era  quello  un  affitto di favore? ... Di Pietro non ha
 smentito. La Cariplo ha confermato: vero e' che  Di  Pietro  spendeva
 240  mila  lire  di  affitto  fatto  e' quello ... c'e' corruzione di
 immagine e tradimento della giustizia...". Con le aggravanti di  aver
 arrecato   l'offesa   a   mezzo   della   televisione,  peraltro  con
 attribuzione di fatto determinato.  Da Roma il 2 ottobre 1995".
   All'udienza  del  25  giugno  1998,   svoltasi   nella   contumacia
 dell'imputato ed in presenza dei difensori della parte civile Antonio
 Di  Pietro,  nonche'  della  responsabile  civile costituita societa'
 R.T.I. S.p.a., i difensori dell'on. Sgarbi chiedevano che, alla  luce
 della  deliberazione della Camera dei deputati, adottata nella seduta
 del  17  giugno  1998  e  con  la  quale  era  stata  dichiarata   la
 insindacabilita',   a   norma   dell'art.   68,  primo  comma,  della
 Costituzione,  delle  opinioni  espresse  dall'imputato  e  che  sono
 oggetto   del   sopraindicato   capo  di  imputazione,  il  tribunale
 pronunciasse  sentenza  di  non  doversi  procedere   nei   confronti
 dell'imputato, ai sensi dell'art. 68 sopra citato.
   Il  tribunale,  sentite  le  parti,  acquisiva,  su  richiesta  del
 pubblico  ministero  -  il   quale   chiedeva   di   poter   produrre
 documentazione  idonea  a  comprovare  che  l'onorevole  Sgarbi nella
 fattispecie svolgeva attivita' di conduttore televisivo retribuito  -
 il  verbale  di assunzione di informazioni rese da Gori Giorgio nella
 sua qualita' di direttore della rete televisiva "Canale 5" innanzi al
 pubblico ministero in data 29  novembre  1996,  nonche'  copia  della
 proposta  contrattuale, datata 25 luglio 1996, diretta allo Sgarbi da
 parte della R. T. I.  S.p.a. con sede in Roma, al  limitato  fine  di
 valutare la sussistenza dei presupposti per sollevare un conflitto di
 attribuzioni nei confronti della Camera dei deputati.
   Il  dibattimento  veniva  quindi  differito,  in attesa di ricevere
 dalla Presidenza della  Camera  dei  deputati  copia  della  suddetta
 deliberazione  in  materia  di insindacabilita' a norma dell'art. 68,
 primo comma, della  Costituzione  nonche'  dei  relativi  atti  della
 Giunta per le autorizzazioni a procedere.
   All'odierna udienza, in via preliminare, il Presidente del collegio
 dava  atto  che  dalla  Presidenza  della  Camera  dei  deputati  era
 pervenuta, in data 2 luglio 1998, copia della relazione della  Giunta
 per  le autorizzazioni a procedere nonche' del resoconto stenografico
 della seduta del 17 giugno 1998 nel corso della quale l'assemblea  ha
 deliberato  nel  senso  che  i  fatti  per  i  quali  e'  in corso il
 procedimento nei confronti del deputato  Sgarbi  concernono  opinioni
 espresse  da  un  membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue
 funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
   Premesso quanto sopra, si rileva in primo luogo  che  all'anzidetta
 deliberazione  della  Camera, con cui si riconosce l'operativita' nel
 caso  di  specie  dell'art.  68,  primo  comma,  della  Costituzione,
 consegue,  com'e'  noto,  l'effetto inibitorio della prosecuzione del
 presente giudizio.
   Al tribunale spetta, tuttavia, di promuovere un controllo circa  la
 correttezza  dell'esercizio  del  potere  conferito  alla  Camera dei
 deputati dall'art. 68, primo comma, Cost., mediante lo strumento  del
 ricorso per conflitto di attribuzione, a norma dell'art. 37, legge 11
 marzo  1953,  n.  87  (vedansi,  per  tutte,  Corte cost. sentt.   n.
 1150/1988 e n. 129/1996).
   A tale proposito la Corte  costituzionale  ha,  in  piu'  occasioni
 (vedansi sentenze n. 1150 del 1988, n. 443 del 1993, n. 265 e n.  375
 del  1997),  avuto  modo di chiarire che, nell'ambito del giudizio in
 tema di conflitto fra poteri vertente su  una  delibera  parlamentare
 affermativa  dell'insindacabilita' ai sensi dell'art. 68, primo comma
 della Costituzione, "...La Corte non e' giudice dell'impugnazione..."
 in quanto il vaglio che essa  e'  chiamata  a  compiere  concerne  il
 controllo    sulla    "...    non    arbitrarieta'   della   delibera
 parlamentare..." (sentenza n. 1150 del 1988)  e,  dunque,  si  svolge
 come "... verifica esterna..."  (sentenza n. 443 del 1993), nel senso
 che  la  Corte  non  puo'  rivalutare  la ponderazione compiuta dalle
 Camere, ma soltanto accertare  se  vi  sia  stato  un  uso  distorto,
 arbitrario,   del   potere   parlamentare,   tale   da  vulnerare  le
 attribuzioni degli organi della giurisdizione o  da  interferire  sul
 loro  esercizio.
   Per  usare  ancora una volta le parole della Corte: "... il giudice
 costituzionale...  deve  verificare  se  vi  sia  stato  un  corretto
 esercizio  del  potere,  riservato  alla  Camera  di appartenenza, di
 dichiarare l'insindacabilita' del comportamento contestato al  membro
 del  Parlamento, anche sotto il profilo della sussistenza e della non
 arbitraria valutazione  dei  presupposti  ai  quali  il  primo  comma
 dell'art.    68    condiziona    l'operare   della   prerogativa   di
 irresponsabilita'..."  (vedasi  sentenza  n.  289  del  1998).  Detta
 verifica  "... ha per oggetto la regolarita' dell'iter procedurale e,
 nei limiti sopra indicati, la sussistenza dei  presupposti  richiesti
 dal primo comma dell'art. 68, e cioe' la riferibilita' dell'atto alle
 funzioni parlamentari: e' il nesso funzionale, infatti, il discrimine
 fra   quell'insieme  di  dichiarazioni,  giudizi  e  critiche  -  che
 ricorrono cosi' di frequente nell'attivita' politica  di  deputati  e
 senatori  -  e  le  opinioni  che,  godono della particolare garanzia
 introdotta  dall'art.  68,  primo  comma,  della  Costituzione   ..."
 (sentenze n. 375 del 1997, e n. 289 del 1998).
   Per  quanto,  poi,  riguarda il c.d. nesso funzionale, la Corte ha,
 altresi', precisato che "... costituisce premessa ormai  costante  il
 principio,   concernente   i   presupposti  di  applicabilita'  della
 prerogativa di insindacabilita', per cui quest'ultima non si  estende
 a  tutti  i  comportamenti  di chi sia membro delle Camere, ma solo a
 quelli funzionali all'esercizio delle attribuzioni proprie del potere
 legislativo..."    (sent.  n.  289  del  1998);  "...   La   funzione
 parlamentare  ha una dimensione peculiare nel sistema. Se essa non si
 risolve  negli  atti  tipici,  e  ricomprende  quelli  presupposti  e
 conseguenziali,  non  si  puo'  pero'  ricondurvi  l'intera attivita'
 politica svolta dal deputato o  dal  senatore:  tale  interpretazione
 finirebbe, invero, per vanificare il nesso funzionale posto dall'art.
 68,  primo  comma,  e  comporterebbe  il  rischio  di  trasformare la
 prerogativa in un privilegio personale..."  (sentt. n. 375 del 1997 e
 n. 289 del 1998).
   Trattasi di un principio del tutto pacifico, che anche  la  Suprema
 Corte  ha  di  recente  ribadito,  affermando che gli atti c.d. - "di
 funzione" - quegli atti, cioe',  che,  compiuti  da  parlamentari  in
 relazione  a  tale specifica qualita', si rendono insindacabili anche
 da parte dell'autorita' giudiziaria perche'  espressione  della  loro
 indipendenza   ed   autonomia   -   sono   soltanto  quelli  relativi
 all'esercizio delle funzioni proprie di membro del Parlamento, vale a
 dire gli atti  tipici  del  mandato  parlamentare  (presentazione  di
 disegni  di  legge, interpellanze ed interrogazioni, relazioni ecc.),
 compiuti nei vari organi parlamentari o  para-parlamentari  (gruppi),
 con  l'esclusione di quelle attivita' che, pur latamente connesse con
 l'esercizio di  tali  funzioni,  ne  sono  tuttavia  estranee,  quali
 l'attivita'  politica  extraparlamentare  esplicata  all'interno  dei
 partiti. Ne consegue che non possono farsi  rientrare  nell'attivita'
 coperta   dalla   prerogativa   dell'insindacabilita',  tutte  quelle
 manifestazioni  di  pensiero  che  -  espresse  in  comizi,   cortei,
 trasmissioni radio-televisive, o durante lo svolgimento di scioperi -
 non  possono  vantare  alcun  collegamento funzionale con l'attivita'
 parlamentare, se non meramente soggettivo in quanto poste  in  essere
 da  persona  fisica  che e' "anche" membro del Parlamento (cfr. Cass.
 sez. V, sent. 11667 del 16 dicembre 1997,  (ud.  24  settembre  1997)
 C.E.D. 209264).
   Orbene,  nel  caso  di  specie,  non e' dato ravvisare, a parere di
 questo tribunale, alcun collegamento funzionale  tra  le  espressioni
 contestate  come  diffamatorie  al deputato Sgarbi e la sua attivita'
 parlamentare; non e', infatti, riscontrabile alcuna  connessione  con
 atti  tipici  della  funzione  parlamentare,  ne'  risulta  possibile
 individuare nel suo  comportamento,  sottoposto  alla  cognizione  di
 questo  giudice,  un  qualche  intento divulgativo di una scelta o di
 un'attivita' politico-parlamentare (quale  ad  es.  una  proposta  di
 legge, un'interrogazione od una interpellanza, ecc.).
   Il  relatore  della  Giunta  per le autorizzazioni a procedere, on.
 Giovanni Giulio Deodato, ha cosi' motivato la proposta di  dichiarare
 che i fatti per i quali e' in corso il procedimento nei confronti del
 deputato  Sgarbi  concernono  opinioni  espresse nell'esercizio delle
 funzioni di membro del Parlamento:
     "... nel corso  del  dibattito  e'  prevalsa  l'opinione  che  le
 espressioni  usate  dall'onorevole  Sgarbi,  che  sono  alla base del
 procedimento  penale  intentato  nei  suoi  confronti,  costituiscano
 "attivita'  divulgative,  pur  se  svolte  fuori dal Parlamento" come
 previsto dall'art. 2, terzo comma, del decreto-legge n. 466 del 1996.
   La  Giunta  e'  pervenuta a tale conclusione attraverso tre diversi
 ambiti  di  riferimento:  il   contesto   in   cui   le   espressioni
 dell'onorevole  Sgarbi  sono  collocate,  il  fatto  che sullo stesso
 argomento il citato deputato abbia indirizzato la sua azione politica
 dentro e fuori dal Parlamento e, infine,  il  contenuto  delle  frasi
 incriminate,  come  emerge  dal  testo  trascritto dalla trasmissione
 televisiva Sgarbi quotidiani del 2 ottobre 1995.
   Sotto  il  primo  profilo  si  rileva   come   nella   trasmissione
 l'onorevole  Sgarbi  abbia  inizialmente  censurato  il comportamento
 tenuto in occasione di un processo trasmesso dalla  televisione,  dal
 dott.  Paolo  Ielo,  sostituto procuratore della Repubblica presso il
 tribunale di Milano rispetto al  quale  il  deputato  ha  parlato  di
 "caduta  di  stile"  e,  riportando  un giudizio del magistrato dott.
 Italo Ghitti, di  "corruzione  di  immagine"  intesa  "quella  di  un
 magistrato  che,  per  il  consenso  popolare, usa gli stumenti della
 giustizia".
   Sotto il secondo profilo occorre rilevare come il  tema  affrontato
 nella  trasmissione  televisiva  de  qua  sulla  parzialita'  e sulla
 intoccabilita' di alcuni magistrati ed in generale sul problema della
 giustizia e sul comportamento dei magistrati sia uno di quelli  verso
 i  quali l'onorevole Sgarbi ha, quasi quotidianamente, indirizzato la
 sua azione politica sia all'interno che all'esterno del Parlamento.
   E' chiaro, quindi, che  per  le  frasi  pronunciate  dall'onorevole
 Sgarbi le quali anche per il contenuto sono collocabili certamente in
 un contesto politico, sussiste il carattere di "attivita' divulgativa
 connessa" all'esercizio della funzione parlamentare. Infine, sotto il
 terzo  profilo, occorre considerare specificamente il contenuto delle
 espressioni usate. Nella parte finale del  suo  commento  l'onorevole
 Sgarbi,  prende  in  esame alcune notizie di stampa relative al dott.
 Di Pietro esprimendo il proprio convincimento circa  la  irrisorieta'
 del  canone  di  locazione  pagato  dallo  stesso per l'affitto di un
 appartamento di proprieta' della Cariplo sito nel centro di Milano.
   Al riguardo  l'onorevole  Sgarbi  sostiene  che,  indipendentemente
 dalla  fonte  cui  proviene, la notizia e' grave, che si tratta di un
 affitto di favore e che nel fatto c'e' "tradimento della giustizia" e
 "corruzione di immagine" secondo  il  concetto  sopra  riferito.  Nel
 valutare  tali  espressioni  come attivita' divulgative connesse alla
 funzione parlamentare pur se svolte fuori dal Parlamento,  la  Giunta
 ha  confermato  i  criteri  gia' da essa adottati e che possono cosi'
 essere sintetizzati: 1'art. 68, primo comma,  della  Costituzione  e'
 applicabile  a  tutti  i comportamenti del parlamentare riconducibili
 all'attivita' politica intesa in senso lato, anche  se  svolti  fuori
 dalla  sede parlamentare (cosiddetta: attivita' extra moenia) e anche
 in presenza dell'espressione  di  giudizi  oggettivamente  pesanti  e
 tali, quindi, da costituire in astratto una condotta illecita purche'
 non  costituiscano insulti gratuiti e personali che nulla hanno a che
 vedere con la funzione parlamentare...".
    L'assemblea,  dopo  una  breve  discussione  introdotta   dall'on.
 Filippo  Berselli, seguita da due sole dichiarazioni di voto, tra cui
 quella dello stesso On. Sgarbi, ha accolto la proposta  della  Giunta
 per  le autorizzazioni a procedere (cfr. resoconto stenografico della
 seduta del 17 giugno 1998) deliberando nel  senso  che  i  fatti  per
 quali  e'  in corso il procedimento nei confronti del deputato Sgarbi
 concernono  opinioni   espresse   da   un   membro   del   Parlamento
 nell'esercizio delle sue funzioni.
   Ad  avviso del tribunale, la deliberazione adottata dalla Camera si
 appalesa del tutto arbitraria in quanto nel  caso  in  esame  difetta
 palesemente  il  necessario  collegamento tra il comportamento per il
 quale il deputato Sgarbi e' chiamato a rispondere  dinanzi  a  questo
 tribunale e l'esercizio della funzione parlamentare.
   1.  -  Va,  in particolare, evidenziato che, come emerge dagli atti
 parlamentari qui pervenuti, la Camera, accogliendo la proposta  della
 Giunta,  ha  del  tutto  omesso  di  considerare  che  nella funzione
 parlamentare non si puo' ricondurre (come, invece  pare  assumere  la
 Camera  dei deputati, nel condividere i criteri adottati dalla Giunta
 e sintetizzati nella sopra  richiamata  relazione  dell'on.  Deodato)
 l'intera  attivita  politica svolta dal deputato o dal senatore: tale
 interpretazione finirebbe, invero, per vanificare il nesso funzionale
 posto dall'art.   68, primo comma,  e  comporterebbe  il  rischio  di
 trasformare  la  prerogativa  in  un  privilegio  personale  (vedansi
 sentenze della Corte n. 375 del 1997 e n. 289  del  1998  gia'  sopra
 citate).
   Nella  vicenda  in  esame, le opinioni espresse dal deputato Sgarbi
 nei riguardi del dott. Di Pietro, quale magistrato della  Repubblica,
 appaiono  del  tutto  prive  di  alcuna  riferibilita'  alle funzioni
 parlamentari, trattandosi non gia' di espressioni divulgative di  una
 scelta  o  di  un'attivita'  politico-parlamentare,  bensi'  di  meri
 apprezzamenti  personali  espressi,  alla  stregua  di  un  qualunque
 privato cittadino.  Ne' puo' sostenersi, cosi' come invece si afferma
 nella  relazione  della  Giunta  che  sussista un collegamento tra le
 opinioni  espresse  e  la  funzione  parlamentare  sulla  base  della
 semplice constatazione che "... il tema affrontato nella trasmissione
 televisiva  de qua sulla parzialita' e sulla intoccabilita' di alcuni
 magistrati  ed  in  generale  sul  problema  della  giustizia  e  sul
 comportamento  dei  magistrati  sia  uno  di  quelli  verso  i  quali
 l'onorevole Sgarbi ha,  quasi  quotidianamente,  indirizzato  la  sua
 azione politica sia all'interno che all'esterno del parlamento...".
   Il  fatto che si tratti di un argomento, avente rilevanza politica,
 trattato in piu' occasioni ed in plurime  sedi  da  un  deputato  non
 comporta,  di per se', che ci si trovi in presenza di esercizio della
 funzione  parlamentare,   ravvisabile   solo   allorquando   siffatta
 attivita'  divulgativa  sia  correlabile ad uno specifico atto tipico
 del parlamentare.
   2. - La palese carenza  del  presupposto  di  applicabilita'  della
 prerogativa  di  insindacabilita'  emerge,  in  ogni caso e con tutta
 evidenza, dalla seguente considerazione: anche a voler ammettere  che
 la   insindacabilita'   di   cui  all'art.  68,  primo  comma,  della
 Costituzione si estenda pure all'attivita' svolta al di  fuori  delle
 Camere  (per  le  opinioni  espresse  in  comizi,  interviste  ecc.),
 sicuramente non potevasi ravvisare nella partecipazione del  deputato
 Sgarbi  alla  trasmissione  diffusa  dalla  rete  televisiva  privata
 "Canale  5"  un'attivita'  riconducibile  all'esercizio   delle   sue
 funzioni  di  membro  del  Parlamento,  atteso  che  (come  si evince
 chiaramente  dal  verbale  delle  dichiarazioni  rese   al   pubblico
 ministero  dal  direttore  di  "Canale  5" in data 29 novembre 1996 e
 dalla  documentazione  ad  esso  allegata,  acquisita  dal  tribunale
 all'odierna   udienza   ai   soli   fini  della  decisione  circa  il
 promovimento  del  conflitto  di  attribuzione)   l'on.   Sgarbi   e'
 intervenuto    nella    suddetta    trasmissione   nella   veste   di
 conduttore/entertainer di un programma televisivo, denominato "Sgarbi
 quotidiani", nel corso del quale egli aveva l'obbligo - sulla base di
 uno  specifico  contratto  stipulato  con la Reti televisive italiane
 S.p.a. cui fa capo "Canale 5" - di commentare ed esprimere le proprie
 opinioni su argomenti di  attualita'  e  su  quanto  riportato  dalla
 stampa in generale.
   Orbene,    poiche'    per    tali    prestazioni   era,   altresi',
 contrattualmente  prevista  una  determinata  retribuzione,  non   e'
 seriamente  revocabile  in  dubbio che l'on. Sgarbi abbia preso parte
 alle varie  puntate  del  programma  "Sgarbi  quotidiani"  nella  sua
 qualita'  di  privato cittadino, non essendo ovviamente ammissibile -
 ne' penalmente lecito -  che  un  membro  del  Parlamento  percepisca
 qualsiasi  ricompensa  o  retribuzione  come  corrispettivo  per atti
 inerenti lo svolgimento del proprio mandato  (artt.  67  e  69  della
 Costituzione in relazione all'art. 318 cod.  pen.).
   La  delibera di insindacabilita' adottata dalla Camera dei deputati
 nella seduta del  17  giugno  1998  appare,  pertanto,  lesiva  delle
 attribuzioni  di  questo  organo  giurisdizionale in quanto il potere
 conferito al Parlamento dall'art. 68 della Costituzione  (cosi'  come
 interpretato  dalla Corte costituzionale) e' stato esercitato in modo
 arbitrario dalla Camera.
   Non rimane, pertanto, che sollevare  conflitto  di  attribuzione  a
 norma dell'art. 37, legge 11 marzo 1953, n. 87, vertendosi in materia
 di  correttezza  dell'esercizio  del potere conferito alla Camera dei
 deputati dall'art. 68, primo comma, Costituzione con riferimento alla
 lesione di attribuzioni giurisdizionali costituzionalmente previste e
 garantite (artt. 102 e seguenti della Costituzione).
                               P. Q. M.
   Visti gli articoli 37, legge 11 marzo 1953, n. 87  e  26,  delibera
 codice civile 16 marzo 1956;
   Solleva  conflitto  di  attribuzione nei confronti della Camera dei
 deputati, richiedendo che la Corte costituzionale:
     1) dichiari che non spetta alla Camera dei deputati dichiarare la
 insindacabilita', ai sensi dell'art. 68, primo  comma,  Costituzione,
 delle  opinioni  espresse  dal  deputato on. Vittorio Sgarbi, secondo
 quanto deliberato dalla stessa Camera dei deputati in data 17  giugno
 1998;
     2)  annulli  conseguentemente  la predetta deliberazione adottata
 dalla Camera dei deputati (atti Camera, doc. IV-ter n. 21-A);
   Dispone la sospensione del  procedimento  penale  n.  178/97,  r.g.
 tribunale, nei confronti dell'On. Vittorio Sgarbi nonche' l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
     Bergamo, addi' 8 ottobre 1998 Il presidente: Grasso I giudici: De
 Bortoli - Nava
 99C0519